Chapter 6\"L'amore non è un sentimento autosufficiente..."
<<Con la manica modificata ti sta a pennello, vedi?>>.
Jake mi raggiunge appena la folla attorno ai novelli sposi si dilegua, sistemandomi il vestito mentre mi sorride ignaro della confusione che ho nella testa nei suoi riguardi.
<<Avevi ragione. E poi è abbastanza lungo, le ginocchia non si vedono>> commento ammiccando, mentre già mi dirigo verso il responsabile del catering per dargli le ultime disposizioni. E per rimandare, ancora una volta, il momento in cui dovrò svelargli ciò che penso.
<<Io questa cosa gelatinosa e dal colore improbabile non la mangio>> sento dire da Claudio appena viene servito l'antipasto a buffet davanti ad una tartina di crema di avocado, semi di canapa e mandorle tritate.
<<Tieni, prova questa. E' tipo una frittata>>. Gli allungo per pietà un quadratino di farinata di ceci ancora calda, sfruttando il paragone con il piatto più famoso a base di uova per invogliarlo e non fare il solito guastafeste. Persino suo fratello ha imparato ad apprezzare queste pietanze un po' particolari... con un pizzico di fantasia ce la potrebbe fare anche il più scettico carnivoro convinto che esista. Anche se Marco l'ha fatto per amore, solo per amore – rendendo profano il paragone con il film diretto da Veronesi, dal medesimo nome, dalla trama Sacra riguardante la Natività – perciò non conta. Le polpette di Bulgur e funghi Shitake sfidano la diffidenza iniziale dei commensali e tutti ne divorano un quantitativo esagerato. D'altronde, le polpette sono polpette e tutto ciò che ci butti dentro – se poi le friggi anche, la morte loro – diventa buono. Barbieri, non inorridire e non buttare al vento la tua passione per queste palline deliziose solo per le mie – anche loro – profane parole.
<<Ma questo va mangiato come fa Zalone? Se ci sono papere nel laghetto è perfetto>> domanda in tono divertito Giò, rimescolando l'insalata di miglio.
<<Ma no, quello era cous cous!>> gli dà corda Sandro, che imita invece l'attore in un altro suo film, alle prove con l'interpretazione di un uccello che mangia beccando la pietanza sopra descritta.
<<Affettato di lupino?>> si aggiunge agli scettici Jake, mentre legge ad alta voce un'etichetta descrittiva posta davanti a degli affettati dai colori e dalle consistenze un po' strane. <<Ma quindi il lupo piccolo lo possono mangiare, 'sti vegani?>> scherza, prendendosi un affettuoso – ma ben assestato – calcio negli stinchi dalla sposa, tornata dopo il breve servizio fotografico del quale si è occupato mio fratello, ingaggiato all'ultimo poiché unico possessore di una Reflex e, data la giovane età, di una quasi totale sobrietà.
<<Non avrei mai creduto sareste riusciti a fare una cosa così>> si complimenta ora, appoggiandosi alla sedia di Nat e osservando i tavoli attorno a sé. <<Avete anche pensato al tema... okay che era facile azzeccare, però... anche "Quattro Matrimoni e un Funerale"?>>.
Come non utilizzare i titoli delle infinite commedie romantiche prodotte negli ultimi anni che la sposa adorava?
<<Sappiamo che Hugh non è tra i tuoi attori preferiti, ma ci sembrava carino>> ammicca Giò, addentando una mini bruschetta con hummus di azuki e barbabietola: non certo la pietanza più particolare del menu, e nemmeno la più gradevole.
<<Va bene, concesso>> si convince la sposa, e si dirige verso il tavolo a lei riservato, al centro della tensostruttura, nominato, ovviamente, "Love Story".
<<Pensare che quando abbiamo visto questo film la prima volta ci eravamo annoiati da morire>> commenta malinconico Marco, voltando la finta statuina degli Oscar con inciso il nome del film, accomodandosi accanto a lei e strappandole un sorriso.
<<Sì, e non è che sia successo poi così tante volte... la noia, quando siamo insieme, è un sentimento che non ci appartiene affatto...>> ribatte maliziosamente lei, e io alzo gli occhi al cielo.
Glucosio sparato direttamente in vena: bleah.
