Le tue cavie preferite
CAP. V
Giacomo sognava si riabbracciare Patricia, quando sentì il freddo di un pavimento sulla sua guancia. All'inizio, pensò di essere semplicemente caduto dal letto; poi, ripensando alla partenza, si svegliò di soprassalto.
Due grattacieli svettavano sopra le sue teste, quasi a incontrarsi alla sommità. Si mise seduto.
Tutto attorno a lui c'erano grattacieli, ordinatamente disposti uno dopo l'altro, a formare stradine, -come quella in cui lui e gli altri si erano ritrovati- strette, buie, ma perfettamente rettilinee e perpendicolari ad altre due, una alle sue spalle, l'altra a circa sessanta metri di distanza. Svegliò sua sorella, ancora dormiente alla sua destra, e Carlos, alla sua sinistra, nella speranza che quella fosse solo una sua allucinazione, che i due avrebbero smascherato. Così non fu.
Selena strillò; Carlos rimase a bocca aperta, e dovette fare uno sforzo mentale per mantenere il sangue freddo e non abbandonarsi al panico.
-Ok...dove sono le foreste, i prati, le tre lune...dove sono?-
Quella della ragazza sembrava più un'esclamazione isterica che una domanda vera e propria.
-Non qui- fece Carlos -Questa non è la Dimensione Gamma. Non può esserlo-
-Ra-raga- balbettò Giacomo -alle vostre spalle-
Selena e Carlos si voltarono: una bizzarra creatura si ergeva statuaria a pochi metri da loro. Si guardarono l'un l'altra, quasi a verificare che entrambi vedessero quella cosa che sembrava essere uscita da una brutta copia di Star Wars. La sua forma era solo vagamente umana, nel senso che aveva due arti superiori, due inferiori, e una testa. Era il modo in cui si presentavano questi elementi a terrorizzare i giovani.
Quella creatura non aveva né braccia né gambe, ma due tentacoli inferiori, con cui strisciava, e due superiori, che appena toccavano il suolo. Completamente bianca, non sembrava risentire del peso della testa, paragonabile a un pallone da rugby, in cui erano incastonati due occhi, grandi quanto due palle da baseball, neri come la pece.
-Immobili- sillabò Giacomo -magari è innocuo-
E, in effetti, la creatura non li aggredì. Non li considerò proprio: strisciò davanti a loro nella più assoluta indifferenza. Tentacolo dopo tentacolo, i tre non mossero un muscolo finché quella non ebbe girato l'angolo. Ma non ebbero nemmeno il tempo di parlarne, che un'altra dozzina ne spuntò da ogni dove, tutti con quello strano corpo, alti almeno due metri, e tutti assolutamente indifferenti.
-Possibile che non ci vedano?-
-Non credo, fratellone. Secondo me, non ci calcolano proprio-
-Eppure dovremmo apparire loro strani, almeno quanto lo sono loro per noi-
-E questi sono strani forte-
Passavano da un edificio all'altro nell'assoluta apatia, senza rivolgersi la parola (ammesso che sapessero parlare), monotoni quanto quella curiosa metropoli.
-Magari siamo finiti da qualche altra parte della Dimensione Gamma- fece Giacomo -Ricordate? Avevamo sentito il suono del mare, quindi noi abbiamo esplorato solo un'isola-
-È difficile da credere- commentò Carlos -considerato che qui c'è il Sole-
-Come fai a dirlo? Ci sono questi palazzi...-
-Ma il cielo è azzurro- replicò indicando una porzione di cielo non nascosta dagli edifici, grigi e angusti come quella strada.
-Grattacieli e mostri bianchi- sussurrò Selena -è come se fossimo finiti in un altro mondo-
Giacomo sgranò gli occhi, quasi in contemporanea con la sorella e Carlos. Il suo respiro si fece più affannato, mentre riaffiorava un dettaglio di quella serata di gala che aveva completamente dimenticato.
-La bambina...- balbettò.
-Giacomo- fece Selena -hai messo la lancetta del tuo orologio sulla Gamma?-
-Sì che lo ha fatto- disse Carlos -l'ho visto. Non credo che l'abbia spostata!-
Quello deglutì. Era stata tutta colpa sua. Ricordava distintamente di avere spostato la lancetta sulla lettera Beta, quando quella bambina gliela aveva indicata sul quadrante dell'orologio. Cercò di formulare a parole l'accaduto, ma quelle gli morivano in bocca. Alla fine, si limitò ad annuire e a tendere il braccio, così da mostrare l'orologio dorato.
-Non mi dire...- sussurrò Sanchez, afferrando subito il polso. Selena lesse una certa sorpresa, seguita da rabbia; lasciò andare il polso per mettersi le mani in volto.
-Si può sapere che ti è saltato in testa?!- gridò, furibondo.
-È stato un incidente-
-Ma quale incidente! Si trattava solo di girare la sola unica stupida lancetta di uno stupido orologio! Non ci voleva un genio!-
-Ti ho chiesto scusa, ora datti una calmata!-
-Certe leggerezze possono costare la vita-
-Cominci ha irritarmi, Sanchez-
Vedendo che gli animi cominciavano a scaldarsi, Selena si mise tra i due, tenendoli bene a distanza l'uno dall'altro.
-Datevi una calmata, non c'è bisogno di reagire così. In fondo ci è andata bene, no? Non ci è successo niente! Questi neanche ci vedono....-
Si interruppe bruscamente. Qualcosa le stringeva la gola, qualcosa di freddo come il metallo. Tentò di liberarsi, ma si rese conto di avere braccia e gambe immobilizzate. Guardò gli altri due, e vide nei loro volti lo stesso panico che doveva mostrare lei; perché si sentivano distintamente soffocare, ma non vedevano nessuno a stritolarli.
Ed ecco, improvvisamente, che apparvero i loro aggressori: erano tre di quelle stesse creature. Erano rimasti invisibili finché non li ebbero immobilizzati, e adesso avevano gettato via quel velo.
Un senso di gelo si diffuse per le vene di Giacomo. Sentiva mancare l'aria, non riusciva a respirare, mentre il suo collo languiva sotto la stretta di quel tentacolo.
"Tutta colpa mia!" pensava "Maledizione! E questi due ci rimetteranno con me!"
Carlos era molto più tranquillo. Non si agitava come i Gaspares. Non temeva la morte. Al contrario, l'idea di porre fine ad ogni dolore lo stuzzicava. E non era la prima volta che accadeva.
Tre bottiglie di birra svettavano sul bordo della piscina, dove Carlos, seduto, ne scolava una quarta. Era una notte di luna piena, e non una notte qualunque: la mattina dopo sarebbe ritornato a scuola dopo le vacanze estive. Quest'anno, però, l'idea lo allettava già meno del solito.
Sapeva che i suoi compagni non lo avrebbero trattato come sempre; e se c'era un atteggiamento che non riusciva a sopportare, era la compassione. Pensare a venti compagni che lo compativano ogni qual volta che entrava o usciva dalla classe, che rivolgeva loro la parola o stava in silenzio, lo costrinse a berne un altro sorso.
E che dire dei professori! Sarebbero stati completamente imparziali con un orfano? E se anche lo fossero stati, i suoi compagni, se non lui stesso, non avrebbero forse pensato a favoritismi a ogni otto all'interrogazione?
Chissà poi che orgoglio per la scuola avere l'unico erede del patrimonio dei Sanchez come studente! Probabilmente, si aspetteranno qualche donazione, pensava lui, mentre finiva anche la quarta bottiglia.
-Nulla sarà più come prima- concluse, mentre gettava con rabbia la bottiglia vuota nella piscina. La osservò galleggiare, e poi inabissarsi, e per un attimo provò a immaginare come dovesse sentirsi quella bottiglia.
Fu così che si lasciò cadere nelle acque appena illuminate dalla luce della luna; nessuna esitazione, nessuna paura: solo farla finita.
La mattina dopo, nessun Carlos Sanchez si presentò a scuola.
Credette di morire, finché lui e gli altri non furono sollevati di peso sopra le loro teste bianche e portati dentro uno di quei grattacieli grigi. Nessuno di loro poté vedere dove andavano, perché rivolti a pancia all'aria, costretti a guardare quel grigio soffitto.
"Che ci vogliono fare?" pensò Selena, terrorizzata "Perché non ci stritolano e basta?"
Dopo un tempo che le parve irrimediabilmente lungo, con la minaccia di morte sul cuore, le creature li gettarono a terra, e indietreggiarono.
-Benvenuti- fece una voce, davanti a loro. I ragazzi, che ancora avevano le mani al collo da quando erano stati sciolti dalla morsa letale, alzarono appena lo sguardo, giusto per vedere un altro di quelli che Carlos aveva già battezzato come "calamari giganti avariati" in piedi, come altri nove tutt'attorno a loro, in cerchio perfetto.
-Lasciateci andare- gridò Giacomo.
-Lo faremo. Presto-
-No. Noi ce ne andiamo adesso- replicò, portando la mano destra al polso sinistro. Sgranò gli occhi, quando vide che l'Orologio dello Spazio era scomparso. Scioccati, anche Selena e Carlos cercarono la Sveglia del Tempo e l'Orologio dell'Energia: tutto inutile.
-Ridateceli!- ringhiò Selena, stringendo i pugni -E subito!-
-Se vi sforzate di collaborare, non verrà torto voi un solo capello, e tornerete a casa sani e salvi-
-Che diamine volete da noi?- chiese Carlos -Perché non ci avete ucciso?-
-Uccidervi? Perché mai? Non ne abbiamo motivo- fece la creatura -Noi vogliamo solo conoscervi. Capirvi. Studiarvi-
-Io non ho la minima voglia di farti da cavia, mostriciattolo!-
-Vi prego di calmarvi. I nostri scopi sono assolutamente pacifici. Appena una giornata qui con noi, e poi sarete liberi di andarvene-
-Perché dovrei fidarmi?- chiese Giacomo, adirato.
-Non credo che si ponga il problema: non avete scelta-
I tre si guardarono a vicenda, spiazzati. Nel loro viaggio di piacere, si era appena inserita prepotentemente una inaspettata tappa, con altrettanto insoliti personaggi, che proponevano esperienze altrettanto insolite.
-Che cosa ci volete fare?- chiese Selena -Insomma, in che cosa consisterebbero questi vostri studi? Perché usereste noi e non uno di voi?-
La creatura strisciò solennemente verso di loro, e prese a camminare in cerchio attorno a ognuno di loro.
-Il nostro unico scopo è la conoscenza. Noi siamo nati per svelare ogni segreto di questo mondo- rispose, mentre fissava Selena. Quegli occhi grandi e neri la mettevano a disagio, e l'idea che questi potesse avvertire il suo disagio la innervosiva anche di più.
-E abbiamo già scoperto tanto. L'ultima incognita sono le emozioni. Cosa sono e cosa si prova? Cosa le provocano? Come funzionano? Sono negative o positive?-
Era arrivato a Giacomo, impietrito. Come facevano quegli esseri a non conoscere le emozioni? Possibile che non ne provassero? Possibile che fossero tutti imperturbabili come sembravano?
Invece, quando fu Carlos a incrociare quello sguardo, quel pozzo buio senza fondo, non ebbe paura.
Trovò i loro occhi estremamente simili.
-Come ti chiami? Qualcuno si è degnato di darti un nome?-
-Io sono Numero Uno. Così sono identificato-
CAP. VI
-Come vi chiamate, generalmente?- chiese Carlos -Insomma, se io sono un umano, tu che sei?-
-Noi tutti siamo Unità Intellettive-
Mai che nella voce di Numero Uno si scorgesse una nota di passione, di coinvolgimento personale. Ed era proprio questo che più metteva a disagio Giacomo: erano disumani. E cosa avrebbero potuto fare loro, se li tenevano in trappola?
-A che genere di esperimenti ci sottoporrete?- chiese Selena.
-Verrete interrogati, uno ad uno -
-E poi ci ridarete la nostra roba?
-Affermativo-
Dopo dieci rampe di scale, Numero Uno li condusse finalmente in una stanza, che a Giacomo ricordava quelle usate per gli interrogatori nei film polizieschi, con tanto di vetro per assistere all'interrogatorio.
-Inizieremo da te- fece, rivolto a Giacomo -Entra-
Il ragazzo obbedì: passo dopo passo, entrò assieme a Numero Uno nella stanza, cui porta fu chiusa immediatamente dopo. Selena vide chiaramente le labbra di suo fratello muoversi, ma lei non udì nulla.
-Non si sente niente- asserì, turbata -Vediamo che succede, ma non possiamo intervenire-
-Non ti preoccupare- fece Carlos -Spaccherò questo vetro, se necessario-
Intanto, Numero Uno invitò Giacomo a sedersi sulla sedia bianca alle sue spalle.
-Ti aiuterà a rilassarti-
-Non sono nemmeno sicuro di volermi rilassare-
-Si tratta solo di rispondere ad alcune domande-
-Come vuoi. Spara-
-Quale è stato il momento più bello di tutta la tua vita?-
-Ah! Questa è facile! Quando ho segnato il punto decisivo alla finale di...-
Non riuscì a finire la frase, che un dolore lacerante alla testa lo costrinse a urlare. Cadde in ginocchio, con gli occhi fissi in quelli di Numero Uno, occhi bui in cui si rifletteva l'immagine di quel ragazzo spaventato.
