Ancora.
CAP. II
Carlos stava ai piedi del letto, e faceva rimbalzare una palla da baseball sul pavimento, e da lì sul muro, così che tornasse puntualmente nella sua mano destra. Era così da almeno mezz'ora, e non gli importava. Non sentiva la necessità di dormire: da mesi non riusciva a dormire per più di due ore a notte; a volte, non dormiva proprio. Erano le otto di sera, e non aveva nemmeno fame. Aveva mandato a casa i domestici, compreso Albert, il più fidato, nella piena consapevolezza e desiderio di rimanere da solo.
È una cosa davvero curiosa, la solitudine! C'è chi la fugge, chi la cerca, pur sapendo di quale infida compagna si tratti. In quel momento, stava lì, alle spalle di Carlos, a sussurrargli all'orecchio tutte le volte che qualcuno lo aveva deluso, o abbandonato, o che lui aveva deluso. Errori, umiliazioni, gaffe, offese...tutto riemergeva come un vecchio relitto naufragato. Ecco cosa era la sua vita, ormai! Un vecchio relitto, solo, nelle profondità di un oceano colmo di squali.
L'incontro con Selena, poi, non aveva avuto gli esiti sperati. Quella ultima promessa, sembrava più che altro un modo per, come si suole dire "dargli il contentino", per farlo stare buono. Giacomo avrebbe detto di no, e lei pure, e lui non avrebbe rivisto Wert. Era solo.
"Credevo che avrei potuto contare su di lei. Forse è per questo che mi fa tanto male. Mi sono illuso"
Il peggio era che ricordava perfettamente perché si era illuso tanto. Lo ricordava, eccome.
La chiesetta di Santa Barbara era colma, il giorno del funerale dei genitori di Carlos. Dall'alto del leggio, dove era stato chiamato a dire due parole in onore dei suoi genitori, il ragazzo vedeva bene che almeno la metà dei presenti non aveva nulla a che fare con la sua famiglia. Erano perfetti estranei, alcuni dei quali non mancavano di scattare foto e poi nascondere goffamente la fotocamera, ammesso che si prendessero il disturbo.
"Chissà quanto gli danno per quelle foto" pensava, amareggiato. Scese dall'altare, mentre il prete dava la benedizione finale. Fece il segno della croce, mentre una soave voce di mezzosoprano intonava L'Ave Maria di Shubert, accompagnando così l'uscita delle bare, seguite dagli invitati.
-Signorino, cosa aspetta? Dobbiamo seguirle al cimitero- disse Albert con discrezione.
-Va' avanti tu. Dì agli altri che li raggiungo lì-
Il maggiordomo pensò di insistere, ma di fronte a quegli occhi arrossati, decise di lasciargli un minimo di intimità, in una funesta giornata in cui quel ragazzo si sarebbe destreggiato tra convenevoli e falsi sorrisi.
Quando rimase solo, andò davanti al crocifisso. Non si inginocchiò, non subito: cercò prima di guardare quella icona negli occhi, con dispetto.
-Perché? Perché, Dio? Perché mi hai fatto questo?-
Non rispose. Quel Dio, tanto onnipresente, non rispose, e questo lo innervosì anche di più.
-Cosa ti ho fatto, eh? Perché dovevi farli morire? Eh? Allora?!-
Non rispose. Rabbioso, Carlos diede un calcio all'altare, per poi urlare di dolore. Cadde in ginocchio, batté i pugni a terra per la frustrazione. Non credeva che una cosa del genere sarebbe mai potuta succedere. Non a lui. E ora stava lì, a prendersela con un crocifisso?
Ma ecco, una mano che si poggiò sulla spalla. Una mano leggera, esile, e calda. Si voltò appena: era Selena. Voleva chiederle cosa ci facesse lì, ma era evidente: era lì per lui. Si abbracciarono, e lui pianse senza ritegno, stringendola forte a sé: un naufrago aggrappato ad una ciambella di salvataggio.
-Giù! Giù!-
Un gruppo di ragazzi al bancone battevano le mani tutto attorno a Giacomo, che si preparava a ingurgitare un altro bicchiere di whisky. Si specchiò in quel bicchiere, e vide un ragazzo che non passava più un solo sabato, come quello, senza ubriacarsi.
-Ooh- gridavano i compagni, facendo tremare le mani. Giacomo mandò giù il whisky.
-Ole!-
Una schiera di mani gli diedero una pacca sulla spalla, sussurrandogli complimenti che lui non percepì nemmeno. Chiese un altro bicchiere di whisky. Il barista lo versò, dietro gli applausi e i fischi degli amici, tra cui anche alcuni che non aveva mai neppure visto.
Diede un'occhiata al locale, forse più per distrarsi dalla voglia di rimettere che per vera e propria curiosità, e vide un uomo, seduto in un tavolo poco distante.
A prima vista, era l'ultima persona che avreste potuto vedere in un pub, circondato da tre o quattro bottiglie di birra: indossava giacca e cravatta, e anche la sua barba curata erano in disaccordo con quegli occhi spenti. Trasalì, quando incrociò quello sguardo.
-Gio- disse, a un amico alla sua destra -chiamami un taxi-
-Ma dai! Bevi anche quello!-
Giacomo lo fulminò, con due occhi che dovettero parere tremendamente simili a quelli dell'uomo in fondo alla sala, perché Giovanni inforcò subito il cellulare e chiamò un taxi.
-Lo trovi tra dieci minuti qui fuori- disse, quando ebbe finito.
Dietro i commenti insoddisfatti e il biasimo della compagnia, Giacomo si alzò in piedi e si trascinò a quel tavolo. In fondo, dieci minuti potevano essere davvero molto lunghi o sorprendentemente brevi: dipendeva solo dal modo in cui li avrebbe spesi. E parlare con quello che gli parve essere la persona più simile a lui in tutto l'universo (dimensioni parallele comprese), sembrava un bel modo per rendere quei seicento secondi così pochi.
-Posso sedermi?-
-Come vuoi-
Così lui fece. Passarono però alcuni istanti, prima che l'uomo proferisse parola, e in quei momenti il ragazzo sentì con fastidio i suoi occhi analizzare la sua figura.
-Che ci fa uno come te qui?- chiese, infine.
