Guarigione

1.2

Nei minuti che seguirono l'incontro con Hunthor, la ragazza senza nome si limitò a muovere le gambe su e giù, su e giù, finché non sentì che sarebbe potuta stare in piedi senza sfracellarsi sul pavimento. Così si alzò. Il dolore era già diminuito, per fortuna, e se la guarigione fae avesse continuato con quel passo sarebbe stata presto scattante come prima, pronta anche a combattere, forse. Si mise in piedi strizzando in continuazione gli occhi per il dolore e per il continuo vorticare del mondo intorno a lei, tutto il peso ancora sul letto, le gambe lunghe e secche che tremavano al solo tentativo di reggerla. Notò che le avevano messo una camicia, lunga, che le arrivava a metà coscia, di chissà chi, anzi no, perché un inconfondibile odore di muschio e tempesta la impregnava. Era del misterioso fae. Voleva veramente capire chi fosse.

La ragazza tentò di fare qualche passo, ma si risiedette subito, le gambe in preda agli spasmi.
Quando la guaritrice arrivò con due giganti borse al suo seguito dalle quali spuntavano due piccole paia di gambe tremanti, lei era ancora ai piedi del letto, che cercava disperatamente di restare in piedi. Come prima cosa, la voce petulante che ricordava da quei giorni di incoscienza, la rimproverò dicendole che avrebbe dovuto restare a letto, poi la costrinse a sdraiarsi e iniziò a visitarla. Trafficò un po' con la sua magia, per rafforzarle i muscoli e alla fine le diede qualche tonico e le suggerì degli esercizi per tornare in forma e per ultima cosa, prima di andarsene, le diede qualche vestito, dalla fattura molto semplice, così come la forma, ma adatto alla stagione e comodi alla prima impressione. Dopo le diede anche, con enorme sollievo della ragazza, dei completi per esercitarsi e un paio di scarpe per i vestiti e degli stivali. Disse che erano di sua figlia, che non era in città, che le augurava che le stessero e che li voleva indietro non appena se ne fosse andata, cosa che sembrava sperasse fosse al più presto.

Passarono altre ore. La ragazza ora riusciva a stare in piedi e a camminare con un sostegno. Era riuscita ad andare fino alla finestra prima ed era rimasta lì per un po' ad osservare Miranel, la Candida Miranel, il gioiello del Nord di Vyria, attualmente la detentrice della lealtà dei Cavalieri di Drago.
Quando arrivò Hunthor, lei aveva già indossato uno dei vestiti color pastello della figlia di Rudilla. Il Cavaliere non disse molto, solo che il Generale presto l'avrebbe ricevuta, forse non quel giorno ma i successivi eppure entrambi sapevano che non era vero. L'avrebbe vista forse tra una settimana, come erano soliti fare quegli sbruffoni al comando. Quindi il Cavaliere prese la borsa che Rudilla, la petulante guaritrice le aveva lasciato, piena di vestiti e tonici e pozioni, le offrì il braccio come sostegno cosa che, suo malgrado, lei dovette accettare, e la accompagnò alla sua nuova camera, gentilmente concessa dal Generale fino a che non si sarebbe ripresa.

L'Accademia era vecchia. Decisamente troppo vecchia e tenuta poco bene. Diciamo che si notava l'assenza di uno sguardo femminile, ecco. La ragazza si ricordava dei racconti del suo maestro, sul fatto che le Accademie non avessero domestici, nessuno che pulisse o sistemasse, ma solo cadetti, le reclute più piccole che come primo passo verso l'addestramento venivano forgiati nell'umiltà e nel lavoro duro. Lei non poteva che essere più d'accordo su quella scelta, ma... c'era bisogno di qualcuno che sapesse veramente pulire. I corridoi erano grandi, le pareti bianche crepate in più punti e gli angoli decisamente sporchi. Il tappeto rosso che rivestiva il pavimento in marmo era forse la cosa più pulita. E poi c'erano i raccapriccianti quadri. Una sfilza di quadri di cavalieri morti e sepolti in grandi battaglie gloriose o vanagloriose a seconda di chi le raccontava. La ragazza senza nome non poteva sopportare tutti quegli occhi piccoli e severi puntati su di lei come una balestra pronta a scoccare il colpo mortale. Era tutto così opprimente lì dentro che le venne voglia di andarsene. Forse era proprio questo lo scopo dell'arredamento lugubre: fare scappare a gambe levate gli ospiti indesiderati.
In ogni caso, ignorò i volti grassi e severi e restò con lo sguardo fisso davanti a sé, la mano stretta sul braccio di Hunthor che la sorreggeva. Sperò che almeno la sua stanza fosse più luminosa.

Hunthor le fece domande su dove veniva e come mai non ricordava il suo nome e come era finita in quel luogo dimenticato dagli dei, dove Kahal l'aveva trovata e come fosse stato il suo approccio con il drago. Rispose a tutte brevemente, mischiando verità e bugie. Sapeva che ogni parola sarebbe contata e che lui le avrebbe ripetute esattamente in quel modo ai suoi superiori, perciò sette ben attenta anche al tono di voce e dove guardava e a come camminava. Un guerriero ben addestrato avrebbe fatto caso a tutto quello, per capire se menti o meno. Lei ci sarebbe stata attenta.