-Giacomo! Giacomo!-
Selena si precipitò sulla porta, ma non c'era verso di aprirla. La prese a calci, e lo stesso faceva Carlos col vetro, nella speranza di aprirsi un varco e porre fine alla tortura. Fu tutto inutile. Giacomo si perse letteralmente negli occhi dell'Unità, occhi in cui cominciò a scorgere altro; non più il proprio riflesso. Un'immagine più articolata, e molto familiare.
-Sono distrutto!- esclamò Giacomo, sedendosi all'ombra di quello che sembrava essere un grande faggio. Patricia, altrettanto stanca, si mise al suo fianco.
-Non credi che Tar oggi sia particolarmente bella?-
Giacomo alzò gli occhi al cielo, ma non riusciva a scorgere la luna.
-Non la vedo. Sicura che non te la stai sognando?-
-Guarda e proprio lì-
-Lì dove?-
Alla fine, Patricia accozzò la sua guancia a quella del giovane, che arrossì (e ringraziò il cielo che nella Dimensione Gamma fosse sempre buio e lei non vedesse il suo rossore), portò la mano al suo polso, e con quello indicò una sottilissima falce di luna, proprio sopra le loro teste.
-Tar sta per riprendere il suo viaggio-
-Cosa?- chiese quello, confuso.
-È un nostro mito. Si racconta che Tar, Jar e Kar in origine fossero tre fratelli, separati dalla nascita, ma uniti nella mente. Solo una volta ogni settanta cicli si ritrovano, per poi separarsi nuovamente-
-Non credi che sia tremendo? Doversi separare da chi si ama?-
-Ricorda: erano separati, ma le loro menti...-
La maga si era assopita, con stupore dello stesso Giacomo, che rimase incantato a vederla dormire. Il suo corpo esalava respiri dolci e soavi, così flebili, che gli sembravano sussurri. La vide però tremare, così le mise il braccio attorno al collo, per riscaldarla.
Quella notte non dormì, drogato dal profumo dei suoi capelli sulla sua spalla.
Giacomo si riebbe dal flashback, e si scoprì madido di sudore. Guardò esterrefatto Numero Uno.
-Cosa mi hai fatto?-
-Mi sono solo preso la risposta alla mia domanda, dato che tu stavi mentendo. Davvero, voi umani siete impressionanti: a che serve mentire?-
-A evitare che uno come te si faccia i cavoli miei-
-Non cerco cavoli. E nemmeno menzogne-
Giacomo si rimise seduto.
-Voglio solo la verità. Se mi mentirai, lo saprò, e allora mi risponderò da solo-
-Come vuoi. Vai con la prossima-
-Quale è stato il momento peggiore della tua vita?-
Il ragazzo digrignò i denti. Non voleva rispondere; era troppo personale. E l'idea di condividere un punto debole con quel mostro (perché era così che ormai lo definiva) lo faceva rabbrividire.
Ma non voleva più provare un simile dolore. E, poi, non c'era nulla di così sorprendente, no?
-Quando una mattina ho trovato il letto di mia sorella vuoto: era scappata di casa-
-Interessante. Un'ultima domanda: hai provato dolore?-
-Sono stato male, sì. Chissà cosa le poteva succedere!-
-Capisco-
-Ne dubito-
-Sto capendo. Va bene, con te ho finito-
Numero Uno lo scortò all'ingresso; non appena aprì la porta, Selena si precipitò ad abbracciarlo.
-Cosa ti stava facendo?-
-Qualsiasi cosa ti chieda, di' solo la verità-
-Entra-
Selena obbedì, a malincuore.
-Siedi-
-Preferirei rimanere in piedi-
-Siedi-
Non se lo fece ripetere una terza volta, intimorita dagli oscuri poteri di quella creatura.
-Di quale azione vai più fiera?-
La ragazza sorrise -Questa è facile. Una volta ho messo in pericolo la mia vita per Giacomo; sono andata dritta dritta nella tana di un mago spietato! Certo...poi ho scoperto che era una trappola...-
-Curioso. Davvero curioso-
-Cosa?-
-Non stai mentendo, nonostante ci sia un'evidente contraddizione. Come si può andare fieri di un errore?-
-Semplice: ho sbagliato nelle intenzioni più nobili-
-Interessante. E, dimmi, di cosa sei meno fiera? Quale tua azione ti ha mai fatto provare maggiore disgusto per te stessa?-
"No, questo no" pensò, rabbiosa "non se ne parla proprio"
-Ho mentito a mia madre, le ho detto che andavo al cinema con un' amica e, invece, ci sono andata con un tipo-
Per un attimo, per un solo attimo, pensò di averlo ingannato. Poi, una luce sinistra in quegli occhi apatici, e una fitta alle tempie. Urlò dal dolore, stringendosi a riccio nelle ginocchio.
-Selena, no!- urlò Giacomo, dall'altra parte del vetro. Non lo sentì. Non sentì né vide più nulla, solo uno squarcio nel presente che la riportava al passato.
Era una mattina come un'altra. Selena andava ancora alle medie, a piedi. Quella mattina, però, una voce la costrinse in mezzo al cortile, incerta sul da farsi.
-Lasciami!- sentì gridare. Era una voce femminile.
-Dammi soldi!- sentì dire. Conosceva molto bene la seconda voce. Strisciò per il muro, si sporse e vide, dietro un albero, una ragazza che teneva l'altra per il colletto della camicia inchiodata al tronco.
-Vanessa- sibilò Selena. Conosceva quella ragazza, aveva dato problemi anche ad altri suoi compagni, a lei no. Solo perché non si era mai fatta notare più del necessario, anzi; tendeva a passare per invisibile.
-Non ho niente!- gridò la piccola, in lacrime -Lasciami! Mi fai male!-
Un eroe sarebbe intervenuto. Una persona comune avrebbe chiamato un professore.
Selena non fece nulla di tutto ciò. Si voltò ed entrò nella scuola, i suoi passi scanditi da quella voce stridula e lamentosa, e tutta la sua coscienza che naufragava nell'oceano di lacrime che la ragazzina versava per la paura.
"Non è compito mio intervenire" aveva pensato, una volta arrivata in classe.
"Era lei che doveva difendersi"
"Ma allora perché sto tanto male?"
La ragazza si riebbe come da un incubo. Tremante, squadrò Numero Uno.
-Hai finito?-
-Sì. Fa' venire Carlos. Poi vi restituirò i vostri oggetti e avrete a disposizione una stanza dove riposare prima della partenza-
-Sei un mostro-
-Pensavo giusto lo stesso di te-
Era una stoccata che non si aspettava, dato che la ricollegò ingenuamente a ciò che l'Unità aveva sicuramente visto nella sua mente. Uscì dalla camera a capo chino; fu il turno di Carlos.
-Cosa mi vuoi chiedere, scherzo della natura?-
-Ti farò solo due domande- rispose Numero Uno -Dopodiché, vi restituiremo i vostri oggetti-
-Bene. Spara-
-Quale è la persona a cui più tieni?-
-Che domanda è? Non la conosci tanto!-
-Hai ragione. Sarò costretto a vedere nella tua mente-
Carlos scattò in piedi, colmo di rabbia -Ci devi solo provare, pezzo di...-
Stava già allungando le mani su quel sinuoso collo bianco, quando una fitta alle tempie lo costrinse in ginocchio. Urlò dal dolore, lottò perché quella strana presenza non si insinuasse come una serpe nella sua memoria: fu tutto inutile.
Un fuoco da campo gettava una luce rossa sul viso di Wert, un viso sereno, che Carlos ammirava estasiato. Era sdraiato sul prato, con la testa posata sulle sue ginocchia.
-Dovremo muoverci, sai?- disse lei -Devi raggiungere i Monti dei Draghi-
-Non c'è fretta-
-Abbiamo poco tempo-
-Non importa-
-Non ti importa se rischi di non poter tornare a casa?-
-Io sono a casa, amore-
Wert sorrise, e si chinò a baciarlo.
-Maledetto!-
Appena tornò al presente, il ragazzo batté i pugni a terra, sconfitto.
-Sei soddisfatto, adesso?- sussurrò, sommesso.
-Non ancora. Manca una sola domanda. Siediti-
-No, grazie. Sto in piedi-
-Chi odi maggiormente?-
-Fino a ieri, Dio, ammesso che esista. Poi ho conosciuto te...-
-Sono soddisfatto. Se esci, troverai Numero Trentasei che vi porgerà uno scrigno. Aprilo-
Carlos rimase ancora un attimo a osservare Numero Uno. C'era qualcosa di estremamente inquietante in quei occhi scuri, qualcosa a cui non riusciva a dare nome. Non era nemmeno certo che esistesse un nome per quella sensazione, solo mille aggettivi: inquietante, perturbante, buio, freddo, raccapricciante...sì, davvero tanti. Poi guardò lo specchio, dove il suo viso spento si rifletteva come sulla superficie di un lago. Con orrore, si accorse che il mostro si era messo al suo fianco, e fissava come lui lo specchio.
-Che fai? Perché mi imiti?-
-Cerco di capire cosa guardi, dato che non puoi vedere i tuoi amici fuori-
-Guardo me stesso. Mi specchio-
-Perché? Hai scordato le tue sembianze?-
-Non lo so-
Diede un'altra occhiata a quel ragazzo dalle occhiaie e capelli arruffati -Non mi riconosco più-
Uscì; Selena si precipitò ad abbracciarlo.
-Stai bene?- gli chiese, evidentemente in ansia.
-Potrei stare meglio-
Non gli ci volle molto per notare una Unità, che tendeva loro una scatola bianca con i fini tentacoli.
-Questa è per voi-
Giacomo afferrò la scatola e la aprì. Un sorriso splendette come il sole di agosto, quando poté rimettersi al polso l'Orologio dello Spazio; Selena prese tra le mani la Sveglia del Tempo, Carlos si rimise l'Orologio dell'Energia.
-Giacomo, mettilo sulla Gamma-
Quello obbedì. I tre parvero in attesa di qualcosa, ma non accadde nulla.
-Perché non ce ne stiamo andando?-
-Credo che sia per la Sveglia- fece Selena -Bisogna metterla almeno sull'Uno perché funzioni. Come se dovesse caricare la batteria-
Spostò la lancetta sulla prima tacchetta, sospirando -Dovremo aspettare almeno un'ora-
-Maledizione! Non vorrei stare qui nemmeno un secondo più-
-Calmati, amico!- disse Giacomo, mettendogli una mano sulla spalla -ormai è solo una questione di tempo-
-Non mi fido- sibilò, innervosito.
-Vi invito a riposarvi- disse Numero Uno, alle loro spalle -Abbiamo una stanza allestita per gli ospiti. Potrete riposare prima della vostra partenza-
Carlos scosse appena la testa. Selena alzò appena le spalle, come a dire che poco cambiava, a quel punto.
-Vediamo questa stanza, allora- fece Giacomo.
Li scortò al piano superiore, in una stanza in fondo al solito corridoio. Una porta in acciaio, nessuna serratura, nessuna chiave.
-Vi serve altro?-
-No. Lasciaci soli-
Numero Uno obbedì senza mostrare esitazioni o risentimento.
La camera presentava tre letti di metallo, rettangolari. Selena si sdraiò, già pregustandosi l'incontro con Zares. Perché ormai era convinta: lo voleva rivedere. La delusione che aveva provato quando aveva scoperto di essere finita nella dimensione sbagliata le aveva svelato la sua segreta ansia di parlargli ancora, di stare con lui. E avrebbe cullato quel desiderio in silenzio finché non si fosse realizzato.
Giacomo approfittò subito per dormire, anche se l'idea di quei mostri al di là della porta lo inquietava. Confidava però sul suo proverbiale "sonno leggero".
L'unico che non sembrava avere voglia di dormire era Carlos, in piedi, spalle al muro.
-Perché non provi a riposarti?- sussurrò Selena, dal letto di fronte a lui.
-Ho paura di sognare Numero Uno-
-Perché dovresti? Tra poco rivedrai Wert, no? Ma se non dormi un po', l'attesa ti ammazzerà!-
-Questo è vero. Sì, hai ragione: devo pensare a Wert. Solo a lei-
Si sdraiò sul letto al centro; Selena si voltò dalla sua parte.
-Posso farti una domanda?-
-Certo-
-I Doni dei Draghi ci fanno viaggiare da una dimensione, ma si parte sempre insieme, perché funzionano insieme. Ma se non fosse così, se tu potessi restare lì quanto vuoi e noi andarcene...-
-Mi stai chiedendo se rimarrei per sempre con Wert?-
Lei annuì -Sì. Non per altro, ti capirei-
-Non lo so. Insomma, nelle favole c'è sempre il "e vissero per sempre felici e contenti". Ma la vita non è una favola, Selena. Non lo è proprio. E ho paura che dopo un po' lei si stufi di me-
-O tu di lei-
Carlos sorrise -Questo è impossibile. Come è impossibile che io possa stare con lei senza intrappolare anche te e Giacomo nella Dimensione Gamma-
-Lo so. E mi dispiace- disse lei, sbadigliando.
-Dovresti andare a dormire, sei stanca-
-Sì, si, voglio solo dirti...che ci sarò sempre per te-
Non poté aggiungere altro che crollò, esausta.