-Che posso dire? Ognuno ha bisogno di un modo per smorzare la routine. Il mio è questo-
-Ubriacarti finchè non ti reggi in piedi? Ti sembra che io sia nato ieri?-
Sembrava una domanda retorica, finchè l'uomo, allentando ancora un poco il nodo della cravatta, non gli chiese quanti anni gli avrebbe effettivamente dato.
-Una sessantina?- sparò Giacomo. L'uomo rise.
-Da quanto ho capito, io dovrei averne poco più di quaranta, ma credo di avere perso il conto-
-Scusi, non volevo-
-No. È vero: io dimostro più anni di quanti effettivamente non ne abbia. Ma, che vuoi? Ho avuto tanti di quei dolori, che sinceramente non me ne sorprendo. Quello che mi chiedo è: che ci fa un giovane come te, qui dentro? Cosa ti ha ridotto così?-
-Non è così grave come sembra. È solo una sbronza- rispose, trattenendo un conato di vomito.
-Chiunque potrebbe fare di te quello che vorrebbe, adesso. Da dove vengo io, certe leggerezze non ce le possiamo concedere. Non in luoghi tanto affollati, non con gente simile-
L'uomo fece riferimento ai suoi compagni di bevuta. Giacomo sorrise.
-Alla mia età avrei dovuto trovare di meglio. Lo ammetto-
-Come vedi, non è solo una sbronza-
-Lei fa lo psicologo?-
-No. Perché?-
-Mi sento psicoanalizzato-
-DTi disturba?-
-No-
-Non ti disturba questo, però ti sei ridotto a una larva dall'alito di whisky?-
-Solo dopo una bella sbronza, riesco a dormire, ormai-
-Insonnia?-
-Incubi-
Giacomo teneva gli occhi bassi, persi in un punto imprecisato del tavolo, forse per l'alcool, forse perché immerso in altri pensieri.
-Cosa sogni?-
-Una ragazza-
Un sorriso malizioso interruppe l'apatia sul volto dell'uomo -Generalmente, una ragazza è sempre ben accolta nei sogni di un uomo. No?-
-Generalmente. Qui, in questi sogni, è diverso. Tutto è diverso-
-Hai voglia di raccontarlo a un vecchio che ha perso ogni voglia di giudicare?-
-C'è poco da giudicare; il problema è capirne il senso-
-Sentiamo-
-In pratica c'è lei, tutta bella, come sempre. È di spalle. Poi si volta-
-E...-
-Piange. Lei piange. E vederla piangere fa venire a me voglia di piangere. Poi, tutto si fa di fuoco, bruciamo, e io mi risveglio in lacrime-
Qualcosa negli occhi dell'uomo si era acceso, come una vecchia fiamma che tornava ad ardere quando credeva che fosse rimasta solo cenere.
-Questa ragazza...è molto lontana?-
-Sì. Volevo andare da lei, ma...-
Giacomo usò tutta la lucidità rimastagli per non dire nulla su dimensioni parallele, e inventò la storia più banale.
-...ma i biglietti per la Spagna sono finiti. Non la rivedrò tanto presto-
-Oh! Giakko! Il taxi è qui fuori!- urlò Giovanni da lontano.
-Io devo andare- fece lui; l'uomo lo prese per il braccio e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Parole a cui ripensò continuamente per tutto il viaggio di ritorno, guardando le luci della Cagliari notturna.
Era la stessa Cagliari che a Selena parve di poter dominare, dall'alto della Torre di San Pancrazio.
-Fa' freddino, eh?- commentò Luana, seduta alla sua destra. Selena non rispose.
-Sally?- la chiamava. Nessuna risposta, se non dopo una manciata di interminabili istanti, in cui Luana non poté non notare il suo sguardo assente.
-Dimmi. Che c'è?-
-Dovrei essere io a farti questa domanda, non credi?-
Selena sorrise -Touchèt. Mi hai beccata-
-Ne vuoi parlare?-
-Sinceramente, no. Preferirei che tu potessi leggermi il pensiero e evitarmi questa noia-
-Non ne sono capace. Chi lo è?-
-Lui può-
Disse quelle parole ad alta voce, provocando così la curiosità dell'amica, più di quanto desiderasse.
-Chi è 'lui'? Lo conosco? Di dove è? È straniero? Sardo? Scommetto che è romano! Hai sempre avuto un debole per i romani. Lo hai conosciuto questa estate? Quanti...-
-Frena! Frena!- la interruppe Selena, esasperata.
-Che ti prende? Di solito, ci diciamo tutto sull'argomento-
-Stavolta è diverso-
Luana la vide stringersi nel giubbotto in pelle, quasi a farsene scudo.
-Stavolta è seria, Lu. Più di quanto io non voglia ammettere. E sai qual è il colmo? Non ci siamo nemmeno messi insieme! Non ci siamo baciati, capisci? Ho solo passato tempo insieme a lui e...-
-Ti manca?-
Che bizzarra espressione, non è vero? Grammaticalmente, 'mancare' vuol dire essere manchevole, cioè avere bisogno di qualcosa. Nel suo caso, di qualcuno. E, forse, era proprio questo che le rendeva tutto più difficile: ammettere di avere bisogno di lui. Annuì, sommessa.
-Abita lontano?-
Selena annuì di nuovo, senza avere il coraggio di guardarla in faccia.
-Perché non vai da lui?-
-Non lo so. Te l'ho detto. Stavolta è seria. E io ho paura-
-Paura? Non morde mica!-
-È così complicato con lui!-
-Ma se hai detto che sa leggerti nel pensiero!-
-Non è proprio un 'bravo ragazzo'-
-Tu non sei certo una santa! Dai! Cosa sono queste scuse?-
Prese un lungo respiro. Era vero. Assolutamente vero. Erano tutte scuse.
-Vuoi la verità? Con lui o è tutto, o niente!-
-Cosa? Che vuoi dire?-
-Quando ci siamo incontrati, io avevo altre cose per la testa; e lui, pure. Ma se ora dovessi tornare da lui, ho la sensazione, ecco...di non poterlo più lasciare andare-
-Non ti sembra di esagerare? Lo conosci così bene?-
-No- rispose sconsolata -Te l'ho detto, è complicato-
-Insomma, ti piace sì o no?-
-Sì. Ma non mi piace il fatto che mi piaccia. Credi che abbia senso?-
-No. Lo vuoi un consiglio? Va' da lui. O comincerai a farti film su film, e non avrai pace-
Quando tornò a casa, i suoi genitori stavano già dormendo; suo fratello non era ancora tornato.
