Buongiorno, principessa.
Numero Uno era ancora vivo. O meglio, ancora esisteva. I suoi tentacoli, lucenti come il metallo, ma gelidi come il marmo di una bara, la tenevano sospesa in aria, all'altezza di quei grandi occhi neri.
Hai distrutto il mio mondo.
Non erano in Viale Marconi, dove lei era convinta di essere fino a poco prima.
Alla sinistra, Selena poteva vederlo: il mare azzurro, denso, che si stagliava dal porto di Cagliari fino a lambire il cielo sereno, dove qualche nuvola danzava, innocente. Le ali dei gabbiani che fendono l'aria, e i clacson irriducibili del traffico del tardo mattino. Una signora che stendeva i panni sulla terrazza di casa sua, a una decina di metri davanti a lei.
Selena realizzò che sarebbe stata contenta di morire lì, in Viale Buon Cammino. Di notte, di giorno, sole o tempesta: quello era uno dei pochi panorami che la catturavano ogni volta.
Non c'è perdono per te. E per tutti voi.
La presa attorno alle sue scapole si fece più violenta. Selena gridò, rabbia paura dolore truce dolore che si irradia dalla spina dorsale.
Il vostro tempo è scaduto.
Un ultimo grido squarciò la sua gola, mentre veniva dilaniata.
Bianco.
Caldo
Dolore, ancora
Era viva.
Era stato un sogno, ovviamente. Non bastava sfuggire da una morte assurda, poi toccava anche riviverla in un viaggio infernale onirico.
Aveva sempre detestato il bianco delle pareti: una delle tante, tante ragioni per cui odiava gli ospedali.
Tuttavia il tepore delle coperte in cui era avvolta le regalò un senso di sicurezza immediato, anche se era appena il surrogato di un abbraccio materno.
No.
No. Era una fortuna che i suoi non fossero lì.
Non avrebbe avuto modo di spiegare in maniera sensata quello che era successo. Non riusciva a spiegarselo nemmeno lei.
Si guardò attorno, confusa: c'erano ben quattro letti in quella stanza. Tutti vuoti e intonsi. Voleva credere che fosse un caso, e se ne era anche quasi convinta, finché non tornò l'infermiera. Accompagnata da un poliziotto.
Selena provò a salutare, ma dalle sue labbra sfuggì appena un sussurro. -Non sforzi la gola, mi raccomando!- fece l'infermiera, mentre le sistemava meglio il cuscino dietro la schiena; il poliziotto rimase ai piedi del suo letto, sguardo fisso verso la finestra, da cui il sole delle dieci del mattino ne tingeva i tratti somatici. Era un bel uomo, tutto sommato. Con quei grandi occhi castani, intensi, sembrava pronto a leggere non nella mente, ma dritto nell'anima; non senza alcuni danni collaterali, come dimostrava la piccola cicatrice mal celata dalla barbetta incolta. Era un uomo, non un ragazzo, quello che la avrebbe interrogata, forse un figlio, forse un padre, ma di certo, un uomo. Non chiese nemmeno che antidolorifico le stesse iniettando l'infermiera: tutti i suoi pensieri erano verso quel poliziotto. Cosa avrebbe chiesto? Cosa sapeva?
Cosa doveva dire lei?
Tutta la verità e niente altro che la verità? Magari...
-Adoro il colore del cielo a quest'ora del giorno- disse, infine, lui. Selena deglutì, ma non disse nulla. Anche lei adorava quella sfumatura di azzurro, ma non per questo avrebbe sprecato fiato per dirglielo. A ogni sillaba emessa, sentiva qualcosa grattare sulle corde vocali, mentre il ronzio alle orecchie non sembrava volerle dare tregua. Il colpo sulla schiena, sulla testa... non si era accorta di nulla, finché non era calata l'adrenalina.
Quel mostro per poco non la ammazzava.
-Però lei ha vinto- disse, l'uomo. Tanto era rimasta assorta, da non realizzare che l'infermiera li aveva lasciati soli. Cosa era, quel tipo? Un elfo, un mago, che poteva leggerle nel pensiero?
-Non ho mai visto nulla del genere- disse, avvicinandosi appena a Selena, che si irrigidì ad ogni suo passo: era vulnerabile. Quel tipo avrebbe potuto farle qualunque cosa, e lei non avrebbe avuto un soffio di energia per contrastarlo, né voce per chiedere aiuto. Lui dovette averlo notato, perché si avvicinò il tanto necessario per poggiare un fascicolo sul tavolo alla sinistra del letto. Rimase lì, a un metro da lei. Di nuovo: il tanto necessario per sentire i suoi sussurri, non un centimetro di meno. -Aprilo, ti prego. Potresti trovarlo interessante. L'altra notte mi sono pesantemente sbronzato, leggendolo-
Selena prese il fascicolo, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non far tremare la mano.
Sapeva esattamente cosa la attendeva, dentro quella cartella.
-Posso dirle che ha un futuro come agente di polizia? Se la cava bene, nelle situazioni di pericolo-
Cinque foto. Alcune sfocate, due belle nitide.