<<Senti, non è che oltre al servizio di piatti biodegradabile, riciclabile, ecc, avete preso anche dei bicchieri tipo le coppe di Pitagora?>>. Jake arriva con la bocca piena – lupino o altro, pare abbia apprezzato l'affettato vegetale – e mi abbraccia, appoggiando il braccio destro alla sedia di Marco, che lo osserva perplesso. <<Quello del teorema? Ma cosa c'entra?>>.
<<Beh, appena verso il vino sembra vaporizzarsi!>>.
<<Jake, forse perché non fai in tempo a riempire il bicchiere che già l'hai finito! Ubriacone... cerca di essere meno avido, così Pitagora non si arrabbia e non truccherà i bicchieri...>> lo ammonisco io, ricordandomi della strana ma geniale invenzione del filosofo greco.
<<Hey hey, vacci piano anche tu>> scherza Marco, ma portando via il bicchiere – che sembra proprio appartenere a quelli "difettosi" citati da Jake – ad Anna. <<Che poi la nostra prima notte di nozze la passiamo russando>>.
<<Tanto non ho nemmeno l'intimo coordinato>> lo scoraggia lei, riappropriandosi del bicchiere e bevendo un altro grande sorso di Brunello.
<<Come no?!>> esclama Nat inorridita, sopraggiunta all'improvviso, attirata dalla conversazione che è slittata su un argomento decisamente più interessante.
<<Senti, io non credo di aver mai indossato intimo coordinato in tutta la mia vita. Perdo fiducia in me stessa e nell'umanità solamente nella ricerca di un calzino uguale all'altro, soprattutto dopo che se li mangia la lavatrice, e i miei problemi di fiducia sono nati già in tenera età, quando i biscotti all'uvetta sembravano al cioccolato. Non so se mi spiego>> ironizzo, spingendo Nat verso il suo tavolo e fare in modo che ci resti, scatenando l'ilarità generale. La mia nuova incline propensione al cabarettismo – Jake, per una volta, ha ceduto il testimone – ha salvato la situazione e possiamo dedicarci di nuovo al cibo. Il tempo per l'antipasto è quasi finito, adesso tocca al primo: cannelloni al ragù di lenticchie. Le porzioni sono generose e nessuno fa troppi complimenti, ma tutti mangiamo a sazietà. Quando è il turno degli spiedini di Tofu grigliati e dello Spezzatino di Tempeh, temo di morire.
<<Devo allentare la cintura, altrimenti mi si strappa il vestito>> annuncio goffamente, posando la forchetta nel piatto. Questa roba vegana non è affatto male.
<<Avevo una mezza idea di alzarmi e fare una passeggiata per smaltire il tutto, tipo quando mangiavo quei famosi biscotti ingannatori all'uvetta, e ne ingurgitavo talmente tanti che finita la colazione ero già arrivata al fabbisogno non giornaliero, ma annuale, secondo la tabella riportata sulla confezione, almeno, e poi mi toccava camminare tutto il giorno per eliminare non il grasso, ma il senso di colpa...>>.
Bevo un sorso d'acqua prima di morire.
<<E... quindi?>> mi domanda dubbioso Claudio, seduto accanto a Dani, di fronte a me, seguendo con attenzione il mio assurdo monologo e non i brillanti discorsi del resto della tavolata.
<<E quindi... ha vinto l'altra mezza. Resto qui>> proclamo, sconfitta dalla pigrizia, stravaccandomi ancora di più sulla sedia.
<<Dai, andiamo. Dobbiamo anche controllare l'impianto audio. Tra poco dobbiamo suonare>> mi sprona lui, mettendosi in piedi, mentre mi fissa imperscrutabile.
Spero che intervenga Dani, o Sandro, rivelando che si sono sicuramente già occupati della sistemazione delle casse e della strumentazione per il concerto. Ma nessuno fiata o ha da obiettare sulla proposta di Claudio che – solamente io, a questo punto – reputo compromettente; Jake nemmeno mi risponde quando gli comunico che mi assenterò un attimo.
<<Dobbiamo?>> gli chiedo quindi, appena usciamo dal tendone per dirigerci verso il piccolo palco montato apposta per l'occasione.
<<Sì, stasera suono anch'io>> afferma lui con nonchalance, mentre si china per sistemare un cavo elettrico.