Selena si sdraiò, prese l'mp3 e ascoltò lenti e melanconiche ballate, le uniche che potessero conciliarle il sonno.
"Devo prendere una decisione" pensò "Magari la notte mi porterà consiglio"
CAP. III
La domenica fu piuttosto tormentata. Selena non diede risposta né a Carlos né tantomeno a Giacomo, entrambi segretamente martoriati da quell'attesa.
Suo fratello, in particolare, fece diverse allusioni a pranzo, sottolineando quanto fosse bello viaggiare, conoscere nuovi mondi, parlando di fatto con i loro genitori, che neppure immaginavano di che viaggio stesse parlando loro figlio, sotto gli occhi attoniti di Selena, che temeva si tradisse da un momento all'altro.
Tuttavia non si fece convincere, nonostante le continue frecciate di suo fratello. La sera, si rinchiuse in camera sua, dicendo che aveva una verifica a cui prepararsi. Il peggio era che corrispondeva a verità: un test di algebra. Nel giro di due ore, la sua scrivania traboccava di fogli e fogli di equazioni di ogni tipo e pasta, colme di cancellature, alcuni anche strappati per rabbia.
-Maledizione!- esclamò, strappandone un altro -E siamo a tre! La terza volta che la faccio e non mi dà!-
Non era forse nulla di complicato; di fatto, non riusciva a concentrarsi. Ogni dieci minuti, il suo sguardo si perdeva in un punto poco oltre la scrivania, matita in bocca, mente rivolta a quei momenti vissuti nella dimensione parallela, o che fantasticava di vivere, nella prospettiva di un ritorno che, cosa che solo lei sapeva, si faceva sempre più probabile.
Poi un rumore, una folata di vento, il clacson di una macchina o una voce nell'andito la richiamava al presente, dove la matematica sembrava avere deciso di guastarle il fine settimana.
"Non ho speranze. Questo compito sarà un disastro. Me lo sento"
Giacomo intanto ripeteva la Seconda guerra mondiale, nel senso che si preparava all'interrogazione di storia del giorno successivo. Il suo era solo un mero ripasso, fortunatamente: non passavano due minuti, che la sua mente vagava altrove, quanto e oltre quella di sua sorella. Non faceva che pensare a Patricia, e alle parole dell'uomo che aveva incontrato la sera prima al pub.
-Un sogno può essere una fantasia basata sul nostro passato o un intuizione che cerca di soverchiare le leggi di natura e avventurarsi nel futuro-
Curioso, quell'uomo! Curioso, davvero! Per essere ubriaco, si era dimostrato incredibilmente abile a non dire il suo nome, e a far parlare tanto Giacomo. Alla fine, concluse che tra loro due, l'unico andato era proprio lui: quello sconosciuto reggeva l'alcool molto più di quanto non facesse credere quell'aria rassegnata.
"Alla fine ho parlato solo di me. Avrei dovuto permettergli di confidarsi"
Non si soffermò a lungo, se non per constatare che, di tutto ciò che si erano detti, quell'ultima enigmatica frase era pressoché l'unica cosa che ricordava. Una semplice riflessione, che lo aveva messo davanti a un bivio: perché voleva tornare nella Dimensione Gamma? Perché voleva rivedere Patricia? Per un semplice capriccio, o perché credeva che le fosse successo qualcosa, come sembravano svelare quei sogni? O, forse, come direbbe il peggiore degli allievi di Freud, nel suo inconscio faceva quei sogni per autogiustificare un viaggio dai fini di fatto egoistici, in quanto metteva in pericolo altre due persone, Selena e Carlos (senza i quali i Doni dei Draghi non funzionavano), solo per appagare il semplice desiderio di stare con lei? Quando giunse a questa conclusione, risolse che la psicoanalisi non faceva per lui, e che la storia era molto più semplice da comprendere.
Carlos stava a letto, pancia all'aria, e ascoltava musica a tutto volume, incurante delle vibrazioni che si propagavano per le pareti e il vetro della finestra.
-Signorino! Signorino Sanchez!- chiamò qualcuno, alla sua destra. Ruotò pigramente il capo: era Albert, con un vassoio di thè caldo, con tanto di biscotti. Carlos abbassò il volume.
-Ha già finito di studiare, signore?- fece, posando il vassoio sulla scrivania.
-Sì, sì- rispose Carlos, mentre il maggiordomo gli versava una tazza di thè Olong.
-Gradisce altro?-
-No, a posto così-
L'uomo fece per uscire, ma si fermò sulla soglia della porta, prima che il ragazzo potesse alzare nuovamente il volume.
-Mi permette di parlare chiaramente, signorino?-
-Ovvio-
-Non credo che i suoi genitori avrebbero voluto che lei lasciasse la scuola-
Carlos si incupì -Sai che non sono andato a scuola ieri?-
-Lei non ci sta andando da una settimana-
L'uomo aspettava una giustificazione che non arrivava.
-Domani mattina la accompagnerò io stesso a scuola- si limitò a dire, chiudendo poi la porta dietro di sé. Carlos rimase a guardare in quella direzione, smarrito.
Non aveva neppure cercato di giustificarsi, e non perché non gli importasse che parere avesse Albert di lui. Al contrario, gli importava più di quanto avesse mai pensato; in fondo, era stato con lui fin dall'infanzia, ed era sicuro che anche Albert, da parte sua, vedesse in Carlos come un secondo figlio. Eppure, ciò non bastava a farlo mettere in piedi e prendere quel libro di statistica di cui l'indomani ci sarebbe stata la verifica. All'inizio pensò di essere troppo distratto per cavare un ragno dal buco; risolse, poi, di non averne semplicemente la voglia. Non aveva la voglia di fare nulla; perfino non fare nulla gli dava noia. Si trovava in quel curioso stato mentale, in cui un individuo vorrebbe essere invisibile a tutti.
Il suo stato d'animo non cambiò quando, la mattina dopo, alle otto e mezza in punto, la professoressa posò un blocco di tre fogli di analisi statistica sul suo banco. Non lo voltò subito; non era particolarmente interessato al contenuto di quel pezzo di carta. Gli sguardi dei compagni, che notarono che, dopo venti minuti, lui non aveva neppure voltato il test, anche solo per dargli un'occhiata veloce, non lo toccarono: erano solo occhi che lo fissavano e poi si spostavano altrove, imbarazzati da quello sguardo melanconico. Erano solo sguardi, nulla di più.