Arrivarono poi davanti a una porta bianca, simile ad altre. Ed entrata, finalmente si sentì libera di respirare, ma non per molto, perché subito chiese al Cavaliere quando avrebbe potuto vedere Kahal. La risposta evasiva non le piacque: "Dopo l'incontro con il Generale". Quindi forse tra una settimana. Forse.
"E nel frattempo cosa volete che faccia?" Si ravvide dal sembrare polemica.
"Devi guarire. Riposa, passeggia, se vuoi posso farti portare in città." disse, un sorriso gentile che sembrava riscaldare l'aria intorno a loro di un piacevole tepore. Ugualmente l'assalì un grande senso di tristezza e di nuovo, quella maledetta solitudine.
Ascoltò a malapena Hunthor che le spiegava la routine dell'Accademia, dove poteva o non poteva andare, cosa poteva fare, chiedere, toccare. Ripeté che non era una prigioniera e che poteva uscire quando volesse, ma lei non sapeva se credergli. Si fece più attenta solo quando il cavaliere poggiò sul suo palmo una piccola borsa grande quanto un pugno piena di monete tintinnanti, sempre gentilmente concesse dal Generale con le quali avrebbe potuto comprare tutto ciò che voleva a Miranel. Non poté far altro che ringraziare e senza aggiungere altro, il cavaliere se ne andò.
Di nuovo sola.

L'avevano stipata in una stanza al secondo piano, con spoglie pareti color crema e un caminetto. Attaccato alla camera da letto c'era un piccolo bagno con vasca e tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno. Modesto e confortevole. Fu lì che due cadetti le portarono il pranzo e altre cose come saponi da bagno, candele, asciugamani e lenzuola calde. Li ringraziò e giurò di vederli arrossire prima di schizzare via.
Quel giorno si limitò a camminare avanti e indietro per la stanza, piegarsi e alzarsi, saltare e risvegliare ogni tendine e muscolo. E dormì. E mangiò ogni cosa che i due cadetti le portarono in camera, ma vomitò poco dopo, non più abituata. Fu una giornata miserabile. Nemmeno Hunthor si fece più vivo e men che meno il fae misterioso che per quelle tre notti le aveva tenuto compagnia.

Passarono altri tre giorni e non ebbe notizie del Generale né lo vide. Ogni mattina Rudilla si presentava per controllare le sue condizioni e grazie agli impacchi per il  grande ematoma sulla spalla destra e le creme per il labbro spaccato e il brutto taglio sul sopracciglio, dopo due giorni il suo viso sembrava essere nuovamente fresco e senza imperfezioni. Era solo troppo magra, continuava a ripeterle la guaritrice.
Quando quest'ultima se ne andò dopo le sue solite raccomandazioni anche il quarto giorno, la ragazza senza nome decise finalmente di uscire a fare un giro a Miranel, non avendo nulla da fare. In quei giorni era andata a passeggiare attorno all'Accademia, ma non si era mai allontanata molto dal portone principale, per timore di incontrare i Cavalieri o per farsi vedere in generale. Perciò indossò un bel vestito color indaco, di una stoffa rigida, ma comoda, con un dolce scollo squadrato e le maniche lunghe, la gonna morbida scivolava gentilmente sui suoi fianchi, forse troppo spigolosi. Era pratico e le entrava bene e non appena si sarebbe ripresa i chili che aveva perso, l'avrebbe riempito al meglio. Lasciò i capelli sciolti in voluttuose onde color ebano, prese il sacchetto di soldi che era rimasto lì a fissarla per tutti quei giorni e uscì, alla ricerca di un cavallo che potesse portarla in città.

Le fornirono una carrozza.
Evidentemente la sua presenza al castello era diventato il nuovo gossip dei Cavalieri, perché tutti sapevano chi fosse e sapevano della sua amnesia. I fae e mezzi fae che trovò nelle stalle sembravano non riuscire a staccarle gli occhi di dosso, come se non credessero che fosse veramente uscita dalla sua stanza. Parlò loro con freddezza e questi interpretarono quel distacco come paura, così si offrirono persino di scortarla, ma lei rifiutò, dicendo di preferire un semplice passaggio fino al centro o ovunque fossero i negozi. E così l'accontentarono.

La ragazza non riuscì a distogliere gli occhi dal paesaggio: era stupendo. I lunghi steli d'erba cristallina creavano un tappeto scintillante ai lati della strada e si muovevano al ritmo calmo del vento. Se si aprivano bene le orecchie si poteva sentire il canto dei grilli accompagnati dal flauto di Sifel, dio dei venti e del Respiro del Mondo. E oltre alla distesa scintillante, si stagliavano le montagne, fiere e imperturbabili a sfiorare le nuvole.
Il paesaggio venne brutalmente spazzato via: fu come passare attraverso un portale. Grandi mura bianche presto si sostituirono alle montagne e in un batter d'occhi erano entrati a Miranel.

