Chapter 16\"Sempre detto, io... troppa dolcezza su di me, stroppia..."




Nota Autrice: Stavolta eccomi qui, all'inizio e non alla fine, per informarvi che il capitolo che andrete a leggere è un po' più lungo dei precedenti, poiché ho dovuto fare una scelta stilistica che non ne presupponeva la divisione... mi auguro che la mia decisione di inserire più parole, invece che meno, sia apprezzata! 😊
Enjoy! 😋
Lisa


Dodici giorni. Non uno di più, non uno di meno. Dodici giorni che sono tornata dalla Grecia e di Claudio non ho più notizie.

<<E' inutile che ti butti sul gelato. Gli zuccheri non aiuteranno>> mi rimprovera bonariamente Anna, che si sta gustando il suo finto gelato alla frutta senza latte, zucchero, coloranti, insomma, senza niente. E ha anche il coraggio di offrirmelo.

<<No, grazie>> le rispondo bruscamente, affogando nella doppia panna del mio cono cioccolato e bacio. Almeno qualche bacio potevo riceverlo... pure con la lingua, che volevo di più?

Sorrido fra me e me per il pensiero, mentre Anna mi osserva stranita. <<Cioè, io gli ho confessato i miei timori per il mio futuro professionale. Certo, non gli ho detto quante volte mi depilo o mi lavo i denti, ma era comunque un'informazione personale, giusto?>>.

Lei continua a gustarsi il suo gelato, ignorandomi completamente. Sono finita in un altro rapporto di amicizia unilaterale e lo scopro solo ora? Fino a che si trattava di ascoltare i suoi complessi e le sue paturnie con Marco però, andava bene...

Sbuffo infastidita, venendo colta da un improvviso senso di colpa di fronte a quella dose eccessiva di zuccheri che sarebbe andata dritta dritta sulla mia pancia. Mai che sbagliasse la mira e andasse un po' più in su...

<<Ma chiamalo, no? In fondo siete amici>> azzarda, iniziando a sgranocchiare il cono senza latte, burro, uova, senza niente, pure quello. Inconsistente, come la mia relazione con il fratello di suo marito.

Ma come cavolo avevo fatto a crederci sul serio? Le sue attenzioni, i suoi complimenti, le sue lusinghe...avrei dovuto capirlo già da piccola, quando mio nonno prima accarezzava le galline e poi gli tirava il collo, che le lusinghe maschili sono tutte fandonie. Tutti uguali, sotto questo punto di vista, gli uomini. La coscienza loro non ce l'hanno, non gli serve.

O se ne sono provvisti, per qualche strana ragione a me non pervenuta, non sanno che farsene: non passerebbero un esame di coscienza neanche copiando.

<<E sì che avremmo dovuto capire che non c'è partita quando lo stesso creatore dei Minions ha ammesso che erano tutti maschi perché nessuna donna potrebbe mai essere così stupida>> do voce ai miei pensieri, facendo ridere la mia amica a senso unico.

<<Eccovi, ma avete già ordinato?>>. Marco ci sgrida per non averlo aspettato. E chi sapeva che doveva venire pure lui?

<<Grazie della considerazione, Anna. Potevi dirmelo che aspettavamo anche lui>>.

<<Tranquilla, gliel'ho detto solo poco fa>> cerca lui di calmarmi, notando la mia evidente agitazione, sedendosi nel posto libero accanto a me.

<<No no>> lo zittisce sua moglie. <<Falla continuare, che è agguerrita>> dice in tono divertito, ridendo sotto i baffi.

<<Guarda che non c'è proprio niente da ridere. Ricordi quell'immoralista di Flaubert cosa diceva?>>.

<<Beh, immoralista... >> prova a contraddirmi Marco, ma dal mio sguardo capisce l'errore e chiede scusa con un gesto della mano.

<<Dicevo, quell'immoralista...>>. Mi blocco e mi volto verso Marco. <<Tu come lo definiresti uno che ha scritto un romanzo su Madame Bovary, che fu anche messo sotto inchiesta, all'epoca, per oltraggio alla morale?>>.