Anche il rossore sul collo della professoressa era solo un colore. Certo, un colore molto curioso per una pelle così bianca! Ma, pur sempre, un colore.
-Carlos Sanchez! Devo prendere il tuo gesto come un atto di spavalderia? Credi di poter fare il test in dieci minuti? Lo credi tanto facile?-
-Per poterlo credere, dovrei essermene anche solo minimamente interessato, non trova?-
La donna batté la mano sulla cattedra, mentre con la sinistra imbracciava la penna e scriveva una nota sul registro. Carlos rimase impassibile.
-Cambierai presto questo tuo atteggiamento-
Qualcuno bussò alla porta ed entrò.
-Signora Maria, dica-
-Carlos Sanchez-
Generalmente una chiamata simile poteva significare che i genitori del ragazzo in questione lo aspettavano o lo avevano chiamato al telefono della scuola. Ma lui era orfano, ormai. Ed era lunedì, l'unico giorno in cui lo psicologo della scuola si era reso disponibile. Carlos era in cura da lui da inizio anno, e anche i compagni sapevano bene da chi stava andando, quando mollò il test in bianco sulla cattedra e varcò quella soglia.
Camminò lentamente per i corridoi vuoti della scuola; i suoi passi pesanti erano in netto contrasto con la sua voglia di essere invisibile, mentre apriva la porta dell'ufficio.
-Posso?-
-Entra! Entra, Carlos!-
L'uomo si alzò in fretta dalla sua sedia, nel bel mezzo di una stanzetta che in origine era un magazzino, come testimoniava il mucchio di sedie accatastate alla destra di Carlos.
-Ti prego, siediti!-
Il ragazzo obbedì, mentre lo psicologo apriva una nuova pagina del suo taccuino, lo stesso taccuino rosso che aveva usato anche nelle altre sedute. Erano passati mesi, però, dalla prima seduta, ed era impossibile che un solo taccuino bastasse per tanti studenti (almeno trenta in tutta la scuola).
"Le cose sono due: o ne ha tanti uguali, o ne ha uno apposta per me" pensò.
-Allora, come vanno le cose, Carlos?-
-Come dovrebbero andare, signore?-
-Ti ho già detto mille volte di darmi del tu, e chiamarmi pure Luca. Cosa stai studiando a scuola in questi giorni?-
-Niente-
Luca sorrise appena -Non credo che vi lascino in panciolle a scaldare il banco-
-Non ha capito: sono io che non ho toccato libro-
Carlos lo vide distintamente deglutire -Hai considerato l'ipotesi di prenderti un anno sabatico? Sarebbe l'occasione per fare qualche nuova esperienza, sai, per un arricchimento personale-
-Ho considerato l'ipotesi-
-E allora?-
-Se lascio la scuola, è per non tornare. Su questo non ci piove-
L'uomo si tolse gli occhiali, e si stropicciò gli occhi. Se li rimise, posò il taccuino e accozzò il gomito alla scrivania -Non credo che i tuoi genitori avrebbero voluto questo per te-
-Sa che è proprio buffo? Tutti credono di sapere cosa avrebbero voluto i miei genitori!- urlò alzandosi dalla sedia e aprendo la porta.
-Carlos, aspetta!-
-Ma io francamente credo che l'unica cosa che loro avrebbero voluto è di non crepare come topi in un aereo in volo!-
Uscì, sbattendo la porta dietro di sé.
Erano le undici e un quarto, quando la campanella della ricreazione suonò al Liceo Scientifico di Cagliari. Nella 2B però solo due ragazze e un ragazzo mangiavano con calma, e tra loro non rientrava Selena Gaspares, sommersa in un libro di matematica. Al suo fianco, Luana cercava di tranquillizzarla, invano.
-Questa è la volta buona che mi prendo tre!-
-Possibile che tu non abbia fatto nulla ieri?-
-Avevo la testa altrove! E tu sai bene dove...-
-A proposito, che decisione hai preso alla fine?-
Selena non rispose subito. Tenne lo sguardo fisso sul libro di algebra, non perché lo stesse leggendo, ma solo per non incrociare lo sguardo indagatore dell'amica.
-Non ho deciso. Non ancora. Ora come ora, voglio solo che finisca questa mattinata-
-E che mi dici del misterioso Carlos? Non mi hai detto niente del vostro altrettanto misterioso incontro sulla sabbia del Poetto al tramonto-
-Che c'è di misterioso? Tizia e Caio si rivedono, chiacchierano, e Tizia alza i tacchi e fa mangiare a Caio la sabbia. Tutto qui-
-Non è andata come speravi?-
-Diciamo che se oggi prenderò tre, lui dovrà sentirsi parzialmente responsabile. Assieme a quel geniaccio di David! Possibile che dovesse mancare proprio oggi?! Dovevo copiare da lui!-
-Si è ammalato. Anche ai cervelloni capita!-
-Accidenti, che tempismo, però!-
-Parlando di tempismo...- sussurrò Luana, indicando la cattedra. Un uomo, basso, occhialuto e dal naso aquilino, posò una borsa di cuoio a terra e richiamò la classe, mentre suonava la campanella. Selena osservava lo sconosciuto personaggio, mentre un barlume di speranza si faceva largo dentro di lei.
-Ragazzi, sono spiacente di annunciarvi...- esordì l'uomo -che il Professor Pillai oggi è assente per motivi di salute-
Un grido generale della classe fece tremare anche i banchi. Il supplente li richiamò all'ordine e li fece sedere immediatamente.
-Nota immediata a chiunque fiati per i prossimi cinquantasette minuti-
Calò il silenzio assoluto, e in attimo Selena rivide la sua considerazione per quell'uomo: da salvatore a carceriere. Un carceriere molto restrittivo, che la condannava a patire la sua quotidiana reclusione scolastica nell'assoluto silenzio, così che ogni suo pensiero vagò ancora per quelle terre ignote che noi chiamiamo "desideri celati".
"Certo" pensava "che sarebbe bello se Zares venisse a scuola qui. Ci verrei molto più volentieri!"
Cercò di visualizzare l'immagine dell'elfo, in jeans e maglietta.
"Ci potremmo incontrare al cambio dell'ora, scambiarci sms durante le lezioni, vederci di nascosto in bagno, passeggiare mano nella mano nel cortile per tutta la ricreazione e alle ore buche, fare i compiti insieme! Sì, sarebbe tutto più normale!"
