Striscia striscia ululando tra le nuvole

CAP. XIII

-Selena!-

Giacomo urlava il nome della sorella a perdifiato, e batteva con rabbia i pugni a terra quando non sentiva altro che l'eco della sua voce carica di disperazione. Carlos lo aveva raggiunto, e guardava ora lui, ora l'orlo del mondo, scioccato. A pochi metri dai suoi piedi, poteva vedere una coltre di nubi violacee che formava un tappeto impenetrabile alla vista.

-Possibile che siamo su un'isola volante?-

Giacomo non badò nemmeno alle sue parole. Il suo pensiero era uno solo: Selena. Era morta. No, peggio, era morta senza nemmeno sapere chi era lei o chi fosse il pazzoide che cercava di salvarla.

Vedeva i suoi occhi, in lacrime per la paura, che lo fissavano ovunque volgesse lo sguardo.

Carlos lo sentì distintamente piangere, ma non riusciva a consolarlo. Anche lui stava male, se ne era sicuro; stranamente, però, non piangeva. Eppure, non sarebbe stato insolito per lui.

"Accidenti" pensava, allarmato "Ho pianto per i miei genitori, ho pianto per mio nonno, ho pianto perfino per un coniglio! Perché non mi scende una sola lacrima per Selena?"

Guardò Giacomo: piangeva senza ritegno; desiderò sinceramente prendere parte di quel dolore e caricarselo sul cuore. Non per pietà di Giacomo: ammise a se stesso, senza neanche troppa fatica, di non avere mai provato una particolare simpatia per quel ragazzo. Voleva provare dolore, voleva stare male solo per sentirsi più normale. Perché si sentiva un mostro a non piangere Selena, quella ragazza che aveva conosciuto tre mesi prima, e che da allora era divenuta la compagna delle disavventure più assurde.

"Cosa gli direbbe Selena se fosse qui?"

Carlos stava chiuso in camera sua, la sera del funerale dei suoi, che si era trasformato, da corteo fino a casa sua, a un vero e proprio ricevimento. Ora gli auto-invitati lo attendevano in giardino; lui, però, voleva ritardare quanto più possibile quel momento.

Stava seduto ai piedi del letto, schiena poggiata al legno e, tra le mani, una foto. Sentì bussare.

-Sparite!- gridò, perentorio.

-Carlos, sono io!-

Il ragazzo si precipitò ad aprire: Selena, in abito nero, lo osservava, apprensiva.

-Albert mi ha detto che eri qui-

-Sì, ma tu vedi di non dirlo a nessuno-

La fece entrare, e chiuse velocemente la porta alle sue spalle. Rimasero soli.

-Dovrai scendere, prima o poi-

-Non voglio-

-Lo so, ma è inevitabile-

Carlos la fulminò: detestava le ovvietà -Lo so anche io. Ma trovo assurdo dover sopportare tanta ipocrisia il giorno del funerale dei miei genitori. Devo già fingere di essere forte: non basta, forse?- fece, affacciandosi alla finestra. Selena indugiò; Carlos ricordava bene il suono del suo respiro, così leggero, come i suoi passi, quando si avvicinò a lui. Davanti a loro, il tramonto sul mare.

-Perché fingi anche con me?- sussurrò, prendendolo per la camicia e costringendolo a voltarsi: stava piangendo.

-Non mi guardare!- esclamò lui, coprendosi il volto con le mani. Si vergognava. Avvertiva il pianto come un umiliazione; ma riconosceva anche di piangere troppo spesso, il ché lo faceva sentire debole. Piangere davanti a Selena, significava ammettere la propria irreparabile debolezza.

-Sai che i robot non piangono?- disse lei, portando le mani alle sue. Carlos le scostò appena.

-Cosa?-

-Tu stai piangendo. Ergo, non sei un robot-

Il senso di quelle parole gli sfuggì allora come adesso, che non riusciva più a piangere.

"Sono diventato un robot?" pensò, confuso, con gli occhi fissi in quella coltre di nubi violacee dove Selena era precipitata. Giacomo la chiamava, con la voce smorzata; Carlos desiderava sentire la ragazza rispondere, fosse anche per far cessare quello strazio.

-Non sareste dovuti intervenire- disse una voce anche troppo familiare. Carlos volse il capo alla sua destra, rabbioso: Numero Uno torreggiava dietro Giacomo, che neppure si voltò. Il giovane Gaspares aveva alzato appena gli occhi fisso in un punto imprecisato alle spalle di Carlos, il quale cercò invano di incrociarne lo sguardo; il ragazzo sembrava fuori di sé.

-Se Selena avesse tenuto il casco finché non fosse tornata l'energia, non avrebbe subito traumi-

Carlos vide una luce strana negli occhi di Giacomo, forse la stessa che lui aveva visto nei suoi poche ore prima. Anche Giacomo provava quella strana sensazione? Anche lui sentiva quella mano ossuta strizzargli lo stomaco fino a fargli venire la nausea? Anche lui sentiva quello strano fuoco ardere nel suo petto?

-Non so cosa abbia causato il black out. Di certo, non è avvenuto spontaneamente-

Giacomo si mise lentamente in piedi, digrignando i denti -Tutto qui, quello che hai da dire, eh?-

Poggiando sul piede sinistro, si girò per sferrargli un gancio: il tentacolo destro di Numero Uno fermò la sua mano a pochi centimetri dal proprio bianco impassibile viso.

-Sei riuscito a distruggere alcuni di noi, ma ciò non significa che potrai ucciderci tutti-

La pressione del viscido freddo tentacolo sul suo polso aumentò precipitosamente, costringendo il giovane Gaspares a urlare dal dolore. Non sarebbe sopravvissuto. E Selena...Selena non era più lì, con lui. E non era nemmeno capace di prendersi la sua vendetta!

Non pianse per il dolore o, almeno, non solo. Provava vergogna. Un senso di disonore come mai avvertito sino ad allora: non come uscire con due scarpe dello stesso colore, non come fare una gaffe, no...nulla di simile. Era una vergogna viscerale, che gli impediva persino di alzare lo sguardo e guardare negli occhi l'assassino di sua sorella.

-Carlos! Aiutami!- urlò, supplichevole. Nessuno accorse.

-Carlos! Per la miseria, aiutami! Mi fa male!-

Riuscì appena a vedere, con la coda dell'occhio, l'amico in piedi, immobile.

-Carlos! Maledizione! Cosa aspetti?-

-Non ti aiuterà- disse Numero Uno -Non ha motivo per farlo-

-Carlos!- disse ancora, prima che un tentacolo in pieno volto non gli fece perdere coscienza. Giacomo Gaspares si accasciò ai piedi di Numero uno, sotto gli occhi smarriti di Carlos, che non si mosse di un solo centimetro. Guardava Giacomo, Numero Uno, e poi ancora Giacomo.

"Dovrei aiutarlo"

Ma qualcosa gli impediva di reagire. O, in generale, di fare qualcosa. Selena era morta: che senso aveva salvare Giacomo? O salvare anche se stesso? Non aveva nemmeno voglia di fuggire! Rimase lì, inebetito, mentre un paio di altre Unità Intellettive trascinavano via il ragazzo.

-Cosa gli farete?- chiese, ancora indeciso se agire o meno.

-Non è di tuo reale interesse- rispose Numero Uno, osservandolo con quei due occhioni neri capaci di dare le vertigini a chiunque -Se così fosse stato, avresti cercato di proteggerlo. Invece, contro ogni probabilità, non hai opposto resistenza-

Il giovane Sanchez deglutì -In che senso, scusa?-

-Quando Selena ci ha permesso di accedere alla sua mente...-

-Cosa?! È stata lei a volerlo?-

-Lo ha scelto. In cambio, sareste potuti tornare a casa-

Carlos cadde in ginocchio, schiacciato dalla verità. Mentre lui si accapigliava con Giacomo, Selena aveva già risolto tutto.

-Potevamo tornare a casa...- sussurrò, la voce smorzata.

-Quando Selena ci ha permesso di accedere alla sua mente, ho visto i suoi ricordi: solo così ho potuto studiare meglio il comportamento di voi esseri umani-

-E allora? Perché hai pensato che io dovessi difendere Giacomo? Che ragione avrei avuto?-

-Nessuna, appunto. Ero giunto alla conclusione che fosse nella vostra natura agire senza un fine preciso, irrazionalmente, e che voi giustificaste questo difetto definendolo 'emozione'. Tu, però, non ti sei comportato così. Sono quindi giunto a due possibili spiegazioni: o la mia teoria è assolutamente errata, il ché è impossibile dato che è basata sull'intera vita di Selena Gaspares nonché sui vostri sogni, oppure...-

Carlos seguì con lo sguardo il corpo inerme di Giacomo, che sotto i tentacoli delle creature, girava l'angolo, in una fasulla città dove ogni strada era identica all'altra, e ogni edificio era una squadrata scatola grigia.

-... oppure tu non sei umano, molto semplicemente-

-Questo è assurdo! Cosa dovrei essere altrimenti?-

-Non lo indovini?-

Con queste parole, Numero Uno lo lasciò a se stesso, più preoccupato di portare chissà dove l'altro umano. Carlos rimase solo, nella più totale confusione.

Selena era morta, e Giacomo lo sarebbe stato presto. E in entrambi i casi, lui era stato assolutamente incapace di salvarli. Se per Selena poteva giustificarsi dicendosi di non avere fatto in tempo, che scusa aveva per Giacomo?

"Ha invocato il mio aiuto, e io non ho mosso un dito" pensava, stordito "Non è da me"

E non aveva neppure avuto paura! Questo più lo spaventava: non era stata la paura a bloccarlo, ma il più assoluto menefreghismo. Aveva guardato Giacomo negli occhi e, stranamente, non aveva trovato una sola ragione per salvarlo e rischiare la propria vita. Sino ad allora, non aveva nemmeno riflettuto sul fatto che potesse servire una ragione.

-Cosa intendeva dire quel bastardo? Cosa potrei essere io, se non un umano?-

Un rumore metallico lo richiamò alla realtà. Si guardò attorno, convinto di vedere un'Unità balzare fuori da un angolo, ma non c'era nessuno, se non a circa cento metri di distanza: con Numero Uno, sembrava che tutte le Unità avessero perso interesse in lui. Ma lui continuava a sentire quel rumore.

Nemmeno il tempo di fare la croce, che il terreno sotto i suoi piedi franò, spaccato in mille pezzi come la superficie di un tavolo di vetro fracassato.

CAP. XIV

Giacomo riaprì gli occhi, e osservò con le lacrime agli occhi camera sua, il suo letto, la scrivania, la chitarra. Un secondo appena per realizzare quello che i suoi occhi gli mostravano, e si fiondò alla finestra: un grigio panorama di Corso Vittorio Emanuele non avrebbe mai potuto renderlo più lieto.

-Sono a casa- sussurrò, incredulo.

-Fratellone- sentì chiamare -Sei alzato, allora! Guarda che facciamo tardi!-

Giacomo si voltò di scatto: Selena Gaspares lo attendeva sulla soglia, con tanto di zaino e chiavi. Nel suo volto, la tranquillità più assoluta: possibile che fosse sana e salva?

-Ti dai una mossa? Mi devi accompagnare tu, non ricordi?-

Gli lanciò le chiavi, che caddero a terra, con un fastidioso tintinnio del metallo sulla pianella. Giacomo non reagiva, il suo sguardo fermo sulla sorella.

-Selena!- gridò, correndo ad abbracciarla -Sei viva! Mio Dio, sei viva! Sorellina!-

-Certo che sono viva? Che diamine ti prende?-

Lui la guardò attonito -Ma come? Non ricordi? I polpi bianchi, Numero Uno, la piattaforma volante...-

-Ma che vai blaterando? Hai bevuto troppo ieri sera, eh?-

-Selena, la Dimensione Beta! Con la Sveglia, l'orologio...-

La ragazza aggrottò la fronte -Ho sempre meno idea di cosa tu stia dicendo. Ma quale dimensione e dimensione? La mia sveglia è in camera mia, e la butto a terra ogni mattina al suo suono così melodioso...E il tuo orologio lo hai al polso-

Il giovane le rivolse ancora uno sguardo interrogativo, prima di portare la mano davanti ai suoi occhi, stupefatti.

-È...normale-

Un semplice orologio di metallo e cinturino in cuoio era legato al suo polso. Nessuna lettera greca. Nessuna dimensione. Nessun mondo parallelo.

-E Carlos?-

-Il mio ragazzo, dici? Lo vedo sabato. Mi ha invitato a mangiare una pizza. Indovina dove? Proprio dove ci siamo incontrati per la prima volta! Ma non è dolcissimo?-

Giacomo annuì lievemente. Nessun Numero Uno. Selena era viva. La sua vita, la loro vita, era assolutamente normale.

Scesero le scale, lei, tranquilla; lui, circospetto. Si guardava attorno, in cerca di un dettaglio fuori posto, qualcosa che non andasse come dovrebbe. Le foto di famiglia, la casa, l'auto dei suoi: tutto regolare.

"Possibile che mi sia immaginato tutto?"

Salirono in macchina. Giacomo mise in moto e partì, mentre immagini fugaci della Dimensione Alfa scorrevano sempre più in fretta all'aumentare della sua velocità. Possibile che non ci fosse nessun mondo alternativo, niente elfi, niente maghi, niente Patricia?

"Ho sognato anche lei. Sono proprio messo male!"

Arrivarono a scuola, e lì le loro strade si divisero. Giacomo andò in 5B, curioso di rivedere i suoi compagni, Selena salì le scale per il primo piano, dove l'aspettava la 2A.

Giacomo trovò i suoi compagni già seduti, mentre la professoressa Ledda spiegava Napoleone. Si sedette nel banco in fondo, confuso. La sua vita era assolutamente normale. Niente elfi, maghi, o polpi scienziati folli. Solo umani, come lui, in una semplice e unica Terra. Stava guardando i suoi compagni, quando sentì la coscia vibrare.

"Un sms"

Lo lesse in silenzio, nascondendosi alle spalle del grande e grosso Paolino, seduto di fronte a lui.

Ti aspetto alla macchinetta.

-Prof, posso andare in bagno?-

In corridoio leggeva e rileggeva il messaggio, lanciando frecciate in giro. Chi lo stava aspettando? Selena? O, forse, Numero Uno?

Non fece in tempo a girare l'angolo, che due mani lo afferrarono e schiacciarono al muro. Un bacio passionale gli illuminò la giornata e il mondo.

-Mi mancavi-

-Patricia!-

La maga lo guardava rapita, mentre stringeva il colletto della sua camicia. Solo, non era vestita da maga, come lui l'aveva sempre vista, nella Dimensione Gamma. No: aveva jeans attillati e una camicetta bianca, un leggero fondotinta e lucidalabbra. Era una ragazza normale, come lui.

-Che ci fai tu qui?- chiese, sempre più stravolto.

-E che vuoi che ci faccia? Vado a scuola...-

Un altro bacio appassionato intervallò la sua risposta.

-...e mi diverto con il mio moroso-

-Che sarei io. Giusto?-

-Ma cosa hai, oggi? Dormito male?-

-Sì, credo. Ho fatto un sogno molto strano. Più di uno. Ed era tutto così reale...-

-Davvero? E c'ero anche io?-

Patricia portò le mani alla sua nuca, e sfiorò i suoi capelli. Giacomo chiuse gli occhi, inebriato dal suo profumo.

-Sì...ero in una dimensione parallela, credo, e tu eri una maga. Poi c'era un tipo tutto strano che faceva il filo a mia sorella, e lei combatteva...un vero casino-

-Wow. Ma cosa hai mangiato a cena?-

-Un bue con le corna, evidentemente. E non hai sentito niente! Questo era il sogno più normale! Se sapessi quello che ho fatto dopo!-

Giacomo parve paralizzarsi "O Dio. Che sogno avevo fatto?"

-Che strano! Non riesco a ricordarlo! Eppure, ricordo che era davvero importante-

-Dai! Non sarà certo più importante di noi!-

-Meglio che torni in classe-

Si allontanò in fretta, mentre la sua mente cercava di porre ordine al caos che stava ormai prendendo il sopravvento. Perché non ricordava quel sogno? E soprattutto perché sentiva che si trattava di qualcosa di importante?

"Sto tralasciando qualche dettaglio"

Si guardò attorno: il corridoio era deserto, prima che suonasse la campanella dell'intervallo. Giacomo rimase lì, in piedi, mentre tanti individui senza nome passavano affianco a lui, tanti manichini che sembravano quasi muoversi allo stesso ritmo, come se mossi da uno stesso paio di mani...

Qualcosa di insolito, non in sua sorella, non in Patricia, o in generale nella sua vita. Erano proprio quei ragazzi e ragazze che avevano qualcosa di insolito. Li osservava intensamente, ma non riusciva a cogliere il motivo razionale di quella sua sensazione.

Cominciò ad afferrarne alcuni per le spalle e a guardarli bene in faccia: apparentemente, nulla di strano; tanti visi, tanti corpi, abiti, tutti diversi e simili allo stesso tempo.

-Giacomo, che fai?- sbraitò Patricia, alle sue spalle. Quello si voltò, e lì, guardando lei, i suoi occhi, capì. Capì, e sbiancò di colpo davanti alla verità.

-Tu non sei Patricia-

Un battito di ciglia, e si ritrovò in una stanza vuota, dalle pareti bianche e anonime, priva di ingressi o di finestre.

-Bentornato, amico-

Giacomo si appiattì sulla parete alle sue spalle, di fronte a quello che sembrava essere il suo sosia perfetto, voce compresa.

-C-chi sei tu?- balbettò Giacomo.

-Non mi riconosci...eppure ci somigliamo molto, dato che io sono te-

Il ragazzo scosse la testa, sotto le risate sguaiate della sua copia.