Lui alza gli occhi al cielo ma ha il buon senso di non ribattere.

<<Comunque...>> riprendo, serafica. <<Diceva che noi donne desideriamo solamente trovare un uomo che ci dimostri che i maschi non sono tutti uguali. Ma che significa? E' logico che non sono tutti uguali! Sai che palle? Una donna desidera solo trovare l'uomo che per lei è diverso da tutti gli altri, per la sua innegabile singolarità, senza dimostrare niente di che, se non un minimo di considerazione! Soprattutto dopo tutto quel... quello che c'è stato, ecco>>.

<<Non ho ben capito: cosa stai blaterando? Ma ti riferisci a mio fratello? Lui sai com'è...>> sospira, appoggiandosi allo schienale della sedia in plasticaccia verde.

<<E allora giustifichiamolo sempre!>>. Salto sulla mia, di sedia, alzando di molto il tono della voce. <<Siamo amici, amanti, monogami, ma certo, e io ci credo. E poi pretendo anche che cerchi di capire. Ma è un uomo, il multitasking non gli appartiene >>. Allungo una mano verso Marco, specificando <<senza offesa, eh>>.

Riprendo, abbassando la voce. <<Non gli appartiene per natura! O cerca, o capisce, poverino!>>.

Faccio una smorfia di tristezza. O di pena, dipende dai punti di vista. Lui tenta di placare la mia ira, ma oramai sono partita in quarta. <<E poi ti frega con quei grandi occhioni e quelle grandi spiegazioni alla Cicerone dei poveri, ma io dovevo capirlo subito, come diceva quella là>>. Cerco complicità in Anna sulla ragazza che al momento non ha un nome, ma solo un volto nella mia testa, che aveva detto questa innegabile verità. <<Che dobbiamo ricercare la verità nei panzerotti: essi ci insegnano che la bellezza interiore vale molto di più di quella esteriore! Ed ecco che allora lui cosa fa? Mi incanta pure con le sue mille qualità, le sue riflessioni introspettive, le sue mai banali conoscenze, i grandi paroloni...>>.

<<Non... non ti sarai mica innamorata di lui, vero?>>. Anna mi fulmina con lo sguardo, nel terrore, mentre Marco attende con curiosità la mia risposta, unendo le mani avanti a sé.

<<Macchè innamorata e innamorata!>> sbuffo, lanciando una mano in aria.

<<E' che... mi manca>> confesso, controvoglia. <<Siamo stati a stretto contatto per una settimana intera e adesso... vorrei, che so, parlarci, vederlo un momento...>>.

<<Scoparci...>> bisbiglia Anna, pulendosi innocentemente le labbra con un tovagliolo.

<<Insomma! Non si limitava tutto al sesso, d'accordo? O almeno, io pensavo che non fosse così>> mi tocca ammettere, afflitta.

<<Certo, grazie al cielo non è accaduto nulla che possa farmi pensare che lui possa essersi invaghito di me, o altro... cioè, avrebbe dovuto mettere d'accordo il suo cervello, il suo cuore ed il suo pisello, e non è cosa da poco>> scuoto la testa, confermando l'impossibilità del verificarsi di tale evento cosmico.

<<Potresti partecipare a Zelig. Davvero>> ironizza Anna.

<<Oh ma bene, grazie infinite, nemmeno voi mi prendete sul serio! Che cavolo devo fare?>>.

Adesso guardo Marco come fosse un veggente o uno stregone – al momento non sono poi così schizzinosa sulla serietà o meno di tali strane definizioni professionali – pendendo dalle sue labbra. <<So che sta uscendo spesso>> dice, scrutando la moglie per capire quanto – e se – possa sbilanciarsi. <<Ma non so né dove va né con chi>> aggiunge subito, nel panico.

Mi porto una mano sul mento, riflettendo. <<Sono ridicola. Anzi, patetica. Logico che finita la pausa idilliaca nella più calda isola di Wight, tra sabbia e acqua marina, lui tornasse a fare quel cazzo che gli pare e piace, con chi cazzo gli pare e piace>> mi torturo.

