Compagno di danza
Ventiquattro maschi nelle loro uniformi nere stavano chiacchierando in piccoli gruppi o affilando i pugnali o semplicemente guardandosi intorno nella grande palestra sotto l'accademia, ampia quasi quanto l'arena. Molti di loro provenivano dalle parti più disparate del continente, più della metà erano mezzi Fae.
Nessuno di loro notò un'ombra nascosta in un'angolo che li osservava tutti, i capelli ebano legati in una lunga treccia e gli occhi viola scintillanti nell'oscurità, sua dimora.
La ragazza-senza-nome non si fermò a guardare quelli che sarebbero stati i suoi compagni di corso, ma osservò invece la grande sala, le numerose armi, i bersagli e i manichini, gli strumenti e la loro disposizione. Erano ben attrezzati. Forse avrebbe persino potuto divertirsi.
La sala sprofondò nel silenzio quando Fance fece il suo ingresso, i muscoli che esplodevano sotto l'uniforme, la spilla che ricordava a ognuno degli aspiranti cavalieri il loro obiettivo e lo sguardo duro di un comandante che non ammetteva repliche fisso davanti a sé. Sapevano tutti che gli avrebbe fatto passare le pene dell'inferno. La ragazza non vedeva l'ora.
Il tenente li chiamò tutti a raccolta. Gli occhi di tutti i fae e mezzi fae si puntarono sulla ragazza senza nome. Erano passati appena tre giorni dallo scontro con Velias, che si trovava proprio lì nella fila e la guardava come se fosse pronto a sgozzarla. Nessuno sapeva ancora se temerla o meno.
Lei si limitò a ignorarli.
"Come avrete notato, abbiamo una nuova recluta, ma farete la sua conoscenza durante i combattimenti, quindi muovetevi. Riscaldamento!" urlò Fance, senza nemmeno darle un'occhiata. Non era affatto sicura che l'avesse perdonata, ma se pensava che ignorarla sarebbe stato peggio che massacrarla, allora, la fae avrebbe fatto meglio a lasciarglielo pensare.
La ragazza-senza-nome seguì i suoi compagni in una corsa sostenuta e veloce e si piazzò subito dietro i primi due. Erano fae, uno con la pelle color caffellatte che a occhio e croce le parve straniero, forse proveniente dai grandi imperi dell'oriente, i capelli scuri che sfioravano le spalle, legati in una mezza crocchia e l'altro, molto più grande e muscoloso, con la pelle abbronzata e lunghi capelli castani, legati in una treccia. Entrambi sembravano molto affascinanti anche se la ragazza non li aveva visti bene in viso. Ogni tanto chiacchieravano e le lanciavano un'occhiata, ma lei non voleva ascoltare i loro discorsi.
Quando si fermarono, stava sudando ed era senza fiato. Maledisse se stessa e la sua povera forma, che anche dopo le mattinate con Hunthor non era al suo meglio.
"Non dovrebbe farti affaticare." quella voce. Quella voce che la ragazza-senza-nome aveva sognato e cercato per giorni, la stessa voce che l'aveva aiutata a superare le sue prime notti. Si girò di scatto verso di lui, e vide un fae, un maschio con brillanti occhi verdi e capelli scuri, leggermente lunghi, bagnati di sudore e attaccati alle tempie. Era ben impostato, le spalle larghe e mani cosparse di piccole cicatrici e calli dovuti agli allenamenti con la spada. Profumava di muschio e tempesta.
La ragazza non rispose e si costrinse a tornare al suo esercizio.
"Sono Tristan, comunque" disse il fae tra un respiro e l'altro. "Non so se ti ricordi di me... io ero lì quando–" tossicchiò. "Ero lì quando sei arrivata."
"Lo ricordo." disse secca. E come avrebbe potuto dimenticarlo?
"Senti, secondo me non dovresti fare questo allenamento, ecco–"
"Fatti gli affari tuoi."