Carlos si alzò, si tolse la giacca nera e gliela mise sopra, sulle spalle; osservò in silenzio quella amica che negli ultimi tempi si era rivelata tanto preziosa.
-Grazie- sussurrò.
CAP. VII
Carlos, Selena e Giacomo si risvegliarono al suono di una dolce melodia.
-Siamo arrivati?- chiese lei, stordita. Si guardò attorno: era nel bel mezzo di un prato verde e fresco, ai piedi di una scalinata bianca come la neve. Alle loro spalle, una foresta fitta. Sopra le loro teste, due falci di luna e una al primo quarto. Diede alcuni scossoni agli altri due.
-Siamo arrivati!- gridava, emozionata. Carlos si svegliò di soprassalto.
-Accidenti! È vero!- esclamò, scattando in piedi -Ci siamo!-
-Zitti...voglio dormire- sussurrò Giacomo. Selena gli diede un pugno sulla spalla.
-Ahi! Mi hai fatto male!-
-Alzati, dormiglione! Siamo a destinazione! Non vorrai che la maghetta ti trovi con i capelli scompigliati, vero?-
-Cosa?!-
Scattò in piedi e prese a passarsi la mano sui capelli biondi -Adesso va meglio? Eh?-
Carlos intanto osservava il palazzo, con un leggero rimpianto per un tempo lontano.
-Questo è il palazzo di Wert-
-Ne sei sicuro?-
-Si, Selena, ci sono già stato- sussurrò, mentre ricordava di avere stretto tra le sue braccia Wert, proprio sulla torretta che li sovrastava -È un flauto questo, giusto?-
-Si, ci sarà una festa. Anche gli elfi festeggiano, ogni tanto!-
-Così pare. Senza di te, non entro, però!-
-Va bene- fece lei, prendendolo a braccetto -Giacomo, noi entriamo-
-Sì, sì, io vi raggiungo tra un secondo- disse, mettendosi bene l'abito.
Carlos e Selena salirono, cercando di mascherare l'emozione. Entrarono sotto la sorveglianza di due grandi draghi in oro massiccio che con le loro fauci sovrastavano l'ingresso. Una musica di flauti e tamburi si era diffusa per tutto il corridoio.
-Cosa credi che stiano festeggiando?-
-Non so. Forse Wert avrà avuto qualche nuova carica militare-
-Ah, già, dimenticavo che lei combatte-
Passarono oltre una dozzina di porte chiuse, sorvegliate ciascuna da una guardia; solo un grande portone, proprio di fronte a loro, sembrava invitarli alle danze, con quella musica e gli invitati che già cominciavano a scorgersi. I due affrettarono il passo, impazienti.
-Credi che lei stia ballando con qualcuno?-
-Dubito. In effetti non riesco proprio a immaginarmela senza un pugnale in mano-
-Esagerata! Casomai lo mette sotto l'abito-
-Ah, beh, questo sì che cambia tutto...-
Una cinquantina di elfi riempiva la sala, grande quanto una palestra, mentre circa venti coppie ballavano al centro della pista, guidate dalla musica dei flautisti come i ballerini di un carillon, eleganti nei movimenti, dolci nel modo di dare e riafferrare la mano della compagna, decisi nel posare l'altra sulla sua schiena, per poterla stringere a sé e poi farla ancora volteggiare.
Gli elfi indossavano abiti bianchi, neri o azzurri; le elfe, rigorosamente variopinti, partendo dal decolté, fino all'orlo dei vestiti semplici e leggeri come l'aria.
-Non vedo Wert- fece, affranto.
-Perché cercarla, quando puoi essere tu a farti trovare?-
Lo prese per mano, e lo portò al centro della sala, dove danzavano altre otto coppie.
-Se balliamo, lei ti vedrà subito, no?-
Carlos annuì, mettendole una mano sul fianco, e l'altra nella sua, imitando goffamente gli altri elfi, in una sorta di waltzer, dove però si cambiava verso ogni tre giri, così da volteggiare a cerchio.
-Siamo frane!- fece lei, ridendo.
Lui sorrideva. Si stava divertendo. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che si era divertito?
Probabilmente, troppo. E se stava succedendo ancora, lo doveva solo a Selena.
-Grazie-
-Di cosa? Perché ti ho concesso di ballare? E, poi, ballare! Ti sto pestando i piedi!-
-Non solo. Per tutta questa estate, tu mi sei stata vicino. E non credo di averti ringraziato abbastanza, tutto qui. Solo questo-
Ci fu un momento in cui Selena alzò gli occhi da terra, e incontrò i suoi, e si sorprese di scoprirli così vivi! E quello che più la scioccava, era che vedere i suoi occhi così accesi, le provocava una gioia indescrivibile, come se lui la avesse contagiata. Sorrise di riflesso, e rimasero così, imbambolati a sorridere come due ebeti, quando un suono di tromba fermò le danze, la musica, fece calare il silenzio e li risvegliò dall'incanto.
Un elfo, un po' panciuto e vestito completamente di bianco, prese un grosso respiro, mentre la folla degli invitati si apriva in corrispondenza di una porta che si stava giusto spalancando alle sue spalle. Oltre la soglia, una scalinata che portava direttamente al piano superiore.
-Salutiamo la nostra regina!-
Carlos osservò quelle scarpette bianche scendere gli scalini, appena nascoste dal vestito azzurro, che delineava il fisico snello della donna.
-Chissà chi è...- fece Carlos.
-Non lo sai?-
-No davvero!-
Ecco che mentre la regina scendeva, si distinguevano le sue mani fini, come le braccia affusolate, stese lungo i fianchi.
-Sembra molto bella- fece Selena.
-Ho già visto quelle mani...-
E infine, dalla pancia, al seno, sino al mento nobile e candido. E il viso.
-Non ci credo!-
-Wow!- riuscì appena a dire, il ragazzo.
Sulla soglia, una loro vecchia conoscenza riscuoteva gli inchini dei presenti.
-Salutiamo tutti la Regina Wert!-
L'elfa rivolse un modesto inchino agli invitati; alzò gli occhi, e fu allora che incrociò lo sguardo di Carlos, ancora inebetito.
-Dille qualcosa, dai!-
-C-cosa? Non ci sono parole...-
Un sorriso increspò appena il labbro della Regina, che batté subito le mani, facendo così ripartire le danze. Non rivolse una sola parola a Carlos, circondandosi invece di dame dalle pettinature architettoniche (Selena avrebbe giurato di vedere un Arco di Trionfo sulla testa di una di loro).
Selena lo prese da parte, prima che i ballerini li travolgessero nella loro irrefrenabile danza.
-Credi che non ti abbia visto?-
-No, mi ha anche sorriso...credo-
-Credi? Insomma, fatti avanti!-
-Ok, hai ragione-
Prese un lungo respiro, e percorse a grandi passi il salone, cercando di immaginare cosa le avrebbe detto. Non che non ci avesse già pensato; solo, non credeva che l'avrebbe rivista ad un ballo. Vestita di gala, per giunta! E in qualità di regina! Era semplicemente spiazzato: come ci si rivolge a una regina? Come si invita una regina a uscire? Aveva già fatto una faticaccia quando era solo una principessa! Ora aveva diritto di vita e morte su tutti, lui compreso. Lui più di tutti, considerati gli sguardi torvi che lo seguivano: evidentemente non erano abituati ad avere stranieri a quelle feste.
Arrivò finalmente alle sue spalle; alcune elfe la informavano sulla moda del momento: collane di metallo. Rimase sorpreso dall'attenzione che Wert riusciva a fingere; anche più scioccato quando riusciva anche a replicare qualcosa.
-Wert- chiamò timidamente. Lei non si voltò.
-Wert- ripeté, più forte. Esasperato, le posò delicatamente una mano sulla spalla nuda.
Calò il silenzio; le dame si portarono le mani al viso, gli uomini sguainarono la spada. Carlos sentì il panico opprimergli i neuroni.
-Oltraggio!- gridò qualcuno dietro di lui.
Il ragazzo si guardò attorno, in cerca di Selena. Non c'era. Wert neppure si voltò; lui rimase per un ultimo secondo così, i suoi occhi che indugiavano sulla sua nuca, e la mano sulla spalla.
-Catturatelo!-
Con uno sforzo che gli parve titanico, rinunciò a quel contatto e fuggì per la scalinata da cui era scesa la regina; il suo cuore batteva il ritmo dei suoi passi. Non aveva mai pensato che un cuore spezzato continuasse a pulsare. Non credeva nemmeno ti poter salire delle scalinate tanto in fretta.
Non credeva nemmeno che il loro incontro sarebbe stato così disastroso.
"Maledizione, Selena, dove ti sei cacciata?"
Carlos era ormai alle spalle di Wert, quando una voce parlò a Selena.
"Esci fuori dalla sala" sentì dire. Si guardò attorno: nessuno aveva parlato.
"Non posso credere che non ti sia ancora abituata"
Sorrise, quando avrebbe voluto saltare dalla gioia. Uscì in fretta dalla sala, la musica che si faceva più debole, il brusio degli invitati più sommesso.
Si guardò attorno, impaziente. Ma sembrava che non ci fosse nessuno.
"Me lo sarò sognata" pensò, afflitta. Lo pensò solo per un attimo, finché non sentì un respiro sulla sua nuca. Un respiro che conosceva, che in tante occasioni aveva già sentito sulla pelle, come un dolce tepore. Deglutì.
-Zares...sei tu?-
-Mi sei mancata-
Senza più esitazioni, Selena si voltò, e si ritrovò il viso dell'elfo di fronte.
"Occhi azzurri, biondo, un sorriso da sogno. Se non è lui!"
-Anche tu mi sei mancato. Facciamo due passi? Non mi piace qui- aggiunse, accennando alle guardie nel corridoio -sai, è un po' troppo affollato-
-Ok, allora usciamo-
Fece per uscire dall'entrata principale; Selena lo fermò.
-Non è una buona idea!-
L'elfo la guardò storto -Perché mai?-
-Vuoi che mio fratello ti stacchi la testa a morsi?-
-Non gli sto simpatico, eh?-
-Ti considera uno psicopatico. E la balestra che stai cercando di nascondere nella casacca non fa che confermare la sua tesi...-
-L'hai notata-
Zares estrasse una balestra di circa trenta centimetri da sotto la casacca grigia.
-Devo dedurne che tu stia cercando ancora di uccidere Wert-
-Precisamente. Mi è andata male-
-Non ho dubbi. L'ho vista poco fa-
-Lo so. C'ero anche io-
-E allora com'è che non ho visto frecce volare?-
-Perché c'eri tu- rispose, prendendole la mano.
Una guardia alle sue spalle tossì appena. Selena sentì le guance andare in fiamme.
-Davvero. Andiamo a farci un giro-
Zares percorse il corridoio a destra, oltrepassando l'ingresso della sala, per poi uscire da una porticina di metallo appena dischiusa, come apparsa dal nulla. In pochi passi, si ritrovarono sotto le stelle.
-Bella la notte, vero?-
Selena annuì. Zares le teneva ancora la mano.
"Non capisco, è diverso. Non era mai stato così dolce. Sono spiazzata"
-Quindi, non sei riuscito a ucciderla perché c'ero io in mezzo, giusto?-
L'elfo prese a sedersi all'ombra di un cipresso; Selena si fece guidare, e si sedette sull'erba fresca, a fianco a lui.
-Non è esatto, e lo sai. Non l'ho fatto semplicemente perché c'eri tu. Perché tu ci sei, e non mi devi vedere mentre uccido-
Ecco il genere di risposta che aveva sempre sognato di sentirgli dire e che non riusciva a credere che avesse detto. Si morse le labbra carnose, in un vano tentativo di non far trasparire troppo il suo entusiasmo, e strinse anche più forte quella mano callosa.
-Come passi le tue giornate?-
-Lavoro da un armatore. Sai, è molto vecchio, e sperimento le sue armi, mentre lui mi insegna il mestiere. È un bravo uomo. E tu?-
-Io cerco di arrivare al diploma indenne-
Zares sorrise -Il ché non deve essere facile!-
Selena aggrottò la fronte: non credeva che lui sapesse cosa fosse un diploma. Ma non era molto interessata, anzi; era contenta di scoprire che era possibile un dialogo!
-Qual è la tua materia preferita?-
-Astronomia, senza dubbio. Conosco anche alcune costellazioni-
Stavolta fu lei a trascinarlo per le mani, e a portarlo lontano dall'albero, nel bel mezzo della prateria.
-Sdraiati, dai-
Quello obbedì; Selena si stese affianco a lui, e prese a indicargli le costellazioni.
-Vedi quel rettangolo?-
-Sì, credo-
-Quello è il Gran Carro-
-A me non sembra un carro-
-Manco a me, se è per quello. A me ricorda una padella!- rispose, prendendogli la mano. Zares la strinse forte, con sicurezza.
-E vedi quella linea spezzata? Quello è il Drago!-
-Ma gli mancano le ali! È più un serpente, quello!-
-Questo è vero!- disse lei, ridendo. Si voltò a guardarlo -Assolutamente vero-
Non si era mai sentita così serena con lui. Per la prima volta, non c'era odio negli occhi dell'elfo; solo una sincera voglia di restare lì, insieme, tra quei fili d'erba che accarezzavano le orecchie a punta. Selena portò le dita sull'orecchio destro di Zares, orecchio che divenne appena arancione a quel semplice contatto. La ragazze sorrise.