<<Mile... non puoi saperlo con certezza, però...>> prova a rincuorarmi Anna, che probabilmente ha assistito davvero poche volte – rarissime, per fortuna –  a questo penoso spettacolo di una me così insicura e debole. Uno spettacolo al quale farei volentieri a meno di partecipare anche io. <<Va bene, basta. Credevo che una volta passato del tempo insieme e ottenuto... diciamo... quello che pensavo di volere>>. Abbasso gli occhi, un po' a disagio. <<Mi sarebbe passata questa specie di fissa che avevo. Ma non è così. Me ne farò una ragione. Adesso devo solo pensare a trovarmi un lavoro. E non è come dirlo...>>.

Non avrei potuto sostenere un'altra conversazione deludente sul mio altrettanto sconfortante futuro, perciò, restando senza fiato dopo l'ultima frase pronunciata, saluto velocemente quella stupenda e matta coppia di amici e mi allontano dalla gelateria.

Fa ancora molto caldo e non sembra affatto che tra poco inizierà l'autunno e la ciclicità delle stagioni riprenderà a farci meravigliare della naturalezza con cui avviene – così repentinamente – questo cambiamento, ogni volta, puntuale. A differenza di me, che la puntualità non sapevo neppure cosa fosse.

<<Ti avevo detto alle cinque. Cazzo, Mile!>>.

<<Hey hey, hai poco da rompere, bocia. Che te la fai a piedi, altrimenti>>. Il mio caro dolce fratellino Andrea era diventato, improvvisamente, un adolescente presuntuoso e maleducato, in quello che a me pareva un giorno appena. Possibile che quel bambino che mi chiedeva sempre timidamente di giocare con lui con le Ninja Turtles ora non facesse altro che insultarmi e chiedermi solo favori, in malo modo, per altro?

<<Sei tu che ti sei fatto beccare>> lo sfotto, aprendo la portiera della mia Golf che avrei finito di pagare nel nuovo secolo, probabilmente. <<E ringrazia che hai me che ti salvo il culo quando bigi e ti vengo pure a prendere a scuola quando mamma non può>>.

<<Sai che sforzo... tanto non c'hai un cazzo da fare>> sbuffa il teppistello dai capelli castano chiaro appena tagliati – male – con una frangia stile banana di Jim Carrey in "Ace Ventura".

<<Da che parrucchiere sei andato?>>.

<<Da quello all'angolo, perché?>>.

<<Per tenermene alla larga>>. Mi tira un pugno e fa un rutto.

<<Sei un essere abominevole>> gli dico con una smorfia.

<<Senti, devo trovarmi con i miei amici sul viale. Portami lì che poi vado a piedi>> ordina, lisciandosi la ridicola chioma.

<<Basta che ti levi dalle palle il più in fretta possibile>> acconsento, specificando il motivo di tale sacrificio.

Arriviamo dopo qualche minuto in prossimità del viale alberato vicino al centro città, che brulica di ragazzini intenti a farsi selfie e video come fossero delle star. <<Aspetta, aspetta... portami più avanti>> chiede in tono di supplica Andrea, mentre sto per parcheggiare accanto a un gruppo di sole ragazze.

<<Qui qualcuno è in imbarazzo...>> lo prendo in giro, fermando l'auto proprio in quel punto.

<<Quanto sei stronza>> mi lancia l'ennesimo affettuoso insulto fraterno, scendendo dalla macchina a testa china.

Proprio in quell'istante una moto parcheggia dietro di noi. Guardo dallo specchietto retrovisore chi sia il proprietario di quell'ostacolo alla mia manovra per poter tornare sulla via, quando mi blocco. Una bella ragazza dalle sembianze conosciute scende dal sellino posteriore togliendosi il casco nero: Noemi.