La ragazza-senza-nome se ne andò lontano, il più lontano possibile dal bel fae. Non voleva fare amicizia, non voleva affatto. Avrebbe comportato un attaccamento verso quel posto, distrazione e–si diede della stupida per quei pensieri. Aveva appena allontanato l'unico che avesse mai cercato di approcciarla, il fae che aveva tormentato i suoi pensieri per notti intere, che l'aveva salvata, in un certo senso. Stupida.
Quel pensiero angoscioso le occupò la mente per molto tempo, o almeno finchè non sentì qualcos'altro nella sua mente, qualcosa di estraneo.
Si erano messi a semicerchio attorno a Fance, che stava spiegando come voleva torturarli quella mattina, e una strana presenza, anzi una lingua viscida di magia cercò di scivolare nella sua mente. Non era un potere oscuro, ma semplicemente curioso, stupidamente curioso.
La mente era qualcosa di molto particolare, ma soprattutto fragile. Chi possedeva il potere di controllo della mente doveva saperla maneggiare se non voleva frantumarla in mille pezzettini, riducendo l'ospite in un corpo vuoto. Ma soprattutto ci si doveva saper difendere. Creare muri attorno alle manti era una delle prime lezioni che si impartivano a un soldato. Perciò la ragazza-senza-nome aspettò che quel guizzo di potere si avvicinasse, lo studiò, da lontano e non appena tentò di penetrare i suoi pensieri, lo tagliò fuori, un muro di pietra nera, resistente come un diamante che la proteggeva. E proprio quando la magia si ritirò spaventata, anche un fae vacillò sul posto, disorientato.
Non era bello come Tristan, anzi, non era nemmeno lontanamente vicino a lui; era alto e gracile, i capelli come una cortina color nocciola sulla fronte, gli occhi scuri e anonimi. La stava guardando, sorpreso. Lei lo ignorò.
"Trovato un compagno e prendete le spade. Sorprendetemi" disse Face. E non appena la ragazza si girò, due occhi smeraldo e un sorriso smagliante la piantarono sul posto. Il momento dopo, Tristan era l'unica opzione rimasta. Gli mostrò un sorriso sforzato, poi si diresse verso la restrelliera, dove li stavano aspettando una manciata di spade esposte ordinatamente. La ragazza ne scelse una semplice, la lama lunga poco più del suo avanbraccio, leggermente ricurva, senza decorazioni, nessun nome di un precedente proprietario, l'elsa ricoperta di cuoio, decisamente usata fino allo sfinimento. Aderiva bene con il suo palmo, i calli e cicatrici, ricordi di un'altra vita.
La ragazza si assicurò che fosse ben bilanciata, la passò di mano in mano e fece diversi movimenti con il polso, tagliando l'aria in elaborati arabeschi. Poteva sentire gli occhi di Tristan, ma soprattutto quelli di Fance su di lei, a osservare ogni singola mossa. La fae non sapeva se Hunthor avesse fatto un resoconto delle loro ore insieme, lo avrebbe giustificato se così fosse stato, perché, dopotutto, era il suo lavoro, ma la faccia sorpresa del tenente, le suggerì che il suo amico aveva detto ai suoi superiori solo ciò che aveva riferito anche a lei.
"Possiamo iniziare" disse con voce piatta la fae. Tristan fece un mezzo sorriso e poi fece cenno a dove gli altri stavano già combatendo, i due Fae che erano davanti a lei durante la corsa catturarono la sua attenzione: si attaccavano l'un l'altro con un sorriso provocatorio sui magnifici volti. Soprattutto lo straniero, con i lineamenti ben marcati, i begli'occhi sottili e leggermente all'insù che notò erano di due colori diversi –uno marrone scuro e l'altro azzurro come l'acqua cristallina– e le caratteristiche dei popoli dei grandi regni orientali, aveva un fascino irresistibile. Si muovevano bene entrambi, forse troppo selvaggiamente, ma sarebbero potuti essere degni avversari.
