Chapter 17\"Scusa se non parlo piano/Se non urlo muoio/Non so se sai che..."




Questo capitolo contiene scene di sesso ⚠️

Troppo scollato. Poco aderente. Orrendamente vintage. <<Ma uno normale, no?>>. Sbuffo demoralizzata, all'ennesimo abito rimasto appeso sulla gruccia, scartato miseramente come fosse pelle indigesta di peperoni.

<<Se per normale intendi che ti faccia sembrare una suora, no, non c'è>> risponde spazientita Anna, alla mia domanda retorica provocatrice.

<<Eccolo!>> urla Nat correndo verso di noi con un vestito che definire disgustoso sarebbe un eufemismo.

<<Non lo provo neanche>> ribatto, con una smorfia di repulsione come se mi avesse proposto di indossare biancheria intima commestibile – cosa che, per altro, non nasconde lei stessa di essersi messa in uno dei momenti di trasgressione con il solo all'apparenza pudico Dani – scaraventando il povero pezzo di tessuto sulla sedia, in cima agli altri mille.

<<Insomma, rileggici bene cosa diceva il messaggio>> mi ordina per la centesima volta Anna, sull'attenti.

<<Sono contento tu abbia cambiato idea. Solo una cosa: occorre abito da sera. Serata elegante>> leggo distrattamente, avendolo oramai imparato quasi a memoria.

<<Elegante... da sera...>> bisbiglia tra sé e sé pensierosa, allontanandosi verso un altro reparto del negozio di abbigliamento di Gorgonzola, famoso – prima di ora – per non aver mai deluso le aspettative di una ragazza per un appuntamento galante: sempre che il mio lo fosse.

Non sapevo proprio cosa aspettarmi: prima l'idillio greco, poi il silenzio tombale, ora l'invito sospetto: Jessica Fletcher avrebbe di che divertirsi nello scovare tutti gli indizi che porterebbero alla soluzione dell'enigma della perdita della mia santa, santissima – e poco illuminata – ragione, defunta e sepolta già dopo il primo bacio isolano con il colpevole della mia perdizione.

<<Trovato>> urla senza vergogna Anna, tornando poco dopo vittoriosa verso di me con un vestito nero tra le mani.

<<No, il pizzo no. Categoricamente NO>> esclamo subito, ma lei mi trascina nel camerino senza troppi complimenti.

Mi rannicchio sullo sgabello, rimirando il pezzo di tessuto nero che mi sarebbe stato malissimo, sicuramente. Sospiro e mi alzo, già convinta del pessimo risultato. Armeggio con i bottoni – li avevo studiati come strumento di tortura cinese, come quei classici abiti da sposa richiudibili da una fila lunghissima di mini bottoncini rotondi, che lo sposo avrebbe impiegato tutta la notte per toglierlo alla sua sposa, e addio festeggiamenti – posti dietro la schiena, proprio sotto il pizzo, e, quando mi volto per osservarmi allo specchio, ne resto sbigottita.

Ma positivamente: quello era in assoluto il vestito migliore che avessi mai indossato. La schiena coperta dal pizzo, che le conferiva quel vedo/non vedo molto sexy e quella scollatura a barca che risaltava le mie – poche ma ben piazzate – curve, si coniugavano perfettamente con il taglio in diagonale della parte inferiore dell'abito, che lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù, come preferivo, e fasciava magistralmente i fianchi, facendo spiccare il mio vitino da vespa.

Esco subito per farmi rimirare: anche le mie accompagnatrici, esauste, sono soddisfatte. Peccato non essere in periodo di saldi: quell'abito striminzito costa come due settimane di coni cioccolato e bacio e coppette ai frutti di bosco e limone.

<<Speriamo almeno ne varrà la pena>> comunico un po' nel panico, prima di scendere dall'auto davanti a casa e prepararmi psicologicamente fin da quel momento per la serata del giorno seguente, tra mille raccomandazioni – e minacce – delle mie care amiche.

Tacco otto o tacco dodici?

Altro che l'interrogativo esistenziale del Principe Amleto, quello sì che era un dubbio serio che poteva scatenare la vera tragedia, senza aspettare l'inizio del terzo atto. Perché comunque, sia in un caso, che nell'altro, non mi sarei sentita lo stesso all'altezza – della situazione – sebbene i criteri di valutazione per tale concetto fossero abbastanza approssimativi. Cioè, all'altezza di chi? Insomma, è innegabile pensare che accanto ad un uomo alto, e bello,   come Claudio, io potessi sentirmi inadeguata, ma, qualunque fosse stata la mia ultima scelta, avrei comunque portato le ballerine di riserva nella borsa: non si sa mai.