D'un tratto, però, nella sua immaginazione irruppe il ricordo di Zares, in piedi in un giardino, che impugnava una spada sporca di sangue. Trasalì.
"Ma che vado a pensare! Lui neppure va a scuola! Non sono neppure sicura che sappia scrivere o leggere! E di sicuro, se venisse qui, minaccerebbe il prof con la spada alla prima insufficienza!"
Il suo sguardo passò dalla parete di fronte alle nuvole bianche su un cielo azzurro.
"Però lui con quella stessa spada mi ha salvato. Questo è il punto"
-Scusi, posso andare in bagno?-
-Direi che questo è un nove, Gaspares-
Giacomo, dal primo banco, sorrise appena udendo il proprio voto per l'interrogazione.
-Bravo, Giakko!- disse Fede, dandogli uno pacca sulle spalle.
-Beh? Tutto qui il tuo entusiasmo?- fece Gianni, affianco a lui.
-Che vuoi?- fece Federico -Ci sarà abituato!-
La verità era che non riusciva a festeggiare. Erano passati due giorni da quando aveva chiesto a Selena di tornare nella Dimensione Gamma, e lei non gli aveva ancora dato risposta. Più il tempo passava, e più si riducevano le speranze di rivedere Patricia.
Ovviamente questo non lo poteva dire: non era nella sua indole spargere ai quattro venti tutto ciò che gli passava per la testa, specie in questioni di cuore. Non era da lui, non era nel suo stile. Ma dovette ammettere che faceva davvero male vedere tanti sorridere, e non riuscire a partecipare a quella felicità perché afflitti da un dolore intimo di cui poi non poteva fare partecipe nessuno.
Alzò gli occhi, e vide, per puro caso, sua sorella passare in corridoio.
-Posso andare al bagno?-
Uscito dalla classe, si precipitò ai bagni. Senza esitare, la seguì in quello delle donne.
Selena si stava sciacquando il viso, quando se lo vide davanti. Sussultò per lo spavento.
-Scusa, non volevo spaventarti-
-Esci subito! Se ti beccano, ti sospendono!-
-Non mi importa. Devo sapere se hai deciso-
Selena mise la mani sul lavandino, come se stesse sopportando un peso enorme e avesse bisogno di sostegno.
-Non è una scelta facile per me-
-Lo so. Ma credimi: l'attesa è peggiore-
-Anche avere la pressione addosso è una tortura-
-Almeno tu scegli: io mi sto rimettendo al tuo giudizio-
Selena inspirò a fondo -E, comunque, sì, ho deciso-
-E allora? Qual è il verdetto?-
Carlos stava a terra, in un angolo del corridoio del suo istituto, quando sentì una vibrazione nella coscia. Infilò la mano in tasca e aprì il display del cellulare.
-Pronto?-
-Carlos, sono Selena-
Il ragazzo scattò in piedi, come svegliatosi tutto a un tratto.
-Dunque? Hai deciso?-
-Sì-
-E quindi?-
Selena rise, con dolcezza -Non hai capito. È questa la risposta. Sì, partiamo!-
CAP. IV
Una limousine rigorosamente bianca si fece aprire i cancelli della villa Sanchez, cui giardini sempreverdi circondavano l'abitazione, mentre dalle finestre trapelava una luce che invitava alla festa ma allo stesso tempo al rigore. L'auto percorse lentamente il vialetto di ghiaia, come a mostrare l'onore e la ricchezza della famiglia, l'eleganza delle sculture grecizzanti, un Apollo, Venere con il suo corteo di Amorini che si innalzavano su una fontana in marmo bianco.
L'auto si fermò dinnanzi alla scalinata, ai cui piedi Carlos attendeva, impaziente. Vestiva uno smoking bianco, scarpe nere, cravatta rossa, capelli pettinati da un lato, e una raffinatezza che ormai si era incarnata nella sua figura di diciassettenne. Le portiere si aprirono: la famiglia Gaspares al completo fece la sua comparsa.
-Buonasera, Signora Gaspares, la trovo in splendida forma- disse, mostrando un sorriso a ventiquattro carati. La donna arrossì.
-Dammi pure del tu, ragazzo. Dopo ieri, sei di famiglia!-
Famiglia. Che strano termine, se applicato a non consanguinei! Eppure, aveva avuto anche lui quella stessa sensazione, quando il giorno precedente aveva trascorso il Natale con loro, cantando "La canzone del sole" al ritmo della chitarra di Giacomo. Era stato come un sogno, una breve parentesi dalla sua vita. E quella stessa sera, se tutto sarebbe andato come previsto, se ne sarebbe aperta un'altra, molto più lunga.
-Grazie dell'invito, Carlos. Sei un bravo ragazzo, sai?- fece il marito.
Anche quelle parole ebbero uno strano effetto: l'emozione che si prova quando ci si guadagna il rispetto di qualcuno.
-Giacomo, sono davvero felice di vederti-
Il giovane Gaspares sorrise -Ci credo-
-Hai portato l'orologio?- sussurrò, lontano dalle orecchie dei suoi genitori, che proprio in quel momento Albert accompagnava all'ingresso, provvedendo ad annunciarli ad alcuni amici di famiglia. Giacomo alzò leggermente la manica dello smoking nero, usato e in affitto: un orologio dorato ammiccava a entrambi. Sul suo quadrante, solo quattro lettere, disposte perpendicolarmente: L'Alfa, che la lancetta indicava, Beta, Gamma, e Delta.
-Metti la lancetta sulla Gamma- disse .
Il ragazzo obbedì: la lancetta andò prima sulla Beta, e poi sulla terza lettera greca. A quel punto, fu scortato da Albert. Carlos e Selena rimasero soli, sui primi gradini, mentre la limousine ripartiva. Rimase incantato di fronte a quella visione: un vestito rosso-fuoco avvolgeva la ragazza, esaltandone le forme. Capelli sciolti, lungo le spalle; orecchini di diamante; scarpe bianche con tacco di almeno dieci centimetri, portati con estrema eleganza nel camminare.
-Sei bellissima-
-Grazie. Anche tu stai bene- disse, sistemandogli bene la cravatta. Quel complimento non era riferito solo al suo abbigliamento: Carlos si sentiva veramente meglio, e quella nuova luce nei suoi occhi, dopo mesi di assoluto buio, rivelava la sua impazienza di rivedere Wert.