Dalla mia espressione confusa capisce di dover proseguire. <<Io suono il basso. Non come mio fratello, al livello di un musicista professionista, ma me la cavo>>.
<<Stasera improvviserò>> infatti aggiunge, continuando a camminare oltre il palco, in direzione delle scuderie.
<<Andiamo a salutare i nostri amici?>> mi propone con un sorriso. Veloci lampi – di calore? – squarciano il cielo, come piccoli ma intensi fulmini dentro di me mi scombussolano tutta, colpendo i pochi neuroni che ancora riescono a funzionare davanti al suo viso sorridente.
Gilda e Lily stanno riposando, mentre Fiocco si sta dissetando. Sente caldo anche lui, nonostante ora si stia alzando un po' di vento e il sole sia prossimo al tramonto. Carezziamo il manto setoso di questi bellissimi animali, riservando maggiori attenzioni a Fiocco, congratulandoci con lui per il lavoro ben svolto durante la dichiarazione.
All'improvviso, un forte rumore sopra di noi ci fa sobbalzare: un tuono. I lampi di prima non erano solo generati dal calore, ma è in arrivo un temporale. Per fortuna avevamo pensato anche a questa probabilità, e organizzato il tutto di conseguenza. Con il naso all'insù intimo Claudio di sbrigarci a tornare. Non volevo diventare uno skeleton flower – un fiore presente nelle foreste più fredde e umide della Cina e del Giappone che, se bagnato, diventa trasparente – anche se presumevo che la mia felicità nel trovarmi sola con lui fosse più che trasparente... cristallina, oserei dire. Anche senza che il mio corpo scheletrico fosse – già – bagnato. Dalla pioggia...
<<Ma no, magari non piove. Non subito, almeno. Sai, per capire dov'è il temporale...>> mi spiega, facendosi beffa della mia ignoranza in materia. <<...bisogna considerare che il fulmine viaggia alla velocità della luce e che il tuono va alla velocità del suono, che è di circa 340 metri al secondo, se non ricordo male>>.
Si porta una mano al mento, per contribuire alla sua aria da intellettuale. <<Contiamo il numero di secondi che passano tra lampo e tuono e dividiamo per tre otteniamo il numero di chilometri che ci separano dal temporale>> conclude la lezione, osservando anche lui il cielo.
Il suo ragionamento, fosse stato corretto, non faceva una piega. Dovevamo stare ad ascoltare i tuoni e contare, adesso? Per avere le prove e poter confutare la sua teoria sarei anche stata disposta a farlo. Solo per non dargliela vinta, non avendo a disposizione la busta con la risposta corretta che mi avrebbe svelato un super abbronzato Carlo Conti con la sua Ghigliottina. Seguendo la perfetta dinamica degli acquazzoni estivi, forti ed improvvisi, il tempo di pensare alle nozioni da quiz televisivo e sta già diluviando. Come facevamo adesso a tornare alla tensostruttura senza bagnarci? Le nubi a cumulonembo sopra di noi ci guardavano minacciose, dando vita ad un diluvio che avrebbe presupposto per la possibile salvezza la conoscenza di almeno le tecniche base di sopravvivenza, come avrebbero fatto meglio a sapere i partecipanti dell'avventura naturalistica, estrema e pericolosa, per non dire folle, di Naked and Afraid o, tanto per drammatizzare, dello stesso Noè per costruire l'arca. Se non altro, di alcune specie animali eravamo provvisti al momento, almeno, altri invece si sarebbero estinti.
Non è stato forse così per milioni di anni? Amen.
A placare le mie fantasie catastrofiche ci pensa Claudio, che mi prende per la vita e mi conduce al riparo, oltre i box, nella selleria, appena in tempo per evitare di infradiciarci completamente. L'odore della pioggia che si libra nell'aria durante un temporale estivo è inebriante, carico di questa potente energia che occorre per farlo scatenare in tutta la sua forza: ci deve essere la scintilla, ovvero l'innesco che induce l'aria presente nei bassi strati a sollevarsi, per dargli vita. Proprio quell'odore – il sudore di oggi pare non aver compromesso il profumo di maschio – quell'energia, sessuale, e non, e quella scintilla – scintilla tutto qui attorno – che avverto adesso, mentre sto cercando con tutta me stessa di evitare di invadere lo spazio vitale di Claudio, perché so che sarebbe la fine.