<<Ma cosa te ne frega di quanto sarai alta? Quella cavolata di "altezza mezza bellezza" è, appunto, una cavolata>> esordisce Marco, al quale ho vomitato addosso, in vivavoce, le mie paranoie in attesa dell'arrivo della moglie. <<Fai come Anna. Una volta le ho domandato "Quanto sei alta?" e lei mi ha risposto "Con la corona o senza?">>. Ride di gusto. <<Avrei dovuto capire già da allora in che guaio mi sarei andato a cacciare...>>.

Le sue parole divertenti contribuiscono ad allentare la mia tensione, ma il nervosismo per ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi minuti mi fa sbagliare completamente la linea dell'eyeliner, per ben tre volte: maledizione. Sposto la treccia – i capelli mi erano cresciuti a dismisura, nell'ultimo mese – assemblata con fatica sul lato sinistro: come acconciatura per completare l'outfit poteva andare, convengo poi, scrutando severamente il mio riflesso nello specchio del bagno, teatro delle mie disavventure per organizzare trucco/parrucco/vestiario in meno di un'ora.

Avevo terminato prima del consueto la lezione di scienza delle finanze del venerdì, correndo a casa per evitare il mio solito ritardo. Claudio, invece, spacca il minuto: le sette precise. Saluto velocemente suo fratello, notando la sua chiamata in arrivo. Mi avvisa di aver appena parcheggiato nel vialetto, dove, in effetti, la sua Seat Leon bianca spunta da dietro la siepe davanti a casa mia.

Faccio un respiro profondo, recupero il cappotto di lana grigio, la borsa – con le ballerine dentro – ed esco. <<Non mi fai guidare, vero?>> debutto aprendo la portiera, volendo ricorrere al mio ben conosciuto bisogno di voler padroneggiare il tutto per fronteggiare la paura di lasciar condurre il gioco a lui.

<<Domanda retorica, risposta scontata. Sali>> esclama quindi lui, restando un attimo senza fiato nel veder comparire prima la mia gamba, poi il resto, nell'abitacolo della sua auto, che pare farsi di colpo molto stretto.

Distoglie in fretta lo sguardo, mentre io bado bene dal non incastrare il mio nel suo, restando concentrata sul profumatore per auto alla brezza marina posizionato proprio davanti a me, dalla strana forma di barchetta.

Mi schiarisco la voce, mentre Claudio fa manovra e si immette sulla strada principale. <<So che è presto, ma il viaggio sarà lunghetto. Ci aspettano... cioè, ho prenotato per le otto e trenta>> mi avvisa parlando velocissimo, denotando un chiaro segno di inquietudine. Paradossalmente, notando la sua palese apprensione, mi calmo un po' e inizio a giocherellare con la treccia.

<<Ti stanno benissimo. Il trucco, i capelli>> dice d'un tratto, spostando le mani dal volante alla radio per accenderla. <<Anche... il resto. Molto elegante>>.

Non ho ancora tolto il cappotto, perciò non aveva avuto ancora bene l'idea del resto, di quanto fossi elegante, sotto. Alla radio Platinette litiga con un ascoltatore, e lancia la canzone "Pillowtalk" di Zayn, l'ex componente della fortunata boyband One Direction – lo so perché la Plati l'ha appena citato, tanto per la cronaca –  che pare esser arrivata per noi.

"Sali a bordo/Andremo piano e velocemente/Luce e oscurità/Stringimi forte e dolcemente/Vedo il dolore, vedo il piacere/Nessuno tranne che te, tranne che me, tranne che noi/I nostri corpi insieme/Amerei tenerti stretta, stasera e sempre/Amerei svegliarmi al tuo fianco/Amerei tenerti stretta, stasera e sempre/Amerei svegliarmi al tuo fianco".

Il mio inglese, non così arrugginito, mi permette di tradurne abbastanza facilmente il testo. Vedo che è ciò che sta facendo anche Claudio, poiché si muove agitandosi sul sedile, corrugando la fronte.

"Faremo incazzare i vicini/Nel luogo che percepisce le lacrime/Il luogo per lasciar andare le tue paure/Si, un comportamento spericolato/Un luogo che è così puro, così sporco e grezzo/Stare a letto tutto il giorno, a letto tutto il giorno, a letto tutto il giorno/Scopandoti e combattendo/E' il nostro paradiso ed il nostro campo da battaglia".

Si spazientisce, e ancor prima della seconda strofa, cambia stazione radio.