Lei.
In una Viale Marconi
deserta
con
il
mostro.
Un'Unità Intellettiva, direttamente dalla Dimensione Beta, proprio lì, nel suo mondo, e non per caso.
Reclamava vendetta.
E ne aveva tutte le ragioni.
Ma lei l'aveva uccisa. Erano forse salvi? Davanti a quelle foto, mentre l'assurdo diventava finalmente tangibile, quanto quella carta fotografica che stringeva convulsamente tra le dita sudate, non riusciva a autoconvincersene.
Il vostro tempo é scaduto.
-C'erano almeno duecento persone in quella via. Cento di queste non sapevano da cosa stavano scappando: hanno solo visto volare auto e schiantarsi sopra le loro teste. Ventitre hanno testimoniato quello che ha visto pure lei. Tre di queste mi hanno fornito le foto che poi ho fatto sviluppare. Tutti gli altri, non sapevano nemmeno cosa stesse succedendo: hanno visto la gente correre via, e li hanno, giustamente, emulati.
E poi, c'è lei-
Selena sorrise, con fare innocente. -C'era la mia bella auto in ballo, non potevo rischiare che...-
-La prego- la interruppe, l'agente -sono morti anche tre bambini, ieri, schiacciati da una delle auto volanti. Abbia la decenza di non prendermi in giro-
Un nodo le strinse la gola.
Cominciavano. Le morti.
Non era un mistero che avesse chiesto a Zares di trasferirsi in pianta stabile da lei, nella Dimensione Alfa, per tenerlo lontano da Wert. Era certa che perfino lui ne fosse consapevole.
Ma non era l'unica ragione.
Morte. Ogni volta che avevano viaggiato tra un mondo e l'altro, si erano portati dietro una scia di cadaveri infinita. Lei aveva letteralmente perso il conto di tutte le persone di cui aveva decretato la morte.
Erano tutte lì, su quello che restava della sua coscienza.
Da aggiungere quei tre bambini, alla lista.
-Cosa vuole sapere, da me?-
L'agente piantò finalmente quei grandi occhi su di lei, le guardarono dentro e, chissà! probabilmente videro qualcosa,qualcosa di aberrante, qualcosa di storto e putrefatto. - Una creatura, probabilmente aliena,le si è parata davanti ieri, e ha cercato di ucciderla. Lei già la conosceva. Voglio sapere come-
Selena sorrise. Avrebbe scritto un romanzo, prima o poi. Avrebbe raccontato delle sue avventure nella Dimensione Gamma, un mondo senza sole, illuminato dalla luce di tre lune, dove elfi, draghi, nani e gnomi e maghi vivono e spesso si combattono. Dove si era innamorata. Dove aveva versato il sangue di dozzine di soldati. Elfi, come il ragazzo che amava. E poi, appena tre mesi dopo, di come fossero piombati nella Dimensione Beta, e lì! Altro giro, altra corsa! Corsa folle e suicida, dove creature come QUELLA dominavano indisturbate un mondo ormai in disfacimento, dove l'aria é troppo inquinata perché si possa vedere il sole, dove lei aveva perso la memoria, dove era prima MORTA e poi RINATA.
Guardò con affetto ora il poliziotto, e invidiò sinceramente la sua ignoranza.
La sua vita ancora aveva senso.
Non poteva dire lo stesso della sua da anni, ormai.
-Le sue domande finiscono qui, agente- disse, una voce familiare.
Sulla soglia della porta, in camicia e blue jeans, un pallidissimo Carlos Sanchez le sorrise, con il solito sguardo sprezzante e sicuro di sé.
-Solo perché è lei a stabilirlo? So chi è lei: ricco, ma non per questo può impedirmi di fare il mio lavoro-
Carlos si fece da parte, facendo entrare un secondo personaggio; il suono dei tacchi sulla pianella furono un raro assaggio di normalità per Selena. La donna, in giacca e tallieur, fece cortesemente notare che ogni interrogatorio doveva avvenire in caserma, e non in ospedale, e , comunque, in presenza di un avvocato,e senza le morfine in circolo. L'uomo si congedò, abbastanza irritato, e scortato fuori dall'avvocatessa. A Selena non sfuggì il suo ultimo sguardo prima di lasciare la stanza: si sarebbero rivisti.
Per un attimo credette che Carlos l'avrebbe sommersa di domande, o , in alternativa, di battute idiote, pur di farla sorridere.
Si sbagliava.
Si sedette sul bordo del letto, le prese una mano e la strinse appena, con una gentilezza di cui solo lui era capace. Prese le foto con l'altra mano, occhi freddi, scrutatori impassibili, o, forse, rassegnati testimoni di quanto stava inevitabilmente accadendo.
Tutta la loro nuova vita, così sudata, protetta e curata in quegli anni, tutto ciò che avevano sempre desiderato e che, finalmente, poteva essere loro...
Gli occhi di Carlos negli occhi neri del mostro
Le dita di Selena tra le dita di Carlos
E le loro lacrime, sileziose
Anni di vita
anni di rivincite
anni di promesse
andate in mille pezzi.
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