Miranel, la Candida Miranel. Occupava l'intera gola tra due catene montuose, ai confini tra Vyria e Anfis, spaccata in due dal fiume Frilla, dal nome della fae guerriera lì caduta per proteggere la città, in Distretto est e Distretto ovest, il più vicino ai confini e dove appunto, poco lontano dalle mura, si trovava l'Accademia. Era detta candida perché le case, le strade e i ponti erano interamente costruiti di pietra bianca o coperti di polvere bianca, proveniente dalle montagne e perché i ponti erano decorati di pietra di luna che facevano risplendere le acque pure e trasparenti. Il gioiello del Nord di Vyria, era chiamata anche così.
I due cavalieri che avevano accompagnato la ragazza la lasciarono in una piazza e le diedero dettagliate indicazioni su dove fossero i negozi e come potesse tornare. Furono gentili e per questo, lei rivolse loro persino un sorriso e dei ringraziamenti, dopodiché girò i tacchi e si incamminò per le tortuose stradine.

Tornò la sera, stanca ma ripulita. Si era infilata in un salone di bellezza e non ne era uscita per almeno tre ore, tornando poi in strada rinata. Aveva quindi comprato vestiti, più per restituire al più presto quelli di Rudilla che per altro e poi aveva passeggiato. Sembrava tutto calmo e pacifico, lì. Sembrava la città perfetta. Le ricordava la sua città natale. E così tornò nuovamente il dolore.
Trovò rifugio in biblioteca.
L'aveva scorta durante uno dei suoi via vai e subito si era impressa nella mente la sua posizione. Si trattava di un grande palazzo in pietra bianca, dalla pianta ovale, più entrate sui lati e grandi scritte in lingua antica sul frontone, bassorilievi e colonne e vetrate colorate rappresentanti la nascita di Shira, anzi, del Mondo, a partire dal nulla e poi dalla luce e dal monte Orbaco, dove tutto ha avuto il suo inizio e dove tutto troverà la sua fine.
La ragazza senza nome entrò decisa, i sacchetti delle compere al seguito e ciò che vide la lasciò senza fiato. Davanti a lei, tavoli in legno scuro dove fae e mezzi fae erano seduti a leggere, prendere appunti o parlottare tra loro in leggerissimi sussurri, intorno: scaffali su scaffali ricolmi di libri e poi anche i piani superiori e la ragazza ci scommetteva la testa che ci fossero anche piani sotterranei. Il tutto era illuminato dalla grande vetrata sul soffitto e attorno ad essa ancora la storia della Creazione. Notò che al centro dalla biblioteca nel pavimento vi fosse lo stemma dei cavalieri di drago in marmo nero e sopra questo una scritta: Un patto è un patto, il motto dei Cavalieri di Drago (ma anche quello di tutti i fae, a dire il vero).
Non prese alcun libro. Girò e basta, osservò i titoli e le varie sezioni, curiosando in giro alla ricerca dell'entrata per i piani inferiori che sicuramente conservavano testi più antichi e più interessanti di quelli che vedeva. Lesse qualche pagine di un vecchio tomo storico, ma poi lo richiuse con un gran sollevamento di polvere e continuò, finché le gambe non la pregarono di fermarsi e allora prese un romanzo e si accomodò su una poltrona dove restò piantata per più di un'ora. E infine tornò, di malavoglia, lasciando il romanzo a metà.

Sgusciò silenziosamente nell'atrio dell'Accademia, controllando che non ci fosse nessuno e accertatasi di questo si poté rilassare. Sentì un chiacchiericcio lontano, proveniente da un corridoio alla sua sinistra, anzi da sotto, dalla mensa. Lì sicuramente c'era il Generale. Sarebbe potuta andare lì, farla finita con quell'attesa, sbraitargli addosso tutto ciò che pensava... tornò in camera sua.

E sul letto trovò un bigliettino, ovviamente nessun nome su di esso che lo indicasse come indirizzato a lei, ma per chi altro doveva essere?, e quando lo aprì capì che era la scrittura di un uomo, elegante ma frettolosa.

Sono passato ma non ti ho trovata e mi hanno avvertito che sei andata in città, di questo sono contento. Ero venuto solo per dirti che il Generale ha acconsentito a incontrarti domani mattina dopo colazione. Verranno due cadetti a chiamarti. Fatti trovare pronta, non gli piacciono i ritardatari.
-Hunthor

Beh, ci avevano messo meno di quanto si aspettasse. Tanto meglio.
Come ogni notte aveva fatto da quando era stata in grado di alzarsi, si affacciò alla finestra e rivolse lo sguardo oltre le torri del castello, verso il Nido dei Draghi, scavato nella montagna, dove Kahal la aspettava e in un sussurro gli disse che stava arrivando.

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