Un duello con il Generale

1.3

La mattina successiva, c'era qualcosa di diverso. La ragazza lo percepì subito come un formicolio, una scarica di energia che le pizzicava le dita. Sapeva che non era nulla di pericoloso, invece prese un bel respiro, assaporò la potenza che aleggiava attorno a lei, i sensi più acuti, la forza e la sicurezza. Con la speranza nel cuore si portò le mani davanti agli occhi, e attorno ad esse vide vorticare un fumo nero e purpureo. Non riuscì a trattenere il sollievo a quella vista: il suo potere era finalmente tornato dal riposo.
Non sapeva in realtà dire se fosse un bene o un male, perché tanto quanto avrebbe potuto salvarla se fosse stata attaccata, avrebbe anche potuto perderne il controllo e incasinare tutto ancora di più. Era un potere difficilmente domabile il suo.

Si preparò quindi alla battaglia.
Ma non mise pantaloni e camicia, né cercò di procurarsi una spada o pugnali, no, invece indossò un bel vestito color pesca di un tessuto morbido e leggero, le maniche semitrasparenti che lasciavano intravedere le braccia e che si stringevano in lunghi polsini, con uno scollo a barchetta e una gonna morbida che pareva fluttuare. Sembrava un bel fiore primaverile. Infine mise le scarpette bianche della figlia di Rudilla e acconciò i capelli legando sulla nuca due ciocche con un bel fermagli d'oro a forma di ramo d'alloro, per dar risalto al viso, ora senza alcun livido né taglio. Cercò persino di darsi un po' di colore, ma alla fine si limitò a scurire le ciglia e passare sugli occhi una linea di kohl.
Dovette aspettare mezz'ora prima che i soliti due cadetti venissero a chiamarla e a prendere la colazione, intatta. Non avrebbe voluto vomitare addosso al Generale. O forse sì?

Il suo studio si trovava al primo piano. Superato l'atrio, i cadetti la portarono in una sala dirimpetto al portone d'entrata, accogliente e non tanto fredda come si sarebbe aspettata. C'erano un divano e delle poltrone ad accerchiare un camino, ora spento e poi, con un salto al cuore, la ragazza senza nome vide un pianoforte, ma non poté osservarlo bene perché i due la trascinarono verso una porta bianca a doppio battente. Lo studio del Generale.
La ragazza si sentì tesa.

Sapeva che l'Ordine dei Cavalieri di drago era della vecchia scuola, non voleva vedere una donna in altri ambiti se non in cucina o con degli strofinacci in mano, perciò certamente non le sarebbe stato facile convincere quelle teste vuote che Kahal — che Kahal era suo amico e che lei non sarebbe andata da nessuna parte senza di lui. Il triste pensiero che magari tutta quella connessione con il drago non fosse altro che frutto della sua fantasia, le fece sudare le mani ancora di più.
Entrò.

E solo decenni di addestramento le impedirono di paralizzarsi dalla sorpresa.
Merda, fu il suo primo pensiero. Merda! Il secondo.

Dietro una massiccia scrivania in legno scuro era seduto un fae relativamente basso, una vecchia spilla d'oro in bella vista sul petto scolpito da chissà quanti anni di addestramento, le lunghe dita affusolate che battevano lentamente sulla superficie del legno, la carnagione chiara, leggermente olivastra, sembrava non avere imperfezioni eccetto... eccetto per la brutta cicatrice che correva come uno squarcio candido dalla tempia fino quasi alla mandibola. Quando la ragazza riuscì a distogliere l'attenzione da quest'ultima, trovò due piccoli occhi che sembravano fessure, leggermente piegate all'insù, senza fondo come quelli di uno squalo, intenti a guardarla.
Aveva già incontrato quel fae, durante la guerra.
Ma lei lo aveva visto da molto lontano. Da oltre la terra di nessuno.
Eppure lui non la riconobbe.

In piedi al suo fianco, c'era un mezzo Fae, il corto taglio militare che risaltava le orecchie a mezza punta e i due piccoli occhi celesti che le diedero l'impressione che... che volesse prenderla a sassate. Si lanciarono occhiatacce per molto tempo, rabbia contro calma, poi la ragazza aspettò, immobile, gli occhi fissi sul generale, le mani dietro la schiena come un buon soldato. Lasciò che la studiassero, che la trattassero come l'ultimo dei loro cadetti. Si sentì improvvisamente tornata alla sua giovinezza, quando era stata addestrata ad essere un soldato, quando ancora era a casa sua e aveva molto da imparare, quando non era ancora... cercò di non pensarci, ma era quasi impossibile.
Non era più un soldato, quello non era il suo regno e quello non era il suo Generale, non avevano autorità su di lei.
Le sue labbra si aprirono in un sorrisetto irritante e presuntuoso, provato e applicato così tante volte che sapeva esattamente cosa stavano vedendo i due Cavalieri. Dopodiché si voltò candidamente verso lo scaffale alla sua sinistra, con un fruscio della gonna, lasciando quello che suppose fosse il tenente costernato, mentre il Generale si limitò a guardarla con più attenzione.

"Sono andata alla biblioteca ieri e devo ammettere che non mi ha delusa: è bella come dicono. Non vedo l'ora di andare a dare un'occhiata ai teatri, ho sentito dire che siano stupendi" disse in tono piatto la ragazza, passando un dito sulle vecchie copertine di cuoio dei libri.
"Quindi sa leggere? Credevo che avesse dimenticato ogni cosa, compreso il suo nome" attacco.
Riesco a leggere 'stronzo' sulla sua fronte, quindi direi di sì, represse l'impulso di dar sfogo ai suoi pensieri e si ricordò le parole di suo padre riguardo a certi duelli: la calma è sempre l'arma vincente, le diceva sempre. Perciò prese un bel respiro e riprese le redini della sua mente, pronta per sotterrare verbalmente il Generale.
"Sa poco e niente sull'amnesia, vedo." parata e affondo.
"Non ho avuto abbastanza tempo per fare ricerche approfondite, temo" schivata. "Ho dovuto sistemare certi inconvenienti ai confini e la storia del drago nero..." seconda intenzione. Voleva farla rispondere d'impulso, farla arrabbiare, ma non ci cascò. La ragazza si voltò invece con nonchalance, e sospirò sedendosi comodamente di fronte al generale.
"Lo chiami Kahal, Generale. È il suo nome."
Sempre all'attacco..., sembrò dire lo scatto nervoso che ebbero le dita del generale. La ragazza dovette trattenere un'espressione soddisfatta: il duello non era ancora finito e aveva imparato a sue spese a non festeggiare prima di aver realmente vinto.
"Prima devo assicurarmi che lui veramente risponda al nome, ragazzina" cavazione. Si era innervosito. Bene.
"Sarà un piacere" scoccata. Il match era finito, per ora.
La ragazza senza nome non aspettò che la congedassero e se ne andò con un sonoro: "Arrivederci, Generale."

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