-Sei pronto?-
-Dovrei essere io a farti questa domanda. Sei pronta a rivedere Zares?-
-Credo di sì. Ho deciso di dargli una seconda possibilità. In fondo, mi ha salvato la vita. Mi auguro solo che la tua ragazza non lo abbia già scannato-
-No, dai... Wert è molto più brava di quanto non voglia sembrare-
Fece per salire, ma Selena lo prese per il braccio -Aspetta. Ho una cosa per te-
Carlos si voltò, interrogativo -Cosa?-
-Consideralo il mio regalo di Natale- disse, portando fuori un cd dalla borsetta. Carlos prese tra le mani il dono, confuso.
-Ma io non ti ho fatto nessun regalo... E poi, Natale è già passato-
-Dettagli. Però promettimi che lo guarderai solo al nostro ritorno, non prima-
-Ok, come vuoi- disse -Hai portato la sveglia?-
La ragazza annuì, mostrandogli una sveglia dorata, vecchio stile, nella sua borsetta rossa.
-Allora, andiamo-
La scortò a braccetto sino all'ingresso. Qui, Carlos disse ad Albert di porre il cd in camera sua.
-Che lusso!-
Selena rimase a bocca aperta di fronte all'immensità di villa Sanchez. Una lunga scalinata bianca, cui gradini, così come il corrimano, erano rifiniti in oro zecchino, si estendeva davanti all'ingresso principale. Sulle scale, come nel salotto di almeno trenta metri quadri, decine di donne e uomini disquisivano degli argomenti più disparati. Gli uomini erano i caratteristici "pinguini della finanza": giacca nera su camicia bianca, come se fossero in divisa. Più fantasia avevano le donne, che in generale avevano puntato su abiti da sera griffati e rifiniti in pizzi, possibilmente accompagnati da sfavillanti gioielli e perle.
-Carlos, sei sicuro che non faccio brutta figura?-
-Hai voglia di scherzare? Sei uno schianto!-
-Allora perché mi sento osservata?-
-Per diversi motivi, e li scoprirai tutti se ti farai accompagnare dal sottoscritto-
Selena annuì, stringendosi anche di più a quella che in quella vasca di piranha poteva rivelarsi la sua ancora di salvezza.
La prima tappa del tour dei pinguini prevedeva l'incontro di un altolocato banchiere del milanese, sposato, con due figli, e molto ansioso di entrare nelle grazie dei Sanchez.
-Si sta divertendo, Signor Tozzi?- domandò Carlos -Signora, la trovo incantevole-
La dama, cui cappello era paragonabile a un pavone morto e appiccicato con una colla scadente a un pezzo di stoffa, esordì con una risatina isterica, portando la mano sulle labbra.
-Anche lei è in ottima forma, Signor Sanchez-disse Tozzi -Non credo di avere avuto il piacere, signorina-
Selena capì che il pinguino-banchiere si stava riferendo a lei, ma non capì immediatamente di che piacere stesse parlando, e per un lungo interminabile istante i quattro si guardarono l'un l'altro, nell'attesa di una presentazione che tardava ad arrivare. Alla fine, Carlos intervenne.
-Permettetemi di presentarvi Selena Gaspares-
-Lieto di conoscerla- aggiunse lei, nel più totale imbarazzo -Carlos mi ha parlato molto di lei, sa?-
Il ragazzo le rivolse uno sguardo interrogativo.
-E che cosa le ha detto? Sentiamo, sentiamo!-
-L'ha lodata come un "uomo che si è fatto da solo", "un vero esempio dell'imprenditore modello", un "esempio per tanti"-
-La sua signora è molto generosa-
Carlos e Selena si lanciarono un'occhiata colma di imbarazzo -No, no, non stiamo insieme-
I signori Tozzi sorrisero -Difficile a dirsi, no?-
Si congedarono, e fu allora che Selena cominciò a capire. Diede uno sguardo agli altri ospiti, che ancora lanciavano frecciate maliziose verso di lei. Prese Carlos per un braccio, con forza.
-Comincio a capire perché ci guardano tutti...Mi credono la tua ragazza!-
-Sì, anche per questo. E non guardarmi così! Non è colpa mia se sono un ammasso di pettegoli! E, comunque, non credere che ciò possa diminuire la tua popolarità-
Selena seguì il suo sguardo e si voltò: un ragazzo le si era parato davanti.
-Piacere, Davide Mussa-
Il giovane pareva essere uscito da una rivista di moda: bruno, occhi verdi, sorriso perfetto, sfoderava una sicurezza quasi eterea. Selena deglutì, mentre cercava di presentarsi..
-Gaspera Selenes- riuscì a dire-Cioè, Serenas Gaspale, no, no...-
-Lei è Selena Gaspares- disse, Carlos, che a fatica tratteneva le risate.
-Da dove vieni, Selena?-
-Da una limousine-
Davide rise, convinto che la sua fosse una battuta volontaria.
"Possibile che oggi debba fare solo gaffe?" pensava, furibonda.
-E la tua famiglia?-
Il ragazzo faceva riferimento al lavoro dei genitori, alla loro posizione nella società, come conoscevano i Sanchez. Questo lo sapeva Carlos, ma non lei, che si limitò a indicare un punto alle sue spalle. Davide si voltò: poco distante, un uomo di mezza età lo fissava torvo, mentre faceva schioccare le nocche.
-Q-quello è tuo padre?- chiese, di colpo impallidito.
-Si, perché?-
Nel giro di trenta secondi, Davide trovò una scusa a suo parere geniale, si congedò e volatilizzò.
-E ti pareva! Bello, impossibile e codardo! Cosa fanno i genitori? Gli illusionisti? La sua fuga avrebbe fatto invidia a Hudinì!-
-E questa- disse,Carlos, poggiando la mano sulla sua spalla -è la seconda ragione per cui ti fissano. Sei una delle più belle ragazze che abbiano mai varcato quella porta-
Selena arrossì -Esagerato. Comunque, cominciamo a organizzare la nostra fuga. Che ora è?-
-Le undici. Gli ospiti se ne andranno tra poco più di un'ora-
Selena infilò una mano nella borsetta e analizzò la posizione della lancetta della sveglia dorata.