Respiro piano – senza far rumore, canterebbe Battisti – e cerco di guardare oltre la porta, dalla minuscola finestrella che vi è posta al centro. Commetto solo un errore: appoggiarmi alla stessa, sconfitta da tante emozioni incontrollabili.
Ed è un attimo.
Claudio si avvicina e io sento il suo corpo ad un centimetro dal mio. Mi volto e, come solo il giorno prima nel camerino, non aspetto neanche una frazione di secondo. Non v'è incertezza, ma solo una voglia irrefrenabile di placare un desiderio che non potrei più ignorare.
Lui, questa volta, sembra preso dalla stesso bisogno e non mi ferma, anzi, posa le labbra sulle mie con più decisione. Le nostre bocche sono l'unica cosa che uniamo, però, fino a che la mia lingua chiede spazio, ma Claudio non lo concede.
Si stacca – ed è subito sofferenza – fissandomi nell'indecisione più assoluta. <<Mile... questa cosa non ha senso. Tu sei fidanzata con Jake, io... lo sai bene come vivo le relazioni... Io non voglio legami...>> pronuncia piano, mentre il rumore della pioggia accompagna incessante le sue parole.
<<Lo so. Ma anch'io... anch'io non voglio legami. Non più. Jake... capirà. Devo solo trovare il momento giusto per dirglielo>> mormoro un po' imbarazzata, abbassando gli occhi.
<<Sai che questa cosa non ha senso... non ha davvero senso...>> ripete, scuotendo la testa, ma avvicinandosi di nuovo a me.
<<L'hai già detto. Adesso basta parlare>>.
Gli catturo il collo con le braccia e lo bacio ancora. Questa volta non attendo, la mia lingua lo cerca subito e lui, sospirando, si arrende. Mi stringe i fianchi e mi conduce all'indietro, verso la porta, contro la quale mi schiaccia, premendo il suo corpo sopra il mio, causandomi un piacevole dolore. E' alto e muscoloso, molto forte. Concentra tutta la sua forza sulle braccia, che usa per sollevarmi, così da ritrovarci avvinghiati, appoggiati alla porta, con le mie gambe attorno ai suoi fianchi come unico appiglio, sentendoci molto... vicini: non ho mai vissuto un momento più eccitante di questo in tutta la mia vita. Le nostre lingue continuano una danza ora lenta, ora veloce, seguendo una melodia tutta loro.
D'un tratto, però, veniamo interrotti da qualcuno che bussa alla porta insistentemente, proprio quella che stava sostenendo – e nascondendo – il nostro atto d'amore. Ci guardiamo terrorizzati e Claudio si porta il dito indice alle labbra, come ammonizione di silenzio. Mi rimette a terra delicatamente – almeno fisicamente – e solo quando sentiamo un chiaro rumore di passi che si allontana riprendiamo a respirare.
<<Milena! Ma dove sei?>>. Jake mi chiama a gran voce. Una, due, tre volte.
Non oso muovermi, sono immobile e assolutamente nel panico. Decido di uscire allo scoperto, pregando le mie connessioni neuronali di trovare una spiegazione in fretta sul perché non l'ho fatto prima.
Apro la porta e Jake corre verso di me con un ombrello rosso. Quel colore mi riporta subito alla mente un'immagine di me come protagonista della Lettera Scarlatta. Magari una più moderna – stile Emma Stone che in "Easy Girl" interpreta l'insicura e sconsiderata "Olive" – ma la sostanza non cambia: la lettera A, di un bel rosso scarlatto, sarebbe davvero appropriata cucita al mio petto. Incredibile come la logicità mi porti a pensare alla mia condizione di adultera – e anche secoli di radicate convinzioni morali sociali – ma l'illogicità di ciò che ho appena provato nel tradire Jake mi porti invece a sentirmi finalmente libera. Insomma, chi sostiene che lanciarsi all'avventura sia pericoloso, non ha mai pensato a quanto la routine, invece, sia letale? Un amore divenuto routine non può che essere destinato all'autodistruzione. Senza reciprocità, non è possibile continuare: l'amore non è un sentimento autosufficiente.
<<Scusa, il frastuono dei tuoni e di questa pioggia ha coperto la tua voce. Sono qui>>.