<<Grazie, posso anche andare da sola, adesso>> la sento esclamare allarmata al conducente della moto, che, senza attendere che sveli la propria identità liberandosi dal casco, ho già capito chi fosse, dal cavallo tatuato sul polpaccio destro.

<<No, devo scendere. Ho un appuntamento proprio qui. Scusa, ho sfruttato il fatto di doverti accompagnare dalle tue amiche, ma per una buona causa>> le spiega, scendendo dalla moto e seguendola.

<<Lo sai poi loro come fanno...>> tenta di lamentarsi, prima che sospiri e urletti si levano fastidiosi nell'aria, accompagnati da commenti espliciti sulla bellezza di Claudio, che si allontana veloce dalle sgualdrine ninfomani amiche di sua sorella, a disagio. "Noe, è troppo figo tuo fratello. Non è che mi fa fare un giro pure a me...sulla sua moto?".

"Non è possibile sia vero, dai, sembra finto talmente è perfetto! Che muscoli, che culo!"

"Quanto vorrei poter essere anch'io una di quelle ragazze che si porta a letto...".

<<Dai, Sami, la pianti? Anche se l'hai già fatto, non ti permetto di fantasticare su "quello" con mio fratello!>>.

La voce di Noemi sovrasta le altre, ed ha un tono indignato e infastidito che le fa zittire all'istante.

"D'accordo, okay, non ti scaldare... però andiamo, non posso vederlo che se la fa con una, proprio qui davanti a noi..."

Scendo all'istante dall'auto e corro in direzione delle "signorine".

<<Ciao Mile! Che ci fai qui? C'è... c'è tuo fratello?>> mi domanda sorpresa Noemi appena oltrepasso le panchine e mi avvicino a lei.

<<Sì, è laggiù>> indico distrattamente con la mano un punto verso sinistra. Mi pare di aver intravisto la sua capigliatura orrenda muoversi dietro la siepe.

<<Il tuo, invece, dov'è andato?>>.

<<Al bar in fondo al viale. Doveva vedersi con una...>>.

Il cuore comincia a battermi veloce, mentre queste bambine che si atteggiano da gran donne, mi fissano con pietà, come a voler dire "non hai chance, bella mia".

Rifiuto di dare sfogo alla rabbia che si insinua in me – non con loro, me la tengo stretta per dopo – e tento di placare il senso di inadeguatezza che sta tornando a tormentarmi. Arriva sempre senza invito, il bastardo. Come senza invito mi presento io all'appuntamento con Claudio e la bella mora che gli siede accanto: appena mi vede sbianca. <<Ma ciao>> lo saluto con nonchlance, accomodandomi sulla sedia davanti a lui, ignorando le occhiate di fuoco della tettona alla mia destra.

<<Ciao Milena>> si schiarisce la voce, abbassando gli occhi.

<<Beh, non ci presenti?>> lo stuzzico, accavallando le gambe. Lui sospira. Adoro metterlo in agitazione.

<<Carmen, lei è Milena, Milena lei è Carmen>>. Ci indica reciprocamente con la mano, che subito ritrae, nervoso.

Carmen alias tettona morettona mi squadra da capo e piedi, per poi mormorare un <<piacere>> talmente falso che poteva risparmiarselo, con una smorfia di indifferenza, manifestando chiaramente il suo pensiero di scampato pericolo. Esaminandomi quel mezzo secondo, sarà arrivata alla conclusione che non potessi rappresentare chissà quale ostacolo alla sua evidente missione di conquista – o riconquista – del donnaiolo qui presente, che sospira di nuovo, teso. In effetti non avevo un filo di trucco, la t-shirt che indossavo era lisa e dalla scritta al limite del Parental Advisory – come fosse l'etichetta di qualche mio cd Hip-Hop con parole e slang da explicit content – e i pantaloncini di jeans erano troppo lunghi per essere considerati alla moda.

<<Scusa, eh>> parla con un ridicolo accento miss quinta coppa C. <<Ma noi stavamo... per fare un discorso... intimo>>.

<<Certo... perché se non sono intimi a lui i discorsi non piacciono>> mi trovo ad urlare, irritata.