Riderei, se non fossi così nel panico. Sembra che tutto ciò accaduto fino ad ora, dall'ultima volta che abbiamo condiviso uno spazio così piccolo come questo, sia sparito. I silenzi, le incomprensioni, gli sguardi dubbiosi... tutto spazzato via dal suo profumo, dalla sua mano che prende la mia, prima timidamente, poi con più decisione, mentre oltrepassiamo Milano. Mi volto e mi sorprendo a studiare il suo profilo, ancora con la mano sotto la sua, combattuta se spostarla o stringerla, se parlare o tacere.

<<Se vuoi sapere perché ti ho chiesto di uscire con me, sappi che io muoio dalla voglia di sapere perché tu, alla fine, hai accettato>> dice piano, con lo sguardo fisso davanti a sé sulla strada, lasciandomi il tempo per riflettere sulla sua affermazione.

Prendo fiato e dichiaro, in tono solenne <<perché ho già troppe cose in sospeso nella mia vita, e, francamente, non volevo tu diventassi l'ennesimo caso irrisolto a sostegno della tesi del mio irrimediabile fallimento di tutte le relazioni con l'altro sesso>>.

Resto senza fiato per la lunghezza della frase – e per il coraggio che ho dovuto chiamare per pronunciarla – e mi volto, sottraendomi alla sua volontà di creare un contatto fisico unendo le mani in grembo e osservando fuori dal finestrino il cielo farsi buio. Che fosse – anche e soprattutto – perché in realtà mi mancava da morire e non vedevo l'ora di poter stare di nuovo da sola con lui, non glielo avrei certo rivelato.

<<Quasi mi aspettavo una delle tue battute ironiche>> sorride forzatamente, portando il dito al mento e poggiando il gomito sinistro sulla portiera, per sorreggere il braccio, probabilmente per non farsi tentare di nuovo da un possibile contatto.

<<Sarcastiche, vorrai dire>> lo correggo, inclinando la testa, con un ghigno.

<<Già. Mi manca essere preso in giro da te>>.

<<Non dirlo troppo forte, che poi sai che ci prendo gusto>> lo provoco, restando sempre sulla difensiva. Finché non ci avrei visto chiaro, non avrei abbassato la guardia per niente al mondo.

Dopo circa un'ora oltrepassiamo il confine lombardo, per recarci in Piemonte. Ma dove stiamo andando?

<<Quindi?>> lo incalzo, dopo parecchio tempo. <<Perché mi hai chiesto di venire?>>.

Salvato in corner dall'indicazione "Lago D'Orta" e da quella più interessante, senza dubbio, di una Villa, più o meno nota per essere il luogo magico dove cucina il mio amato chet stellato. Mica mi starà davvero portando da Cannavacciuolo?!

<<Clà...>>.

<<Sì, ora ti rispondo...>>.

<<No, non volevo chiederti quello. Ma... vorrei sapere... cioè, non dirmi che andiamo a Villa Crespi, da Antonino...>>.

<<E invece te lo dico. So che non è nel tuo stile>>. Si giustifica, lanciandomi un'occhiata di scuse. <<Cioè, so che a te sarebbe andato bene anche il kebabbaro sullo stradone, basta mangiare>>.

Mi fa l'occhiolino, e io lo pizzico sul fianco. <<Ma credo che questa volta... sia proprio il luogo giusto per l'occasione...anche se lui non ci sarà, purtroppo>>.

<<Dì la verità, vuoi impressionarmi...>> lo prendo in giro, lusingata che abbia anche chiesto informazioni sulla presenza o meno dello Chef.

<<Solo un pochino. Non sei arrabbiata, vero?>>.

Corruga la fronte improvvisamente. <<Perché me lo avrai ripetuto cento volte, tu non vuoi essere la principessa del castello, e bla bla bla>>.

Volteggia la mano davanti a sé per enfatizzare il concetto, sorridendo. Se avesse detto la principessa sul pisello, lo avrei picchiato.

Nel frattempo, la Villa in stile moresco ci appare in tutto il suo splendore, e io, per la prima volta nella mia vita, non disdegno di sentirmi un po' una Kate Middleton, leggermente meno delicata e regale, ma ugualmente fortunata.

<<Certo che ne hai da farti perdonare... e stai giocando una buona mano, devo ammetterlo>> esclamo provocatoria, stupita di trovarmi proprio lì, con lui.