-Mancano due tacchete. Il tuo orologio?-
Carlos sollevò leggermente la manica bianca, mostrandole il suo orologio argentato, cui numeri andavano dall'uno al quattro.
-Mettilo a quattro-
-Non sarà troppa energia?-
-Credimi: se la serata va avanti così, mi serviranno molte forze per muovermi di un solo passo-
-Non sei abituata, eh?-
-Per niente-
Fu in quel momento che arrivò anche Giacomo.
-Di un po', tu, non ti pare di stare un po' troppo appiccicato a mia sorella?-
Selena gli diede un pugno sulla spalla -Dacci un taglio-
-Scherzavo! Comunque, inizia la commedia. E i protagonisti siamo noi-
I tre si avvicinarono ai genitori di Selena e Giacomo, che in quel momento assaggiavano un misterioso piatto del rinfresco.
-Cosa è questo, Carlos?- chiese l'uomo.
-Fois Gras, signore-
-Buono... e, cosa sarebbe?-
-Fegato d'anatra-
A quelle parole, smise di masticare, e si accaparrò un bicchiere di vino per poter ingerire la pietanza. La moglie si lasciò andare a una sonora risata. Carlos approfittò di quell'ilarità.
-Signori, questa sera io dovrei partire in viaggio a Barcellona, ma mi ritrovo con tre biglietti pagati e solo un passeggero. I miei avevano prenotato questo viaggio da mesi...-
Giacomo e Selena lo guardarono stupiti. La sua idea si stava rivelando a dir poco geniale. I loro genitori mostrarono estrema pena per quell'orfano che aveva fatto conto di partire con il padre e la madre, ma che avrebbe trovato due sedili vuoti affianco a lui.
-...per cui- continuò Selena -stavamo pensando di andare con lui. Possiamo?-
I loro volti tradivano la loro sorpresa, necessariamente soppressa di fronte all'afflizione del giovane Sanchez, che non sollevava lo sguardo da terra. Se avessero detto di no, quel povero ragazzo si sarebbe trovato da solo, in una città così grande!
-Non so... è molto lontano-
-Vengo anche io con lei- aggiunse Giacomo -La terrò d'occhio io-
-Sì, ma lui parte stasera e voi non avete i bagagli pronti...-
-Invece, sì- mentì Selena -li abbiamo fatti stamattina, mentre stavate dormendo. Sono già in camera di Carlos-
-Non sono tanto convinto, tesoro-
-Per favore, quando mai ci ricapiterà un'occasione simile?- chiese Giacomo -Carlos ci farà visitare tanti musei, saremo a letto entro le dieci, e nei suoi affari ci farà conoscere alcuni magnati spagnoli...e poi noi non viaggiamo mai!-
I due consorti alzarono gli occhi al cielo -Va bene, come volete voi. Ma, mi raccomando, prendetevi il cellulare!-
-Certo!-
Giacomo e Selena li abbracciarono, entusiasti; Carlos propose una stretta di mano, ma entrambi lo strinsero in un forte abbraccio, nonostante gli sguardi curiosi degli invitati.
A malincuore, Carlos dovette ammettere di sentire la nostalgia di un gesto tanto semplice come l'abbraccio di un padre.
Il giovane Gaspares sentì qualcosa strattonarlo per l'orlo della giacca; si voltò, e vide una bambina, dagli occhi pieni di curiosità, che lo osservava. Si mise in ginocchio, così da essere alla sua altezza, e risultare meno imponente.
-Ciao! Io sono Giacomo-
Le porse la mano, e lei la strinse docilmente, mostrando un sorriso che mancava di un incisivo.
-Io sono Giulia-
-Lo sai che hai un bel vestitino?-
La bambina arrossì, evidentemente fiera dell' abito rosa-pesco.
-Grazie. Senti, posso vedere il tuo orologio?-
Giacomo le mostrò l'Orologio dello Spazio, osservando con emozione i suoi occhi brillare di fronte all'oro più puro.
-Che bello!-
-Sì, e lo vuoi sapere un segreto?-
Giulia annuì, mordendosi le labbra.
-È stato un drago a forgiarlo! Dalle sue fiamme!-
-Davvero?- fece lei, mentre le brillavano gli occhi.
-Sì, ma mi raccomando: è un segreto-
Si strinsero il mignolo, suggellando così il loro patto nel modo più sacro che i bambini conoscono.
-Sì, ma cosa sono queste lettere? Non sono numeri, vero?-
-No, Giulia, sono tutto ciò che vuoi. Sono i tuoi sogni. Vedi questa lettera?-
Giacomo indicò la Gamma -Ecco, qui ci sono i miei sogni-
-In che senso?-
-Sai cosa sono le favole?-
-Certo!-
-Ecco, qui, c'è la mia favola, e la mia principessa-
-E tu sei il principe?-
-Sì, più o meno-
-E...c'è un posticino anche per me?-
-Certo! Qua ci sono altri tre posti. Dove lo vuoi, il tuo sogno?-
La bambina picchiettò sulla lettera Beta. Giacomo portò la lancetta su quella lettera.
-Fatto. E, dimmi, come è la tua favola?-
-Allora, ci sono io, che sono la principessa-
-Dove vivi, mia principessa?-
-In un castello di bolle di sapone-
Giacomo sorrise, affascinato dall'innocenza di quella creatura-Wow! Non ti manca la fantasia! E chi c'è nel tuo castello?-
-La mamma, il papà, e il mio cagnolino-
-Hai un cane? Come si chiama?-
-Peggy-
-Bel nome. E poi?-
Intanto, Selena era andata al bagno, per rinfrescarsi il viso e sfuggire da tutte quelle presentazioni, discorsi di finanza, finte risate e falsi complimenti. Il bagno era lussuoso quanto il resto della casa: mobili in marmo bianco, vasca, doccia... Asciugamani azzurri ricamati a mano, così preziosi che sembrava un peccato usarli. Si sciacquò il viso, e quando alzò gli occhi, vide la sua immagine riflessa nello specchio che retrostava alla porta.
Sì, si era davvero conciata bene, quella sera. Lei non era solo bella, lei si sentiva tale. Quello che la inquietava era che non si era vestita così per la serata di gala; lei lo aveva fatto per Zares.
Improvvisamente, cercò di immaginare come sarebbe stato il loro incontro.
-Ciao, Zares. Come stai?-
Fantasticava poi su tutti i complimenti che questi le avrebbe fatto.