<<Dai, vieni. Torniamo dagli altri. Claudio sarà già là. O forse si sarà appartato con Angela, la compagna di squadra di Anna. Ho visto che prima stavano flirtando>> quasi urla Jake, alzando in alto l'ombrello con la mano destra e con l'altra mano tenendo ben salda al suo braccio la mia, che trema per il vento, e non solo.
Appena torniamo ai tavoli raggiungo Marco e con un cenno gli indico di seguirmi. <<Tuo fratello è nelle scuderie. Prendi l'ombrello e vallo a recuperare. Noi... non ci stavamo tutti sotto quello di Jake>> provo a spiegare serenamente, ma mi tradisco al ricordo di ciò che è appena accaduto, e arrossisco abbassando gli occhi.
<<Mile, perché non ci vai tu?>> mi chiede quindi lui dubbioso, guardandomi come Tom Roth guarderebbe un indiziato consapevole di avere di fronte un bugiardo e cercando i possibili segnali di tale colpevolezza analizzando la potente e istintiva comunicazione non verbale, per la quale sarei condannata senza ulteriore giudizio.
<<Beh io... mi sporcherei ancor di più le scarpe>> mi difendo – tentar non nuoce – alzando a mezz'aria il sandalo destro e spolverandolo da fili d'erba invisibili. "Negare fino alla morte" è il mio motto, sebbene sia ridicolo negare l'evidenza... e anche affaticarsi troppo a difenderla.
Hume, il noto filosofo, mi darebbe ragione. Ragione che comunque, per lui, è schiava della passione. E sempre lì si torna...
<<Toh, eccolo>> alza il braccio Marco in direzione di un inzuppatissimo Claudio, proprio quando la mia sicurezza iniziava a vacillare. Ride, mentre Angela gli prende la maglietta e gliela strizza, incantata dai suoi pettorali e dai tatuaggi che ora sono visibili e... toccabili.
Lei, infatti, non perde tempo e dà una strizzata pure a quelli. Cos'è, forse gelosia quella che provo nell'osservare questa scena da film erotico scadente? Mero senso di inferiorità nel vedere quanto le mie avance di poco fa potessero essere considerate di seconda categoria? E questa terribile emicrania arrivata all'improvviso sopraggiunta dopo il pensiero di essere anch'io ipoteticamente considerata una di seconda categoria? Adesso comparirà uno striscione con le parole di J.R.Ward "Benvenuti nel meraviglioso mondo della gelosia. Con il prezzo del biglietto, si ottiene un mal di testa, un impulso quasi irresistibile a commettere un omicidio, e un complesso di inferiorità"?
Complesso: ce l'ho. Mal di testa: ce l'ho.
Calcolare le probabilità secondo cui il lampadario posto proprio sopra la grande conquistatrice possa accidentalmente staccarsi dal soffitto del tendone potrebbe considerarsi impulso di omicidio?
Se dovessi timbrare il biglietto sopra citato, no problem, ne sono provvista.
Accidenti.
Non me ne vogliano i controllori dei numerosi treni su cui ho viaggiato, ma è forse l'unica volta che lo possiedo. I controllori del treno – della vita – pronti a multarmi, comunque, dove sono? Chi sarebbero?
Non sono solita appellarmi alle mie molteplici virtù per sopperire ai miei sensi di colpa e di inadeguatezza, che in questo campo sembrano farla da padroni, controllando tutte le mie emozioni. Manco avessero il potere del Quartier Generale della parte emotiva del mio cervello, digitando furiosamente tasti sulla consolle centrale dei miei sentimenti come nel film d'animazione campione d'incassi "Inside Out".
<<Mile? Tutto bene? Dove ti trovavi?>> scherza Anna, sopraggiunta notando l'assenza del marito e, con tutta probabilità, anche la mia dalla dimensione terrestre, che, insieme alla mia faccia, doveva essere tutta un programma.
<<Io... ero... sono... qui>> balbetto.
<<Qu... o nel magico mondo di Milena?>> incalza lei, con un sorrisino, scoccandomi un'occhiata maliziosa. <<Guarda che solo alla sottoscritta è permesso fare trip mentali, ricordalo>>.
<<Come, hai l'esclusiva?>>.