"Qui va bene" disse Tristan, probabilmente solo un modo imbarazzante per attirare l'attenzione della ragazza, irrimediabilmente fissata sullo scontro che si stava svolgendo a pochi passi da loro. "Proverò ad andarci piano" mormorò mentre si mettevano in posizione. La ragazza fu sorpresa nel sentirgli dire questo. Pensava che il combattimento con Velias fosse stato di insegnamento a tutti, ma evidentemente, lui si credeva migliore. Non rispose, pronta a togliergli quel sorrisetto dalla faccia, una rabbia predatoria si impossessò di lei, quell'antica scarica di energia, quel bisogno di imporsi come la migliore ebbe la meglio.
Quindi il ragazzo attaccò, troppo lentamente, senza un vero bersaglio, senza la vera inezione di colpirla. La fae non ebbe neppure bisogno di muoversi.
Bastarono due colpi ben piazzati sulla lama dell'avversario e questa cadde a terra.
Molti maschi fermarono i combattimenti al sentire il clangore della lama sul pavimento. Fecero passare lo sguardo dalla spada a lei a Tristan, che con gli occhi spalancati si guardava le mani, come se non potesse credere a quello che era appena successo.
Un sorriso da ragno si aprì sul volto della ragazza-senza-nome e disse: "Poveri maschi. Ci sottovalutate sempre. É un peccato." Tristan era rosso dalla vergogna.
Quello che lei fece dopo, fu qualcosa che, doveva ammettere, molto prima, non avrebbe mai fatto, anzi, lo avrebbe preso in giro per la vita, gli avrebbe riso in faccia e lo avrebbe umiliato fino alla morte. Eppure la fae si abbassò, raccolse la spada e gliela diede.
"Questa volta fa del tuo meglio." gli disse solo.
E il suo meglio era estremamente buono.
Con lui era... era come danzare, erano talmente in sincronia, talmente uniti che le sembrava si allenassero insieme da una vita.
Prima si studiarono con alcuni movimenti lenti, affondi improvvisi per testare la prontezza dell'altro e schivate, poi lui iniziò un lento, fatto di scoccate precise e quasi giocose su una musica che solo loro potevano sentire.
Ma mentre stavano combattendo, lo sguardo del fae si perse in un altro scontro e lei a sua volta si fermò, trattenendosi dal fargli uno sgambetto e rimbeccarlo per aver distolto l'attenzione dal loro combattimento.
Il grande fae con i capelli lunghi e la pelle abbronzata aveva cambiato il suo compagno e aveva scelto l'altro Fae con il potere di controllo mentale. Era uno scontro spettacolare solo perché il secondo non aveva nemmeno un'arma: si limitava a schivare i numerosi colpi che quella macchina da guerra di un Fae scatenava ininterrottamente.
"Come diamine fa?" mormorò Tristan.
"Legge la sua mente. Ingiusto e soprattutto stupido. Dovrebbe imparare a combattere... soldati più capaci sanno proteggere le loro menti." disse la ragazza, accigliata. "Prima ha cercato di intrufolarsi nella mia" Tristan spalancò gli occhi. "Probabilmente l'ha fatto con tutti. Non sai come proteggerti da quel tipo di attacco?" chiese, piuttosto sorpresa. Tristan scosse la testa e arricciò il naso per la delusione.
"Forse lo faranno. Presto." disse, non così convinto, poi l'attaccò di nuovo, dando inizio a un tango movimentato.
Ballarono in punta di piedi, volteggiarono, si abbassarono e saltarono, evitando colpi su colpi e non risparmiandosi affatto: avevano entrambi graffi, seppur superficiali, su braccia e fianchi. Fu solo quando la ragazza sentì le gambe iniziare a dolerle che decise di finirla e pochi secondi dopo stava puntando la lama alla sua gola, i loro petti che si alzavano e abbassavano in respiri rauchi, una scintilla di divertimento negli occhi dal fae, che la ragazza era certa stava illuminando anche i suoi.