Sorride, sinceramente contento dall'inizio della serata, e mi conduce nell'atrio, dove veniamo acconti da una ragazza bionda in divisa che ci accompagna in una sala rossa, con un camino scoppiettante che riscalda l'atmosfera – sebbene non ve ne sia granché bisogno, in questo caso – collegata alle altre tre sale e alla veranda, da cui si intravedono l'immenso parco ed i curatissimi giardini attorno alla Villa. Consegniamo a lei i cappotti e, se Claudio resta sorpreso dalla mia mise, non lo dà a vedere. Restiamo, invece, entrambi con il naso all'insù e la bocca spalancata per diversi secondi, entrando nella sala, ammirando il lampadario di cristallo, il soffitto in tinte pastello, interamente lavorato, per poi abbassare il naso, chiudendo con più difficoltà la bocca, per posarlo, sbigottiti, sulle lunghe tovaglie bianche di lino sopra il tavolo rotondo, con sottili candele bianche al centro ed esotiche composizioni floreali. <<Avrei preferito la sala blu, per gli affreschi fantastici presenti all'interno, ma ci accontentiamo>> scherza Claudio, accomodandosi dopo di me.

<<Sì, questa è l'unica delle sale, mi pare, a non avere nessuno dei suoi lati affacciati alla veranda e sul lago, ma guarda queste finestre, che forma particolare... è veramente bellissimo. Grazie>>.

Gli sorrido sincera, e finalmente inizio a rilassarmi. Complice il calice di vino che ho già trangugiato tutto d'un fiato, incurante che non sia il comportamento corretto, secondo etichetta. <Avevi sete?>> mi sfotte finendo il suo, a piccoli sorsi, solo per farmi innervosire.

<<Moltissima. E ho anche tanta fame. Cosa prendiamo?>>.

Apro il menu color crema con il logo della famiglia Crespi, cui è appartenuta la Villa, sul lato sinistro, e un'incredibile varietà di piatti interessanti su quello destro.

<<Ci sono anche dei menu a tema. Il... "Carpe Diem" è stuzzicante>>. Dalla cartellina contenente i fogli del menu Claudio mi scruta, abbassando poi gli occhi appena si accorge che lo sto guardando a mia volta. Che la sua sia una proposta allusiva? Secondo il termine con cui l'ha descritta lo parrebbe, eccome. Che attimo dovremmo cogliere? Forse il poeta Orazio non intendeva quello che ora sto pensando io – e forse anche lui, ho ragione di credere –  con la sua locuzione latina tanto famosa.

Leggo attentamente i piatti corrispondenti al tema suggerito da Claudio, e – mannaggia – mi piacciono molto. <<Okay, cogliamo l'attimo>> acconsento, non riuscendo ad evitare un sorrisino malizioso.

Terra chiama Milena! Claudio è bellissimo, tanto per cambiare, nel suo completo grigio firmato e la camicia scura, così educato e gentile, questa sera. Sospetto, decisamente. Come il fatto che proprio stasera, nel giorno del suo compleanno, mi abbia portata in questo luogo incantato e che voglia cogliere – non la prima mela, come Branduardi – l'attimo, con me... eppure non mi ha cercata per settimane, uscendo con altre ragazze, e, anzi, ne ha una su tutte che, a quanto pare, gli ha fatto perdere la testa. Quindi?

<<Quindi...>> inizio, sorseggiando altro vino che mi ha prontamente versato il cameriere di sala, appena il mio calice si è svuotato – da solo, io non c'entro nulla, lo giuro – di nuovo. <<Perché siamo qui insieme? Mi pare mancasse la tua risposta in proposito>>.

Ancora una volta si salva per l'arrivo della cameriera che prende veloce le nostre ordinazioni mentre, com'era prevedibile, vorrebbe ordinare direttamente lui e mangiarselo con tutta calma a fine servizio. Detesto che questo suo fascino sia così maledettamente invitante per ogni essere femminile in circolazione, soprattutto per quelli che dovrebbero invece mantenere un certo rigore. Ridacchia alla sua – pessima – battuta sui calamaretti spillo, uno degli ingredienti che compone il primo piatto da lui scelto, arrossendo come una scolaretta e dimenticandosi completamente della mia presenza.

Si allontana sculettando e io non posso contenere un sospiro di disappunto.

<<So cosa stai pensando>> esordisce, prima che possa dar voce ai miei pensieri.

<<Ne dubito>> lo sfido, giocando col tovagliolo che contiene forchetta e coltello, per non essere attirata dal suo sguardo, che è fisso su di me. Avvicina la sedia e sposta il piatto, così da non essermi più di fronte, ma accanto, e interrompe bruscamente il mio combattimento con le posate, afferrandomi la mano.

Non posso più evitare di guardarlo, così alzo gli occhi: ho un mancamento.

<<Non riesco ad essere romantico nemmeno imparando a memoria tutti gli scritti di Shakespeare, neanche se potesse recitarmeli all'infinito lui in persona, quindi mi spiace se quello che sto per dirti non suona come vorrei>>.