-Carlos mi ha spiegato che gli elfi quando sono imbarazzati, fanno così-
-E voi, invece?-
-Noi arrossiamo, generalmente-
-E cosa devo fare io per farti arrossire?- fece lui, facendo scorrere la mano dal suo palmo sino ai capelli castani. Fu allora che negli occhi di Zares cambiò qualcosa. Non era più nostalgia, affetto, tenerezza. Non solo. C'era anche qualcosa altro, una luce nuova che la intrigava e intimidiva allo stesso modo. Più per disagio che per paura, si mise seduta e poi in piedi; tornò all'ombra dell'albero come in cerca di protezione.
-Selena, è tutto apposto?- fece lui, venendole dietro. Selena non rispose. Non lo sapeva. Non capiva più niente. Perché finalmente aveva visto nel suo sguardo quello che aveva sperato vedervi da mesi, e ora che era successo non le sembrava vero.
"Desiderio" pensò "Passione. Lui mi vuole"
Si voltò di scatto; due passi decisi e si trovò di fronte a Zares. Fece scorrere le mani dal petto alle spalle; sorrise, vedendolo deglutire.
"E io voglio lui" pensò, poco prima di baciarlo.
CAP. VIII
Giacomo non era entrato a palazzo; poco dopo che Carlos e Selena ebbero varcato la soglia, quando ormai si accingeva a seguirli, una voce alla sua spalle lo tenne ancorato all'ombra del palazzo.
-Cercavi me?-
Si voltò, sorpreso -Patricia?-
La maga stava lì, spalle all'albero, di profilo; un profilo sinuoso che Giacomo studiò con discrezione, estasiato. Non indossava la solita tunica a sacco, ma una casacca legata con una fascia al di sotto del seno florido, che delineava i fianchi, gambe, sino alle ginocchia. Un sorriso accattivante lo trascinò verso di lei.
-Mi sei mancata, sai?-
Non volle perdere tempo: posò una mano sul tronco dell'albero, con l'altra le sfiorava il viso.
-Anche tu. E tanto-
-Abbiamo un discorso in sospeso, io e te, vero?-
-Non so, non ricordo- sussurrò Patricia, scivolando via nella foresta. Prese a correre.
-Aspetta! Dove vai?-
Giacomo le venne dietro. Non la ricordava così sensuale nella voce, nelle movenze, perfino nel modo di arricciare le labbra e sorridere. E perfino adesso che correva, era irresistibile anche con i capelli spettinati.
-Fermati, dai!-
Lei rise -Tanto non mi prendi!-
Era un gioco, un gioco stupendo e tremendo allo stesso tempo, perché ad ogni passo che lo avvicinava a lei, infiniti altri la separavano da lui. A momenti poteva prenderle la mano, ma ecco che quella sfuggiva ancora, finché non la perse di vista.
-Dove sei?- chiese, guardandosi attorno. Era nel bel mezzo della Foresta Fatata, una foresta fitta e in cui era certo di essersi perso.
-Sono qui-
Fece appena in tempo a vedere un'ombra, e nient'altro.
-Vieni qui, dai!-
-Non ci penso proprio! Ci hai messo troppo a tornare!-
-Credi che dipendesse solo da me?-
-Certo non da me! Tu puoi decidere quando tornare; io, invece, devo solo aspettare-
Un barlume di speranze illuminò il viso del ragazzo -E tu mi hai aspettato?-
-Può darsi- rispose lei, quasi indispettita di quella ammissione -E tu?-
Giacomo prese un lungo respiro, e chiuse gli occhi.
-Non ho fatto che pensare a te. So che sembra una di quelle stupide frasi prese dal copione di un film di quart'ordine, ma è così! Ti vedevo ovunque, a occhi chiusi e aperti, nelle nuvole o tra la folla. Ti vedevo perché ero io a pensare a te e a desiderare che tu fossi lì con me-
-Potevi tornare anche il giorno dopo-
-Non scordare che mia sorella ha rischiato la vita qui. E pure io, Patricia. L'unico motivo per cui sono tornato sei tu. Ho chiesto esplicitamente a Selena di rischiare e tornare qui, sono stato un puro e semplice egoista, e non ne vado fiero-
Un leggero tepore gli scaldò il viso; aprì gli occhi, e scoprì Patricia che carezzava la sua guancia.
-Sì, mi sei davvero mancata-
-Questa volta che farai? Resterai con me?-
-Non posso e lo sai-
-Allora mi spieghi perché diamine sei tornato?-
-Per stare con te! Ma che domande sono?-
-Non capisci che così mi illudi e basta?-
-Non possiamo semplicemente stare insieme e goderci l'attimo? Senza pensare a cosa farò domani o tra una settimana?-
-È facile per te!- esclamò la ragazza, dandogli le spalle e incrociando le braccia -Scegli tu quando tornare e se tornare!-
-Ti assicuro che non sono felice neanche io. Ma non posso farci niente. Ti amo-
Quanto gli riuscì naturale dire quelle due parole! Una naturalezza che aveva solo sognato! I due si abbracciarono forte, e la maga sussurrò quelle stesse due parole al suo orecchio. Giacomo la baciò, mentre la felicità assumeva un nuovo significato.
Carlos era in una camera da letto, con tanto di letto bianco a baldacchino e specchio di fronte a una scrivania, dove trovò, paradossalmente, un arsenale di coltelli e pugnali, e un'ascia posata al muro.
-Non dovresti essere qui, sai?- disse qualcuno, spalancando una seconda volta la porticina da cui era entrato lui. Ebbe un sussulto: era Wert. L'aveva riconosciuta dalla voce, non si era voltato. E non aveva la minima intenzione di farlo.
-Mi hai completamente ignorato-
-Non potevo fare altrimenti-
-Ma fammi il favore! Sei la Regina, no? Una parola e non avrebbero cercato di uccidermi-
-Ma tu non saresti mai venuto qui-
Sentì la mano leggera dell'elfa sulla sua spalla. Deglutì, quando gli sfiorò il collo abbronzato.
-Non è stato altro che una fortuna-
-Cosa? Che tu abbia varcato proprio quella porta da cui sono scesa io, o che le guardie non abbiano osato seguirti nelle stanze della loro regina?-
-Non verranno a cercarmi qui?-
-Ho detto loro che ti avrei ucciso io-
-E lo farai?-
-Magari dopo- sussurrò, sfilandogli la giacca nera. Carlos si voltò e la prese finalmente tra le braccia. Lei lo baciò dolcemente sulle labbra, per poi mettersi alla finestra, e lui alle sue spalle.
-Ho visto un profondo dolore nei tuoi occhi, Carlos. Che ti è successo? Dov'è il ragazzo pieno di vita che ho conosciuto tre mesi fa?-
-Temo che se ne sia andato al funerale dei miei genitori-
La ragazza sgranò gli occhi, e non tardò ad abbracciarlo, quasi a voler dividere il suo dolore pur di alleggerire quel suo fardello.
-Non ho diritto di chiedere la tua consolazione. Tu li hai persi come me e molto prima di me. E non credo che abbia reagito così male-
-Allora la mia non è altro che comprensione: so cosa provi. E credo che sia esattamente per questo che tu sei venuto da me oggi-
-Sì, forse. Cambiamo argomento, che dici?-
-Non voglio parlare, Carlos. E nemmeno tu-
Lo baciò ancora, e fu un bacio imperioso. Più del solito. Più di quanto lui non ricordasse, così come non la ricordava così passionale. Non riusciva a pensare, nemmeno credeva che potesse essere importante pensare! In fondo, non aveva passato mesi a pensare, a struggersi, a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lui e della sua vita? Che c'era di male se smetteva di farsi male, e tornava a vivere?
Wert prese a sbottonargli la camicia, Carlos se la sfilò con foga.
-Sei sicura?- sussurrò.
-Come mai in vita mia-
Curioso, no? Fino a poche ore prima, si ritrovava a combattere con mostri bianchi a forma di polpo che da grandi scienziati indagavano i sentimenti e le emozioni umane di cui erano assolutamente privi; ora, gustava l'amore più dolce che avrebbe mai potuto immaginare.
L'elfa lo portò al letto, senza mai staccarsi dalle sue labbra. Carlos era sopra di lei, a petto nudo. La baciava sul viso, sul collo, ma non gli bastava. Voleva di più. Fece scorrere la mano sulla sua schiena, e cercò di sciogliere il nodo, e ci riuscì. Prese a baciarle il seno, estasiato, quando vide qualcosa alla destra del letto. Rimase così, a occhi sbarrati, incerto se quello che aveva visto fosse stato una allucinazione o altro.
-Amore, che guardi?-
Carlos deglutì -Giurerei di avere visto Numero Uno-
Era stato solo una frazione di secondo, una frazione in cui lui aveva ripreso fiato e lo aveva visto, lì, in piedi, con quei due occhi neri indagatori, che li studiava come due cavie in laboratorio. E poi era scomparso, come se nella pellicola della sua vita qualcuno avesse aggiunto un fotogramma sbagliato, ripreso dal suo passato. Un passato, poi, estremamente vicino.
-Perché mai Numero Uno dovrebbe stare qui?- fece lei, portando la mano al suo petto.
-Cosa hai detto?-
Saltò giù dal letto, terrorizzato. Wert si strinse appena il corpetto, per poi seguirlo.
-Dai, lascia stare...riprendiamo da dove ci siamo interrotti- fece lei, prendendolo per le mani.
Quello si scansò, disgustato -Non mi toccare!- gridò.
-Amore, che ti prende?-
-Come diamine fai a sapere chi è Numero Uno? Quando l'ho nominato, sembrava che tu lo conoscessi...mi aspettavo una domanda, per lo meno-
-Me ne devi avere parlato tu-
-Non è vero. E, poi, non è che abbiamo parlato molto...-
Un serpente si insinuò nel cuore, da dove sussurrava mille sospetti alla mente, che si rifiutava di crederci. Con una fatica immane, cercò di riunire i dati del problema.
Numero Uno era uno scienziato. Per lui e per la sua gente la conoscenza è tutto, e a tutto sono disposti per ottenerla. Il loro ultimo dilemma era la natura delle emozioni umane.
Wert è l'unica creatura che possa dargli ancora tante emozioni. E Numero Uno lo sapeva questo?
"Sì, lo ha letto nei miei ricordi"
Quello che aveva visto era Numero Uno. Ma lui non poteva trovarsi nella Dimensione Gamma. E Wert non poteva stare nella Beta. Semplicemente non potevano coesistere nella stessa stanza.
"Ho solo un modo per sapere"
-Wert, mi fai vedere il tuo pugnale?-
-Certo, è sulla scrivania, assieme agli altri-
Carlos deglutì, e con occhi spenti si trascinò al tavolo. Posò i palmi sul legno, quasi a sostenere il peso dell'intero corpo. Perché non aveva più forze. Il più bel sogno si era rivelato come tale, e, rivelandosi, lo spingeva all'incubo della vita reale.
-Maledizione!- urlò, dando un pugno allo specchio, che andò in mille pezzi. Osservò il sangue scorrere dalle nocche, e il dolore che credeva di sentire. Un dolore reale, che per un attimo, per un solo secondo, lo aveva portato ad un diverso modo di sentire. Una sensazione che stava scordando: la realtà. Con uno sguardo folle in volto, fece scivolare le dita su uno dei pugnali di fronte a lui.
-Amore, che fai?-
-Tu...non osare chiamarmi così-
-Carlos, perché dici questo?- sussurrò lei con voce supplice, sfiorandolo appena.
-Stammi lontana!-
Il ragazzo le puntò il coltello addosso. Lei arretrò.
-Wert non si separa mai dal suo pugnale. Mai-
-Che dici? Sono io Wert!-
-Non sei bella la metà di lei!-
-Sono esattamente quello che tu hai sempre desiderato!-
-Appunto- fece lui, portando la lama del pugnale al proprio polso -Non sei reale-
Chiuse gli occhi, prese un grosso respiro, e tracciò un solco sul braccio, tagliando di netto la vena.
Urlò dal dolore. Un dolore che terminò in pochi istanti.
Carlos riaprì gli occhi. Un soffitto bianco lo sovrastava. Non fece nulla per alcuni minuti. Minuti che passò a capacitarsi di cosa aveva passato.
-Era un sogno- sussurrò -Solo un bellissimo sogno. Non ce ne siamo mai andati-
Guardò Selena alla sua sinistra, e ebbe la tentazione di lasciarla dormire, di lasciarla vivere in quel sogno splendido almeno quanto il suo. Era certo che lì Selena aveva trovato lo Zares dei suoi desideri, e così anche Giacomo con Patricia. E se davvero si fosse trattato solo di sogni, lui per primo si sarebbe riaddormentato.
Ma non erano solo sogni. Lui aveva visto Numero Uno. Era tutta opera sua.
Si mise seduto, e studiò con attenzione il polso dove fino a un minuto primo era convinto di essersi tagliato le vene: era tutto apposto.
-Selena, svegliati! Giacomo!- gridò. Quelli si girarono dall'altra parte. Sbuffando, scese dal letto di metallo, e prese a scuotere con forza Selena, che al suono della sua voce si svegliò di soprassalto.