-Esagerato!- si schermì, giocando con le ciocche corvine.
Un rumore oltre lo specchio la riportò alla realtà.
-Selena, è tutto ok? Sei lì da un po', e ho sentito alcune voci- disse Carlos, oltre la porta.
-Entra pure- fece lei, aprendo la porta, per poi richiuderla subito.
-Si può sapere cosa stavi facendo?-
-Le prove per quando rivedrò Zares-
-Sei nervosa?-
-Sì. E tanto. Forse troppo...è che non so cosa aspettarmi!-
-Non è che ci voglia tanto. Innanzitutto, ti farà i suoi complimenti, ammesso che riesca a spiccicare parola-
-Sì, sì, fin qui ci sono arrivata. Ma poi? Insomma, voi ragazzi non parlate mai di sentimenti, questo lo so. Però lui è esagerato! Non so quante volte gli ho dato l'occasione, e niente!-
-Allora, fallo tu! Prendi tu l'iniziativa-
Selena sospirò -Proverò, ma non sarà semplice-
-Prova con me. Immagina che io sia Zares-
-Va bene- balbettò lei. Lo prese per ambe le mani, lo guardò negli occhi, mentre nella sua mente sovrapponeva a quella immagine il viso di Zares. Non fu troppo difficile.
-Zares, tu e io ne abbiamo passate tante...-
Ed era vero. E il tutto in pochi giorni!
-Io non mi sento al sicuro con nessuno come con te-
-Selena, ti perdi in chiacchiere. Va' al punto-
-Tu mi...-
Un dubbio atroce le balenò in testa, cercò di ignorarlo.
-Sì, insomma, io ti...Oh, non ce la faccio!-
Lasciò andare le mani di Carlos bruscamente, e se ne portò una alla testa come per sorreggerla.
-Che ti prende?-
-E se per lui non fosse così? E se non mi avesse detto nulla proprio perché per lui non sono mai stata e non posso essere altro che un'amica?-
Carlos sorrise, e portò una mano alla sua spalla -Uomo e donna non possono essere amici-
Per un attimo Selena si sentì sinceramente rincuorata da quelle parole. Poi, però, si accorse di quel contatto sulla spalla, incrociò lo sguardo di Carlos e le si avvamparono le guance per l'imbarazzo.
-Allora, io e te..-
Solo con quel mezzo commento il giovane comprese e fu contagiato da quella strana reazione; si allontanò da lei e camminò per la stanza, cercando di mascherare il suo disagio.
Selena si affrettò a uscire, e Carlos con lei; non poterono evitare lo sguardo malizioso di una dama che li vide uscire insieme dalla toilette.
-Almeno con la partenza, è tutto sistemato-
-A proposito: non posso credere che tu abbia chiamato in causa i tuoi! Insomma, loro sono...-
-Morti? Cosa credi? Che non lo sappia?-
Carlos le fece cenno di guardarsi attorno: ancora una volta, Selena sorprese diversi tra i presenti a osservare il ragazzo. Guardò ancora una volta lui: teneva gli occhi bassi, come se volesse rendersi invisibile.
-Un momento: loro ti fissano per quello che è successo ai tuoi genitori, vero?-
Carlos annuì -Precisamente. Tutti non perdono occasione di ricordarmi quello che è successo, che sono diventato orfano. Come posso voltare pagina, se mi tengono ancorato a quel giorno? E quando non lo dicono con le parole, lo fanno con i loro sguardi, con le loro premure false quanto una banconota da sette euro. Mi sento asfissiare-
-Quindi, la tua è una fuga?-
-No, beh, più che altro una pausa. Torneremo presto-
-Io mi auguro solo che vada tutto bene-
Si erano fatte le mezzanotte, e molti invitati si congedarono.
-Vorremmo stare più a lungo- dicevano -Ma domani è giorno feriale. Il mattino ha l'oro in bocca-
-Grazie per la vostra compagnia- rispondeva Carlos -A presto-
A mezzanotte e mezzo l'intera casa era praticamente deserta. Solo i Gaspares si apprestavano ad andarsene.
-Quindi, quando partite?- chiese la signora, rivolta a Carlos.
-Tra un paio di ore. Abbiamo tutto il tempo per cambiarci e prendere la limousine. Toneremo per capodanno-
-Mi auguro che lo vorrai festeggiare con noi?-
-Sarebbe un piacere e onore, signore-
Albert porse loro le giacche. I due si avvicinarono a Giacomo e Selena.
-Divertitevi! E mi raccomando...-
-Sì, si, mamma, faremo attenzione-
Li abbracciarono forte, trasmettendo tutto il loro affetto in quella manciata di secondi. Quando la porta si chiuse dietro di loro, i tre tirarono un grosso sospiro di sollievo.
-Non mi piace mentire a loro- ammise Selena.
-Neanche a me. Ma, ragiona: non ci crederebbero mai-
Carlos sorrise con amarezza.
"Io non ho più di questi problemi"
Fu il turno di Albert.
-Buon viaggio, signorino. Sicuro di volere andare in taxi all'aeroporto?-
-Sì, questi due non mi permettono di portarli in limousine anche lì!-
Anche il maggiordomo lasciò la casa. Rimasero solo loro tre. Erano ormai l'una meno dieci.
-La sveglia è poco vicino allo zero. Siete pronti?-
Carlos e Giacomo annuirono.
-Come farai a trovare Patricia?- chiese Carlos.
-Speravo che Wert mi avrebbe aiutato. E, comunque, non mi importa: dovessi cercarla per mari e monti, la troverò-
-Ma sentitevi! Manco ve le foste sposate, quelle due!-
-E tu? Come troverai quell'eremita del tuo amico?-
-Zares? Non lo cercherò proprio! Se è destino che ci incontriamo, allora accadrà-
Che cosa strana, il destino! Sembra che si diverta a sorprenderci, nel bene o nel male. Possiamo pianificare tutto, ogni singolo dettaglio, ma il nostro progetto più perfetto può rivelarsi un fragile castello di carta che il fato spazza via come una folata di vento. E come il vento modella le dune del deserto, così la Dea Bendata fa con le vite umane.
Alle una in punto, la Sveglia del Tempo, l'Orologio dello Spazio e quello dell'Energia si illuminarono di una luce celeste, che avvolse e cullò con dolcezza i tre giovani, che ormai pregustavano la notte eterna della dimensione Gamma.
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