Si protende verso di me, parlando lentamente. <<In questa stanza c'è scarsa illuminazione, dato che ci sono solo queste candele accese a creare la giusta atmosfera intima, ma la vera fonte luminosa sei tu e se fossimo soli questo ambiente diventerebbe molto, ma molto più intimo, perché sebbene io ami particolarmente il vestito che hai scelto di indossare, te lo toglierei seduta stante>>.

Qual è il triste destino di un ghiacciolo esposto al calore del sole come Icaro, il personaggio mitologico greco – paragone non a caso – se non quello di squagliarsi in un attimo? Ed è senza dubbio il mio tragico, tragicissimo destino... se mi lascio abbindolare da qualche parola piazzata ad hoc. <<Se è per quello, potresti provarci anche con la cameriera di prima, ne sarebbe ben contenta>>.

Non gli avrei permesso di intaccare il mio personale iceberg interiore, che dopo le sue parole di fuoco si stava pericolosamente sciogliendo. Mi osserva severo.

<<Come, per voi uomini la divisa non è così sexy come per noi donne quella di pompieri e compagnia bella?>> lo sfotto, tentando di non perdere il controllo.

<<Sei ingiusta. Ti ho appena detto...>>.

<<Cosa? Cosa mi hai detto? Che vorresti portarmi a letto? Sai che novità. Solo quello ti interessa>> dico brusca, lasciandogli la mano per bere ancora un po' di vino: se non mangio subito qualcosa mi ubriacherò, ma senza alcol non potrei affrontare questa situazione.

Claudio tace, all'apparenza ferito dalle mie parole. Non mi lascio incantare da qualche favoletta, una bella location e una cena stellata: nossignore.

<<Ecco a voi, insalata di polpo, verdure cotte all'olio e caviale di aceto>>. La biondina di prima adagia quella meraviglia davanti a Claudio.

<<Poi Scampi di Sicilia alla "pizzaiola", acqua e polpo per la Signora. Buon appetito>>. Si congeda, lanciando ancora un'occhiata al mio accompagnatore, che, infastidito, inizia a mangiare. Faccio altrettanto, sollevata di poter utilizzare quel cibo divino per riempirmi lo stomaco e come diversivo per evitare di continuare la nostra pietosa conversazione.

<<Se vuoi assaggiarne un po' ti conviene sbrigarti, è talmente buono che tra poco lo finisco>> afferma in tono piatto, evitando di guardarmi.

Non me lo faccio ripetere due volte: allungo la forchetta nel suo piatto e addento una quantità generosa di polpo. <<Hey! Ti ho detto un po', non tutto!>> mi rimprovera, accigliandosi.

Okay, non ce la faccio più. <<Ma io non ne voglio solo un po'. Io lo voglio tutto. Io... ti voglio tutto>> confesso, nervosa.

<<La mia generosità non è così grande>> continuo, impacciata, parlando a ruota.

<<Infatti io non dividerò con te i miei Scampi. E non voglio dividere te con nessun altro>>. Come nulla fosse, tengo lo sguardo fisso sul piatto, con il cuore che batte ad una velocità disumana, per l'imprevidibilità che ha generato la mia confessione.

Claudio rimane in silenzio qualche secondo, per poi esordire con una rivelazione che non mi sarei mai aspettata. <<E' quello che ho detto alle ragazze con cui sono stato. Che non sono più disposto a dividere nulla con loro. Le ho... incontrate tutte, nelle settimane appena tornati dalla Grecia>>.

Cosa? <<Quindi Carmen...>> domando, manifestando il mio pensiero ad alta voce, lasciando in sospeso non solo la frase, ma anche il fiato.

<<Carmen mi piaceva. Infatti ci sono anche uscito, qualche volta, oltre...quello>>.

Si schiarisce la voce, in imbarazzo, mordendosi il labbro. <<Ma di certo non l'avrei portata qui...>>.

Mi volto e lo guardo, rapita. <<Perché?>>. E con questo in realtà voglio sapere perché lei no e io sì.

<<Perché...>>.

<<Era di vostro gradimento, Signori?>>.

Maledizione! Fulmino la cameriera con lo sguardo, mentre ci ritira i piatti.

L'ennesima interruzione, l'ennesimo infarto: se fossimo andati avanti così tutta la sera non so se ce l'avrei fatta a tornare a casa viva e vegeta. E nemmeno lei.

Alzo gli occhi al cielo, spazientita, proprio mentre Claudio mormora <<perché tu sei unica. Sei... l'unica>>.

Avevo capito bene? <<Non ci siamo né visti, né sentiti per settimane, Claudio...>> puntualizzo, amareggiata.