-Carlos!-
Fu l'unica cosa che riuscì a dire. Guardò lui, la stanza bianca, il letto metallico, mentre nel suo volto si faceva largo una sensazione nuova, un misto di delusione, vuoto e smarrimento, quale prova un adolescente che sogna un amore, e al suo risveglio scopre che la realtà è ben diversa. Gli occhi di Selena parvero inumidirsi, ma Carlos non lo poté dire mai, perché questa ricacciò dietro le lacrime in un moto di orgoglio.
-Sveglia mio fratello- sussurrò -Io non ce la faccio-. Il ragazzo obbedì.
-Patricia!- gridò Giacomo, quando Carlos lo svegliò a suon di schiaffi. Stessa espressione persa, nascosta in fretta dalle mani.
-Ci hanno ingannato- sibilò Giacomo -Perché sono stati loro, vero?-
Carlos annuì, stringendo i pugni con forza -Non la passeranno liscia-
Selena piangeva in silenzio, facendo attenzione che gli altri due non se ne accorgessero. Era tutto falso: quello non era Zares. Tutto quello che aveva vissuto con lui, quel nuovo Zares che aveva incontrato poco prima, non aveva nulla di reale. Non era più di una favola, una proiezione della sua mente, un desiderio manovrato da scienziati senza cuore: se era vero che Numero Uno aveva causato quei sogni così reali, come Carlos diceva, allora non poteva avere un cuore; o, se lo aveva, era freddo, come il metallo del letto che Selena accarezzava, in un 27 dicembre che diventava sempre più simile a un inferno.
CAP. IX
Il silenzio regnava tiranno nella camera bianca. I tre attendevano che accadesse qualcosa o, forse, che qualcuno li svegliasse ancora e dicesse loro che era stato tutto un incubo. Ma non succedeva nulla del genere e, alla fine, Giacomo sentì la necessità di parlare, fosse anche solo per spezzare quel silenzio assordante.
-Come hai fatto a capire che era un sogno?-
-Molto semplice, per un attimo ho visto Numero Uno nella camera da letto di Wert-
Selena sorrise appena, ma non ebbe il coraggio di lanciargli una frecciata, dato che anche lei era arrivata più o meno allo stesso punto con Zares.
-E come hai fatto a svegliarti?- chiese lei.
-Quando ho capito che era un'illusione di Numero Uno, ho dato un pugno allo specchio, e ho sentito piacere. Masochista, lo so, ma è così. Nel sangue io mi avvicinavo alla realtà. Mi serviva un dolore letale per svegliarmi, per cui mi sono tagliato le vene-
Selena sgranò gli occhi -Cosa? Ma sei fuori?-
-Sapevo che sarebbe stato solo un dolore virtuale-
-No, Carlos, tu non lo sapevi. Lo credevi, lo sospettavi, ma non lo sapevi con certezza-
-Non avevo alternativa!-
-Se ti fossi sbagliato, saresti morto!-
La ragazza si era alzata in piedi, e cercava i suoi occhi: quando ne incontrò lo sguardo, ne rimase letteralmente spaventata, e lo stesso Giacomo, dopo interminabili secondi in cui i due si fissarono, estraniati dal resto, notò la strana tensione che si era creata.
Già un'altra volta aveva sentito la stessa tensione tra sua sorella e lo strano amico. E quella volta, lui vestiva in nero.
Erano ormai le dieci della sera a villa Sanchez, e la casa si svuotava a poco a poco. Carlos si apprestava a salutare due uomini in nero, come tutti i presenti, con una sentita stretta di mano.
-Grazie per essere venuti, signori. I miei ne sarebbero stati lieti. Io sono commosso-
-Si figuri- fece uno -Sarei disoccupato se non fosse stato per loro-
Carlos deglutì, e stirò appena un sorriso mentre i due oltrepassavano la soglia. Trasalì, quando una mano si posò sulla sua spalla.
-Tranquillo, sono io-
Si voltò, non perché non avesse riconosciuto Selena dalla voce, ma semplicemente perché la voleva vedere. Voleva un volto amico, qualcuno che non gli chiedesse nulla in cambio.
-Hai sentito cosa ha detto quel verme?- sussurrò il ragazzo, stringendo i pugni.
-Cosa?-
-Ha detto che se non fosse stato per i miei genitori, lui ora sarebbe disoccupato!-
-E allora?-
-Mi ha praticamente costretto a riassumerlo come commercialista!-
-Un po' di cattivo gusto, dire una cosa del genere lo stesso giorno del funerale!-
-Già. Non ce la faccio più-
-In che senso?-
-Guardali, Selena-
Selena seguì lo sguardo sprezzante di Carlos per tutto il salone, colmo di uomini e donne in nero per il funerale, ma che curiosamente non disprezzavano un bicchiere di champagne.
-Tutti loro non sono altro che sciacalli che cercano di avere qualcosa da me. Se perdessi tutto, sarebbero disposti a contendersi anche le mie ossa. E sono passati solo sei giorni da quando...-
Lei lo abbracciò forte, incurante degli sguardi maliziosi dei presenti. Intanto, Giacomo era uscito dal bagno, e si avvicinava a loro.
-Ti giuro, Selena, che ci sono delle volte...dei momenti che...-
-Non lo dire-
Lei lo prese per le spalle, e lo guardò dritto negli occhi. Sapeva cosa stava pensando. Lei lo sapeva bene: erano simili, dopotutto.
-Non lo dire, ti prego. Non lo pensare nemmeno-
Giacomo sopraggiunse allora.
-Che succede, ragazzi?-
Nessuno dei due aveva risposto allora, e certo non lo avrebbero fatto adesso. Selena aveva letto qualcosa in Carlos che questi non avrebbe mai ammesso, e lei stessa custodiva quella confessione dei suoi occhi gelosamente. Era un segreto tra loro due, e sapeva che non aveva speranza di svelarlo. E, cosa che non avrebbe mai ammesso, non lo interessava abbastanza. Una domanda lo premeva molto di più.
-Perché i Doni dei Draghi non hanno funzionato? Perché siamo ancora qui?-
Selena prese la Sveglia del Tempo dal letto, e la studiò, con lo stesso sguardo indagatore che assunsero Giacomo e Carlos con i rispettivi orologi.
-Forse hanno qualche graffio- propose Giacomo.
-Sicuro di avere messo la lancetta sulla Gamma, amico?-
-In vena di battute, Sanchez?- fece Giacomo, avvicinandosi minacciosamente a lui.
Selena si frappose tra loro -Piantatela, voi due- disse, tenendoli bene a distanza -Piuttosto, non trovate che questi cosi siano un po' strani?-
-Più del solito, dici?-
-Sì, è parso anche a me. Non so dire cosa sia-
-Sono falsi, ve lo dico io!-
Con violenza, Carlos si slacciò l'Orologio dell'Energia e lo scagliò a terra. Sotto gli occhi increduli dei Gaspares, andò in frantumi come il cristallo.
-No!- gridò Giacomo, che lo sollevò per la camicia e sbatté al muro -Cosa hai fatto! Ora saremo confinati qui per sempre, pezzente!-
-Non ci arrivi, eh? Se fosse stato davvero magico, non si sarebbe rotto così. Era un falso-
Giacomo non lo lasciava andare, seriamente intenzionato a prendersela comunque con Carlos.
-Lascialo andare, fratellone!- lo supplicò Selena. Quello gli diede un pugno, e lo lasciò andare. Il giovane Sanchez, con un rivolo di sangue che usciva dal naso, scivolò fino al pavimento, schiena sempre al muro. Giacomo gettò anche il suo orologio a terra, e ci mise il piede sopra. Scoprì con rammarico che la soddisfazione che ne aveva tratto era poca, rispetto alla prospettiva che si stava delineando.
-Eppure siamo arrivati qui- disse Selena -Per cui i falsi ce li hanno dati loro, dopo lo strano interrogatorio. Ecco perché non siamo andati da nessuna parte-
-Dobbiamo costringerli a restituirceli-
-Credo che sorgeranno parecchie difficoltà, a questo riguardo-
I tre si voltarono simultaneamente verso l'ingresso, dove la figura statuaria di Numero Uno indugiava sulla soglia, nella stessa posa eretta e con gli stesso occhioni neri che Carlos aveva visto nella camera di Wert.
-Maledetto!- urlò -Che ci avete fatto?-
-Vi abbiamo già detto che siamo scienziati, e che il nostro unico scopo è la conoscenza. Qualsiasi mezzo per ottenerla è giustificato-
Selena strinse i pugni -Anche se questo vuol dire giocare con le nostre emozioni?!-
-Non erano giochi, ma esperimenti-
-Ci avete indotto voi quei sogni così realistici?- chiese Giacomo -Come?-
-Noi possiamo, e in teoria anche voi. Curiosamente, non usate tale abilità-
-E scommetto che indagherete sul motivo di questo nostro deficit- fece Carlos, sarcastico.
-Veramente conosciamo già la causa-
-Sentiamo!-
-La ragione è uno strumento comune a tutti noi. Ma in voi è debole e incredibilmente vulnerabile in due momenti. Quando dormite, e sognate...-
-Ridacceli, bastardo!-
Giacomo si gettò su Numero Uno, ma nell'istante in cui avrebbe dovuto toccarlo, sparì nel nulla. Come se nemmeno fosse mai stato lì.
-...o quando siete fortemente scossi, e sono i sentimenti a offuscare la ragione. Come adesso-
Non lo vedevano più; la sua voce, tuttavia, rimbombava nelle loro teste.
Carlos batté il pugno al muro-Vieni fuori, maledetto!-
-Non hai ancora capito, Carlos? Io non sono affatto qui...state facendo tutto voi-
-Non mi interessa dove sei tu!- gridò Selena, rivolta al soffitto -Restituiscici gli orologi e la sveglia!-
-L'ho già fatto. Non ricordi? Appena dopo l'interrogatorio-
-No! Erano dei falsi!-
-No, non lo erano-
Una stretta al cuore minacciò di toglierle il respiro; sul momento, le impedì di aggiungere altro.
-Se quei rottami che ci avete dato fossero stati quelli veri- fece Carlos -ci avrebbero portato via da questo inferno!-
-Non hanno funzionato- replicò Numero Uno, sempre invisibile -semplicemente perché non avete mai messo la lancetta sulla Gamma. L'avete lasciata sulla Beta-
Giacomo battè il piede a terra -Non è vero! Ricordo perfettamente di averla spostata!-
-Come sei sicuro che io prima fossi davanti a voi, giusto?-
Selena sentì le gambe diventare di pasta frolla; si accasciò sul letto di metallo, occhi sbarrati, mentre stringeva al petto la sveglia dorata, grata di non averla distrutta.
-Avete fatto credere a mio fratello di avere messo la lancetta sulla Gamma?-
-Affermativo-
-E quando dormiamo i Doni non funzionano singolarmente...-
-Affermativo-
-Insomma- disse ancora, con un filo di voce -questa è la Sveglia del Tempo?-
-Affermativo- replicò Numero Uno.
Carlos e Giacomo si guardarono, mentre il battito del cuore accelerava, incontrollabile.
-Abbiamo distrutto i veri orologi dell'Energia e dello Spazio?-
-Affermativo-
La voce di Numero Uno non si fece più sentire, come se volesse volutamente vedere che effetto avrebbe determinato sulle sue cavie quella notizia. Le parole di Selena sembravano marchiate a fuoco sul loro petto, e bruciavano, si ramificavano lungo la gola, impedendo loro di parlare, e poi giù, sul diaframma, mozzando il respiro. Se prima avevano raggiunto l'apice della felicità, ora precipitavano in un baratro buio e freddo. E nessuno che avesse la forza di incoraggiare l'altro! Perfino Giacomo non aveva una parola di conforto per Selena che, rossa in viso, stringeva tra le braccia quella Sveglia come se fosse un peluche. E cosa è per un bimbo un pupazzo? È un'ancora di salvezza, l'unica a cui sente di potersi aggrappare.
Non riuscì nemmeno ad abbracciarla, a metterle una mano sulla spalla, a prenderle la mano... E non immaginava nemmeno quanto poi avrebbe rimpianto quella sua improvvisa freddezza. Giacomo stava lì, in piedi, che a denti stretti tratteneva a stento le lacrime. Le immagini dei suoi genitori scorrevano come su una pellicola, e più le guardava più pensava a come si sarebbero sentiti quando, il 31 dicembre, avrebbero dovuto festeggiare il nuovo anno da soli, con la consapevolezza che il loro aereo non era mai partito e i loro figli bugiardi erano dispersi chissà dove con un ragazzo conosciuto da pochi mesi.
Alzò gli occhi verso quel ragazzo, e non rimase scoperto di leggere solo apatia sul suo volto. Carlos Sanchez stava lì, seduto, a osservare un punto morto poco oltre le ginocchia di Giacomo, che sentì la rabbia montare. Era stata tutta colpa sua! Lui aveva distrutto l'Orologio dell'Energia! E aveva indotto lui a distruggere quello dello Spazio!
-Tu...-
Selena fece appena in tempo a rendersi conto dello strano tono di voce del fratello, che questi si scagliò sul giovane Sanchez, dandogli un pugno sul viso: quello non tardò a rispondere.