Facciamo spalla contro spalla in un finto combattimento e poi scoppiamo a ridere, mentre le prime note suonate da Marco iniziano a diffondersi nell'aria. La stupenda colonna sonora di Fast and Furious 7 – non poteva certo mancare – ci fa subito venire voglia di ballare, mentre Sam, il cantante del gruppo di Marco, imita alla perfezione Wiz Khalifa, che io adoro – "Black and Yellow" l'avrò ascoltata milioni di volte – aiutato anche dall'aspetto simile al rapper statunitense. Poi è il turno di Anna, che gira il microfono verso le tastiere suonate da Marco, e gli dedica una canzone di Irene Grandi. <<Sai, marito mio, amore della mia vita... questa l'ho cantata moltissime volte, per te, nell'intimità della mia cameretta... e adesso lo voglio fare qui. Il testo fa proprio a caso nostro...>>.
Prende il microfono – e il coraggio – a due mani e inizia a pronunciare le parole di "Lasciala Andare".
"In mezzo alle pagine di questo mio libro ci sei tu/Davvero difficile lasciare i ricordi andare giù/Quasi sicuramente tu mi dirai di no/Ti chiedo solo un istante, ancora un po'/Lasciala andare come va, come deve andare/È una cometa che sa già dove illuminare/Sarà l'abitudine, sarà che ogni giorno eri con me/Indimenticabile, ancora mi vieni in mente così incessantemente/Come una goccia che cade leggera ma scava dentro me...".
Appena termina, lui la raggiunge e la stringe forte a sé. Ma per poco – possono continuare dopo in provato – si deve tornare a suonare e a ballare!
<<Un, due, tre quattro>>. Marco scandisce il tempo, introducendo "Sunday Bloody Sunday" degli U2, e a seguire, tra mille applausi, "Be Yourself" dei Radiohead, cui partecipa anche Claudio, che dà prova del suo talento suonando magnificamente il basso.
Siamo tutti stupiti di questa inaspettata performance e le sue groupie – praticamente tutte le ragazze sotto i trenta presenti alla festa, me compresa, ahimè – incitano e battono le mani a tempo osservando il loro beniamino, adoranti. Io, almeno, faccio appello alla mia – ammaccata, ma è l'unica che ho – dignità ed evito gridolini e sguardi lascivi. Anche perché Jake è vicino a me e pare schifato da tale manifestazione di palese interesse.
<<Ma le ragazze vogliono proprio farsi del male?>> infatti commenta, con una smorfia di disgusto.
Anche Dani e Sandro, accanto a noi, osservano la scena perplessi, con le braccia conserte, e sembra diano ragione a Jake. Cos'è, la rivolta dei nerd? Stanno per caso girando "Benvenuti ai Nerd" invece che "Benvenuti al Nord"?
<<Le ragazze non sono tutte delle idiote>> difendo io la categoria, con decisione. <<Sanno benissimo che da uno come lui avrebbero solamente una cosa. E quella ottengono. Se, poi, alcune di loro non vogliono abbandonare il loro naturale istinto di crocerossine tentando di cambiare uno sciupafemmine seriale come lui, tanto peggio per loro. Ma le altre... si divertono e stop. Non ci vedo nulla di male>> concludo, facendo spallucce e continuando ad osservare la buona tecnica di suono di Claudio. Con quelle mani può fare molte cose, a quanto pare...
<<Lo difendi? Hai sempre detestato lui. Cioè, i tipi come lui>> mi chiede Jake, sorpreso, corrugando la fronte.
<<Ma sì, infatti. Non ho cambiato idea... solo... non bisogna fare di tutta l'erba un fascio. E soprattutto non incolpare solo una parte. A fare quel che fanno, sono in due. E comunque dai, sta solo suonando...>>.
Proprio quando pronuncio quelle parole, la canzone termina. Claudio abbandona lo strumento musicale e si fionda tra le braccia di Angela, che non aspetta altro; spariscono dietro il palco in meno di mezzo secondo netto.
Jake si volta verso di me, con una fastidiosa aria vittoriosa. <<Dicevi?>>.
Nota Autrice: Wooo, ma che sta succedendo a questo matrimonio? Che intenzioni ha, realmente, Claudio? E Jake avrà capito qualcosa? 😳
Continuate a seguire la storia per vedere come va a finire... 🤩
Al prossimo aggiornamento!😊
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