Se davvero ero io l'unica, perché passare tutto quel tempo con altre ragazze e non con me?

<<E mi sei mancata ogni giorno. Ma... dovevo prendere le distanze da te. Avevo... bisogno di comprendere quello che stava accadendo...>>.

<<E cosa stava accadendo?>>. Conferme, voglio conferme.

<<Scusate, non ricordo: chi ha ordinato le linguine?>>.

Il viso mortificato della cameriera non è assolutamente sufficiente per eliminare il mio istinto omicida che giaceva assopito da un po', ma che si è destato alla sua vista: peccato non avere un alibi convincente.

<<Per... me, sono per me>> risponde fin troppo garbatamente Claudio, appoggiandosi allo schienale della sedia per permetterle di posizionargli davanti il piatto fumante, dopo aver servito a me un risotto che visivamente – conteneva la più sfaccettata scala cromatica possibile da ottenere con del cibo  – era già da venti stelle Michelin.

<<Parliamo più tardi>> concedo, rassegnata, appagando i miei bisogni primari di sostentamento, prima di... altri.

<<Vorresti anche il dolce?>> chiede timidamente, dopo avermi lasciato parte delle sue linguine, senza aspettarsi l'equivalente del mio risotto: non esageriamo con le pretese.

<<Dici da mangiare?>> lo stuzzico, e lui ride.

Ride di gusto, di fronte alla mia intraprendenza e alla mia sfacciataggine. <<Sei davvero difficile da interpretare, Milena. Davvero, davvero difficile>> esclama tornando serio, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo per allungare le mani verso il mio viso, penetrandomi con lo sguardo.

<<E non sai quanto io lo sia da frequentare. Non ho ben capito se è ciò che stai cercando di dirmi, e, se lo è, bada bene che io ti ho avvisato>>. Tento di difendermi da quell'attacco mascherato da gesto innocente, vacillando sulla mia decisione.

Volevo andare avanti oppure tirarmi indietro? Come mai di fronte a lui non riuscivo ad essere razionale come mio solito? Quello che mi era chiaro era che non avrei voluto una storia seria, ora come ora, né con lui, né con nessun altro, e, fino a qualche momento fa, ero sicura che anche lui la pensasse come me.

Ma adesso...

<<Si è fatto tardi, e siamo distanti da casa... forse, se non gradisci altro, è meglio andare>> propone, pragmatico, ritraendosi.

<<Ma io voglio il dolce>> mi sorprendo a reclamare, con una strana nota lamentosa nella voce, tipica della mia amica Anna, non certo mia.

<<D'accordo, allora possiamo farci riportare i menu>> dice premuroso, alzando già l'indice per attirare l'attenzione – stavolta voluta – della cameriera.

<<Non intendo quel dolce>> lo interrompo, abbassandogli il braccio. Lui mi guarda un attimo, con intensità, poi si alza e mi chiede di seguirlo. Mi indica una poltrona posta vicino all'ingresso, sulla quale lo attendo, mentre inizia a parlare sommessamente con l'addetto alla reception.

<<Primo piano, Vi accompagno, Signori>> recita dopo qualche secondo l'elegante uomo sulla sessantina, ora rivolto a me.

Ha richiesto una stanza nella Villa?!

<<Suite Leila, per Voi>> precisa, avanzando verso le scale.

Ha richiesto una suite nella villa?! Con il nome della principessa di Star Wars, per giunta??

Resto immobile, cercando una spiegazione, ma lui, saggiamente, non mi lascia il tempo di pensare, trascinandomi senza troppi preamboli al piano superiore. Ci blocchiamo davanti ad una porta antica stupenda e, i due galanti uomini, lasciano spazio a me per entrare per prima nella stanza più bella in cui io abbia mai messo piede. Superata l'anticamera ed una seconda porta, mi trovo persa nel blu – al pari di ritrovarmi immersa nella laguna blu, quella del film omonimo – per il colore stupendo delle pareti di questa camera enorme, con letto matrimoniale, divanetto, scrivania, un balconcino e un bagno di lusso privato.

Claudio condivide il mio stupore, entrando dopo di me.

<<Tu sei completamente fuori di testa>> gli dico, voltandomi felice e poggiandogli le mani sul petto. Era tutta la sera che volevo toccarlo, e non resistevo davvero più. Quanto potrebbe costare una suite del genere?

<<Sto solo cercando di esaudire il tuo desiderio, se ho ben inteso... Un desiderio... impellente, diciamo>> ribatte, agitato, ridendo nervosamente.