Decise che quel ragazzo le piaceva.
"La prossima volta sei mia." disse una voce bassa al loro fianco, riportandoli alla realtà. Era il fae con la treccia, che aveva appena finito di combattere con il suo compare del controllo mentale.
"Oh, non ci provare, la prossima volta lei è mia." disse un'altra, sensuale voce. Lo straniero sbucò da dietro le ampie spalle dell'amico, che alzò gli occhi al cielo, infastidito e divertito allo stesso tempo. L'occhio di ghiaccio puntò sulla ragazza, poi il bellissimo fae fece un passo felino verso di lei e sorrise. Dannazione, sapeva di essere magnifico. La fae si costrinse a mantenere una faccia fredda come la roccia. "Silas Lestrome, al vostro servizio." fece un breve e per nulla goffo inchino, gli occhi eterocromatici –Dei, quegli occhi!–, uno che conteneva tutti gli oceani e mari e l'altro che era un profondo buco di nient'altro che oscurità e perdizione, fissi su quelli ametista della ragazza. Per la prima volta in secoli, lei rischiò di essere la prima a distogliere lo sguardo.
"Non riesci proprio a trattenerti, vero?" lo rimbeccò l'altro, poi le sorrise e si presentò: "Turien Roinbeck."
A quel punto la ragazza avrebbe probabilmente dovuto dire il suo nome. Le si seccarono improvvisamente le labbra.
"Molto bene." disse invece secca, poi si voltò verso Tristan, sperando che capisse. "Continuiamo?" Grazie agli dei, lui annuì e fece un cenno di saluto ai due ragazzi, confusi (soprattutto Silas, colpito nell'orgoglio), che se ne andarono prima che Fance li potesse riprendere.
"Senti... è vero–dell'amnesia?" chiese Tristan dopo pochi, fiacchi colpi che si scambiarono. All'inizio la ragazza pensò fosse meglio non rispondere.
"Quindi lo sapevate."
"Tutti lo sanno" disse. "Sei la notizia più eccitante che abbiamo al castello da anni. Sei sulla bocca di tutti." continuò. "E c'è un cadetto che ha giurato di averti parlato e che hai risposto alle sue domande, è vero?" Ah, il piccolo Galar. Sorrise al suo pensiero e questo le costò un brutto taglio alla spalla. Scoccò un'occhiataccia al suo compagno che si scusò nascondendo un sorrisetto.
"Certo, è Galar. Non gli credete?"
"Ecco, abbiamo saputo di come hai tenuto testa al Generale e nessuno tiene mai testa al Generale quindi abbiamo subito pensato che fossi–"
"Che fossi più un mostro mangia bambini come il Generale" concluse per lui.
"Non lo sei?" chiese lui con un sopracciglio alzato.
"Io sono più carina, quello sbruffone vorrebbe assomigliarmi." la ragazza segnò con un dito una riga dalla tempia alla mascella, con una smorfia di disgusto, per indicare la cicatrice di Lyon.
Con sua grande sorpresa, Tristan non riuscì a trattenere una risata e dovette tapparsi la bocca per soffocarla.
"Oh lo sei decisamente." disse, un grande sorriso su quella bella faccia da schiaffi. "Dei, non avrei mai pensato di incontrare qualcuno che avrebbe avuto il coraggio di parlare così del Generale." sembrava un complimento, ma comunque, per tutto il resto dell'allenamento, la ragazza-senza-nome lo prese a calci.
N. A. Finalmente oggi abbiamo incontrato il misterioso fae! Avremo la possibilità di conoscerlo meglio nei prossimi capitoli, state pronte!! (E state pronte anche ad innamorarvi del bel Silas).
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