-Non è possibile! Io sono io, e tu sei solo un'illusione, una creazione della mia mente-

-Potresti avere ragione- disse quello, avvicinandosi a Giacomo -Ma, se così fosse, non potrei fare questo, giusto?-

La Copia diede a Giacomo un calcio in faccia; un leggero gemito, e il ragazzo si accasciò a terra, mentre un sottile rivolo di sangue sgorgava dalla bocca.

-Ma guardati! Guarda come sei ridotto, Gaspares!-

Giacomo era lì, fermo, a osservare quel simulacro di sé. Non sapeva che fare; non credeva che avrebbe mai combattuto contro se stesso.

Si mise in piedi, così da poterlo guardare dritto negli occhi.

-Che intendi dire?-

-E me lo chiedi pure? È bastato un sogno perché tu scordassi la realtà!-

-Era più che un sogno: era tutto ciò che desideravo, e che desidero tutt'ora. Vorrei non essere mai giunto qui, non avere mai trovato quel dannatissimo orologio, e mai...-

-...avere visto tua sorella morire- continuò la Copia -Sì, davvero toccante-

Giacomo non poté non irritarsi per il tono irrisorio del suo alter-ego.

-Ma era solo un sogno- ammise,con un filo di voce -La realtà è diversa-

-Già. Selena è morta, per una pazzia che hai voluto iniziare tu, Giacomo Gaspares. Tu hai voluto usare ancora i Doni dei Draghi, per rivedere la tua amichetta...Selena non voleva. Tu hai voluto sterminare questa gente per vendetta, pure e semplice! Lei non voleva...-

-Finiscila!-

-Prova ad immaginare cosa succederebbe, se tu potessi tornare a casa. Cosa direbbero mamma e papà, vedendoti da solo? E se sapessero? Ti reputerebbero un folle, se non un assassino-

-Taci!- gridò Giacomo, esasperato.

-Perché è quello che sei! Sei un assassino! Tu l'hai uccisa!-

-Smettila!-

Giacomo gli saltò addosso, e strinse le mani attorno al suo collo. Dapprima provò un'incredibile sensazione di piacere; ma bastarono pochi attimi, per sentirsi soffocare. Perse i sensi, sotto la morsa delle sue stesse dita.

-Svegliati, pezzente!-

Giacomo aprì nuovamente gli occhi. Nuovamente quella camera bianca e vuota. E, ancora, il suo alter-ego.

-Come avrai ormai capito- disse quello -Non mi puoi uccidere. Io sono te. Uccidi me, e uccidi te stesso. Che sia un bene o un male, a te la scelta!-

-Hai ragione- sussurrò Giacomo, spossato -Me ne sono accorto-, aggiunse massaggiandosi il collo.

Si mise seduto, e osservò la sua Copia sedersi affianco a lui, come se volesse tentare un approccio amichevole.

-Dobbiamo uscire di qui- disse la Copia.

-Mi vuoi aiutare?-

-Certo! Io sono te, non ricordi? Questi tipi non piacciono a te quanto a me-

-Tu non esisti...che aiuto mi vorresti dare?-

-Prendila come l'imperdibile opportunità di lavorare a mente fredda; tu sarai la Mente, e io sarò Freddo-

-Come vuoi... Come esco di qui?-

-Dalla porta- rispose la Copia, con semplicità. Giacomo gli rivolse uno sguardo interrogativo. Il compagno gli indicò allora una porta alla loro destra, anche essa bianca come il resto delle pareti.

-Non la avevo notata, possibile?-

Si alzò in piedi, e posò la mano sulla maniglia. La abbassò lentamente; una strana estasi si diffondeva nelle sue vene mentre scopriva che non era chiusa a chiave.

Una leggera luce trapelava al di là di essa. Non sapeva cosa fosse, ma gli dava un senso di serenità. Trattenne il respiro e la spalancò.

-Scacco matto, sempliciotto- disse la Copia alle sue spalle. Un muro di cemento armato bloccava l'ingresso. Giacomo fece appena in tempo a trasalire, che un colpo alla testa lo stordì, assieme a un profondo senso di frustrazione.

-Certo che basta poco per metterti K.O, fratellone-

Giacomo si risvegliò ancora una volta in quella stanza bianca come le nuvole di un cielo di luglio. Ancora una volta era stata una voce a svegliarlo; ma non era quella della Copia. Volse il capo a destra, e la vide: occhi marroni, capelli castani, vestita in rosso, come quella sera in cui l'aveva vista morire. Quanto tempo era passato? Gli sembrava ieri, ma aveva dormito troppo, e perfino il suo orologio biologico era scombussolato. E forse anche la sua mente gli stava giocando strani scherzi.

-S-Selena?-

-In persona-

Scattò in piedi e la strinse forte tra le sue braccia, come se avesse paura di vederla morire di nuovo.

-Aspetta...non è che sei un'illusione?-

-Se così fosse, potrei fare questo?-

Selena gli diede un pugno sulla spalla, e Giacomo provò dolore, ma anche gioia: sua sorella era viva, e stavolta era tutto vero. Certo, erano ancora intrappolati lì, e probabilmente non sarebbero mai riusciti a tornare indietro; eppure, sentiva di poter toccare il cielo con un dito.

-Credevo che non ti avrei più rivista-

-Lieta di deluderti, allora!-

-Non scherzare!- esclamò, stringendola al petto, in lacrime. Il suo cuore era in defibrillazione per la felicità -Con te sarei morto io-

-Giacomo, dove è Carlos?-

-Quel maledetto, non nominarlo! L'ho implorato di aiutarmi: beh, non ha mosso un dito!-

-Non importa...usciamo di qui, dai-

Selena si avvicinò alla porta; fece per aprirla, ma Giacomo la fermò.

-L'ultima volta che l'ho aperta...-

-Non preoccuparti. Stavi sognando-

Ma quando aprì la porta, riecco Numero Uno, che strinse un tentacolo attorno al collo di Selena.

-Lasciala stare!- gridò Giacomo, disperato. Tutto inutile: Selena divenne viola per la mancanza d'aria, il suo volto contratto per il dolore. In pochi secondi, si accasciò a terra, senza vita.

-No!- gridò Giacomo. Aveva visto sua sorella morire. E per la seconda volta.

Giacomo Gaspares si risvegliò per l'ennesima volta, ma non era nella stessa stanza. Era sdraiato su un lettino, stordito dalla continue iniezioni sul collo, e sentiva una debolezza inusitata su tutto il corpo. Provò ad alzarsi, ma si accorse con orrore di non poterlo fare: come vide poi, fasce di metallo lo tenevano inchiodato al lettino.

-Maledetti- sussurrò, mentre l'immagine da sfocata divenne sempre più reale. E fu allora che li vide: cavi su cavi, di ogni colore, si infilavano sotto pelle, nelle vene, si intrecciavano attorno alla sua testa e continuavano a mandare leggeri impulsi elettrici. Vedendosi in quello stato, Giacomo urlò di paura.

-Liberatemi! Liberatemi subito!-

Era in una stanza pressoché buia, se non per una luce azzurra che veniva sparata sul suo viso.

-Calmati- disse Numero Uno, apparendo dalle sue spalle.

-Lasciami andare- ringhiò Giacomo -Cosa mi state facendo? Cosa sono tutti questi fili? Rispondi, mostro!-

-Grazie a te, abbiamo finalmente capito cosa sono tutti quei sentimenti, emozioni che tanto caratterizzano le razze imperfette come la tua-

-Razze imperfette? E dove starebbe la perfezione, sentiamo!-

-Nella nostra razza: noi siamo le Unità Intellettive. Non conosciamo l'errore, ma siamo gli unici a godere di questa benedizione. Ci siamo sempre chiesti perché: ora sappiamo, grazie a te-

-Non mi dire...-

-Precisamente: le emozioni rendono te e gli altri imperfetti-

-Tu sei un folle! Le emozioni sono ciò che mi rendono umano!-

-Vedi che lo sapevi anche tu? Umano, e imperfetto-

-Beh, sai che ti dico? Meglio imperfetto che simile a te, mostro!-

-Sta tranquillo: presto la penserai diversamente-

Numero Uno avvicinò al tavolo un carrello di metallo; vi erano pinze, forbici, e altri strumenti a Giacomo sconosciuti ma altrettanto inquietanti, così come inquietante fu vedere Numero Uno stringere i tentacoli attorno a un coltellino affilatissimo e avvicinarlo allo stomaco.

-Che -che vuoi fare?! Fermo!- gridò Giacomo, dimenandosi come un ossesso.

-Fermo tu! Così non riesco a tagliare con precisione!-

Il tentacolo scostò con facilità i lembi della giacca e della camicia, posando infine la lama sul ventre del ragazzo, che urlava per la paura.

-Non preoccuparti: quando avrò finito, anche il dolore non sarà che un ricordo per te. E, con il tempo, anche i ricordi perderanno consistenza e significato, limitandosi a semplici dati conoscitivi. Presto, Giacomo, molto presto-

Dicendo queste parole, affondò leggermente la lama nella sua pelle, lasciando che uscisse sangue, per poi raccoglierlo con l'altro tentacolo in una provetta. Alla paura di Giacomo si unì il dolore fisico.

-Che vuoi da me, insomma?-

-Voglio aiutarti. Troverò la sede delle tue emozioni, e te ne priverò-

Il coltello dal ventre si scostò sul petto, a sinistra, in corrispondenza del cuore. Numero Uno fece una lieve incisione, affondando sempre di più lama, impregnata di sangue.

"Sono spacciato"

Ma ecco che un'esplosione interruppe l'operazione di Numero Uno, che posò il coltello e si diresse verso l'ingresso. Non appena la creatura la ebbe attraversata, una luce abbagliante lo colpì in pieno, provocando un suono assordante e scaraventando l'Unità lontano.

"Che succede?" pensò, stranito.

Uno strano figuro entrò nella stanza, armato di una sorta di pistola futuristica, cui superficie era continuamente attraversata da sottili scariche elettriche. Indossava un completo completamente nero, se non per una cintura bianca; gomiti e ginocchia erano rivestiti di una corazza dotata di aculei; indossava un casco argenteo, attraversato da strisce nere. L'individuo si precipitò verso di lui, premette un pulsante sotto il lettino. Le fasce di metallo si ritirarono: Giacomo era libero.

-Questo farà male- disse, staccando i cavi dal ragazzo, che ebbe un sussulto per il dolore.

-Ahia!-

Lo aiutò a scendere e gli consigliò di fare qualche passo, per risvegliare i muscoli delle gambe.

-Chi sei?-

Il ragazzo, che faceva il palo, si voltò stupito verso di lui -Ma, scherzi? Davvero non mi hai riconosciuto, Giacomo? Insomma, va bene che mi sono conciato come un eroe dei fumetti, ma così esageri!- disse, levandosi il casco. Giacomo rimase a bocca aperta.

-Carlos?!-

-In carne, ossa e metallo. Seguimi, ti spiego tutto dopo-

Oltrepassò la porta, ma quando si rese conto che Giacomo non era dietro di lui, tornò indietro.

-Datti una mossa! Li ho solo storditi! Presto si risveglieranno!-

Giacomo lo osservava, minaccioso.

-Cosa ti prende?-

Quello gli sferrò un pugno in pieno viso, facendolo cadere a terra.

-Oh! Ma sei fuori?- fece Carlos, passando il polso sul labbro, da cui sgorgava un rivolo di sangue.

-Sinceramente? Sì- rispose Giacomo, avvicinandosi a grandi passi. Carlos non lo aveva mai visto così: aveva gli occhi arrossati e cerchiati di nero, e uno sguardo proprio di chi è certo di avere perso tutto, senno compreso.

-Ti ho appena salvato e tu mi vuoi uccidere?-

Giacomo scosse convulsamente la testa -No, no, non mi faccio fregare ancora...no, no. Questo è tutto un sogno, l'ennesimo scherzo che mi giocate, bastardi! Cos'è? Non mi avete studiato abbastanza? Non avete già appreso tutto? Per essere degli scienziati, siete piuttosto lenti-

-Guarda che stai sbagliando! Io sono il vero Carlos!-

-Certo! E chi lo mette in dubbio? Tutti siete veri! Tutti i Giacomo, le Selena...tutti veri erano!-

La situazione era critica: presto le Unità si sarebbero riprese, avrebbero chiamato rinforzi e per lui sarebbe stata la fine. E per Giacomo.

-Mi avevano avvertito che avrei potuto trovarti un po' cambiato-

-Io invece non sapevo di avere un'immaginazione tanto fervida!-

-Perdonami- sussurrò Carlos, mentre puntava la pistola verso il ragazzo. Premette il grilletto senza la minima esitazione: una luce azzurra colpì in pieno petto Giacomo Gaspares, che sentì come una scarica elettrica lungo tutto il corpo. Cadde a terra con un tonfo sordo.

CAP. XV

-Si sta svegliando?-

-Affermativo. UD 303, sei sicuro che questo individuo ci tornerà utile?-

-Meglio con noi che contro di noi, no?-

Giacomo sentiva distintamente la voce di Carlos e di qualcun altro; doveva però essere molto stordito, perché avvertiva quella seconda voce come quella di una segreteria telefonica, meccanica e impersonale. Aprì gli occhi: due luci rosse brillavano. Sobbalzò, quando vide quelle due sfere guizzare verso di lui.

-Lontano! Stammi lontano!- gridò, terrorizzato. Una mano si posò sulla sua spalla, e fu seriamente lieto di sentire che si trattava di una vera mano umana, e non di un tentacolo. Quando poi pensò a chi potesse appartenere quella mano, qualcosa scattò dentro di lui, come una molla: portò la sua mano al collo di quell'individuo alla sua destra, che si ritrovò immobilizzato a terra.

-Giacomo!- disse la sua vittima, da sotto il casco -Sono io, Carlos!-

-Buono a sapersi, bastardo!- rispose quello, aumentando la pressione delle dita sulla trachea.

Nella foga, Giacomo aveva perso di vista quelle due luci rosse, ora in agguato alle sue spalle. Pochi secondi, e due bracci metallici tirarono il giovane Gaspares su per le spalle, liberando Carlos.

-Non è un soggetto stabile- disse quella voce metallica che impediva a Giacomo di muoversi -Non saresti dovuto andare a salvarlo, UD 303!-

Carlos si rialzò in fretta, prima di quanto ci si aspetterebbe da uno che stava per essere strozzato, e si parò davanti a Giacomo, osservandolo attraverso il vetro del casco.

-Ti sbagli, ci tornerà utile-

-Vuole ucciderti-

-Anche io voglio uccidermi; ciò non vuol dire che non porterò a termine la missione, no?-

-Non ha senso-

-Noi umani non abbiamo senso. È una nostra peculiare caratteristica-

-Non osare definirti 'umano', Carlos- sibilò Giacomo, furibondo -Prima, devi toglierti quel maledetto casco e guardarmi dritto negli occhi!-

Il ragazzo fece un cenno, e le braccia metalliche lasciarono Giacomo. Quei due occhi rossi si allontanarono, sparendo dietro un angolo. Lui e Carlos rimasero nel buio più totale.

-Carlos, che succede?-

-È una storia un po' lunga-

-Meglio per te: non ti ucciderò prima di sapere cosa sta succedendo e cosa era quella cosa che prima mi ha bloccato. A proposito, se ne è andata, vero?-

-Per ora. Gli ho chiesto di lasciarci da soli, per parlare, appunto-

-E, allora, parla! Cosa era quella cosa?-

-Un'Unità Difettosa-

C'era buio assoluto, ma Carlos poteva percepire perfettamente lo sguardo confuso di Giacomo e, ricordandone lo stato instabile, si affrettò a essere più esplicito.

-Da quel che ho capito, loro sono nemici delle Unità Intellettive. Loro sono i veri abitanti di questa Area, come di ogni altra-

Giacomo deglutì -Altre aree, dici?-

-Certo. Questa è una piattaforma sospesa in aria; e, come questa, ce ne sono innumerevoli altre-

-Come hai trovato le Unità Difettose?-

-Non l'ho fatto. Loro hanno trovato me. Il terreno mi è franato sotto i piedi e, ti confesso, devo avere perso dieci anni per la paura che ho avuto: mi sono ritrovato una ventina di rubini rossi che mi osservavano, che parlavano con una strana voce, che io capivo... mi hanno spiegato che sono nostri amici, e che vogliono distruggere le Unità Intellettive esattamente quanto lo voglio io-

-Fin qui, ok. Spiegami quel tuo casco-

-Grazie a questo, sono immune alle illusioni ottiche di Numero Uno: la mia testa è libera da ogni sua influenza. Contemporaneamente, sono sintonizzato con le Unità Difettose: senza questo coordinamento, non sarei mai riuscito a salvarti-

-Hai scelto tu di metterti quel grosso casco?-

-Sì. E, facendolo, ho deciso da che parte schierarmi. Ora, la stessa scelta spetta a te-

Giacomo deglutì. Troppa sicurezza traspariva dalle sue parole, troppa per uno che aveva perso tutto.

-Cosa comporterebbe schierarmi dalla vostra parte?-

-Il nostro obbiettivo è eliminarli tutti-

-Perché hanno bisogno di noi?-

-Hanno un piano, per cui servono degli umani. Non so altro, se non che una mano mi sarà sicuramente d'aiuto. Mi fido di te-

-Io, no. Non ho dimenticato che mi hai lasciato nelle grinfie di Numero Uno-

-Lo so, e mi dispiace...-

-Taci- lo interruppe, Giacomo -Non conosco perdono per la vigliaccheria, né clemenza per i vigliacchi. Non esiste-

-Quindi, non mi aiuterai?-

-Non ho detto questo. Odio quei bastardi anche più di te, dato che hanno ammazzato mia sorella. E in nome di questo odio, sono anche disposto a fare squadra con un vigliacco. Prima, però, voglio vedere in faccia i tuoi amici-

-Come vuoi-

Una luce azzurra si accese, debole, sopra le loro teste. Giacomo scoprì di essere circondato da tubature ammuffite, maleodoranti di acido. Da dove prima aveva visto sparire quella coppia di rubini, uscì una dozzina di esseri. Non poté non notare la somiglianza con le Unità Intellettive: erano anche essi bianchi, seppure di un bianco sporco, pelati, attraversati da venature azzurre che pulsavano come vene; ma gli occhi erano piccoli e rossi, e non avevano tentacoli, ma vere e proprie mani, come le sue.