<<Questo è... molto più di ciò che una... ragazza romantica e schifosamente sdolcinata potrebbe mai volere nella vita>> scherzo, afferrando un lembo dell sua camicia. <<Pensa una come me!>>

<<Sei unica anche per questo, perché so che, in fondo, non ci sarebbe bisogno di tutto questo per realizzare i tuoi desideri. Ma lo voglio fare lo stesso... perché...>>.

Pendo dalle sue labbra, letteralmente.

<<Cavolo, sono così imbranato...>>. Si passa una mano tra i capelli mossi, scuotendo la testa, in apprensione, cingendomi finalmente la vita.

<<Tu? Potrei trovare almeno mille aggettivi per descrivere le tue doti conquistatrici ma il termine imbranato non ne farebbe certamente parte>> lo rassicuro, abbracciandolo a mia volta e appoggiando il mento sul suo petto.

<<Credi? Per me sì... Imbranato, proprio come diceva quel tipo, il cantante romano...Tiziano Ferro>> spara, mentre io inizio a ridere.

<<Ma che dici? Quel Tiziano Ferro, quello che è diventato ricco cantando di amori complicati e delusioni mentre a noi ci ha regalato ansie e paranoie infinite con i suoi testi melodrammatici?>>.

<<Sì, lui. E i testi non erano tutti così, dai!>> lo difende, grato del diversivo.

Alzo gli occhi al cielo, concedendomi solo per un istante di staccarli dai suoi. <<Cioè, le famose sere nere che non c'è tempo, non c'è spazio e mai nessuno capirà è un messaggio positivo beneaugurante secondo te?>>.

<<Ma non devi pensare al significato letterale... comunque quella era una bella canzone e si intitolava "Imbranato">> insiste.

<<No no, lo escludo. Okay che io non apprezzo particolarmente il genere, ma non può esistere una canzone con quel titolo!>>.

<<E invece sì!>>.

Temo sia parecchio nervoso, il Casanova, perché usa il pretesto della canzone per riacquistare lucidità, staccandosi da me.

<<Ecco>> dice soddisfatto, cercando il video dal cellulare, che poggia sul piccolo tavolo vicino alla finestra, per mostrarmelo. <<Vedi che esiste?>>

Sbircio lo schermo che, effettivamente, riporta la ricerca su Youtube della canzone dal titolo improbabile, la cui melodia inizia a risuonare nella stanza.

"E' iniziato tutto per un tuo capriccio/Io non mi fidavo, era solo sesso". Sorridiamo alla prima frase della canzone, che pare riferirsi palesemente a noi...

"Ma il sesso è un'attitudine/Come l'arte in genere/E forse l'ho capito e sono qui".

L'esperto d'arte – anche e soprattutto di questo genere d'arte – annuisce divertito, tornando ad abbracciarmi.

"Scusa sai se provo a insistere/Divento insopportabile, lo so/Ma ti amo,ti amo, ti amo...".

A queste parole, adesso, Claudio deglutisce con difficoltà, chinando la testa, poggiando la fronte sulla mia.

"Ci risiamo, va bè è antico, ma ti amo/E scusa se ti amo e se ci conosciamo/Da due mesi o poco più/E scusa se non parlo piano/Ma se non urlo muoio/Non so se sai che ti amo...".

Adesso si stacca da me, mordendosi intensamente il labbro, e mi fissa.

"E scusami se rido, dall'imbarazzo cedo/Ti guardo fisso e tremo/All'idea di averti accanto/E sentirmi tuo soltanto/E sono qui che parlo emozionato/E sono un imbranato".

<<Te l'ho detto che sono un imbranato>> bisbiglia a lato del mio orecchio, baciandomi senza chiudere le palpebre, come a voler mantenere oltre che il contatto fisico anche quello visivo, mentre la canzone continua, dando voce alla sua voce, parlando per lui.

Sono sopraffatta da mille emozioni diverse, che si scontrano così tanto con la familiarità dei miei e dei suoi gesti, nell'accarezzarci la schiena, i fianchi, il petto, nel baciarci il collo, le guance, le mani, con intensità e desiderio. Fa cadere la giacca dietro di sé, con un rapido movimento, e io inizio a slacciargli i bottoni della camicia, mentre lui armeggia con quelli del mio vestito.

"E scusa se ti amo e se ci conosciamo/Da due mesi o poco più/E scusa se non parlo piano/Ma se non urlo muoio/Non so se sai che ti amo...".

Mi slega la treccia, districandomi i capelli delicatamente con le dita e posa le sue labbra nella parte ora scoperta del collo, lentamente, provocandomi mille scosse elettriche ovunque. Alza veloce il vestito, per insinuare delicatamente le mani morbide sulle cosce, sui glutei, per poi accarezzarmi la schiena, sfilandomi il tessuto nero di pizzo dalla testa e gettandolo sul divanetto dietro di noi.