-Smettetela!- gridò, invano. I due si rotolavano sul pavimento, prendendosi a pugni, ginocchiate, calci...nessun colpo fu risparmiato. Selena assistette a quell'orrendo spettacolo con gli occhi umidi, in un misto di confusione e paura. Cercò di allontanare Carlos da Giacomo, ma tutto ciò che ne ottenne fu una gomitata in pancia, di cui i due neppure si accorsero.
In lacrime, uscì di corsa dalla camera, senza nemmeno voltarsi indietro.
CAP. X
Selena stava seduta, rannicchiata sulla scala. Un senso di vuoto le opprimeva il cuore, impedendole perfino di urlare. Piangeva, piangeva come non faceva da anni, senza il minimo ritegno. Non aveva paura di stare da sola, né di incontrare uno di quei mostri: non voleva rivedere suo fratello e il suo amico prendersi a pugni. Era stata una scena rocambolesca e violenta che, in una situazione già di per sé grave, si sarebbe volentieri risparmiata.
-Uomini!- esclamò -Non si sono mai evoluti dallo status di scimmie! Si battono ancora il petto se sono incavolati, si spulciano a vicenda invece di lavarsi, e appena gli girano non sanno fare altro che massacrarsi a vicenda!-
Si massaggiò il ventre, ripensando alla gomitata che Carlos le aveva involontariamente dato. Non le aveva nemmeno chiesto scusa, non se ne era nemmeno accorto. Erano passati almeno dieci minuti, e quei due non avevano notato la sua assenza!
Trasalì, quando vide Numero Uno (o almeno credeva che fosse lui, erano tutti uguali!) salire le scale, ed ebbe anche più paura quando si accorse che non era sorpreso di vederla lì.
-La reazione del tuo amico è stata assolutamente spropositata- disse Numero Uno.
-Ci avete condannato all'esilio. Non potremo più tornare a casa. La sua reazione è stata naturalissima-
-Naturale per un essere umano-
-Dimenticavo! Sto parlando ad un mostro-
-Per me il mostro sei tu, Selena-
La ragazza scattò in piedi -Attento a come parli, polpetto pallido! L'unico motivo per cui non ti ho ancora strozzato è che non ne ho la forza, ma non è il caso di provocarmi. Non ti conviene-
-Dimentichi che il nostro scopo è la conoscenza: mi daresti solo la possibilità di sperimentare un nuovo curioso lato di voi-
-Se ti interessa tanto, puoi andare a fare visita a quegli altri due. Rimarrai estasiato!-
-Possiamo ricostruire i due orologi-
Selena alzò lo sguardo, come se ci credesse davvero. Poi riabbassò il capo, delusa.
-No, non è vero. Funzionano con la magia-
-Solo un essere infimo come te può ancora pensare che esista la magia. Ci sono bastati tre minuti otto secondi e tre decimi per capirne il funzionamento. Avevamo già teorizzato un salto interdimensionale da molto, molto prima che voi arrivaste qui-
-Quindi potete viaggiare tra una dimensione e l'altra?-
-Negativo-
Lei aggottò la fronte -Come? Se sapete come funzionano i Doni dei Draghi, dovreste poterli ricostruire e usarli, no?-
-In teoria, sì, e infatti abbiamo già fatto alcuni esperimenti, ma senza alcun risultato positivo. Abbiamo ipotizzato che il problema non sia nei nostri dispositivi, ma in noi. C'è qualcosa che ci impedisce di viaggiare tra una dimensione l'altra. Ma voi non avete questi problemi-
-Quindi è per questo che ci stavate studiando?-
-Affermativo-
-Siete riusciti a capire?-
-Negativo. Ed è per questo che ti propongo un accordo: tu ci aiuterai a scoprire cosa ci manca, e noi ricostruiremo un orologio del Tempo, e uno dell'Energia. Che ne pensi? Affare fatto?-
Rimase sorpresa da quella proposta, e il primo desiderio fu quello di scappare e lasciare che qualcun altro prendesse quella decisione per lei.
-Vado a parlarne con gli altri- disse, voltandosi.
-Negativo-
Selena parve immobilizzarsi, come se già sapesse cosa stava per dirle.
-Non posso fidarmi di quei due individui, e nemmeno tu puoi...hanno già distrutto i due orologi, no? Distruggerebbero anche quest'ultima possibilità di tornare a casa vostra-
-Li hanno distrutti solo perché tu ci hai fatto credere che fossero falsi-
-Era necessario. Grazie ai vostri sogni, abbiamo capito cosa ci rende così diversi: le emozioni. Adesso dobbiamo capire se sono queste a permettervi di viaggiare tra una dimensione e l'altra . E solo tu puoi aiutarci, Selena Gaspares. Facci capire se per noi è possibile cambiare, se possiamo diventare come gli umani e quindi cambiare dimensione, e potrai tornare a casa-
-Lascia almeno che dica loro dove sono!-
-Negativo, non approverebbero, e lo sai. O vieni con me ora, o mai più. A te la scelta-
Di tutti, Numero Uno era l'ultima persona, se così si poteva definire, da cui avrebbe potuto accettare un ultimatum. L'istinto di scappare dal fratello era sempre più forte, di fronte alla possibilità di sparire senza dire nulla. Cosa avrebbe pensato? L'avrebbe data per morta!
D'altronde, quella era l'unica speranza di tornare a casa. Non poteva liquidarla così...
-Sarebbe possibile informare Giacomo e Carlos indirettamente? Mi basta che glielo dica qualcuno, va bene chiunque! Purché non si preoccupino!-
Parve bloccarsi -Perché non c'è di ché preoccuparsi, vero?-
Non ci aveva pensato, ed era strano, dato che non le capitava propriamente tutti i giorni di fare da cavia: cosa intendeva Numero Uno per 'esperimenti'?
-Negativo- rispose Numero Uno, permettendole così un grosso sospiro di sollievo -Se farai tutto ciò che ti diremo, finirà tutto presto, e ne uscirai assolutamente illesa. E, se per te è così importante- aggiunse, mentre un'altra Unità Intellettiva strisciava su per le scale -Numero 327 provvederà a informarli-
-Se le cose stanno così, ci sto-
Finse fermezza, ma aveva ancora paura. Voleva gridare per la paura, e poi accucciarsi in un angolino finché Giacomo non fosse venuto a cercarla. Si era sempre detta di essere indipendente, sicura di sé, e di non avere bisogno di nessuno: allora, perché, mentre scendeva quei gradini, le sue ginocchia tremavano? E non odiava forse quell'essere che le strisciava affianco? Allora, perché lo seguiva in silenzio?
"Cosa penseranno Giacomo e Carlos?"
Dopo due rampe di scale, Numero Uno la condusse per un corridoio bianco, identico a tutti quelli che avevano attraversato, dove davano in tutto dieci stanze, cinque per lato. Con la coda dell'occhio, Selena vide che in ognuna di queste, un' Unità stava in piedi; il loro cranio era attraversato da venature azzurre, che solcavano tutto il corpo sinuoso, sino ai tentacoli.
-Che stanno facendo?-
-Si stanno nutrendo. Dovrebbe essere una pratica nota anche a te-
-Sì, più o meno-
Ma se quello era il loro modo di mangiare, allora di ché vivevano? Dovette rallentare un po', per notare una scatola nera su una scrivania di una camera, come in ogni altra; le Unità tenevano un tentacolo sulla scatola, che ogni secondo brillava come un metallo che riflette un fascio di luce.
Selena ebbe un'intuizione, e volle assicurarsi di avere capito bene -Vi nutrite di energia, vero?-
-Affermativo. Come voi. Solo, noi abbiamo bisogno di energia pura-
-E da dove la prendete? Da quelle scatole, vero? E da dove la prendono queste?-
-Interessante- commentò Numero Uno, quando fu arrivato a una porta di metallo -Sembra che, in fondo, anche il tuo scopo sia la conoscenza-
Selena scosse il capo -Io voglio solo tornarmene a casa- disse, mentre le due lamine di metallo si separarono, rivelando quello che lei riconobbe essere subito un laboratorio di analisi. Numero Uno le fece strada, non preoccupandosi di presentarla alla dozzina di Unità Intellettive che erano impiegate in diversi compiti: fu lei a chiedergli di spiegare cosa stessero facendo e chi fossero.
-Questi- fece Numero Uno, indicando con il tentacolo due Unità ad una scrivania piena di ampolle e beckers -sono Numero 73 e 68-. I due nemmeno si voltarono, troppo impegnati a travasare un liquido rossastro in uno azzurro. Selena osservò con stupore il vapore verde fuoriuscire dall'ampolla -Che fanno?-
-Conducono un esperimento sull'ampliamento delle nostre capacità manuali-
-Capisco- mentì lei -E loro?- chiese, indicandone quattro attorno a un lettino bianco.
-Guarda con i tuoi stessi occhi-
Selena obbedì, e con cautela si avvicinò al lettino; cominciò a sudare freddo, quando vide un piccolo tentacolo nascosto appena dalla sagoma di uno scienziato che, su ordine di Numero Uno, si scansò, permettendole di vedere cosa giaceva.
-Oddio!- gridò, portandosi le mani al petto. Numero Uno rimase impassibile, ben lontano da mostrare ogni sorta di disgusto per quello che a Selena parve essere un feto umano.
-Che cosa è?-
-Una giovane Unità morta ancora prima di nascere. Un esperimento fallito. Uno su mille. Vogliamo capire cosa è andato storto-
-Come?-
-Stanno per sezionarlo. Vuoi assistere?-
Selena trattenne un conato di vomito -No, no...no, davvero! Passiamo al motivo per cui io sono qui. Non ho molto tempo da perdere-
-Confermo. Ti presento Numero 569- disse, quando si avvicinò un'altra Unità -E questo- continuò, mentre quello gli tendeva un curioso casco metallico -è un semplice riproduttore di realtà virtuale. Indossalo, e inizierà l'esperimento-
Prese tra le mani il casco, e osservò il suo riflesso sul vetro che presto avrebbero coperto i suoi occhi. Ed ora? Cosa c'era nei suoi occhi? Non aveva più paura, e ne era davvero sorpresa. Un equipe di scienziati pazzi l'avrebbero usata come cavia, e lei non aveva paura. Si sarebbe trovata in un altro sogno ad occhi aperti, e non sapeva nemmeno se si sarebbe risvegliata.
-Almeno saprò che si tratta di una finzione?-
-Affermativo. Io stesso ti ripeterò continuamente che si tratta di una finzione-
-Non puoi togliermi il casco e basta?-
-Sì, ma è rischioso. Un simile trauma, potrebbe avere effetti collaterali-
-Tipo?-
-Da una semplice amnesia, fino al coma-
-Avevi detto che non mi sarebbe successo niente...-
-...se avessi fatto tutto ciò che ti avrei detto. E, se ti toglierai il casco quando te lo dirò, non accadrà nulla-
-Come faccio a crederti?-
-Innanzitutto, sei troppo preziosa per morire. Oltretutto, nessuno ti obbliga. Puoi ancora cambiare idea: solo, decidi prima di indossare il casco-
Eccola lì! L'ultima boa prima di affrontare il mare aperto! Chiunque sano di mente vi si sarebbe aggrappato, e sarebbe tornato indietro in lacrime, ringraziando il cielo per la vita riacquisita. Perché lei no? Nei propri occhi, vide una disperazione che avrebbe potuto tutto. Anche quello.
Selena Gaspares indossò il casco, mentre un nuovo mondo si sovrapponeva all'immagine del laboratorio, catapultandola nella realtà virtuale.
Giacomo e Carlos erano a terra, esausti.
-Certo che picchi bene, per essere un maledetto figlio di papà-
-Anche tu, amico-
Carlos aveva un occhio nero, e il braccio destro ammaccato; Giacomo aveva un dolore lancinante allo stomaco, dove gli erano anche arrivati calci. Entrambi avevano le nocche in fiamme.
-Beh, che si fa?- fece il giovane Gaspares.
-Non ne ho idea. Se non facesse tanto male, continuerei a prenderti a pugni. Ma non sento più le mani...-
Risero sommessamente, finché non si accorsero di essere solo in due a ridere.
-Dov'è mia sorella?-
Giacomo scattò in piedi e si precipitò nel corridoio, seguito da Carlos.
-Maledizione! Dov'è finita?-
Si pietrificò, quando una Unità gli si parò davanti.
-Sparisci se non vuoi crepare, polpetto!- ringhiò Carlos.
-Se sparissi, non potrei riferirvi dove si trova Selena Gaspares-
I due ragazzi si guardarono, pallidi.
-Cosa le avete fatto?- chiese Carlos, scandendo ogni parola colma di rabbia.
-Ha scelto volontariamente di sottoporsi ad alcuni nostri esperimenti-
-Cosa?!-
Non passarono una manciata di secondi, che Giacomo sferrò un pugno a Numero 327, facendolo cascare a terra. Rimase lì, ansimante, a osservare del liquido bluastro uscire dal cranio smisurato. Lentamente, il suo respiro si fece più placido, mentre la coscienza di quello che poteva avere fatto cominciava a morderlo al petto.
-Credi che sia morto?- sussurrò.
-Sì, non si muove più...- rispose Carlos. Giacomo si accasciò a terra, rannicchiato in un angolo, spalle al muro.