-Hanno un nome?- chiese, con un filo di voce. Carlos non rispose, le Unità Difettose lo anticiparono: UD 314, UD 453...una rassegna di numeri che non fecero che ricordare al giovane Gaspares quanto quelle creature fossero impersonali e impassibili come Numero Uno e, quindi, altrettanto pericolose.

-Voi capite la mia lingua...curioso!-

-Esattamente come la capiscono le Unità Intellettive- intervenne Carlos -e, come loro, sono connessi gli uni agli altri. Se vogliamo accedere a questa connessione anche noi...- continuò, porgendogli una tuta estremamente aderente.

-No, no!- fece, scuotendo il capo -Io quella roba da soggetto non me la metto!-

-È una scelta. Se stai con noi, devi metterle per esserci utile. Sennò, sei solo un peso morto-

Giacomo osservava quel costume di carnevale su Carlos, e cercò di figurarsi se stesso lì sotto. L'idea, poi, di avere un contatto così stretto, perfino cerebrale, con quelle Unità Difettose, lo spaventava. Per la prima volta, era contento di non avere nessuno dei suoi cari lì con lui, a vederlo spogliarsi, lentamente. Era un po' imbarazzato dalla presenza di tante persone, e si affrettò a indossare la tuta, completamente nera. Aderì come una seconda pelle, gli sembrava quasi di poter sentire il sangue fluire tra le fibre. Neppure volle sapere di che strano tessuto si trattasse.

-Manca il casco- disse Carlos. Giacomo lo prese tra le mani; alla luce fioca, i suoi occhi, stanchi e cerchiati, si riflettevano sul vetro della visiera.

Cosa avrebbe detto Selena se lo avesse visto in quel momento? Ormai Giacomo non se lo chiedeva nemmeno più: prese il casco e se lo infilò.

Una scarica elettrica attraversò tutto il corpo, costringendolo in ginocchio. Un forte mal di testa, come un peso che schiacciava le tempie, lo costrinse a urlare per il dolore.

La zattera scivolava placida sul mare, increspandone appena la superficie violacea. Non erano le correnti o i venti a spingerla, ma il sudore di una ragazza, che affondava la pala del remo e poi la faceva riemergere, ritmicamente. Una sfera impercettibile si intravedeva all'orizzonte, nascosta quasi completamente dalle nubi rosa.

Quante volte Kira aveva visto quel curioso spettacolo? Il Sole oscurato dalle nuvole, all'alba come al tramonto, come in ogni momento del giorno. La notte era completamente buia, ma il giorno non lo era molto di meno; quello che più la sorprendeva, è che non ricordava nemmeno di avere mai visto davvero il Sole. Cominciava ormai a chiedersi se sarebbe mai successo.

Un leggero fruscio la sottrasse a quei pensieri; un serpente marino era ancora vivo, nonostante i colpi che gli aveva sferrato non appena lo aveva pescato; quando lo vide strisciare verso di lei, si affrettò a colpirlo con il bastone sporco di sangue, dandogli così il colpo letale.

-Maledetti serpenti! Quanto vi odio!-

Possibile che ci fossero solo serpenti da pescare? Possibile che il Sole esistesse per non essere mai visto? Queste domande si facevano sempre più assillanti, assieme ad un'altra:

-Possibile che la Terra sia sempre stata così?-

Un grande tonfo alle sue spalle attirò la sua attenzione: qualcosa era caduto in acqua. Pensò che si trattasse di uno di quegli animali volanti (uccelli, li chiamava suo nonno) che non aveva mai visto. Girò la zattera in quella direzione, nonostante i morsi della fame la spingessero dalla parte opposta, verso casa.

"Possibile che un uccello sia cascato in acqua? E perché?"

Ma più si avvicinava alla cosa, meno le sembrava uno di quei magnifici animali. Dove erano le ali, dove le piume? Quella creatura, che stava sospesa a pelo d'acqua, era così simile, eppure, così diversa da lei. Aveva due braccia e due gambe come lei, ma solo due occhi, e pure troppo grandi, con un vestito rossastro, ormai logoro. Per quanto potesse provare ribrezzo per quella strana creatura, Kira non esitò un secondo a trarla in salvo, consapevole che l'acido di quelle acque non perdonavano.

Quando ebbe finito di tirarla su, ebbe cura di asciugare l'acido residuo sulla sua pelle con uno straccio. Passandolo sulle sue mani, notò un dettaglio che sino ad allora le era sfuggito: la creatura aveva cinque dita per arto.

"Che cosa ci farà con un dito in più?" si chiese Kira, scioccata. Prese il remo, e spinse la zattera verso casa, l'isola alla sua destra, poco distante di fatto, ma lontanissima per lei, ansiosa di gustare un serpente di mare cotto su pietra. Chissà! Magari Noah aveva rimediato un po' di sali!

-Kira! Kira!- la chiamava, poco dopo, un bimbo dalla spiaggia.

-Noah! Aiutami a sbarcare, dai!- fece lei, afferrando una corda. Quando fu a pochi passi dalla sabbia asciutta, prese la rincorsa a saltò, facendo molta attenzione a non toccare l'acqua del mare. Dopodiché, cima alla mano, lei e Noah tirarono su la zattera. Il bimbo si precipitò a vedere il bottino.

-Mmh, sorellina! Hai fatto caccia grossa!-

-Se ti riferisci a quello strano animale, sappi che non lo cucineremo!-

-Mica parlavo di quella roba!- replicò il ragazzino, disgustato -Mi riferivo a questi!- aggiunse, sollevando il sacco con i serpenti che Kira aveva pescato quella mattina.

-Noah, dove è il nonno?-

-In casa che prepara il fuoco, perché?-

-Portagli i serpenti e digli di venire subito-

Noah non se lo fece ripetere due volte: Kira lo vide sparire all'imbocco del villaggio. Già se lo immaginava attraversarlo, entrare nella loro modesta capanna in argilla e paglia, e chiamare a gran voce il nonno. Lui sarebbe accorso, chiedendogli di cominciare a cuocere i serpenti. Noah si sarebbe leccato i baffi. Il nonno sarebbe corso a perdifiato per tutto il sentiero di sabbia che separava il villaggio dal litorale e, finalmente giunto, le avrebbe chiesto...

-Kira, che succede?-

La ragazza salutò con un abbraccio il nonno, gli spiegò sommariamente cosa le era accaduto, e gli mostrò la strana creatura. Il nonno non perse tempo: salì sulla zattera e misurò il polso della creatura: un battito leggero lo fece crepitare.

-È viva! Grande Zora! È viva! Presto, Kira, corri alla capanna e prendi i miei attrezzi! Vai!-

Non fu la prima volta che Kira vide suo nonno all'opera: distesero la creatura sulla spiaggia, le fecero masticare alcune erbe; mentre lei passava un panno umido e lavato sul suo corpo, sui capelli, sulle palpebre sigillate, il vecchio macinava con un pestello un insieme di erbe e succo rossastro, per poi plasmarlo laddove credeva di vedere lividi.

-A questo punto- disse -non possiamo fare altro che pregare. E aspettare. Dai, portiamolo alla capanna-

CAP. XVI

Quando arrivarono, trovarono Noah davanti a un piatto fumante di serpenti marini tagliuzzati, con contorno di foglie di palmetta.

-Veloci, che si fredda!-

La creatura fu deposta nella camera comune da letto, l'unica altra stanza della piccola capanna in legno e foglie.

-Cosa credi che sia, nonno?- chiese Kira, quando ebbe ingoiato il boccone.

-Non ne sono sicuro, ma credo che sia un essere umano-

Noah e Kira sgranarono gli occhi: come poteva una creatura così strana essere come loro?

-Non crediate di essere gli unici esseri al mondo, o i più perfetti: questo genere di inganni possono solo portare rovina alla gente-

-Come è accaduto al nostro popolo?-

Noah la fulminò con lo sguardo; il nonno deglutì.

-Dovresti andare a vedere come sta-

Kira finì la fetta di serpe e andò nell'altra stanza, segretamente amareggiata.

Il respiro della creatura era appena percepibile. Entrò in silenzio, prese uno sgabello e si sedette accanto al pagliericcio dove riposava la cosa.

-Come sei strano...- sussurrò, passando le quattro dita su quei lunghi capelli marroni -Possibile che tu sia come me?-

Nonostante il ribrezzo verso quell'essere, desiderava sinceramente che riprendesse conoscenza. Voleva vedere di che colore fossero i sui occhi; che lingua parlava? O, meglio, sapeva parlare?

Dei rumori dalla cucina le fecero intuire che anche Noah e il nonno avevano finito di mangiare; non voleva affrontare un'altra conversazione con il vecchio, sapeva già come sarebbe andata a finire: lui le avrebbe ricordato quanto odiasse parlare del passato del villaggio; lei avrebbe chiesto il motivo; lui si sarebbe rifiutato di dare spiegazioni. Alla fine, avrebbe dovuto semplicemente scusarsi, e il nonno si sarebbe scordato di tutto.

-Esco a cercare delle erbe- annunciò, uscendo dalla capanna.

Sì, perché sembrava che il nonno volesse fare solo questo: dimenticare. Dimenticare il passato del villaggio, forse anche il proprio. Non aveva mai detto loro nulla su di sé; Kira non conosceva il suo nome di nascita, per lei e per Noah, lui era solo 'il nonno'. E ogni volta che gli descriveva l'alba, un velo malinconico calava su quei quattro occhi verdi.

"Vorrei solo che si confidasse con me...lui per noi c'è sempre"

Camminava lungo il villaggio, oltrepassando una capanna dopo l'altra. Nessuno le rivolgeva una parola, ma tutti la osservavano: negli occhi dei vecchi, Kira leggeva il disprezzo; nei bimbi, la paura. Questa era un'altra domanda posta al nonno, che mai le aveva risposto: perché i suoi compaesani la odiavano tanto?

"Da quanto riesco a ricordare, non ho mai fatto male ad alcuno. Né io né il piccolo Noah: ma lui, come io a mio tempo, gioca sempre da solo"

Il nonno, invece, usciva solo per curare altri, e non un solo 'grazie' dalla bocca dei genitori a cui lui salvava il figlio, o dal marito per la moglie... niente. Come se il vecchio stesse semplicemente facendo il suo dovere.

"Ora che ci penso, non ha mai detto di no. Nemmeno quando lui stesso era malato. Possibile che..."

-Ciao, Kira-

-Ciao, Gauro. Che ci fai qui?-

E mentre il ragazzo esponeva la vendita al mercato dei serpenti con contorno di alghe, Kira immaginava di passare le dita su quei capelli bianchi e lisci, che scendevano a caschetto sul suo viso. Gauro aveva i due occhi superiori azzurri, e i due di sotto verdi. Un naso appena accennato, e labbra sottilissime. La ragazza non riusciva a pensare troppo, quando lo aveva davanti. Anzi, la maggior parte delle sue energie le spese per evitare di assumere l'espressione di un ebete.

-...quindi oggi ho guadagnato parecchio. Tu, piuttosto: perché te ne vai in giro con quella faccia afflitta?-

"Wow! Si è accorto che c'è qualcosa che non va...Magari ci stiamo avvicinando..."

-Ehi, Gauro!- gridò una signora con i capelli arancioni raccolti in una crocchia, dalla finestra di una capannina -Scansafatiche! Va' ad aiutare il tuo vecchio padre!-

-Vado, ma'!- gridò Gauro a sua volta -Scusa, devo andare-

Il ragazzo corse alla spiaggia; dopo un sospiro liberatorio, Kira riprese, sconsolata, la sua passeggiata.

Altro che avvicinarsi! Gauro aveva una vita talmente frenetica, che stare sola con lui era semplicemente un'impresa! Mai una volta che non fosse con parenti, amici, amiche...perfino un cucciolo di lumaca, che camminava sul suo piede, era riuscito una volta a ottenere maggiori attenzioni di lei!

"Comunque sia, Gauro è uno dei pochi che mi tratta gentilmente"

Un dubbio le attraversò la testa "Ecco, cosa! Lui è solo gentile con me, come lo è con tutti. In realtà, mi disprezza come ogni persona all'interno di questo villaggio"

Un forte senso di solitudine le toglieva il fiato, e sentiva che si sarebbe messa presto a piangere. Corse via, gli occhi umidi, e si rifugiò fuori dal villaggio, sotto un'alta e ombrosa roccia, che già mille altre volte le aveva dato asilo. Solo lì, nell'assoluta solitudine, Kira dava sfogo a tutte le sue frustrazioni, lontano dagli sguardi perfidi dei compaesani, o dagli occhi innocenti del fratellino Noah. Faceva passare il palmo della mano sulla roccia liscia, e sussurrava alla pietra.

-Per tutti- le diceva -io sono e sarò sempre una colpevole. Per Noah, però, devo continuare ad essere un modello. Per il nonno, una sicurezza, in vista della sua vicina morte...per Gauro, non sarò mai niente. Ma per te, Madre mia, permettimi di essere una persona comune! Capace di amare, soffrire, odiare...e piangere-

Le sue lacrime cadevano sulle ginocchia, cinte dalle braccia. Soffriva per una colpa che non ricordava di avere compiuto, di cui tutti erano a conoscenza, ma nessuno si era degnato di riferirle. Quante volte, da bambina, si era ritrovata a urlare, quando i genitori, vedendo i loro figli giocare con lei sulla sabbia, correvano come disperati a portarli via, gridando come forsennati! E quante volte si era ritrovata poi, sola, in disparte, mentre gli altri bimbi giocavano insieme! Persino adesso, lei era l'unica ad andare a pesca da sola: tutti gli altri erano organizzati in gruppi.

-Devo smettere di piangere...- sussurrò -Piangere è da deboli-

Questa consapevolezza, poi, non faceva che farla piangere ulteriormente. C'è qualcosa di estremamente autolesionista nella natura umana: ci riesce estremamente più facile crogiolarci nel dolore, piuttosto che lasciare che questo ci scivoli addosso. È vero, bisogna essere davvero superficiali per riuscire a ignorare tutto: ma quale grande animo, fosse anche solo per una volta, non avrebbe rinunciato a tutta la sua saggezza per godersi una vita a cuor leggero?

Il cuore di Kira era come quella roccia: rigido, freddo, e ogni giorno sempre meno desideroso di battere. Troppe volte si stava ritrovando a chiedersi come fosse la morte, se morire facesse troppo male...e neanche se ne preoccupava molto. L'unico motivo per cui non era passata all'azione, era suo fratello: non sarebbe sopravvissuto un solo giorno senza di lei; il nonno, ormai, offriva loro sempre meno aiuto. Il peso di quella strana famiglia gravava tutto su di lei: e, secondo il nonno, lei non aveva il diritto di conoscere su quale colpa affondassero le radici dell'odio degli altri abitanti del villaggio. Se solo avesse potuto contare sull'amicizia di qualcuno, niente le avrebbe fatto più paura. Ma la consapevolezza della propria solitudine le strappava via, giorno dopo giorno, la linfa vitale, come una sanguisuga sulla schiena.

-Cosa ho fatto di male...-

Sussurrava queste parole quando, esausta, si addormentò, le guance ancora umide.

In nessun luogo si sentiva tanto al sicuro come sotto quella rupe.

-A morte! A morte!- urlava la folla alle sue spalle. Lei si voltò, scoprendo di arrivare appena alle loro cosce. Chi doveva morire?

Guardò di fronte a sé: a pochi metri, riconobbe suo padre e sua madre in ginocchio, su una tavola di legno. Nei loro occhi, una strana rassegnazione; quando, poi, i loro sguardi si incrociarono, i due le sorrisero, come se cercassero di trasmettere un senso di tranquillità, che contrastava con la lama in mano ad un loro compaesano. Lei non capiva. Ma sentiva comunque la paura avvolgerla nelle sue spire.

Vide chiaramente quell'uomo impugnare l'ascia e alzarla sopra il capo.

-Mamma! Papà!- gridò, terrorizzata. Cercò di raggiungerli, ma due mani robuste la trattennero, la rapirono, e la portarono via, impedendole di vedere quell'orrendo spettacolo.

Tuttavia, Kira non avrebbe mai potuto scordare quel leggero gemito che sentì dietro di lei, seguito dalla folla che gridava il trionfo.

-Kira!-

La voce di Noah, lontana, la costrinse a riaprire gli occhi.

"Non posso credere di essermi addormentata"

Si passò la mano sulla testa, stordita. Sentendo i passetti del fratellino, si passò il polso sul viso, per asciugarsi le ultime lacrime.

-Sorrellona, stai bene?-

Il bimbo,dall'alto dei suoi dieci anni, doveva avere capito che qualcosa non andava; Kira odiò con tutto il cuore vedere quel viso rabbuiarsi.

"Non ho alcun diritto di far ricadere le mie frustrazioni su di lui"

-Certo, Noah, ma che domande!-

Quello tornò a sorridere e, fosse solo per un attimo, la luce di quegli occhi riuscì a ridare forza anche a Kira.

"La mia vita potrà anche essere un inferno, ma proteggerò Noah. Io potrò anche piangere, ma nessuno dovrà osare far piangere lui"

-Sbrigati!- fece lui -La creatura si sta svegliando-

Quella manina la prese per il braccio e la trascinò dolcemente per tutto il villaggio.