Si siede ai margini del letto, tirandomi a sé, leccandomi la pancia, giocando con il mio piercing all'ombelico, mentre appoggio la testa sulla sua, inspirando l'odore paradisiaco dei suoi capelli. Lo tiro io, adesso, verso di me, costringendolo a rialzarsi, ma solo per abbassare la cerniera dei pantaloni e toglierglieli, insieme agli slip, prima di spingerlo di nuovo sul letto e mettermi a cavalcioni sopra di lui. Sorprendentemente non si affretta, come sempre, a fare altrettanto, ma si prende tutto il tempo che gli occorre per baciare ogni centimetro del mio viso, dei miei capelli, delle mie spalle. Decido, per una volta, di lasciargli completamente campo libero.

Inizia a spogliarmi lentamente, facendomi adagiare accanto a lui, sganciandomi prima il reggiseno, senza spalline, che scosta con le labbra, per poi toccarmi con il naso la pelle che ne resta scoperta, inspirando a fondo il mio odore, la mia essenza.

<<Milena... quanto ti voglio...>> sussurra sulla mia pelle. <<Quanto sei bella...>>.

Porto istintivamente indietro la testa quando lui abbassa la sua tra le mie gambe, in estasi, assaporando ogni gesto, ogni focoso bacio, ogni carezza...

"E scusami se rido, dall'imbarazzo cedo/Ti guardo fisso e tremo/All'idea di averti accanto/E sentirmi tuo soltanto/E sono qui che parlo emozionato/E sono un imbranato".

Tiziano Ferro – sul quale mi devo ricredere – termina di cantare quando siamo oramai nudi uno accanto all'altro, che ci fissiamo negli occhi. Non voglio capire, non voglio pensare, non voglio razionalizzare quello che sento in questo istante – non ci riuscirei, comunque – quando, senza esitazione Claudio entra dentro di me, le mani sul mio viso, gli occhi persi nei miei, le labbra carnose e gonfie per i troppi baci strette alle mie e le nostre lingue che si cercano e danzano insieme. E' la sensazione migliore del pianeta, in grado di far credere a chiunque abbia la fortuna di provarla che non possa esistere nessun ostacolo, nessun problema, nessuna cosa negativa al mondo che non possa essere dimenticata in un solo secondo di questa magia.

<<Quello che mi hai detto a Vai... sulla pillola... è...>>. Si ferma un istante, impacciato. <<...è ancora così?>>.

Annuisco, accordandogli il tacito permesso di continuare questa assoluto e perfetto incanto, che è anche il titolo, se non erro, di un'altra canzone del cantante romano. Claudio riprende allora a muoversi piano, carezzandomi dolcemente, poi fa scorrere le dita lungo le mie braccia fino ad incontrare le mie mani. Le afferra e allaccia le sue dita alle mie, portandosele dietro la schiena, entrando ancor di più in me: è la prima volta che compie questo gesto volontariamente e senza poi privarsene subito. Come è la prima volta che i nostri corpi sono davvero uno: siamo uniti completamente, e, con mia gioia – e mio terrore – non solo fisicamente. Lo sento da come mi tocca, lo vedo da come mi guarda, lo percepisco dalle sensazioni che mi trasmette, anche quando questa meraviglia finisce, lasciandoci senza fiato.

Ci abbracciamo in silenzio per molto tempo, per poi abbandonarci al sonno, ma solo per incontrarci nuovamente nei sogni.

"Desidero sapere dove va a finire il sole/Se il freddo delle parole gela lo stupore/Se non ti so scaldare né curare dal rumore/Ho soltanto una vita e la vorrei dividere/Con te che anche nel difetto e nell'imperfezione /Sei soltanto, incanto, incanto....".

Nota Autrice: Quando scrissi questo capitolo, tempo fa, piansi. Perché credo che in esso sia contenuto molto più di un sentimento che può affiorare tra le righe di un romanzo... mi auguro di aver suscitato qualcosa di simile anche in voi ☺️

Cosa accadrà ora?! Ora che Claudio ha palesato, anche se con parole non sue, ma attraverso gesti e intenzioni inconfutabili, quello che realmente sente per Milena?

E lei? Sarà disposta a gettarsi tutto alle spalle per gettarsi a capofitto in quel turbinio di passione che è Claudio?

Scopriamolo insieme! Seguitemi sui social, aggiungete la storia alla vostra biblioteca e restate aggiornati!🙌🏽

Con affetto, Lisa😌

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