Appuntamento

-Compagno Aleas, ci illustri la ragione per cui ha portato a giudizio la sua compagna-
Wert dovette richiamare tutta la forza delle sue mandibole, per non sbadigliare solennemente di fronte a quella assurda coppia al suo cospetto. Lui, Aleas, basso, grassottello, sembrava fare l'occhiolino a chiunque, con quel tic all'occhio; indossava una veste rossa estremamente chiassosa, attraversata da merletti in stoffa bianca, arricchita di dettagli in lingua antica, ricamati in oro. A giudicare dalle scarse doti atletiche e dalla necessità di sfoggiare tutto il suo lusso, Wert dedusse che si trattasse di un esponente della nuova borghesia: sostanzialmente, poveri che si erano arricchiti a seguito dell'annesione dell'ex Reame di Sageth, facendo fruttare bene i terreni agricoli acquistati a poco prezzo.
"Gente come lui vuole la mia abdicazione" si sorprese a pensare.
-Mia Regina, fonte di saggezza, esempio di bellezza e forza...-
-Vada al punto, compare Aleas- lo interruppe lei, segretamente irritata dal fatto che la sua "bellezza" precedesse la "forza".
-Sono qui per chiedere la disunione dalla mia compagna! Lei mi ha tradito!-
La Regina scostò lo sguardo da lui, alla donna alla sua sinistra. Occhi scurissimi, quasi neri, in netto contrasto con i capelli candidi; uniti alla forma fisica slanciata e a quelle labbra rosse e carnose, Wert non ebbe il minimo dubbio: era una delle più belle elfe che avesse mai visto.
-Compare Afya, neghi quanto afferma il tuo compagno?-
Negli occhi di quella donna, Wert lesse tutto il suo orgoglio. -No. Ho tradito il mio compagno. Non mi opporrò alla disunione-
Disunione. Sentiva sempre uno stano nodo allo stomaco, ultimamente, quando sentiva quella parola. Guardava quei due elfi, che nemmeno dieci anni prima si erano promessi fedeltà assoluta, per sempre, e senza nemmeno capirne il motivo, ripensava a lei e al meraviglioso uomo con cui viveva da cinque anni.
Le venne un dubbio. Alla finestra, la costellazione del Grifone le ammiccava, bassa a est.
-Dannazione- imprecò, a voce alta. Tutti, dal più umile servo ai due sudditi a giudizio, la osservarono, interdetti. -Come, sua altezza?- chiese, Compare Aleas. Wert non pensò nemmeno per un istante di dover spiegare a quel elfo mediocre il motivo per cui lei imprecasse.
-Non é rilevante- disse lei, lasciando il trono in oro massiccio e avvicinandosi ai due. Come prevedevano le leggi, solo la Regina poteva unire due elfi, e solo Lei poteva sciogliere il loro legame.
Prese la mano destra di lui, e la sinistra di lei. I due si inchinarono al suo cospetto. Non un solo velo di dolore nei loro sguardi; lei felice con un altro uomo, lui, di non dover più sostenere lei... a meno che anche lui non avesse un'altra! Ormai faceva più disunioni che unioni, e anche meno nascite venivano celebrate.
Si chiese se fosse colpa sua, in qualche modo.
-Io, Regina Wert, separo i compari Aleas e Afya. Vi auguro di ritrovare la strada per la felicità-
Detestava quelle parole. Quella per la felicità non era una strada, ma un sentiero sconnesso, pieno di buche e burroni; più volte si cadeva, e ci si poteva fare davvero molto male. Il genere di dolore che nessun campo di battaglia ti insegna a conoscere.
Quei due avevano già trovato quel sentiero; solo, non lo percorrevano insieme.
Chissà se lo avevano mai percorso insieme.
In pochi minuti, congedò loro e si ritirò nelle sue stanze. Chiuse la porta dietro di sé, mentre un sorriso carico di aspettative increspava le labbra rosate: voleva ancora quelle braccia, ancora quel cuore che martellava forte e impetuoso per lei, contro il petto scolpito, abbronzato, e ancora! Ancora quelle labbra sottili, increspata dal velo di barba scura, come scuri erano i capelli, e nocciola gli occhi vispi, luminosi.
Rimase visibilmente interdetta, quando si rese conto che non c'era nessuno ad aspettarla, sul letto. Le coperte, di un azzurro candido, erano stese in modo impeccabile, ripiegate ad un angolo.
Proprio lì, poggiato sul cuscino, un biglietto e, accanto a questo, una rosa. Rossa, ovviamente.
Prima ancora di leggere, sapeva benissimo chi lo aveva scritto. Le orecchie le si tinsero di una tenue sfumatura di arancione, mentre lo apriva.
Ti aspetto lì, dove ho capito che non avrei più potuto fare a meno di te.
Gettò via gli abiti cerimoniali, e dall'armadio tirò fuori i suoi pantaloni in pelle di shazi - perfettamente consapevole che se la mangiava con gli occhi, con quelli addosso- e una casacca bianca, estremamente trasparente. Sopra, giacca anche essa in pelle: erano notti estremamente fredde.
Sorrise: quel ragazzo era un vero pazzo, a cercare la serata romantica all'aperto, su un ponte, con quel gelo. Lui,poi, che lo soffriva tremendamente!
Ma quello non era un ponte qualunque; era il loro ponte. In pochi minuti, era già arrivata, ma preferì rimanere un po' a guardarlo, nascosta tra gli alberi.
Eccolo lì, che passaggiava, insolitamente nervoso. Carlos Sanchez, dalla Dimensione Alfa.
Sorrise.
Il suo Carlos.
Alla luce delle tre lune -Tar e Jar erano piene, e Kar a un quarto- vedeva chiaramente come si metteva a posto i capelli con il pettine, specchiandosi sulla superficie del fiume ghiacciato. Soffi gelidi da quelle labbra che tanto desiderava scaldare con le sue, mentre si sfregava le mani, avvolte nei suoi inseparabili guanti. Riconobbe subito la felpa nera e i suoi amati "blue jeans", senza le quali non sarebbe uscito mai di casa.
Era vestito così, quando si erano incontrati.
E quello era il ponte in cui lei gli aveva detto addio.
Un nodo le serrò la gola. Ricordava chiaramente di averlo respinto, su quel ponte, quando lui aveva provato a baciarla. Ancora.
Poi i gobelins li avevano circondati, certo, e lei aveva dovuto buttarlo giù dal ponticciolo, per salvargli la vita... ma la sua scelta, allora, lei la aveva fatta. Di fronte a tutte le loro differenze, aveva chiaramente ammesso di non potercela fare.

Eppure, eccola lì, che balzava a terra, e tornava da lui.
Eccola che lo abbracciava, mentre posava la fronte sulla sua schiena e le dita scivolavano contro il suo petto.
Eccola che spiava il battito del suo cuore, accelerato da quel contatto.
Eccoli lì, ancora insieme.
Come sempre.

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