Con disappunto, la ragazza notò che gli sguardi di disprezzo erano rivolti a lei come a suo fratello. Un pensiero allora attraversò la sua mente, costringendola a sbirciare il volto del piccolo Noah.

"È davvero una fortuna che non si accorga di nulla. Ma è solo questione di tempo: prima o poi, ritrovandosi a giocare solo con il nonno, comincerà a chiedersi il perché"

-Facciamo a chi arriva primo?-

Neanche il tempo di aspettare la risposta, e Noah era partito a razzo. Kira lo seguì con calma.

"Sì, prima o poi quel momento arriverà, e io non potrò impedirlo. Allora tu mi guarderai, e io non saprò darti altro che conforto. Ti stringerò forte, e mentirò, anche! Dicendoti che tutto andrà bene...

Ma finché quel giorno non arriverà, tu potrai essere bambino. Farò di tutto per ritardare quel giorno, Noah. Proteggerò la tua infanzia. Lo prometto"

CAP. XVII

La creatura li osservava, incuriosita e spaventata allo stesso tempo. Kira era meravigliata dai suoi due grandi occhi bianchi, con una pupilla marrone, e un dischetto nero al suo interno, che guizzava da una parte e l'altra, spaesata.

-Siamo amici- sussurrò Noah, offrendole un avanzo della serpe della mattina. La creatura avvicinò il capo alle sue mani, odorò il pasto, e se ne nutrì in silenzio, non smettendo mai di lanciare occhiate ai tre, seduti alla sua sinistra.

-Non credo che sappia parlare-

-Però- si intromise il nonno -credo che capisca-

-Cosa? La nostra lingua?-

-Kira, non è necessaria una lingua, per comunicare-

Tese la mano alla creatura; quella la osservò, ma non la strinse. Ma fece qualcosa di davvero curioso: tese le labbra, mostrando appena i denti.

-Credo che stia sorridendo- fece Noah -Oppure, ringhia-

-No, no, sta proprio sorridendo!- disse Kira. Il nonno rimase in silenzio. Osservava quella creatura con l'interesse che, così Kira interpretò, rivolge generalmente un medico al suo paziente. Intanto, la creatura continuava a non parlare. I due fratelli, pur di evitare quel perpetuo imbarazzante silenzio, cercavano cibo a destra e a manca, alimentando così il sorriso della creatura.

Quando quella parve sazia, il nonno cercò di capire chi e cosa fosse.

-Mi capisci quando parlo?-

La cosa lo guardava, smarrita.

-Lo interpreterò come un no-

-Come fai a dire che è un essere umano?-

-Ovvio, piccolo: sorride-

-E allora?-

-Solo gli esseri umani provano emozioni. Ergo, questo è un essere umano-

-Tu non sorridi mai, nonno- disse Kira -Ma non per questo sei meno umano di noi-

-Non ci scommetterei troppo, sai?-

Il dibattito si interruppe quando la creatura scese dal letto, dal lato opposto, e li studiava a debita distanza. Nei suoi occhi, Kira lesse una totale confusione, e provò sincera pena per essa.

"In fondo siamo simili" si ritrovò a pensare "Io non sono molto meno spaesata di lei. L'unica differenza, è che so nasconderlo bene"

Più di tutti lei doveva sapere cosa fare. La domanda, in fondo, era semplice: in realtà, lei cosa desiderava che qualcuno facesse a lei? Quando, poco prima, aveva pianto all'ombra di quella rupe, cosa cercava dalla nuda roccia, che questa non poteva darle?

Noah e il nonno la videro avanzare, allora, verso la creatura, a braccia aperte, e con un sorriso rasserenante. La creatura rimase immobile. Kira non esitò un solo istante, e la abbracciò.

Quella non rispose all'abbraccio, ma si abbandonò volentieri sul suo petto, e pianse. Kira, scossa dal suo singhiozzare, provò il sincero desiderio di unirsi a quel pianto; tuttavia, resistette, fedele all'armatura di ferro inossidabile che aveva scelto di indossare.

Passarono circa due giorni, prima che la creatura riuscisse a comunicare con loro.

-Come ti chiami?- chiese Kira, in tono amichevole.

-Io...non...sapere-

Noah rise appena; Kira gli diede un leggero colpetto alla testa.

-Non ridere; hai impiegato anni, tu, a coniugare i verbi!-

-Ricordi qualcosa del tuo passato?-

Quella parve riflettere; poi, con uno sguardo afflitto, scosse appena la testa.

-Allora dobbiamo trovarti un nome. Cosa ne pensi di Locre?-

La creatura la guardò storto.

-Ho capito, non ti piace. Reela?-

Fece ondeggiare la testa e increspò il labbro, quasi a dire 'se proprio devi'.

-Va bene. Cosa ne pensi di "Sheila"?-

-Come fai a dire che è una ragazza?- intervenne Noah.

-Mi sembra parecchio evidente dalle forme...ma i dettagli te li spiegherà il nonno-

-Sheila?- ripeté la creatura. Kira annuì, accennando un sorriso.

-Io sono Kira- aggiunse, battendo il palmo sul petto. -Tu chi sei?-

-Io... sono... Sheila-

-Brava!- esclamò Kira, abbracciandola. Notò però con dispiacere che Sheila non sembrava conoscere certe forme di affetto: rimase fredda come il ghiaccio.

In quei due giorni, Kira non poté certo restare sempre in casa, e non voleva davvero far pesare a nessuno la presenza di Sheila, lì. Era anche consapevole che la sua famiglia non era ben vista: non era il caso che qualcuno notasse le stranezze della nuova arrivata. Fu così che, tessuto alla mano, Sheila si ritrovò con una benda sulla fronte, per simulare due occhi in più che non aveva, e le mani ingessate, per un misterioso incidente nell'acido del mare.

Fu all'incirca questa la menzogna che raccontò a Gauro, quando si erano incontrati sulla spiaggia.

Era stato il giorno dopo il ritrovamento di Sheila: la stava portando per la prima volta in barca, a pesca, quando incrociò Gauro che tornava in canoa, con altri due ragazzi; quelli non le rivolsero nemmeno la parola, ma non ne fu minimamente toccata; notò, invece, con segreta gioia, che lui si era fermato a parlare con lei, nonostante gli sguardi di sdegno degli altri due.

-Stai per andare in mare?- chiese lui.

-Sì-

Sheila portava lo sguardo da Kira a Gauro, e da Gauro a Kira; passò qualche ora prima che potesse spiegare cosa avesse letto su quelle guance arrossate, gli occhi sognanti, e quel giocherellare con le dita di Kira, o nel piede tamburellante di lui, quel passarsi la mano sulla nuca.

-Kira, è una tua amica?-

-È nuova, della tribù del nord-

-Piacere, Gauro-

La creatura non rispose neanche, ma fece un sorriso piuttosto esauriente.

-Non parla?-

-No, ma non sappiamo perché. Secondo mio nonno, ha avuto una sorta di trauma, e ha perso la memoria-

-Mennia! Deve essere tremendo non sapere chi sei-

-Già...- sussurrò Kira, guardando con la coda gli amici di Gauro, che gli facevano segno di sbrigarsi -Dovresti andare, o smetteranno di rivolgerti la parola-

Quelle parole dovettero colpirlo, perché esitò a lungo prima di seguire quel consiglio, e quando lo fece, sembrò perdere tutta la sua solita allegria.

La ragazza aspettò che si allontanasse, per mettersi a saltare di gioia da una parte all'altra della spiaggia, estasiata. Prese Sheila per le mani, ed eccole in due a esibirsi in quella danza sfrenata!

-Tu mi porti fortuna!- gridò, abbracciandola -Meno male che sei arrivata!-

Non fu l'unica volta che Sheila le portò fortuna: lo stesso giorno in cui iniziò a parlare, tornò a incontrare Gauro, e stavolta nella piazzetta, sotto gli sguardi dei loro compaesani (evidentemente troppo poco impegnati per non accorgersi delle loro risatine). E stavolta Sheila dovette intuire qualcosa, perché fece un occhiolino a Kira e si allontanò in cerca di erbe. I due rimasero soli; il cuore di Kira andava a mille, mentre cercava di nascondere la gioia che inevitabilmente traspariva. Ma rimaneva quel velo di malinconia: non c'era più nessun amico con Gauro. In effetti, era in assoluto la prima volta che lo vedeva completamente solo. Come lei.

-Gauro, io e te dobbiamo parlare-

-E non lo stiamo facendo?-

-Da soli-

-Non c'è nessun altro qui-

-Stanotte, alla spiaggia. Non farti vedere da nessuno-

E ora Kira se ne stava lì, ginocchia tra le braccia, a osservare il mare placido, moribondo. No, in effetti, non era un contesto molto romantico, ma era giusto così: doveva troncare anche prima che iniziasse. Qualsiasi cosa stesse iniziando! Nonostante lei non avesse fatto altro che desiderare quel qualcosa, qualunque cosa fosse!

"Gli voglio troppo bene per permettergli di rovinarsi la vita"

-Si può sapere perché tanto mistero?- chiese Gauro, quando si sedette alla sua destra.

-Perché vedo che non capisci-

-Capire cosa?-

-Gauro, forse non lo hai notato, ma io e la mia famiglia...non siamo ben visti. Tutti qui ci disprezzano. E se continuerai a rivolgermi tante attenzioni, o anche solo a parlarmi, o a guardarmi, il disprezzo nei nostri confronti dilagherà a macchia d'olio anche su di te. È inevitabile-

-Ma perché? Cosa hai fatto?-

-Io, niente. Noah, nemmeno. Non so neanche che colpa sconto: so solo- aggiunse, guardandolo negli occhi -so solo che tu non devi essere coinvolto. Non voglio-

Un fruscio la fece sobbalzare: li avevano scoperti! Gauro avrebbe perso tutto!

-Kira, scusa- sussurrò Sheila. Quella fece un grosso sospiro di sollievo, e le fece segno di avvicinarsi -Ieri non vi ho presentati a dovere. Sheila, lui è Gauro. Gauro, Sheila-

La creatura gli porse la mano, e lui la strinse con vigore. La sua fronte si aggrottò, quando sentì qualcosa di strano sotto le bende. Guardò Kira, e deglutì. Quella dovette leggere qualcosa sul suo volto, perché chiese a Sheila di tornare in silenzio a casa. I due rimasero soli.

-Kira, ho sentito cinque dita-

-Ma che vai dicendo!- fece lei, simulando una risata -Adesso abbiamo cinque dita per mano!- continuò, cercando di andarsene. Gauro la afferrò per il braccio, costringendola a rimanere.

-Te lo dirò una volta soltanto, Kira. Non mi interessa che hanno da dire gli altri, né tantomeno che colpe tu debba scontare. Puoi fidarti di me. Dammi solo l'occasione per dimostrartelo-

Eccole. Le parole che Gauro non doveva dire, e che lei sperava dicesse. Non esitò un altro secondo, e gli parlò di Sheila, di come e dove l'aveva trovata, la sua amnesia, la sua strana forma: solo due occhi e ben cinque dita per mano! Il ragazzo era rimasto scioccato, e sembrava davvero interessato ad aiutarla.

-D'ora in poi, non dovrai fare tutto da sola. Potrai contare anche su di me. C'è altro che mi puoi dire su Sheila, magari per capire...-

Kira parve riflettere -In effetti, sì. Giusto ieri, quando ci siamo salutati, l'ho portata in barca. Ora l'hai vista abbastanza tranquilla; lì, sul mare, era tesa come la corda di un violino. Penso che, se non ricorda cosa le sia successo esattamente, ricordi benissimo il dolore che ha provato. Il dolore e la paura-

-Poverina-

-Non è tutto- sussurrò lei, stringendosi nelle spalle -C'è stato un momento, in cui ha guardato il cielo. Lo ha fissato...come se stesse cercando qualcosa. È difficile da spiegare-

-Non riusciamo nemmeno a vedere il cielo: c'è una coltre di nubi viola sopra le nostre teste!-

-Lo so. Ma era come se lei riuscisse a vedere oltre. Avresti dovuto vederla-

Gauro passò una mano sui suoi capelli, fino al viso -Non sei sola. D'ora in poi, ci sarò io con te-

Si baciarono, come nemmeno Kira aveva mai sognato.

-Ancora non riesco a crederci, sai?-

-Credici, amore mio, perché è così: adesso andrà tutto per il meglio-

Tornò a casa saltellando e fischiettando.

Finalmente! Sembrava di vivere la vita di un'altra, una ragazza più fortunata, forse anche più bella, che viveva una favola! Quando varcò la soglia, il suo sorriso andava da un orecchio all'altro.

-Dove eri?-

Il nonno era sveglio, e l'aveva aspettata in piedi. In terra, rannicchiata in un angolo, stava Sheila, evidentemente turbata.

-In giro. Perché?-

-Domani dovrai dire addio a Noah e a Sheila, piccola mia. Ti sposi-

CAP. XVIII

Quella mattina, Kira e Sheila andarono in barca, ma non per pescare. Kira era in lacrime, Sheila adoperava quelle manciate di parole che aveva imparato per consolarla.

-Perché a me?- chiedeva Kira, singhiozzando -Cosa ho fatto di male?-

-Gauro sa?-

-No! A malapena l'ho realizzato io! Dove troverò la forza per dirlo a lui! E Noah! Riuscirò a spiegargli? Come?-

-Esattamente...cosa significa che "lo sposi"?-

Kira deglutì: si sarebbe volentieri evitata di spiegare quel termine.

-Detto in poche parole, io divento sua schiava. Non posso negargli...niente. E non appena lui si sarà stancato di me, mi rispedirà da voi, il cielo solo sa in che stato...-

Sheila, per la prima volta, tese le mani per abbracciarla: fu la prima manifestazione d'affetto che seppe mai dimostrarle. In quell'abbraccio, Kira trovò almeno il conforto di un'amica, quella spalla che per tutta la vita aveva aspettato, e che aveva cercato di rimpiazzare con la fredda pietra.

-Dillo a Gauro-

-No, Sheila, non gli dirò nulla. Non ne ho la forza-

-E Noah?-

-Mentirò. Dirò che parto e torno subito, ma non dovrà mai sapere la verità. Mai-

-Chi è...-

-...il mio futuro compagno? Non ne è ho idea. Il nonno ha sistemato tutto, senza dire niente. Questa proprio non me la aspettavo, credevo che mi volesse bene!-

-Pensa di fare la cosa giusta-

-Potrebbe almeno dirmi il motivo. Perché, maledizione? Cosa crede? Che non farei ciò che è giusto? Sono anni che mi prendo cura della famiglia!-

Sheila la stringeva tra le braccia, e rimase sorpresa dal potere magico di quell'abbraccio: era come se parte della tensione, delle paure, degli incubi di Kira finissero su di lei, e dessero un po' di sollievo all'amica.

Tornarono sull'isola a malincuore: Kira volle giocare con Noah; Sheila preferì lasciarli da soli.

-Dove è Kira?- chiese il nonno, quando la vide entrare da sola nella capanna.

-Quando è il matrimonio?-

-Domani. Vedo che hai imparato presto la nostra lingua, eh?-

-Perché?- chiese lei, non facendo caso alla sua osservazione.

-Non sono affari che ti riguardano-

Qualcosa scattò dentro Sheila; il vecchio lesse una nuova luce, o, meglio, una nuova ombra nei suoi occhi. Avanzò verso di lui, lo prese per la casacca e lo sbatté al muro, digrignando i denti.

-Voglio bene a Kira. Devo a lei la mia vita. Falle male, e io farò male a te-

-Ci conosci appena, non sai niente di noi-

-E Kira non sa niente di te. Come fa a pensare che tu sia suo nonno: non vali la metà di lei, vecchio!-

-Non ti azzardare!- sibilò il nonno, con tutto il fiato che aveva in gola -Io sono il padre della loro madre! Io li ho cresciuti! Li ho protetti! E ora tu, scherzo della natura...-

-Sarò anche uno scherzo della natura- fece Sheila -Ma ho un cuore. Questo, solo questo, mi rende migliore di te-

Quelle parole colpirono il nonno; quando la ragazza lasciò la presa, quello scivolò a terra come un sacco di patate, lo sguardo perso altrove.

Va' alla spiaggia

-Cosa hai detto?- fece Sheila. Il nonno non le prestò ascolto. Pensò che la rabbia le avesse giocato un brutto scherzo; lasciò la capanna, determinata a non farvi più ritorno.

Stava cercando Kira e Noah, quando Gauro la intercettò.

-Ciao, Sheila. Ti trovo bene, sai?-

Provò sincera pietà per quel ragazzo: così felice, e così inconsapevole di cosa il futuro avesse in serbo per lui e Kira. Sheila si dovette mordere la lingua per non dirgli niente.

-Hai visto Kira?-

-No- mentì -Scusa, devo andare-

Stava già per lasciarlo, quando quello la prese per il braccio.

Va' alla spiaggia, Sheila

-Perché diamine dovrei andare alla spiaggia, ora?- sbraitò lei, innervosita.

Gauro la guardò storto -E chi lo ha mai detto?-

Sheila, ascoltami: vai alla spiaggia

Sheila strabuzzò gli unici due occhi: possibile che quella voce fosse dentro la sua testa?

-Devo andare alla spiaggia-

-Aspetta, dimmi che sta succedendo. Sei strana-

-Spetta a Kira spiegartelo, non a me, mi dispiace-

-Mi devo preoccupare?-

-Io direi di sì, Gauro-

Con queste parole, lo lasciò ai suoi pensieri, troppo presa dai propri. Non si accorse che Gauro non l'aveva affatto persa di vista; la seguiva, convinto che avrebbe trovato risposte ai suoi dubbi. In fondo, non era anche quella la ragione per cui Sheila seguiva la voce nella sua testa?

Arrivò alla spiaggia: nessuna traccia né di Kira, né di Noah.

Troverai un arbusto di viole malaspine. Scava lì.