-Che ti prende?-
-E me lo chiedi, anche? Ho ucciso, Carlos!- urlò -L'ho ucciso a mani nude!-
Si portò le mani al viso -Ho commesso un omicidio!-
Carlos si scoprì poco coinvolto; anzi, la premura di Giacomo gli parve insensata. Guardava quella creatura, ma non riusciva a provare la minima compassione.
-No, Giacomo. Tu non hai commesso un omicidio...perché non hai ucciso un essere umano-
Ebbe la sua attenzione -Hanno preso Selena, giusto? Ci hanno fatto distruggere gli orologi? Allora questo è il minimo che quei cani meritano! Perché sono questo, loro, cani!-
Lo prese per il colletto, costringendolo a rimettersi in piedi -Facciamogliela pagare! Io voglio giustizia!-
Lo guardò dritto negli occhi -E tu?-
Giacomo lo guardò, scioccato dalle sue parole.
-Sei con me, Gaspares?-
CAP XI
Selena si svegliò, madida di sudore. Aveva fatto un incubo, e non ricordava nemmeno di che si trattasse. Solo, che aveva avuto molta paura. Fissava a occhi aperti il soffitto bianco, mentre la luce del sole, filtrando dalla finestra, le illuminava il viso.
Quanto è bello il sole a dicembre! Un suo raggio è un dolce soffio di vita, con quel leggero tepore che solo in alcuni giorni vince il freddo delle mattine invernali. E a dicembre c'è molto freddo anche a Cagliari.
Lentamente, si mise a sedere sul letto, e guardò le lenzuola spiegazzate sotto di lei: era stata davvero una notte tormentata; e più cercava di ricordare di che incubo si trattasse, più le sfuggiva.
Prese la spazzola dalla scrivania e cominciò a passarla tra i capelli castani.
-Ciao, Selena! Ti sei svegliata, eh?-
La ragazza alzò lo sguardo verso suo fratello, in piedi sulla soglia della camera.
-Sono in vacanza, no? È mio diritto alzarmi tardi! E poi è appena l'alba!-
-Ma se sono le undici!-
-Appunto!-
-Dove sono mamma e papà?-
-Sono a fare la spesa, non ricordi?-
-Ah, già, è vero. Me lo avevano detto, credo-
-Sembri un po' scombussolata-
-Lo credo anche io- sussurrò. Solo allora si accorse dell'abbigliamento di Giacomo: camicia bianca ricamata, infilata in un paio di jeans neri, giacca in pelle.
-Con chi ti devi vedere?-
-Sto andando da Patty-
-Patty?-
-Patricia, la mia ragazza. Non ricordi?-
-Sì, in effetti, questo nome non mi è nuovo-
-Ok, allora io vado. Ciao!-
Selena lo vide andarsene, e si scoprì lieta di rimanere sola in casa: voleva assolutamente riordinarsi le idee. Si alzò pigramente dal letto, indossò la vestaglia azzurra che giaceva sulla sedia e scese lentamente le scale.
-Sì, è stata davvero una notte tormentata- borbottò, mentre scaldava il latte sul fornello a gas.
Non ricordava niente; solo, che aveva avuto paura. E freddo. Molto freddo, come un brivido lungo la schiena che l'aveva svegliata. Spense il gas, si versò il latte in una tazza e si mise a berlo sul divano, sotto una vecchia coperta in pyle. Faceva davvero freddo, e aveva già deciso di tornare in fretta a letto, sotto le coperte, fino a pranzo. Intanto, trovò sollievo nel sentire il latte caldo scendere in gola, quasi scaldandola dall'interno.
Finì di bere il latte, e prese a guardare la mucca bianca a macchie nere rappresentata sulla tazza. La trovava una mucca simpatica, con quei occhioni mezzo assonnati, e le nuvolette tutt'attorno come suo pascolo. C'era qualcosa di estremamente rassicurante in quella quotidianità, ma non capiva cosa. E, soprattutto, non capiva perché sentisse tanto bisogno di quella sicurezza.
Tornò in camera sua, quando sentì una rumore dalla scrivania: il cellulare vibrava insistentemente; Selena lo afferrò e rispose alla chiamata.
-Ciao, Lu-
-Ciao, Sally- fece la voce al cellulare -Me lo dai un passaggio stasera?-
-Per dove, scusa?-
-Ma stai giocando?! Stasera siamo alla festa, no? Da Vale! Ha casa libera!-
-Perché festa, scusa?-
-Oggi è capodanno...non ricordi?-
Selena si precipitò all'armadio, e lo aprì; su un'anta, aveva appeso il calendario. Il 31 dicembre era l'unico giorno del mese non ancora segnato con una x rossa.
-Me ne ero completamente scordata...-
-Eh, no! Non fare la furba! Hai promesso!-
La giovane Gaspares fu assalita dal terrore -Cosa ti ho promesso?-
-Hai promesso che avresti portato il tuo misterioso ragazzo-
Silenzio tombale. Selena guardò il cellulare, guardò il calendario e poi ancora il display.
-Ma sei seria?-
-Sei proprio frastornata, eh? Vabbé...vieni a prendermi verso le sette?-
-Non so...devo chiedere a Giacomo se mi accompagna-
-Sì, certo, tanto viene anche lui, no?-
-Sì, sì, certo...Lu, devo andare. A stasera-
-Certo. Ciao-
Fece appena in tempo a chiudere la chiamata, che le arrivò un sms. Lo lesse.
Vediamoci al bar del Castello. Ho bisogno di te.
Il numero non era salvato in rubrica, ma dal messaggio pensò che si dovesse trattare del suo presunto ragazzo. Quello di cui non ricordava nulla.
Nel giro di pochi minuti, Selena Gaspares sfrecciava per le vie di Cagliari sulla sua Lambretta rossa.
Arrivata al semaforo, sentì come una voce che la fece sobbalzare.
Non c'è nulla di vero, Selena. Stai attenta.
Si guardò attorno: non c'era nessuno attorno a lei, oltre le macchine. Un clacson alle sue spalle la costrinse a concentrarsi sulla strada: il semaforo era verde. Accelerò al massimo, quasi per togliersi quella voce dalla testa, e pensare invece al suo ragazzo.
Chi era? Perché lei non ricordava nulla? E comunque, perché si era messa con costui, se ancora non riusciva a togliersi dalla testa Zares?
Parcheggiò sul marciapiede, e salì a piedi su per una strada lambita da alcuni raggi che, timidi, sfidavano la schiera di nubi che minacciavano Cagliari.
Sì, Zares era un grosso problema. Era esattamente il genere di persona di cui non ci si dovrebbe fidare, in un mondo civile. Ma era sempre lui che l'aveva protetta. Come poteva essere protettore e vendicatore allo stesso tempo? Chi era davvero? Se lo avesse portato lì, in quel suo mondo civilizzato, che sarebbe successo?
"Sarebbe un fenomeno da baraccone...sarebbe costretto a nascondersi" pensava.
Si strinse nel giubbotto in piume "Ammesso che lui mi voglia. Intanto io devo chiarire questa situazione con questo tizio"
Alla sua sinistra, l'insegna IL BAR DE SU CASTEDDU la invitava a entrare; accettò l'invito, riluttante.
-Un tè, per favore- chiese al bancone. Tirò fuori il portafoglio, ma una voce alla sua spalle la fermò -Offro io per lei-
Selena si voltò, a occhi spalancati -Carlos?-
L'amico diede due euro al barista, per poi invitarla a sedersi con lui; la ragazza prese il tè e lo seguì, meccanicamente. Cosa significava? Lei si era messa con Carlos? O era lui che aveva messo quella voce in giro? O cos'altro? Il messaggio diceva che aveva bisogno di lei: cosa voleva? Perché tutta quella urgenza?
Si sedettero, ma non si dissero nulla per un'eternità, entrambi visibilmente nervosi. Selena si chiese cosa passasse per la testa del suo presunto ragazzo; sbiancò,quando lo vide estrarre dalla tasta una scatolina azzurra da gioielleria e aprirla sotto i suoi occhi. Un anello d'oro con tanto di diamante brillava, geloso di ogni attenzione. Carlos rimase così, con la fronte aggrottata e la scatola aperta; Selena, letteralmente a bocca aperta. Non sapeva che fare: era andata lì per liquidare il suo ragazzo, non per fidanzarsi.
-Cosa ne pensi?- sussurrò Carlos.
-Sono sorpresa. Completamente spiazzata-
-Dai, Selena! A chi potevo chiederlo?-
La ragazza sudava freddo. Non aveva mai visto Carlos sotto quella luce, e non riusciva a immaginare anche solo di baciarlo. Sposarselo, poi!
-Credi che le piacerà?- chiese lui, titubante. Selena sgranò gli occhi: quel 'le' cosa significava?
-Scusa, ma mi sono persa un passaggio. Per chi è questo anello?-
Il giovane la guardò storto -Che domande fai?! È per Vera, no?-
-Vera?-
-Sì, la mia ragazza. Dai, Vera! La conosci, eccome! Che ti prende, oggi?-
Selena cascava dalle nuvole -E Wert?-
-Chi? Io non conosco nessuno con questo nome!-
-Ma che dici? Non ricordi? Gli orologi, i Doni dei Draghi, la dimensione parallela...-
Carlos le rise in faccia.
-Per caso ti sei vista il Signore degli Anelli e Star Wars insieme, la scorsa notte? Stai vaneggiando! Dai, Selena, seriamente: credi che le piacerà l'anello?-
-Sì...l'ho adorerà. Ma...è per quello che credo?-
-Pensi che me la voglio sposare?-
-Sì-
-Allora, pensi bene. Credi che accetterà?-
Selena si concesse un lungo sorso di tè, per prendere tempo e rinvigorire la gola, secca per quella valanga di sorprese. Carlos non era il suo misterioso ragazzo, la Dimensione Gamma non esisteva, quindi nemmeno Zares o Wert. Qui c'era Veronica, che il suo amico voleva sposare.
-Non credi di essere un po' troppo giovane per il matrimonio?-
Lui sorrise -Me lo ha detto anche Albert. E non è che non abbiate ragione: è che non mi importa!- aggiunse, quasi piangendo per la felicità -Voglio certezze, Selena. Ho perso la mia famiglia, ne creerò una nuova. E lei è l'unica con cui potrei passare tutta la mia vita-
Poche erano le parole che Selena percepiva davvero, e si sentiva in colpa per questo. Non riusciva a non pensare a Zares, a quel sogno che aveva vissuto così intensamente da credere che fosse vero. Perché solo ora, a mente fredda, capiva di avere sognato: la realtà era quella che stava vivendo adesso, con Carlos, al bar, in una giornata di dicembre come un'altra. Niente spade, niente complotti, niente Zares o Wert: solo gente comune con comuni problemi.
-Sono certa che ti dirà di sì- disse infine, dandogli un affettuoso bacio sulla guancia.
-Lo spero con tutto il cuore. La amo: non posso vivere senza di lei-
-Quando glielo chiederai?-
-Stasera, alla festa. Ci sarai, vero?-
-Sì, certo. Viene anche Giacomo con Patricia-
-E Zack?-
-Zack chi?-
-Il tuo pivello, no? Non vi sarete lasciati?-
Selena parve illuminarsi: dunque era questo il suo nome.
-No, no, ci sarà di sicuro. Ci saremo tutti-
-Bene, non chiedevo altro- disse, guardando l'orologio -Ora devo andare. Ho il sarto-
-Abito cucito addosso?-
-Ovviamente. Voglio essere impeccabile per la mia signora-
Si alzò dal tavolo, e le diede un bacio sulla fronte -Grazie di essere venuta-
-Figurati, è stato un piacere. Stamattina mi sono svegliata un po' confusa, ma rivederti mi ha schiarito le idee-
-Quando vuole, madama. Ciao!-
-A stasera!-
La ragazza rimase ancora un po' al tavolo, quando sentì ancora la stessa voce nella testa:
Non farti ingannare; è un'illusione, Selena.
Si guardò attorno, allarmata: ancora quella voce nella sua testa.
"Ok" pensò "è ufficiale: sto ammattendo"
Giacomo e Carlos scendevano le scale: alle loro spalle, tre Unità giacevano a terra, inermi. Giacomo non riusciva a togliersi dalla testa i loro occhi neri spalancati.
-Se non sono umani, perché mi sento in colpa?- chiese, infine.
-Perché sei troppo buono-
-Non è necessario ucciderli tutti-
-Più ne facciamo fuori, più possibilità abbiamo di sopravvivere-
Il giovane Gaspares lo prese per la camicia -Ora la nostra priorità è trovare Selena-
-Non lo metto in dubbio. Ma poi? Cosa faremo?-
Giacomo lasciò la presa -Non lo so-
La conversazione finì lì. Un'altra Unità venne loro incontro: afferrò Giacomo per un braccio, ma Carlos riuscì a scansarsi e a dargli un calcio in faccia. Del liquido bluastro uscì da quel volto sfigurato; una strana luce si accese su quello di Carlos, luce che a Giacomo non sfuggì.
Avrebbe giurato di vedere Carlos sorridere.
CAP. XII
Selena parcheggiò il motorino di fronte ad un palazzo anonimo, in cui si sarebbe aspettata, alle dieci e mezzo di sera, di vedere di tutto. Ma era determinata ad andare alla festa; Giacomo era tornato tardi, e l'avrebbe raggiunta solo tra mezz'ora. Lei non poteva aspettare.