Sheila individuò quel cespuglio, uno dei pochi cui fiori non fossero neri. E obbedì, senza esitare. Non temeva la follia: sarebbe comunque impazzita il giorno dopo, no? Quando Kira sarebbe finita nelle mani di quello sconosciuto, senza che lei potesse fare qualcosa per aiutarla.

-Si può sapere che stai facendo?- chiese Gauro, alle sue spalle.

Sheila, che scavava la sabbia con le mani, si immobilizzò. Non aveva più senso mentire; al contrario, altre due mani le potevano tornare utili.

-Gauro, ami Kira?-

-Con tutto il cuore-

-Allora, scava-

-Ma starai via solo per poco, vero?- chiese Noah, mentre lanciava una biglia.

-Sì, certo-

Kira stirò un sorriso, che non dovette convincere troppo il piccolo.

Come sarebbe stata la sua vita senza Noah? Lui, con la sua innocenza, la sua allegria, era stato l'unica ragione che lo aveva spinto ad andare avanti fin da quando aveva capito che una grave colpa gravava su di loro.

-E il nonno? Ti lascia andare?-

La ragazza trattenne la lacrime -Sì, è lui che mi ha detto di andare-

Era la cosa più sincera che gli avesse detto negli ultimi dieci minuti.

-Sta tranquilla, sorellona, mi prenderò cura io di Sheila. O viene anche lei con te?-

-No. Sarò sola-

Dirlo ad alta voce le diede l'opportunità di capire cosa aveva accettato di fare.

"Starò con un uomo che non amo. E sarò sola. Non potrò contare su nessuno. Niente Gauro, niente Noah, niente Sheila. Sarò completamente sola"

-Quando tornerai, andremo a pescare insieme, vero?-

-Vieni qui, Noah- sussurrò lei; il ragazzino la guardò interrogativo. Fece due o tre passi, e si lasciò abbracciare -Io sono sempre con te, Noah. Anche se non mi vedi-

-Come mamma e papà?-

Kira serrò i quattro occhi, impedendo alle lacrime di scendere -Sì, come loro-

-Dai, lasciami!- fece Noah, sorridendo -Così mi soffochi-

Lei obbedì, passandogli le dita tra i capelli. Sbiancò, quando vide uno sconosciuto entrare in casa loro, scortato dal nonno.

-Noah, vai fuori. Devo parlare con Kira-

Il piccolo, a malincuore, raccolse le biglie e andò a giocare in strada.

-Kira, ti presento Luz. Domani vi sposerete-

La ragazza guardò il suo aguzzino con tutto il disprezzo che è possibile concentrare in quattro occhi: testa pelata, occhi piccoli, sorriso ambiguo. Più che odio o disprezzo, quell' individuo la disgustava come i lombrichi arrosto (che, purtroppo, a Noah e al nonno piacevano tanto).

-La cerimonia sarà domattina- disse Luz, con voce roca -Davanti a tutto il tuo villaggio-

-Dove abita lei?- chiese Kira.

-Sono di Armus-

-Cosa?! Ma è dall'altra parte dell'isola!-

-E con ciò?- fece Luz -Sarai mia moglie, no? Anche se fossi a due passi da casa, non potresti spostarti senza il mio permesso-

-Questo lo so. Ma non capisco perché, con tutte le donne su quest'isola, lei sia venuto a cercare proprio me! Insomma, non ha senso! Si può sapere cosa vuole lei da me? Cosa ho fatto di...-

Si interruppe: una strana ombra era calata sul volto del nonno. Un'ombra che aveva già visto, ogni volta che gli parlava dei suoi sogni, ogni volta che chiedeva dei suoi genitori, o del motivo per cui faceva il medico gratuitamente, o perché lei e Noah venivano emarginati...

-Signor Luz- disse, infine, rassegnata -Domani la sposerò, non abbia timore. Sino ad allora, però, non voglio vedere la sua faccia. Se ne vada-

L'uomo rimase scioccato dal tono che la sua voce aveva assunto: il gelo era calato nella stanza, e non esitò un solo istante a lasciarla. Kira e suo nonno rimasero soli.

-Sii sincero: quel Luz...era stato scelto per me già da tempo, vero?-

-Dalla morte dei tuoi genitori-

-I miei genitori...sono stati uccisi dai nostri compaesani, vero?-

-Sì. Un'esecuzione pubblica. Un solo colpo...-

-Al collo, mozzato da una sciabola. Lo so. Sogno quella scena ogni singola notte-

Il nonno rispondeva in maniera meccanica, con un'apatia che non faceva che aumentare la rabbia di Kira: per la prima volta in tutta la sua vita, la ragazza desiderò uccidere.

-Che crimine avevano commesso?-

-Nessuno-

-Che colpa ho io? Che sono costretta a diventare il trastullo di quell'essere immondo!-

Il vecchio cadde in ginocchio -Nessuna, piccola mia-

Kira gli si fece vicino, solo per guardarlo dall'alto in basso -Si può sapere cosa hai fatto? Quale crimine può avere commesso un uomo, tale che la sua colpa debba essere tramandata ai suoi figli come ai suoi nipoti, se hanno la sfiga di nascere?-

L'uomo abbassò gli occhi a terra.

-Ho distrutto una civiltà, Kira-

23 Ventoso, Anno 8794

Non so neanche io perché ho deciso di scrivere questo diario. I miei colleghi dicono che sia di protocollo in una ricerca come la nostra, ma non ne comprendo l'utilità. Dal punto di vista scientifico, la memoria umana non soffre più problemi di amnesia, vuoti, o anche solo insufficienza mnemonica dal lontano 5089: posso memorizzare intere formule senza il minimo sforzo; quindi, a nulla mi serve annotare i risultati dei nostri esperimenti. Dal punto di vista emotivo, poi, non ne capisco parimenti lo scopo: non provo il minimo piacere quando scrivo. È solo una perdita di tempo. Mi consola pensare che, un giorno, quando la mia ricerca avrà consegnato la felicità agli uomini, le future generazioni potranno leggere queste pagine e tramite esse vedere il vero genio all'opera.

Gauro fece una pausa.

-Perché hai smesso di leggere?- chiese Sheila -Non abbiamo tempo da perdere!-

-Hai detto che una voce nella tua testa ti ha fatto scavare qui?-

-Sì>

-Evidentemente voleva che leggessimo questo quadernino-

Tra le mani grondanti di granelli di sabbia, Gauro teneva il diario che avevano trovato sotto la pianta di malaspina.

-Ma io non so leggere, Kira non me lo ha ancora insegnato. Fortuna che c'eri tu. Dai, continua!-

44 Ventoso, Anno 8794

Oggi è un grande giorno per la scienza: uno dei nostri embrioni è sopravvissuto alla settimana di incubazione! La sua materia cerebrale si evolve di giorno in giorno, ma non è ancora capace di muoversi. Credo però che questa sia la volta buona: dopo centotre anni di sperimentazioni, avremo la perfezione al nostro servizio!

45 Ventoso, Anno 8794

I catalizzatori suggeriti dal dott. Kaulum sono stati la chiave: abbiamo una dozzina di embrioni che promettono molto bene. Forniamo a tutti gli stessi quantitativi di sostanze, nelle stesse percentuali e contemporaneamente, ma la selezione naturale continua a essere un mistero per noi, dato che solo alcuni hanno superato la fase più critica. Chissà! Magari loro stessi potranno svelarci questo mistero...

3 Brumaio, 8794

Ora inizia la prova del nove per i dodici embrioni: se entro un mese riusciranno a muovere i tentacoli, aprire gli occhi, e manifestare desiderio di conoscenza, ce l'avremo fatta. Altrimenti, il nostro sarà solo un altro fallimento, che tuttavia porrà le basi per il successo delle future generazioni. Perché, comunque, vada, noi stiamo agendo per i nostri figli, per donare loro un futuro migliore.

Io faccio quello che faccio solo per il mio piccolo Mighia e mia moglie Saraa

-Gauro, fermati un attimo. Cosa vuol dire 'embrione'? Non conosco questo termine-

-Nemmeno io. Posso solo dirti che è un termine composto, indica qualcosa tipo "vita latente". Tipo un neonato-

-Allora perché non ha detto "Neonato"?

-Perché questi cosi di cui parla non sono mai nati. Se sto capendo bene- spiegò lui, con voce tremante -e spero di sbagliarmi, sono stati creati artificialmente-

5 Brumaio, 8794

Saraa non è più la donna che ho sposato. È strana: si arrabbia per niente, e mi reputa il peggiore dei padri. Mio figlio può benissimo fare a meno di giocare con me, se poi, da grande, uno dei miei embrioni, una delle mie creature, risolveranno per lui i più grandi misteri dell'universo, e il suo unico compito sarà quello di godersi la vita. Le Unità Manuali ci hanno liberato dallo strazio dei lavori faticosi; le Unità Intellettive ci doneranno la pace assoluta. Niente più rompicapi, ogni domanda avrà la sua risposta. E tutto ciò avverrà nel giro di un mese.

15 Brumaio 8794

Numero Uno oggi ha aperto gli occhi. Sono neri come i miei. Ma sono solo due, e sono immensi, capaci di vedere il mondo intero con un solo sguardo.

-Gauro, è tardi! Non c'è tempo per leggerlo tutto!-

L'interruzione di Sheila parve risvegliare il ragazzo, che divorava quel diario con i suoi quattro occhi, sempre più vicino a carpirne il segreto.

-Devo capire perché stà succedendo tutto questo-

-Davvero?-

Il giovane aggrottò la fronte -Che intendi dire?-

-Kira domani finirà nelle mani di un altro contro la sua e la tua volontà. Hai davvero bisogno di sapere il motivo?-

-Forse no-

-Forse?- ripeté Sheila, incredula -Dici di amarla. Ma se ho capito quello che mi ha detto Kira a proposito dell'amore, non capisco perché, non appena ti ho detto come stavano le cose, non sei corso da lei. Che ti succede? Perché esiti?-

Gauro chiuse il diario, e abbassò lo sguardo, timoroso di incrociare il suo -Ho paura. Per salvare lei, dovrò rinunciare a tutta la mia vita-

-Lei non scapperà con altri al di fuori di te. Nemmeno con me, lo so. A te la scelta-

-Se io non la salvassi, tu la abbandoneresti al suo destino?-

-No, ovviamente. La rapirei-

-Ma per andare dove?-

-Lontano da qui!-

Sheila era scattata in piedi, e costrinse lui a fare lo stesso -Va' da lei, Gauro, o te ne pentirai per il resto della tua vita. Io preparo la barca. Convincila! A costo anche di portarla via in braccio!-

CAP. XIX

Quando Gauro arrivò alla capanna di Kira, vi sentì solo la desolazione. Avvertì la tensione come gelo nelle ossa, ingiustificato dalle temperature; eppure, tutti e tre i membri di quel disastrato nucleo familiare erano lì, Noah e Kira da un lato, il nonno a terra, seduto, dall'altro. I due stavano per uscire, zaini in spalla, quando Gauro fece il suo ingresso. A smorzare quel gelo fu Kira, che si gettò tra le sue braccia; il ragazzo non riuscì a rilassarsi, turbato dall'espressione assente del vecchio.

-Cosa è successo?- le sussurrò all'orecchio.

-Dobbiamo scappare-

-Lo so, sono qui per questo. Sheila mi ha detto tutto-

Kira lo guardò negli occhi, mortificata -Perdonami se non ti ho detto nulla-

Il ragazzo la baciò dolcemente -Se ti tieni tutto per te, mi spieghi che ci sto a fare io?-

-Tu mi salvi-

-Nemmeno! Se ho capito bene, avevi già deciso di scappare prima ancora che io arrivassi-

-Tu mi salvi ogni volta che mi sorridi-

-Se voi due avete finito- si intromise Noah -Vorrei andarmene prima che torni quell'uomo-

-Lo sai anche tu, piccolino?-

Noah aggrottò la fronte -Sapere cosa?-

Kira non esitò a intervenire -Sì, Gauro- declamò, chiudendo i due occhi sinistri -gli ho dovuto spiegare che andiamo in cerca di una nuova terra. E un provetto esploratore come lui poteva mancare?- fece, passandogli la mano sui capelli. Aspettò che uscisse dalla capanna, per accostarsi all'orecchio del ragazzo, sempre più confuso.

-Ho dovuto mentire: non è il caso che sappia la verità, non subito. E non potevo certo lasciarlo qui: la mia colpa sarebbe caduta su di lui. E non è una bella sensazione- aggiunse Kira, guardando di sbieco il nonno -Fidati-

Sheila intanto aspettava sulla spiaggia, tenendo in una mano la cima della barca di Kira e, nell'altra, il diario dello scienziato pazzo, cui identità rimaneva ancora un mistero. In particolare, la ragazza non riusciva a non pensare agli esseri nati artificialmente, gli embrioni: erano vivi? Sapevano o avrebbero saputo di non avere una madre?

Segui il tuo istinto

La solita voce aveva parlato, ma Sheila non era più disposta a seguirla alla cieca.

-Vediamo di chiarirci: o mi dici chi sei, o puoi anche risparmiarti la fatica di entrare nella mia testa. Da quanto ne so, potresti condurmi alla salvezza come alla morte-

Né l'una né l'altra. Io non ti offro nulla al di fuori della verità.

-Come faccio a crederti?-

Hai già la prova, nella tua mano destra.

Il quaderno. Quello era la chiave. In qualche modo, le vicende narrate lì, erano legate a Kira. Ma in che modo?

-Sheila!-

Esitò a voltarsi, incerta se fosse una voce dentro o fuori la sua testa. Quando sentì i passi sulla sabbia, non ebbe più dubbi. Noah corse ad abbracciarla, seguita da Kira. Sheila li strinse a sé con tutte le sue energie: aveva trovato la sua famiglia.

-Ho tante cose da dirti-

-Dopo. Adesso, a bordo-

-Per andare dove?-

Eccola lì, la domanda a cui nemmeno Sheila era certa di poter rispondere. Sentiva una voce, dentro di sé, ma poteva anche essere follia pura. Sì, un sintomo di pazzia.

-Fidati di me, Kira. Solo questo ti chiedo-

Chissà cosa lesse in lei: forse sicurezza, o forse spavalderia. Coraggio, o sventatezza. Determinazione, o disperazione. Una forza spinse lei, come tutti i membri di quella curiosa compagnia, a prendere il largo, sotto le indicazioni di Sheila.

Noah si addormentò in grembo alla sorella. Kira sembrava stanca, ma volle raccontare a ogni costo quanto il nonno le aveva riferito.

-Io e mio fratello, come i nostri genitori prima di noi, paghiamo le colpe di nostro nonno-

Gauro e Sheila si guardarono, senza smettere mai di remare. Il suono delle pale sulla superficie stagnante del mare fece da sottofondo al russare del bimbo come alle parole sussurrate di Kira.

-Già da tempo avevo capito che dell'isolamento mio e di Noah nessuno di noi aveva colpa, ma era causato da qualcosa che ci sovrastava o, meglio, schiacciava. Una verità che tutti hanno volutamente taciuto, nella speranza di dimenticare. Ma come potevano dimenticare, se nemmeno potevano perdonare?-

-Cosa ha fatto vostro nonno?- chiese infine Sheila.

-Ha distrutto un'intera civiltà. La nostra civiltà- ripeté, gettando uno sguardo a Gauro -Ci ha condannato a vivere in un mondo di ombre, di bugie...e tutto questo solo per l'ansia di scoprire, di creare la vita stessa!-

Gauro sgranò gli occhi; Sheila, pensò al diario che nascondeva sotto la coscia.

-Lui ha creato dei mostri... così li ha chiamati, prima. Loro ci hanno cacciato dalle nostre città nei cieli, e ci hanno condannato a vivere qui sotto, sulla terra-

-Sheila, falle vedere- interruppe, Gauro. Kira li guardò con espressione interrogativa, quando le tesero il libriccino.

-Cosa è?-

-Il quaderno di un uomo che voleva cambiare il mondo-

-Identificatevi-

-Negativo-

-Identificatevi-

Un lampo azzurro illuminò per un attimo i visi di Carlos e Giacomo, appena percepibili sotto i grossi caschi. L'Unità Intellettiva era stramazzata sul pavimento metallico, inerme.

-Forti questi fucili a tensione, vero?- fece Giacomo.

-Efficienti-

-Sei sempre più strano, Ca...- Si morse la lingua -cioè, UD 303-

-Non c'è più Carlos Sanchez. Quel nome per me non ha più senso-

Senza fare troppi complimenti, UD 303 scavalcò il cadavere che ostruiva il loro passaggio.

Giacomo non aveva la più pallida idea di che giorno o ora fosse. Non aveva fame, né sete, né sonno. Da quando avevano lasciato le altre Unità Difettose, non avevano fatto altro che camminare. Eliminare quelle poche Unità Intellettive che trovavano sul proprio cammino, e camminare.

Una fitta alla testa lo costrinse a fermarsi. UD 303 nemmeno sembrava essersene accorto, anche se, Giacomo era sicuro, anche lui aveva sentito quella scossa. Perché era così, mandando loro impulsi elettronici, che le Unità Difettose inviavano istruzioni. Nemmeno avevano idea di quale fosse il piano; conoscevano solo l'obbiettivo: distruggere Numero Uno e gli altri polpi, suoi cloni. Poco importava come sarebbe successo, o se mettevano a rischio la propria vita. Erano domande che nemmeno Giacomo si poneva più.

Nemmeno usavano luci, i caschi erano forniti di visore notturno, e rilevava le Unità a 10 metri di distanza. No, le probabilità di morire erano infime, con tutta quella attrezzatura. In particolare, amava i fucili: con una scarica elettrica, le Unità cascavano a terra, forse svenute, forse spente per sempre.

"Non sono altro che robottini difettosi. E le cose difettose vanno buttate, no?"

Erano rare le comunicazioni con UD 303, come se non avesse nulla da dire. Come prima, un qualsiasi commento, se futile ai fini della missione, era breve e impersonale. Era sempre più simile a uno di quei automi: non aveva paura, non sorrideva, non si arrabbiava. Era apatico.

E Giacomo cominciava a chiedersi se fosse colpa dei caschi.

"Se così fosse, accadrà lo stesso anche a me. È questione di tempo"

L'unico suono era quello dei loro piedi nel pavimento di metallo. Perché tutto era metallico: diverse leghe componevano il suolo, le pareti, le tubature che ne fuoriuscivano.

Non riusciva nemmeno a sentire il battito del proprio cuore, se metteva la mano sul petto: era vivo? Non ne era certo. E non lo preoccupava neanche! Non era possibile vivere, in quel mondo; casomai, sopravvivere. Ma sembrava un controsenso, vivere per sopravvivere. Non aveva senso. Niente lo aveva più...

16 Brumaio 8794

I risultati superano ogni previsione. Numero Uno mi capisce! Con lui parlo, ragiono delle più complesse teorie, e lui mi ascolta! Viceversa, ho un sempre peggiore rapporto con i miei colleghi. Li trovo stupidi e limitati. Kaulum, in particolare, non fa che sottolineare l'anomalo sviluppo cerebrale delle mie creature. Ma non era esattamente un cervello superiore, perfetto, lontano dalle distrazioni fuorvianti delle passioni, ciò che cercavamo quando abbiamo iniziato questa avventura?

Kira leggeva ad alta voce dal punto in cui Sheila e Gauro, che si erano presi una pausa, si erano interrotti.

-Avete notato?- fece Gauro -Il vecchio si era affezionato a quegli esseri-

-Non mi importa. Ai miei occhi, lui è solo un bastardo. Che sia maledetto!-

Sheila trasalì: non aveva mai visto Kira tanto furiosa. Ma sapeva come si sentiva: non ne era certa, ma il suo stato d'animo doveva essere simile a quello che lei stessa aveva provato, quando stava per strozzare il vecchio.

-Lo vuoi uccidere?-

-Sheila!-

-Ho bisogno di capire una cosa. Kira, desideri che la sua vita si interrompa?-

La ragazza si assicurò che Noah stesse ancora dormendo. Poi guardò Sheila negli occhi: non ci fu bisogno di aggiungere altro.

-Si chiama odio, se è questo che ti stai chiedendo. Ma la parola, da sola, non aiuta a comprendere il concetto: bisogna provarlo sulla propria pelle-

La sua mente riandò a poche ore prima, quando aveva stretto tra le dita il collo del vecchio.

"Da quando ha conosciuto l'odio, Kira non è più la stessa. E, forse, nemmeno io"

Kira riprese a leggere.

8 Nemboso, 8795

Ormai è una settimana che dormo in laboratorio. Ho bisogno di monitorare di persona lo sviluppo dei miei piccoli; non mi fido di nessun altro al di fuori di me. Saraa non è molto contenta; diciamo pure che ha pianto quando gliene ho parlato, e si è messa a urlare qualcosa del tipo che io non sono l'uomo che ha sposato, che sono cambiato...che questo esperimento mi sta cambiando. Boh, forse ha ragione. Forse, per la prima volta in tutta la mia vita, ho capito di valere qualcosa, e lei non è capace di accettarlo. Numero Uno e le altre UI saranno la prova palese delle mie capacità.

9 Nemboso, 8795

Sto perdendo peso; anzi, non ho nemmeno sete o appetito. Dormo due ore al giorno, e non ne risento minimamente. Credo, invece, che non faccia altro che affinare la mia mente, che non deve così perdere metà del suo tempo in attività tanto improduttive.

10 Nemboso, 8795

Numero Uno è uscito dalla cella. Cammina o, meglio, striscia sui tentacoli: vederlo muovere i primi passi mi ha emozionato. Ce l'ho fatta: ho svelato il mistero della vita. Quel mistero di fronte alla quale i nostri antenati si arresero, attribuendolo a esseri superiori. Numero Uno è la prova che tutto può essere spiegato razionalmente.

-Gauro, facciamo cambio- disse Kira.

-Non sia mai che io mi riposi mentre tu remi, amore-

-No, no. Sei stanco, e tocca a me remare. Continua a leggere tu-

-Ma io...-

-Dalle retta- si intromise Sheila -Non lo volevo dire, ma hai rallentato il ritmo da un po'. Non possiamo permettercelo. Dobbiamo allontanarci quanto più possibile. Gli altri non dovranno poterci vedere all'orizzonte-

A malincuore, Gauro cedette il posto a Kira; lei gli diede un bacio e il quaderno.

-Strano-

-Cosa?- chiesero le due all'unisono.

-La narrazione riprende un anno dopo-

5 Gremuglio 8796

Ho perso tutto. Ho per caso ritrovato questo diario. Ricordo di non averci più scritto nulla, perché mi sembrava stupido. Ho fatto male. Ma di tutti i miei errori, questo è senza dubbio il minore.

Mia moglie è morta, uccisa dalla mia creatura, Numero Uno. Non potrò mai scordare l'immagine dei suoi tentacoli attorno al suo candido collo. I suoi occhi erano rivolti solo a me, e a nostro figlio, che proteggevo tra le mie braccia. Lei è morta; temo che sarà solo la prima di una lunga strage.

Quello che più mi raccapriccia, è che non ho versato nemmeno una lacrima. So che è inutile piangere: ma avrei voluto, avrei dovuto piangere.

10 Gremuglio, 8796

In pochi giorni, siamo stati decimati. Uomini, come donne e bambini. Non capisco in base a quale principio scelgano le vittime, o, forse, l'ordine in cui ucciderci tutti. Anche se non capisco il motivo. E non dubito che esista il motivo: ho creato esseri razionali, più razionali di tutti noi, per cui ci deve essere un motivo. Spero di vivere abbastanza per capirlo.

20 Gremuglio, 8796

Cosa ho fatto? Come ho fatto?

Come ho fatto a permettere che accadesse tutto questo? Come è iniziata? Cosa cercavo? La mia mente era concentrata nella ricerca, ma dove era il mio cuore? Credevo che l'anima fosse una leggenda dei nostri avi, ma solo ipotizzando questa nuova incognita capisco cosa rende noi diversi da loro. Loro non hanno anima. Non conoscono il dolore, la paura, l'affetto, l'amicizia, l'amore, la passione, il desiderio. Hanno un obbiettivo, ancora a me sconosciuto, e lo seguono non con l'ansia di sognatori, ma quale necessaria meta.

E io? Ce l'ho ancora un'anima? Ormai sono settimane che io e Mighia stiamo rintanati nei sotterranei dell'area. Non importa cosa accadrà a me: voglio che mio figlio si salvi. Solo questo.

23 Gremuglio 8796

Alla fine ci siamo salvati. Siamo riusciti a imbarcarci su un barcone, che si è schiantato su un mare che credevamo essere meno denso. Molti di noi sono morti per l'impatto. Stanotte sono arrivato assieme a una dozzina di persone su questa spiaggia, dove adesso sto scrivendo.

Sono sfuggito al linciaggio, solo perché il nostro bisogno di razionalità ha invocato un regolare processo per me e per i miei crimini. Accetterò tutto senza fiatare: solo, non tocchino mio figlio. È tutto ciò che mi resta.

30 Gremmuglio, 8796

Il tribunale si è pronunciato. Io non morirò. Userò il mio cervello e lo metterò al servizio della comunità. Mio figlio dovrà morire, affichè io possa provare lo stesso dolore straziante che tutti i sopravvissuti hanno provato nel vedere i loro cari morire. E non solo lui! Se decideranno di farlo vivere abbastanza per procreare, per fargli godere la vita, prima di sottrargliela, uccideranno anche i suoi figli, e così via, finché la loro sete di vendetta non sarà appagata (mi chiedo se mai accadrà). Io, come tutti noi, dovrò mantenere il silenzio sul nostro passato. I nostri figli non dovranno mai sapere. Mighia, e non solo lui, morirà accusato di inezie, vere menzogne, purché la verità sia sepolta, come adesso io seppellirò questo diario delle mie sciagure.

Volevo morire: altri moriranno per me.

Gauro smise di leggere -Finisce così-

Gli occhi suoi e di Sheila si puntarono su Kira.

-So che, forse, dovrei provare pietà per lui...ma non ci riesco-

-In qualche modo, cedere te a quell'individuo avrebbe significato la fine di questa maledizione- sussurrò Sheila.

-Ci siamo- fece Gauro -Non so come, ma lì c'è un'isola-

Noah si svegliò lentamente, scosso appena dalla entusiasta sorella. Sheila non disse una parola, non riuscì nemmeno a sorridere. Non era sicura di come si dovesse sentire.

Qualcuno l'aveva condotta fin lì. Aveva condotto lei e lei sola; Gauro, Kira e Noah erano lì per caso. Lo aveva fatto per un motivo, che riguardava solo lei. Deglutì.

Aveva paura di trovarsi da sola. E più si avvicinavano all'isola, più le sembrava inevitabile.

CAP. XX

-Wow!-

Noah saltò dalla barca, euforico, e si mise a correre per la spiaggia.

-Noah, aspetta! È pericoloso!-

-Vado io!- disse Gauro, non appena ebbero sistemato barca e remi lontano dall'acqua.

Rassicurata, Kira si soffermò ad ammirare il paesaggio: davanti a loro, una foresta incontaminata, che sembrava rivestire l'intera superficie. Senza rendersene conto, si ritrovò ad abbracciare i forti alberi, carezzare i petali delle rose, cogliere da terra i frutti maturi.

Vieni da me

Sheila rabbrividì. No, non era pronta. Voleva stare con Kira, con Gauro, Noah. Aveva appena trovato una casa...si era appena convinta di non essere sola. Perché lasciarli? Per una voce nella sua testa?

Ma finora, quella voce l'aveva portata alla salvezza. Soprattutto, aveva salvato Kira.

"Ha detto che mi avrebbe portato alla verità. Che si riferisse al diario?"

Intanto osservava Kira che annusava un fiore. I suoi quattro occhi erano appena schiusi, inebriati dal profumo di quel fiore giallo. Era serena. Per la prima volta, Kira era tranquilla.

-Vieni, Sheila- fece, improvvisamente -Andiamo a cercare quei due-

La ragazza la seguì su per il promontorio, meccanicamente: per quanto potesse essere affascinante tutto quel verde, non riusciva a non pensare a quella voce. Era la sua immaginazione? Possibile che qualcuno riuscisse a parlarle senza essere lì, davanti a lei?

-Cosa hai?- chiese Kira.

-Io? Niente!-

Lei le prese le mani -Sheila, tu per me ci sei sempre. Perché non mi permetti di aiutarti?-

-Non ho niente, davvero...-

-Sei in pensiero per qualcosa-

Sheila non riuscì a negare l'evidenza, ma non voleva turbare la felicità di Kira. Finalmente, avrebbe avuto una vita vera, circondata, sì, da poche persone ma, almeno, capaci solo di volerle bene. Kira era felice, e lo provava quel sorrisetto che non riusciva a togliersi dalla faccia; e, di riflesso, lo era anche Sheila. Era felice per lei. Vedere quel sorriso, faceva venire anche a lei la voglia di sorridere. E tanto era prezioso quel sorriso, che l'avrebbe difeso, anche a costo di mentirle.

-Spero solo che non ci sia gente, qui-

-Appena tornano Gauro e Noah, andremo a controllare. Ma sono certa che non troveremo nessuno-

Non solo era contenta, ma anche ottimista! Sheila non riusciva a credere alle proprie orecchie. Abbassò lo sguardo, sperando che quella tortura finisse presto, e lì vide le mani di Kira nelle proprie: le sue, con quattro dita, molto fini; le proprie, appena più robuste, più scure e, soprattutto, con ben cinque dita. Cinque dita e non quattro come sarebbe dovuto essere. E lei aveva due occhi, non quattro. Si scoprì a chiedersi se Kira vedesse il doppio di lei, avendo il doppio degli occhi, ma preferì non farle una domanda del genere.

-Sheila, io ti voglio ringraziare-

Quella aggrottò la fronte -Di cosa?-

-Per esserci sempre quando ho bisogno di te. Quando ho paura, quando non so che fare... tu ci sei. Non sei qui con noi da molto, ma tu per me sei come una sorella. Tu sei mia sorella-

Si rese conto dell'importanza delle sue parole, così come del suo impaccio: non doveva avere usato spesso quei termini.

-Sorella?- ripetè, non conoscendo il significato. A Kira l'arduo compito di spiegarle.

-Io sento per te quello che sento per Noah-

-Cioè?-

Kira prese fiato -Allora, vediamo. È come se tra noi due ci fosse un legame. Una corda-

-Io sono la corda?-

-No. Noi due reggiamo i due capi della corda, e allo stesso tempo ci aggrappiamo ad essa. Io sto in piedi, perché ci sei tu a reggermi-

-Ma, allo stesso tempo, se io dovessi lasciare quella corda...-

Kira la guardò negli occhi -Io cadrei in ginocchio. Sì, è il rischio in cui si incorre a stringere un legame tanto forte. Una sorella, al tuo fianco, è un motivo per andare avanti. È forza-

-Io starò al tuo fianco. Sempre- sussurrò, abbracciandola. La strinse forte a sé, quasi a volere toccare con mano quella corda che le teneva unite e, così facendo, scacciare il fantasma della solitudine che, sapeva, la attendeva al varco.

-Anche se non mi vedessi- aggiunse. Kira si riscosse -Come? Perché non dovrei vederti?-

Stava per dirle tutto, stanca di mentire, quando la voce di Noah distrasse Kira.

-Si può sapere che ci fate lì, ferme? Andiamo, abbiamo un'isola da esplorare!-

L'entusiasmo del piccolo coinvolse Gauro e Kira, che camminarono per tutto il tempo mano nella mano. In quelle braccia intrecciate Sheila vide un'altra corda a sorreggere Kira.

"Se anche dovessi abbandonarla, non sarebbe sola. Lei, no; io, invece..."

-Sorellona, il nonno quando ci raggiunge?-

A Sheila si gelò il sangue: Kira non aveva detto niente a Noah. E non era certa di poterla biasimare. Come confessare a quelle quattro pupille tanto innocenti che suo nonno stava per dare la sorella ad uno sconosciuto, per placare l'ira della loro stessa gente, per altro, causata da lui?

-Presto. Doveva salutare tutti, prima-

-Ah-

Il legame tra Noah e suo nonno stava per spezzarsi, come si era spezzato quello tra lui e Kira, quando questa aveva appreso la verità. Non appena si sarebbe tradita, o avrebbe perso la voglia di mentire, lo stesso trauma avrebbe travolto il ragazzino. E quella luce nei suoi occhi si sarebbe affievolita.

Cerca l'acqua pura.

-Cosa?- sussurrò Sheila, sorpresa dalla richiesta della voce della sua testa. I tre si voltarono indietro, verso di lei.

-Come hai detto?- fece Gauro. Anche Kira la guardava, sospettosa, mentre Noah faceva segno che stava ammattendo. La ragazza cominciava a credere che il bimbo avesse ragione.

-Niente, niente. Mi chiedevo: credete che ci possa essere dell'acqua pulita, qui?-

I tre si guardarono -In che senso, pulita?- chiese Noah.

-Non so...magari non acida-

-Quella del mare è l'unica acqua che conosciamo- fece Gauro -e, come hai giustamente notato, è corrosiva. L'acqua non può essere altrimenti-

-Avete ragione- borbottò lei, confusa -Credo di essere un po' stanca-

Kira non sembrava convinta, e Sheila temette per un attimo di doverle dare spiegazioni. Fortunatamente, qualcosa nella foresta attirò la loro attenzione.

-Cosa è quella?- chiese Noah, correndo più veloce.

-No, Noah, aspetta!- urlò Kira, venendogli dietro.

Gauro finse esasperazione, ma in realtà era divertito dalla vitalità di quel bambino.

Quando Kira li chiamò, gli altri due accorsero.

Davanti a loro, immersa nel verde, una casupola in legno, tetto in canne. Aveva più ambienti: uno ampio, dove stava anche il fuoco, e due stanzette con letti in canna e foglie. Noah non esitò a testarli.

-Credi che qui ci abiti qualcuno?-

Gauro analizzò la cenere del fuoco -No, e da molto tempo. È gelida, e la legna per il fuoco è stata tagliata da altrettanto tempo-

L'urlo di Noah li costrinse a tornare nella camera da letto. Il bimbo era sceso in fretta dal letto, e indicava un mucchio di strumenti grigiastri che erano stati nascosti sotto le foglie. Con cautela, il ragazzo spostò le foglie con un bastone.

-Sembrano innocui- fece Kira -qualsiasi cosa siano-

Sheila rimase da parte -Perlomeno non si muovono-

-Quindi sono innocui?- sussurrò Noah, dietro la gamba di Gauro.

-Non sono vivi. Poco ma sicuro- aggiunse quest'ultimo, prendendo in mano uno di quelli.

-Fa' attenzione, amore-

-Sembrano dei bastoni, ma sono molto più leggeri-

Un click di un pulsante premuto inconsapevolmente dal ragazzo fece scaturire una scarica elettrica da una delle due estremità, gettando nel panico i presenti. Gauro lasciò cadere a terra il bastone, completamente spiazzato da quella reazione, assicurandosi che gli altri rimanessero alle sue spalle.

-State tutti bene?-

-Che diavolo era?-

-È per uccidere- sentenziò Sheila -Lasciamoli dove sono, questi bastoni-

-No-

La decisione con cui Kira si pronunciò sorprese non solo l'amica, ma anche lo stesso Gauro.