"Voglio incontrare questo Zack che tutti sembrano conoscere tranne la sottoscritta"
Entrò nel condominio e prese l'ascensore. Vestiva di un abito rosso fuoco, come le scarpe a tacco di dieci centimetri e aveva persino messo gli orecchini per quell'occasione. Allo specchio si sistemò ancora i lunghi capelli piastrati.
-Spero almeno che ne valga la pena- disse, massaggiandosi il polpaccio della gamba destra -Non sono abituata a camminare sui trampoli-
Fece il suo ingresso trionfale, ma scoprì con rammarico di non conoscere nessuno dei presenti. Ma lo sapeva: Carlos e Giacomo con relative ragazze sarebbero arrivati solo alle undici.
-Ciao, Selena- disse un ragazzo -Sei bellissima-
Lei sperò che il giovane, cui viso le ricordava quello di un baccalà, non fosse il famigerato Zack. Scoprì di essere fortunata.
-Sono David, non ti ricordi di me?-
-Sì, sì, certo- mentì lei -Come potrei scordarmi di te?-
La serata andò avanti così per trenta interminabili minuti, in cui Selena ingurgitò mezzo litro di birra solo per sopportare David e il suo panegirico sull' allevamento di lombrichi. Solo allora una mano la trascinò via, salvandola dal supplizio; per un attimo pensò che si trattasse di Zack. Mascherò la sua delusione, quando riconobbe Carlos nel suo salvatore.
-Grazie. Non so quanto avrei resistito. Dov'è Vera?-
-Arriva con Giacomo e Patricia, questione di minuti-
Un sms gli fece vibrare la tasca dei pantaloni.
-Chi è?-
-Lei. Dice che c'è stato un incidente e c'è la strada bloccata. Arriveranno tardi-
-Di bene in meglio- disse lei, scolandosi un altro bicchiere di birra.
-Selena! Selena, dove sei?-
Giacomo chiamava sua sorella a perdifiato, mentre la sua paura aumentava ogni volta che alla sue voce disperata seguiva un silenzio di tomba. Dov'era Selena? Perché non rispondeva? Cosa le avevano fatto?
-Vuoi finirla? Mi irriti-
-Taci, cretino. Se non fosse per te, non saremmo nei casini ora-
-Guarda che Selena si è allontanata perché ci siamo presi a pugni-
-E tu che ne sai?-
-La conosco-
Giacomo lo prese per il bavero della camicia -Lo so, e non mi piace-
-Levami le mani di dosso-
-Ok- fece Giacomo, lasciandolo andare -Ma chiariamo una cosa: non c'è dimensione parallela in cui tu debba stare a meno di mezzo metro da mia sorella-
Fu allora che una porta si spalancò proprio in fondo al corridoio che stavano percorrendo: un'Unità uscì, strisciando in fretta i tentacoli sul pavimento. In quella frazione di secondo Giacomo scorse sua sorella, in piedi, con un grosso casco in testa e un altro di quei odiosi polpetti di fronte a lei.
-Selena!-
Nessuna risposta, ma cinque Unità si diressero verso di loro, pronte a ostacolare il loro cammino.
-Siamo spacciati- sussurrò Carlos -Non ce la faremo mai così-
-Ne abbiamo già uccisi tre o quattro, no?-
-Sì, ma mirando alla testa, e prendendoli di sorpresa. Questi hanno già calcolato tutto-
-Non importa, dobbiamo provare comunque-
Uno stridio metallico costrinse Carlos a voltarsi.
-Dannazione- sibilò, a denti stretti. Giacomo seguì il suo sguardo, titubante: altre venti Unità avanzavano dall'estremità opposta del corridoio bianco.
-Siamo circondati-
Giacomo ripensava al tentacolo che aveva stretto il suo collo: lo avrebbero strangolato? Selena si sarebbe salvata?
-Ci serve un miracolo-
Il tempo di sbattere le ciglia, e le Unità cominciarono a rallentare, fino a bloccarsi, mentre il corridoio da bianco divenne prima grigio e poi completamente buio.
Erano le mezzanotte meno tre minuti, e né Giacomo, né Vera, né Patricia né tantomeno Zack si erano fatti vivi. Erano imbottigliati nel traffico, e Carlos era sempre più nervoso. Teneva l'anello dentro lo stesso cofanetto blu nella tasca della camicia, e beveva litri di champagne.
-Io ne ho abbastanza- fece Selena -Me ne vado-
Senza troppi complimenti, si diresse verso l'ascensore, seguita da Carlos.
-Aspetta, stanno arrivando-
-Senza offesa, ma non è nel mio stile aspettare qualcuno...un ragazzo, poi!-
-Lascia almeno che ti accompagni...non è il caso che vada in giro per il condominio da sola-
-Come vuoi-
Chiamò l'ascensore: stava salendo.
-Mi dispiace che sia andata così- disse, rassegnato.
-Credimi, Carlos: questa è la giornata più strana che io abbia mai vissuto-
-In che senso?-
-Sembra normale, normalissima. Poi però sento come una voce che mi dice che è tutta un'illusione...credo di essere impazzita-
-A un minuto dal nuovo anno è questo quello che ti viene in mente?-
Selena si voltò per dargli un bacio sulla guancia -Quando arriva- sussurrò -chiediglielo. Non rifiuterà, ne sono certa-
Allora si aprirono le porte dell'ascensore. Tre figuri le passarono affianco: Selena, di spalle, salutò appena Giacomo con un amaro sorriso. Rimase invece scioccata dalle due figure femminili che erano arrivate con lui: quella che si era avvinghiata al collo di Carlos somigliava incredibilmente alla Wert dei suoi sogni; Patricia era effettivamente identica a quella maga che aveva immaginato. Deglutì.
"Non esiste" pensò "Dimensione Gamma non esiste davvero. Era solo un sogno, una proiezione della realtà filtrata attraverso la mia immaginazione...come ho potuto essere così stupida? Credere in elfi e maghi alla mia età?!"
-Tutto a posto, Selena?- chiese Vera -Sei pallida-
Selena, devi svegliarti! Subito!
-Ancora quella voce!- ringhiò, tenendosi le mani sulle orecchie. Perché doveva svegliarsi? Quella era la realtà, nuda e cruda, e non c'era via di fuga.
"Anche se sarebbe bello se fosse tutto un sogno"
Chiuse gli occhi e si concentrò, come a voler uscire da quell' incubo, e per un attimo le parve di riuscirci. Sentì il tempo scorrere più lentamente, lo spazio farsi più concreto, e la sua mente appesantirsi. Era ormai pronta a riaprire gli occhi, quando una mano l'afferrò per la vita e la trascinò di alcuni passi indietro. Udì un rumore metallico, e le voci dei suoi amici, che urlavano il conto alla rovescia, farsi più sorde. Neppure il tempo di chiedersi cosa stesse succedendo, che un dolce tepore le scaldò le labbra. Sorpresa, aprì gli occhi.
Non notò subito che si trovava in ascensore. Non le importava.
-Zares...- sussurrò. Davanti a lei, c'era quello che nei suoi sogni era Zares, l'elfo sanguinario.
"Ma questa roba non esiste" pensò, confusa. Osservò più a lungo i suoi lineamenti: niente orecchie a punta, niente sopracciglia oblique. Zares era un comune ragazzo.
-Zack?-
-Certo, chi altri, amore?-
Quello la baciò, impetuoso. Selena rispose prontamente stavolta.
-Buon anno, Selena-
-Anche a te, Zack- rispose , inebriata.
La ragazza realizzò che quella era l'unica realtà plausibile. E che era una realtà magnifica.
Una luce fioca azzurra illuminava il viso di Giacomo, nel buio in cui il corridoio era piombato.
-Non credevo che avessi il cellulare con te- disse il giovane Gaspares -perché non lo hai detto? Avremmo chiamato casa!-
-Vuoi davvero dire ai tuoi che ti sei perso tua sorella, sei bloccato in un mondo parallelo e non vi rivedranno mai più?-
-No, gli verrebbe un infarto-
-Lo immaginavo-
Carlos avanzò timidamente, con braccio teso in avanti ad illuminare il cammino. Aggirarono le sagome immobili delle Unità, che sembravano essersi congelate.
-Strano, vero? È come se si fossero spenti con la luce-
-Questo non fa che convalidare la mia teoria: non sono umani. Sono solo mostri-
L'ingresso alla stanza era ostruito da due polpi grigi, immobili sulla soglia.
-Dobbiamo spostarli- fece Giacomo.
-Ho un'idea migliore-
Carlos diede un calcio in faccia alle due sagome, che caddero a terra, senza reagire, come se avesse colpito due fantocci di paglia.
-Sei stato sleale, non potevano difendersi-
-Meno lezioni di cavalleria, non sono in vena. Pensa a tua sorella, piuttosto-
La trovarono a terra, con quell'enorme casco che non esitarono a sfilare. La chiamarono, ma non si risvegliò; provarono a scuoterla: nessuna reazione. Tuttavia il suo respiro era regolare: aveva semplicemente perso i sensi. Giacomo mise un braccio sotto le sue ginocchia e le spalle, mentre Carlos metteva le mani sottili attorno al collo del fratello.
-Andiamocene di qui- disse Giacomo -Non so dove, non importa. Solo, usciamo da questo palazzo e andiamo alla luce del Sole-
Così fecero, facendosi strada con il flash della fotocamera del cellulare, giù per due o tre rampe di scale, ripercorrendo gli stessi passi per cui avevano scioccamente seguito Numero Uno. A un certo punto, però, erano spaesati. In teoria, quella di fronte a loro doveva essere l'uscita. Ma non c'era luce dall'esterno.
-Deve essere notte- fece Carlos, oltrepassando la soglia -Di certo, siamo fuori dall'edificio- aggiunse, illuminando per quanto possibile quella che realizzarono essere la strada in cui si erano ritrovati al loro arrivo in quel mondo.
-Allora dove sono le stelle?-
-Sarà nuvoloso-
-E dove è il vento?-
-Possiamo finirla di occuparci di problemi climatici, per carità?-
Camminarono a passo svelto, ansiosi di lasciarsi quel luogo di sofferenza alle spalle.
Erano successe tante cose in quell'edificio, e Giacomo non poteva non pensarci, alla vista degli occhi chiusi della sorellina.
Erano esiliati. Insieme, ma comunque lontani da casa. Lui aveva preso a pugni Carlos, cosa che sognava di fare da mesi; facendolo, però, si era perso di vista sua sorella, che ora giaceva priva di sensi. Come fratello, si sentì inutile. Come uomo, mediocre.
"Dovevo occuparmi di lei. Dovevo proteggerla. Ho rischiato di perderla: non dovrà più succedere"
Intanto Carlos osservava le sagome immobili delle Unità per la strada, sulla soglia degli edifici, identici tra di loro, e non faceva che chiedersi: che facciamo? Non c'era luogo dove quelle creature immonde non li potessero scovare, e non c'era modo di tornare a casa. O, almeno, lui non lo trovava: l'unica soluzione che gli si prospettava era sterminarli tutti. Ed era determinato a farlo, non appena Selena avesse ripreso coscienza.
-Ehi, Carlos! Si sta riprendendo!-
Carlos avvicinò il cellulare alla ragazza.
Selena riaprì gli occhi: li sgranò quando vide i due chinati su di lei. Scese dalle braccia di Giacomo e si guardò attorno, straniata.
-Selena, stai bene? Cosa ti hanno fatto?-
Quella aggrottò la fronte, sempre più confusa.
-Sorellina, siamo noi...non ci riconosci?- chiese, vendendole incontro. La ragazza indietreggiò in fretta, sempre più allarmata.
-Possibile che abbia avuto un trauma? Sembra non ricordarsi di noi-
Giacomo le prese con forza la mano: Selena si ritrasse, e scappò, urlando.
-Aspetta!- urlò Giacomo, correndole dietro -Sono tuo fratello!-
Carlos sbuffò, e li inseguì, affidandosi più all'udito che alla vista. Giacomo correva come un forsennato, ma Selena era veloce, troppo per lui. La chiamava, ma non c'era verso di farla ragionare, e di riflesso neppure lui riusciva a mantenere sangue freddo. Cosa le avevano fatto? Perché questa amnesia? Era temporanea? E perché lei sembrava essersi scordata anche la sua lingua? Perché non capiva le sue parole?
Quello che accadde poi, successe in una manciata di secondi, che tuttavia si sarebbero impressi sulla memoria di Giacomo come un timbro sulla ceralacca calda. Lo spazio attorno a lui si riaccese gradualmente, come una lampadina che viene cambiata: le Unità ripresero colore, e finalmente Giacomo poté vedere qualcosa che non aveva ancora notato.
A una decina di metri da Selena, il mondo finiva. Non capì subito, e anche ciò fu poi motivo di rammarico: il pavimento, bianco, sembrava interrompersi in quel punto, lasciando attorno a sé il vuoto. Non capì niente di quello che stava per succedere, se non che Selena non doveva andare lì.
-Selena, fermati!-
La ragazza si voltò indietro, gli occhi in lacrime, ma non accennò a rallentare.
-Selena!- gridò a pieni polmoni. Si lanciò per afferrarla, ma sfiorò appena il suo vestito.
Giacomo strisciò il mento e le braccia a terra, mentre vide sua sorella cadere nel vuoto.
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