-Non siamo sicuri che nessuno ci abbia seguito. Né che nessuno conosca questo posto. E, poi, ci vivrà pure qualcuno in un posto tanto bello, no? Come facciamo a essere sicuri che non ci venga fatto del male? Dobbiamo poterci difendere!-

Il ragazzo raccolse con cautela la straordinaria arma da terra -Credo che tu abbia ragione...-

-Il pulsante è sotto- disse Noah, indicando un bottone anche troppo vicino al pollice di Gauro.

-Ce ne sono anche delle altre. Prendetene una, e riprendiamo a esplorare la zona-

Kira non se lo fece ripetere due volte, ma impedì a Noah di fare lo stesso.

-Sei troppo piccolo-

-Ma se mi attaccano?-

-Ti difenderemo noi-

Sheila li lasciò uscire; davanti a lei, un piccolo bastone, ampio quanto il palmo della sua mano, la illuse di provocare pochi danni alla sua vittima. Rassicurata dalle sue dimensioni, lo infilò nella veste.

Una domanda però la tormentava: perché mai qualcuno avrebbe dovuto costruire armi del genere? Leggere, e funzionavano quasi per magia, con un fascio azzurro, sicuramente letale. Per quale motivo eliminare qualcuno?

Trasalì: non era forse quello che anche lei aveva desiderato fare, quando si era ritrovata tra le mani il collo del nonno di Kira?

"Se avessi avuto una cosa del genere" pensava, esterrefatta "lo avrei eliminato senza problemi, senza nemmeno faticare. Senza nemmeno esitare, forse"

Sarebbe bastato un click, e avrebbe privato un uomo della sua vita, senza nessuna possibilità di restituirgliela. Non solo: chiunque avesse costruito quelle armi, era capace di uccidere ognuno di loro con la medesima facilità. Con un semplice click.

-Dobbiamo andarcene da qui- disse, quando raggiunse gli altri, fuori dalla casupola.

-Cosa?- sbottò Gauro -Sei tu che ci hai condotto qui-

Sheila deglutì: il giovane aveva ragione. Lei li aveva condotti in quell'inferno.

-Come hai fatto?-

Eccola. La domanda che si aspettava da quando erano salpati, e che, tuttavia, sperava che nessuno avrebbe mai formulato; a farlo, fu proprio Kira.

-È complicato- sussurrò. Teneva gli occhi bassi: non aveva la forza di mentire guardandola in volto. Purtroppo le bastarono pochi secondi per capire.

-Tu mi nascondi qualcosa-

Il tempo smise di scorrere. Tutto divenne surreale, come un sogno, e a Sheila parve di vivere la vita di qualcun altro.

-Credevo che tra noi non ci fossero segreti-

-Kira, io...-

-Ti ho dato troppa fiducia. Ti conosco da così poco tempo...-

-Kira- la interruppe -Tutto quello che ho fatto finora, è per te. Non ti basta questo?-

-Mi hai portato qui per salvarmi?-

Avrebbe voluto dire di sì, ma lo sguardo impenetrabile di Kira la costrinse ad essere sincera, non tanto con l'amica, ma con se stessa.

-Io ti ho portato via da casa tua per salvarti. Ma sono arrivata qui, perché cercavo la verità-

-Su te stessa?-

-Non lo so. Ma ho solo un modo per saperlo-

L'abbracciò forte, certa che non ci sarebbero state altre occasioni.

-Ed è dicendoti addio-

Prima che qualcuno capisse cosa stesse succedendo, Sheila si mise a correre come una forsennata. Sempre dritto, poi a destra, verso il cuore dell'isola. Nessuna sosta, nessuna esitazione. Aveva esitato anche troppo a lungo, terrorizzata dal fantasma della solitudine.

La sua verità Kira l'aveva trovata: adesso toccava a lei. Non aveva più bisogno di alcuna voce, le gambe si muovevano da sole, spinte dall'istinto.

La mente era altrove, persa tra i ricordi: le passeggiate con Kira, le risate, le confidenze. Da quanto ricordava, lei c'era sempre stata. Il problema era che i suoi ricordi erano davvero pochi.

La foresta cedette il passo ad una pianura verde, come mai ne aveva visto o anche solo immaginato. Giusto il tempo di notare uno stagno a valle, per sentire le voci di Kira, Gauro e Noah che la chiamavano indietro. Indietro all'unica vita che ricordava, ma non l'unica che aveva avuto.

Scese, inarrestabile. Lo stagno non era di acqua pura, come sperava. Ma era lì che doveva andare.

-Sheila!-

La voce disperata di Kira la spinse a entrare nello stagno. Soffrì in silenzio, mentre l'acido corrodeva i suoi piedi. Non si fermò, e così facendo, scoprì che a un solo passo, il livello dell'acqua arrivava al polpaccio e, un passo dopo, al ginocchio. Sorrise, amareggiata.

-A quanto pare, devo morire per rinascere-

Si voltò indietro: Kira stava per raggiungerla ma, fortunatamente, Gauro riusciva a trattenerla.

-Grazie. Di tutto- sussurrò, nemmeno sicura che l'avesse sentita. Scalciava tra le braccia del ragazzo, che guardava a Sheila con aria supplicante.

Stese le mani, chiuse gli occhi, e si lasciò cadere nell'acqua. Un tonfo sordo, e l'acido la inghiottì completamente, dalle spalle, al ventre, fino agli alluci.

L'ultimo suono che Sheila poté udire, furono le urla di Kira.

CAP. XXI

Kira rimase immobile, ad osservare le acque rosee che avevano appena inghiottito Sheila.

-Kira...- sussurrò Gauro, posando una mano sulla spalla. Lei rimase fredda, ancora incapace di realizzare ciò che era appena accaduto.

"Come ho potuto permettere che succedesse una cosa del genere?"

Volle rimanere da sola, e così chiese al ragazzo di pensare a Noah, che li avrebbe raggiunti a momenti: per nessun motivo il bimbo doveva scoprire che Sheila era morta.

Si morse il labbro: no, non era semplicemente morta. Si era lasciata morire sotto i suoi stessi occhi. Aveva un problema, ma lei si era concentrata troppo sulla propria felicità per ascoltarla.

"La verità." pensava "Ha detto che cercava la verità. Per questo è morta?"

-Mi volevi bene. Così hai detto. Ma, allora...perché mi hai lasciato?-

-Ehi, forse ci siamo-

-Gaspares, parli davvero troppo-

UD 303 e Giacomo mandarono al tappeto due Unità Intellettive, poste a guardia di una porta.

-Cosa credi che ci sia lì dietro?-

UD 303 puntò il fucile su di essa -C'è solo un modo per scoprirlo-

La scarica elettrica avvolse la porta, ma non riuscì a sfondarla. Pochi secondi, e nuove istruzioni arrivarono a entrambi. Giacomo notò con orrore di non essersene nemmeno accorto.

Intanto, il compagno eseguiva quelle stesse istruzioni alla lettera: prese tra le mani la testa di uno delle due UI appena eliminate, e le strappò via uno dei due grandi occhi neri.

-Disgustoso- sussurrò Giacomo, inorridito.

UD 303 lo rivolse verso il centro esatto della porta, che si schiuse con un silenzioso scorrere delle due ante -Necessario-

Tutto si aspettavano: un'orda di polpetti bianchi, una sala computer...ma mai quello.

-Sono...feti?-

Una enorme sala quadrata apparve al di là della soglia; a un metro di distanza l'uno dall'altro, piccole Unità Intellettive erano immerse in un liquido verde, contenuto in cilindri di vetro. A ogni cilindro erano collegati almeno sette cavi, mentre una flebo si inseriva direttamente nel cranio dei feti.

-Non credo che sia questa la nostra meta. Noi dobbiamo distruggerli tutti: che senso ha perdere tempo con questi...-

-Ci avevano detto di essere robot. Tutte le Unità, Manuali e Intellettive, sono robot, giusto?-

-Affermativo-

Giacomo parlava lentamente, quasi estraniato da quel mondo, quella camera, se stesso.

-Ma crescono...come noi-

UD 303 capì subito dove voleva arrivare-Non possiamo paragonarci a loro. Loro sono mostri-

Quello nemmeno ascoltò la sua risposta: si muoveva per la camera, picchiettando ogni tanto sui vetri. Sobbalzò, quando uno dei feti aprì i grandi occhi neri. E vi vide qualcosa.

Una luce. Una luce in quei occhi neri, che, ormai, nei propri occhi si era spenta, come poté notare osservando il suo riflesso sul vetro.

Cosa aveva quella creatura, che lui aveva perso? Perché, ne era certo, quel qualcosa, di qualsiasi cosa si trattasse, ce lo aveva avuto, non molto tempo prima.

La voce di UD 303 lo richiamò al presente -Non hai sentito?-

-Eh?-

-Nuove istruzioni: dobbiamo distruggerli. Tutti-

-Perché?-

-Come?-

-Hai appena concluso che non c'è motivo per ucciderli-

-Ucciderli...non si parla di omicidio, se non stai uccidendo un uomo!-

Giacomo guardò ancora quella creaturina al di là del vetro.

-Abbiamo sbagliato tutto...non sono robot. Sono vivi, esattamente come te e me-

UD 303 rise appena -Solo perché si muovono e respirano, li definisci vivi?-

No. Certo che no. Non era certo per quello che lui stava esitando. No... quella luce...

Quella luce c'era in Carlos?

Lo fissò con attenzione, dritto negli occhi, attraverso la visiera. Non vide altro che rassegnazione, rabbia, e dolore. Ma, soprattutto, mancava ....

Un lampo di luce dal fucile di Carlos, appena il tempo di buttarsi a terra, e il cilindro di vetro andò in mille frantumi. Il liquido verdastro si riversò a terra, inondando lo stesso Giacomo.

-Si può sapere che ca...-

Un'altra esplosione lo costrinse a rimanere a terra, esplosione a cui seguirono innumerevoli altre. Giacomo si tappò le orecchie, incapace di reagire. Tempo dieci minuti, e il pavimento era interamente coperto da sali in soluzione e frammenti di vetro.

Il ragazzo si rialzò, ma lentamente, piegato in due da un dolore al fianco sinistro. Prese un profondo respiro, prima di guardarne la causa: un grosso frammento di vetro era penetrato nella carne, all'altezza della milza.

-Questa me la paghi, bastardo...-

Probabilmente sarebbe morto presto, dato che non aveva modo di essere medicato. Ma non era arrabbiato per questo: la morte non lo spaventava. Era il dolore, il problema.

Un leggero gridolino lo costrinse a voltarsi: dopo avere appurato che Carlos lo aveva abbandonato a se stesso, notò che, su ciò che rimaneva della teca, giaceva la piccola Unità. Muoveva i piccoli tentacoli disperatamente, e dalla boccuccia gridava con le sue ultime energie qualcosa, forse "aiuto" oppure "mamma". E quella luce nei suoi occhi non si era spenta: era sempre più viva. E, ormai, Giacomo aveva perfettamente capito cosa era quella luce.

-Tu vuoi vivere, vero, piccolino?-

Lo prese tra le braccia, e lo cullò. L'unità si spense sul suo petto. Il ragazzo la vide spirare e i suoi occhioni neri, divenire grigi.

Alla apatia, subentrò una nuova forza: posò il bimbo a terra, e con le ultime sue energie, si levò il casco.

Fu come tornare a respirare dopo una lunga apnea. Anzi, come un neonato che respira per la prima volta, anche Giacomo pianse. Pianse perché era rimasto solo. Pianse perché si era reso conto di avere ucciso esseri vivi quanto lui. Ma, soprattutto, pianse di gioia: perché almeno ora, che l'oblio cominciava cullarlo, desiderava vivere. Come un neonato, era tornato alla vita.

Una goccia d'acqua cadde sulla palpebra sinistra di Sheila, che così riprese conoscenza.

Si trovava in una grotta; ai suoi piedi, una profonda pozza d'acqua, tanto limpida, che ci si poté specchiare. E trovò molto piacevole farlo.

-Ti hanno mai detto che russi?-

Trasalì, colta di sorpresa: sollevando appena lo sguardo, vide una donna riflessa sullo stesso specchio d'acqua, in piedi, alle sue spalle. Notò subito la sua forma esile; appena nascosta da una sottilissima veste bianca.

-La tua voce...eri tu che mi chiamavi-

-Gentile da parte tua ricordarti della mia voce. Ma non hai impiegato troppo tempo, per venire da me? Non era tanto difficile, dopo tutto-

-Non era difficile venire qui...ma lasciare la mia famiglia-

-Capisco-

Kira le aveva sempre detto che espressioni come "Capisco" o "immagino" sono spesso modi di dire che vogliono emulare più che riflettere una reale partecipazione al dolore altrui; ma nei suoi quattro occhi vide una tinta di tristezza. Non ne era certa: la donna aveva presto riassunto quella sobrietà che indossava tanto facilmente come quella veste: una seconda pelle, che aveva volutamente indossato per nascondersi.

-Tu sei come Kira...perché ti nascondi qui?-

-Tu non sei come Kira...che ci facevi lì?-

Si drizzò in piedi, offesa -Io mi sentivo a casa con lei. Con tutti loro!- disse, alzando la voce -L'unica cosa che non capisco, è che ci faccio qui, con te. Non so neanche chi sei...-

-Al momento, sono l'unico essere che si sta sforzando di farti capire che questo non è il tuo posto-

-Non accetto consigli di questo genere da una donna che vive sola in una grotta sottomarina-

Sheila parve illuminarsi; si sentì incredibilmente stupida a non essersi posta prima quella domanda.

-Io mi sono fatta sommergere dalle acque acide di uno stagno...-

-Ti facevo più perspicace. Ma, meglio tardi che mai-

-...sono tutti convinti che non ci sia acqua pura sulla faccia della Terra-

-Vuoi andare in un posto dove troverai acqua tanto pulita in grande quantità?-

La giovane aggrottò la fronte -Impossibile-

-Prosegui lungo questo passaggio- fece la donna, indicando un sentiero scavato nella pietra dall'acqua -Non tornare indietro, qualunque cosa accada: se cerchi la verità, la troverai solo lì-

Due sono le cose che Sheila aveva capito di odiare: gli inganni, e le frasi sibilline. Facile immaginare il suo entusiasmo quando, oltrepassata la figura statuaria della donna, fece per addentrarsi nel tunnel, avendo come unica guida le sue mani sulla fredda parete.

Esitò ancora un momento -Prima dimmi il tuo nome-

-Solo quando tu saprai svelarmi il tuo-

Altra frase sibillina, ulteriore fastidio per Sheila, che si lasciò molto volentieri quella donna alle spalle. Per questo aveva rischiato la vita? Per questo aveva lasciato Kira e Noah? Per seguire le indicazione di una donna, la cui prolungata solitudine avevano evidentemente portato alla follia?

"Kira ha detto che i pazzi non bisogna mai contraddirli. Meglio assecondarli"

Quel silenzio, però, la turbava: nessun Noah che dicesse qualche stupidaggine, nessuna Kira a rimproverarlo, nessun Gauro a conciliarli. Nessuno. Solo lei. Avrebbe cominciato a parlare da sola?

"Quella donna...chissà da quando vive qui"

Ma dove era esattamente "qui"? Ricordava le urla di Kira, mentre l'acido la copriva interamente...come poteva essere sopravvissuta?

Era arrivata lì in cerca di risposte; invece, le domande irrisolte si stavano moltiplicando.

D'un tratto, non avvertì la pietra sotto i piedi, ma acqua. Fortunatamente, non era corrosiva.

"Sto correndo più rischi del previsto. Questa acqua sarebbe anche potuta essere acida, solo quella donna lo poteva sapere"

Tuttavia, non si fermò nemmeno per un istante. L'ansia di sapere era troppa per potersi fermare; e la consapevolezza di non poter più tornare indietro, la costringeva a procedere anche se il livello dell'acqua non faceva che salire: le arrivava ormai alle cosce.

Man mano il buio attorno a lei si diradava, permettendole di scorgere delle rocce a punta che affioravano dall'acqua. All'inizio, pensò che i suoi occhi si fossero semplicemente abituati all'oscurità; ma quando riuscì perfino a notare la struttura porosa, e a specchiarsi nelle acque purissime in cui era immersa sino all'ombelico, fu ovvio che c'era una fonte di luce.

Non impiegò molto a trovarla; più tempo a capire di che si trattasse.

Era un grosso cassettone oblungo, circondato da una rete di metallo, che emetteva luce; ma non era fuoco, non c'era niente che bruciasse. Stava incastonato, come altri due, sulle grandi pareti rocciose in cui si perse il suo sguardo: qualcuno aveva plasmato quelle grotte, come faceva Noah con la sabbia bagnata, ma con più maestria.

-...ed è grazie al lavoro degli speleologi che noi oggi possiamo ammirare...-

Quando sentì questa voce rimbombare nel silenzio della grotta, unita ad un inquietante e ripetitivo suono metallico, si nascose nel buio, confidando nel gioco di luci e (soprattutto) ombre che quelle rocce le offrivano.

Poco più in alto, di fronte a lei, una inaspettata visione le mozzò il fiato: una ventina di esseri passò su per una passatoia di metallo, che permetteva loro di attraversare la grotta senza per questo scalfire le rocce. Non era stato questo però a turbarla.

"Sono come me. Due occhi, grandi; un naso; una bocca"

Mentre pensava al viso che aveva visto riflesso su quel piccolo specchio d'acqua, si passava la mano sul volto, per assicurarsi che non fosse cambiato nel frattempo, e contemporaneamente osservava quelle magnifiche creature. In particolare, la sua attenzione si concentrò sulla mano di un uomo, posata sulla ringhiera; con emozione, contò ben cinque dita.

-La visita termina qui- disse uno di quegli esseri; con quelle parole, ebbe l'autorità di farli retrocedere tutti. In silenzio, Sheila li pedinò, ma a distanza: fisicamente erano simili, ma lei non capiva una parola di quello che si dicevano.

Non era facile, però, non farsi notare: ogni suo movimento causava quello dello specchio d'acqua, e più di una volta uno dei membri della comitiva si era voltato, insospettito. Ma nella maggior parte dei casi, erano gli esemplari più piccoli ad accorgersi di lei; Sheila aveva osservato con terrore il loro dito indice puntare verso di lei. Si rivolgevano ad esemplari adulti, forse i loro genitori, che tuttavia non sembravano sentirli.

Finalmente, vide la fine della grotta: un ampia volta nella roccia e, oltre quella, l'azzurro del cielo e il blu del mare. Un mare blu, non viola. Pulito esattamente come quelle acque. Decise che doveva toccarlo con mano: si lasciò distanziare, per poi salire sul ponte metallico.

-Chi va là?-

Fece appena in tempo ad alzare gli occhi, che il capo di quella comitiva l'aveva ormai vista. E si dirigeva verso di lei con uno sguardo rabbioso.

-Quante volte devo ripetere che è vietato bagnarsi in queste acque?-

Sheila deglutì, spaventata a morte. La donna (pensò che di questo si trattasse, date le prosperose forme) la prese per un braccio e la trascinò tra gli altri: la considerava come una di loro.

-Venga, questa vi riporterà al porto-

Non capiva una sola parola, ma non correva troppi pericoli, finché veniva considerata una della comunità. Le bastò seguire gli esemplari che aveva osservato fin da principio, e imitare i loro gesti: si sistemò i capelli o, almeno, ci passò la mano sopra; si grattava il naso; la sua espressione passava da imbronciata a impaziente, e da qui ad annoiata, assumendo le fattezze dell'individuo che la affiancava, minuto dopo minuto.

Ed ecco che un evento catturò l'attenzione di tutti: una strana barca arrivò dal mare alla grotta. Sheila notò subito che si muoveva senza che alcuno remasse, e ciò la inquietava, tanto che non sarebbe proprio salita, se non fosse stata beccata da quella autoritaria donna, da cui si sentiva costantemente controllata: cosa avrebbe pensato, se non si fosse imbracata anche lei?

"No, non devo attirare l'attenzione" pensò, mentre la barca ruotava lentamente.

Non era facile, però: quegli esseri sembravano assomigliarle solo nell'aspetto. Per il resto, i loro atteggiamenti erano assolutamente incomprensibili: a malapena comunicavano tra di loro; e quei pochi che parlavano, non sembravano interessare a troppi elementi. In effetti, lei stessa non li trovava entusiasmanti, dopo la prima sorpresa.

La verità era che non si sentiva come con Kira e gli altri: quella non era casa sua. L'idea di venire da quel posto, non la affascinava neanche un po'.

-Mamma, mamma! Guarda che bello!- disse un bimbo, indicando qualcosa alle spalle di Sheila, che, coinvolta dal suo entusiasmo, si voltò: quella vista le cambiò la vita.

Il Sole tramontava sul mare azzurro; no, si fondeva, e infine si immergeva. Quella era la luce! E quello era il Sole vero, libero dalle nubi tossiche.

Era sicura di non avere mai visto nulla del genere prima; eppure, in quel momento, le parve così naturale!

"No, io vengo da qui. Se poi questo sia un bene o un male, lo scoprirò presto"

CAP. XXII

Quando arrivò sulla terraferma, si sentì anche più spaesata: quegli esseri erano ovunque! Per tutto il porticciolo, dentro delle casette dove venivano mostrate le foto delle grotte, e si scambiavano pezzi rotondi di metallo; e su per una collina, dominata da un ampio sentiero grigio.

Prese questo sentiero, lieta di avere un po' di aria in più (sulla barca si stava davvero stretti!). Notò tuttavia come le persone avessero paura di camminare al centro del sentiero grigio, e si tenevano ai lati; alcuni le gridavano qualcosa, inconsapevoli che lei non poteva capirli.

-Levati da lì!-

-Forse è straniera!-

-A me sembra solo sciocca-

Un suono assordante alle sue spalle la fece sobbalzare. Si voltò: quello era il curioso verso di una creatura di metallo, al cui interno, tramite un vetro trasparente, intravide un' altra di quelle bizzarre creature. Un suo simile.

"Forse è una specie aggressiva. Meglio spostarsi"

Raggiunse gli altri su lato del sentiero, non perdendo mai di vista la cassa metallica, che salì su per la collina facendo ruotare dei dischi alla sua base. Il suo conducente le gridò qualcosa mostrandole il dito medio. Ancora una volta, Sheila non aveva idea di quello che poteva significare; intuì almeno di avere corso un grande rischio.

"Cosa faccio se uno di loro mi attacca?"

Si portò la mano al fianco sinistro, e per la prima volta si sentì tranquillizzata dall'arma che teneva nascosta sotto la tunica.

Era una variabile che non aveva ancora considerato: i suoi simili erano aggressivi?

Osservando i bimbi che tenevano per mano i genitori, o gli anziani seduti sul ciglio della strada, lo avrebbe certo escluso.

"D'altronde" pensava, mentre saliva su per il pendio, tendendosi a destra del sentiero "io sono quella che stava per uccidere il nonno di Kira e Noah. E tutt'ora sono convinta che avrei fatto bene a farlo. Forse la mia specie è fondamentalmente aggressiva"

Trasalì: qualcuno la stava seguendo.

Era abituata a tendere le orecchie mentre si muoveva da sola, lo aveva imparato da Kira prima ancora di costruire frasi di senso compiuto: entrambe non erano molto amate, ed era necessario guardarsi le spalle. Non aveva dubbi che ci fosse un individuo a circa quaranta passi da lei, anche se, quando si voltava, quello si nascondeva dietro uno dei tanti alberi che costeggiavano il sentiero grigio: era un gioco che aveva visto fare perfino al piccolo Noah, quando si divertiva a spaventare la sorella. E se quella zona le fosse sembrata più frequentata, avrebbe anche potuto pensare ad una coincidenza. Ma quelle pendici non attraevano nessuno, se non quelle creature meccaniche che sfrecciavano nel sentiero grigio.

Accelerò il passo: non conosceva le tecniche di combattimento locali. Per la prima volta, si sentì vulnerabile. E, purtroppo, anche l'individuo dietro di lei doveva sentirlo, dato che non si fece distanziare.

Un fruscio tra le foglie la costrinse a correre: quel tipo non era solo. Sentì i rami spezzarsi; altri arrivavano. E lei era sola. Si voltò appena per vederli in volto, senza per questo smettere di correre, dato che da ciò ne dipendeva la sua vita. Il terrore la assalì: i loro visi erano come trasfigurati; nei loro occhi, il buio. Gridò, quando due mani la afferrarono per le spalle.

-Lasciami!- urlò, in una lingua che quell'uomo non poteva e non era interessato a capire.

Aveva paura, come mai credeva che si poteva provare. Erano in cinque, alla fine, e la avevano circondata. L'uomo la spinse al centro di quel cerchio, che si chiudeva su di lei.

Fu questione di secondi, che salvarono la sua vita, per quella di sei uomini. Tirò fuori il misterioso bastone che Gauro aveva trovato, lo puntò sul petto di uno di loro, e premette il pulsante.

Non avrebbe mai dimenticato le loro urla di dolore, mentre la scarica elettrica li stritolava, uno dopo l'altro.

Due voci nel silenzio. E immagini sfocate, dove i due volti erano appena riconoscibili.

-La reazione del tuo amico è stata assolutamente spropositata- disse Numero Uno.

-Ci avete condannato all'esilio. Non potremo più tornare a casa. La sua reazione è stata naturalissima-

-Naturale per un essere umano-

-Dimenticavo! Sto parlando ad un mostro-

-Per me il mostro sei tu, Selena-

Giacomo era in uno stato di semicoscienza, un funambolo che striscia su una fune sottile per non cadere nell'oblio. Era certo però, che un paio di forbici stavano per tagliare la sua vita.

-Possiamo ricostruire i due orologi-

Selena alzò lo sguardo, come se ci credesse davvero. Poi riabbassò il capo, delusa.

-No, non è vero. Funzionano con la magia-

-Solo un essere infimo come te può ancora pensare che esista la magia. Ci sono bastati tre minuti otto secondi e tre decimi per capirne il funzionamento. Avevamo già teorizzato un salto interdimensionale da molto, molto prima che voi arrivaste qui-

-Quindi potete viaggiare tra una dimensione e l'altra?-

-Negativo-

Lei aggottò la fronte -Come? Se sapete come funzionano i Doni dei Draghi, dovreste poterli ricostruire e usarli, no?-

-In teoria, sì, e infatti abbiamo già fatto alcuni esperimenti, ma senza alcun risultato positivo. Abbiamo ipotizzato che il problema non sia nelle nostre copie, ma in noi. C'è qualcosa che ci impedisce di viaggiare tra una dimensione l'altra. Ma voi non avete questi problemi-

-Quindi è per questo che ci stavate studiando?-

-Affermativo-

Il ragazzo sapeva perfettamente che quella non era la realtà. Era più simile a una pellicola degli anni '30, rovinata, in alcuni tratti graffiata e bruciata. Ma, fosse anche un sogno, era l'unico modo per rivedere sua sorella.

-Grazie ai vostri sogni, abbiamo capito cosa ci rende così diversi: le emozioni. Adesso dobbiamo capire se sono queste a permettervi di viaggiare tra una dimensione e l'altra . E solo tu puoi aiutarci, Selena Gaspares. Facci capire se per noi è possibile cambiare, se possiamo diventare come gli umani e quindi cambiare dimensione, e potrai tornare a casa-

-Lascia almeno che dica loro dove sono!-

-Negativo, non approverebbero, e lo sai. O vieni con me ora, o mai più. A te la scelta-

L'ambientazione cambiò in un battito di ciglia: si ritrovò in uno stanzone pieno di Unità Intellettive, che tutto gli parvero fuorché minacciose.

-È un semplice riproduttore di realtà virtuale. Indossalo, e inizierà l'esperimento-

Selena prese tra le mani il casco, e osservò il suo riflesso del vetro che presto avrebbero coperto i suoi occhi.

-Almeno saprò che si tratta di una finzione?-

-Affermativo. Io stesso ti ripeterò continuamente che si tratta di una finzione-

-Non puoi togliermi il casco e basta?-

-Negativo, troppo rischioso. Un simile trauma, potrebbe avere effetti collaterali-

-Tipo?-

-Da una semplice amnesia, fino al coma-

-Avevi detto che non mi sarebbe successo niente...-

-...se avessi fatto tutto ciò che ti avrei detto. E, se ti toglierai il casco quando te lo dirò, non accadrà nulla-

-Come faccio a crederti?-

-Innanzitutto, sei troppo preziosa per morire. Oltretutto, nessuno ti obbliga. Puoi ancora cambiare idea: solo, decidi prima di indossare il casco-

"No!" pensava Giacomo "non lo fare", anche se sapeva bene che era esattamente ciò che lei avrebbe fatto.

La vide indossare quel grosso casco. Poi, uno di quei maledetti polpi giganti si mise a leggere dati da un computer, collegato al casco. Una sequenza infinita di zeri e uno che rimbombavano nella mente, mentre capiva di non vivere un semplice sogno, ma il passato, tramite occhi che non erano i suoi.

-Selena, non farti ingannare- disse Numero Uno -È un'illusione-

-Numero Uno- chiamò un'altra Unità -abbiamo un problema nei sotterranei. Qualcuno si è introdotto nella rete-

Sembrava grave, ma nessuno di loro perse la caratteristica apatia. Numero Uno si limitò soltanto a dare nuove istruzioni.

-C'è un 97,8% di probabilità che ci stiano attaccando. Aumentare la sicurezza nella sala del magnete e attorno a questa sala. Mandate qualcuno anche da Giacomo Gaspares e Carlos Sanchez: possono ancora tornarci utili. Interrompere immediatamente l'esperimento. Selena, devi svegliarti! Subito! Non abbiamo modo di prevedere cosa potrebbe succedere se le Unità Manuali interrompessero il flusso di energia prima che...-

Tutto divenne nero, e il giovane aprì gli occhi. E, straordinariamente, si sentiva bene. Si portò la mano al fianco, e vi scoprì qualcosa di metallico. Alzò il capo il tanto necessario per vedere.

-Oddio...-

La piccola Unità che aveva cullato sul suo petto e che era certo fosse morta, si era letteralmente avvinghiata alla sua milza. Giacomo si mise seduto, e la staccò, lentamente.

-Cosa hai fatto, piccolino?-

Era gelido. Lo accasciò a terra, con delicatezza, per poi strapparsi quella tuta nera. Fece male, come levarsi della pelle morta. Rimase così, a petto nudo e a bocca aperta: la ferita si era rimarginata. Era rimasta solo una cicatrice.

Si rivolse alla creatura alla sua destra, priva di vita -Non c'è rimedio per quello che è successo- sussurrò, mettendosi in piedi -Ma mia sorella voleva bene a Carlos...e se la voglio vendicare, devo fermarlo. Anche se dovessi morire per davvero, stavolta-

Prese un pezzo della stoffa che si era strappato di dosso, e lo stese sul corpicino inerte.

Era buio. Sheila correva, il bastone elettrico in mano, ma la paura nel cuore.

Aveva ucciso.

Non lo credeva possibile...non aveva mai pensato di esserne capace, se non si trattava di esseri senza scrupoli come il vecchio nonno di Kira. Lui era l'unica persona che aveva sinceramente desiderato uccidere, ma non lo aveva fatto. Poco fa, lei voleva semplicemente metterli al tappeto. Ma quando aveva preso il loro polso, non aveva sentito niente. Niente, se non il freddo della loro pelle.

E aveva preso a correre, senza una meta, e senza un motivo preciso. Aveva semplicemente paura di quello che era stata capace di fare.

La terra le mancò sotto i piedi, e scivolò in un turbinio di arbusti, a cui cercò di aggrapparsi per rallentare la caduta. I rami si spezzarono nelle sue mani, e prese a rotolare giù per quella montagna infernale, mentre qualche sasso la prendeva in pancia, la terra le graffiava i gomiti e le ginocchia, e i rami il viso.

Dopo l'ennesimo gemito di dolore, si ritrovò su un suolo soffice e friabile, che riconobbe essere sabbia, anche se leggermente più fine di quella a cui era abituata.

Rimase lì a lungo, oppressa non solo dal dolore fisico, ma anche da un nuovo dubbio. La donna della grotta l'aveva condotta lì affinché potesse scoprire la verità su se stessa; a giudicare dagli ultimi eventi, la verità era lampante.

-Sono un'assassina- ammise con un filo di voce. Dirlo con parole le fece più male di quanto le avesse fatto il solo pensarlo: significava ammetterlo al mondo intero. Lo stava ammettendo davanti a Kira, a Noah, a Gauro, a quella sabbia, a quel cielo, al mare che le sembrò di sentire a pochi metri da lei. Il mare e il cielo erano puri, ma il suo cuore no. Non lo era mai stato probabilmente, e questa le parve anche l'unico motivo che potesse spiegare perché Kira l'avesse ritrovata sola nel bel mezzo dell'oceano acido. Qualcuno, forse per salvarsi dalla sua furia omicida, o forse per vendetta, l'avrà gettata lì, e la povera Kira si era messa questo mostro in casa...

Kira...come l'aveva lasciata? Le sue grida si fusero a quelle degli uomini che aveva ucciso...e le parve di avere ucciso Kira. Come aveva potuto spezzare quel legame? Come aveva potuto, dopo che lei l'aveva chiamata sorella?

Lasciò che non solo il sangue, ma anche le lacrime bagnassero quella sabbia; paradossalmente, le ferite più profonde erano interne, all'altezza del petto, e da lì non si perdeva sangue, ma solo lacrime. Pianse, di un pianto isterico, determinato dall'inevitabile crollo di nervi: prima ha dovuto lasciare l'unica casa di cui avesse memoria, per tuffarsi in un mondo che -ahimè!- sembrava appartenerle anche troppo, se era popolato da creature mostruose quanto lei.

Una luce rossa all'orizzonte la riportò al presente. La notò subito, ma non riuscì a capire di cosa si trattasse finché non fu completamente emerso dal mare.

-La Luna...come ho potuto dimenticare...-

Erano passato pochi giorni dal plenilunio, e ora la luna sorgeva a tarda notte. Rossa come il sangue che lei aveva versato.

-Ti ho già visto?- chiese Sheila, in lacrime -O, magari, tu hai già visto me...dimmi chi sono-

Nessuna risposta. Da quando era giunta in quel posto, solo il Sole e la Luna gli erano parsi familiari.

Il fratello Sole, e la sorella Luna...

-Ora ricordo... ora so che tu già una volta mi hai ascoltato, Luna. Ci fu un tempo, non so quando, in cui io ti pregai di farmi un favore...ti chiesi qualcosa di importante-

L'immagine di Kira le balenò come un lampo -Ti chiesi un'amica vera. Una sorella. E me l'hai data-

Ricordava bene quella notte, molti anni prima, in cui aveva fatto quella preghiera.

-In fondo- continuò, asciugandosi le lacrime -a chi altri potevo rivolgermi? Per cui, Luna, ti chiedo un altro favore-

Giunse le mani, chiuse gli occhi, mentre il viso di Kira si materializzava nella sua mente.

La Luna da rossa divenne arancione, e poi gialla. Sheila, che mai più avrebbe usato quel nome, si mise in ginocchio -Grazie, sorella mia-

-Ti sembra il momento di contemplare il cielo, figliuola?- chiese una voce alle sue spalle.

Si voltò, bastone elettrico in mano -Chi sei?-

-Vengo in pace. Non ti farò del male. Ma devo sapere: hai capito chi sei?-

La ragazza deglutì, e guardò ancora una volta la Luna, con un misto di gratitudine e di rimpianto. -Io sono Selena Gaspares-

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