<<Clà, ma che cavolo succede? Beh, tanto che ci sei, forse è meglio che parli anche con lei. Mi pare doveroso un chiarimento. Forza...>> lo sprona, con tono infastidito. <<Rendi partecipe anche questa qui della tua straordinaria, quanto inverosimile, volontà di diventare un bravo ragazzo>>.

Quasi scoppio a riderle in faccia.

Claudio invece è serio. Non l'ho mai visto più rigido e compunto, addirittura, di così. <<Carmen, no, ne parliamo in un altro momento>> la redarguisce, ma lei riprende nervosa <<ma come? Non vuoi rivelare anche a lei della tua opera di redenzione iniziata col tuo viaggio sulla luna con questa misteriosa ragazza che ti ha rapito il cuore? Eppure dovrai scaricare pure lei come stai facendo con me, per essere coerente con ciò che mi stavi dicendo prima che ci interrompesse>>.

Adesso sono io che sbianco. Chi è che ha rapito cosa? Quindi è con lei, con questa tipa che lo ha portato via, sulla luna o vattelappesca, che è stato per tutto questo tempo?!

<<Lascia stare, non devi spiegarmi niente, ho già capito tutto>> mi alzo, incazzata nera, sbattendo la sedia sulla quale ero seduta sul pavimento, attirando l'attenzione di tutti i presenti.

<<Non mi hai mai detto di lei perché non sai fare neanche l'amico. Tanto meglio, io non ho più intenzione di essere né quello, né altro, per te. Spuntami pure dalla tua lista. Abbiamo chiuso>> quasi grido, fissando quei fantastici ma bugiardi occhi verde scuro, e mi allontano in fretta, con le lacrime che già minacciano di farsi strada sul mio viso afflitto e deluso.

Poteva continuare a pavoneggiarsi con qualcun'altra, io ci metto una pietra sopra: sotto quella coda dalle mille piume arcobaleno, anche il più bel pavone, ha comunque sempre un banale culo di pollo.

Rido – tra le lacrime, che sono arrivate a fiumi – a questo pensiero, e ritorno a casa, promettendomi di smettere di maledirmi per la mia inettitudine e incapacità di riflettere davanti ad un pavone qualsiasi. Perché lui, per me, ora diventava un animale da pollaio qualunque.

E non mi sarei fatta tirare il collo come tutte le galline del suo harem lunare.

<<Entro nell'aula e ci sono solo due posti liberi. Entrambi in prima fila: logico. Mi siedo e un tizio con barba e baffi sulla settantina inizia a parlare di ogni cosa riguardante la modulistica amministrativa: compilazione di una raccomandata postale, modelli F23 e F24 per il pagamento dei tributi verso l'erario, compilazione dei documenti bancari... una palla>> sbuffo, riprendendo la mia parte di coperta che si era infilata sotto la gamba di Nat <<però poi ha parlato anche degli aspetti contabili di società di persone e società di capitali, che sono indubbiamente più interessanti>>.

<<Se lo dici tu...>> ironizza lei, che tira di nuovo la coperta verso di sé.

Siamo a casa di Anna – e Marco – con una cioccolata calda in grembo e un film ancora da scegliere per il nostro sabato autunnale all'insegna del remake delle Desperate Housewives.

<<Allora, come tutte ben sapete giovedì di settimana prossima è il mio compleanno>> esordisce la padrona di casa, con uno sguardo malandrino che non promette mai nulla di buono.

<<Non voglio fare nulla di che, ma vi vorrei con me. Purtroppo mio marito ha organizzato una gita fuori porta, nel fine settimana, e quindi non sarà possibile festeggiare insieme. Però io non voglio rinunciare a stare con voi, quindi faremo una semplice cena tutti insieme qui il giorno stesso. Che ne dite?>>.

Prima di acconsentire mi assicuro di una cosa. <<Per tutti intendi noi tre e...?>>

<<E... gli altri. Insomma... Dani, Sandro, Giò...>>. Al nominare il suo fidanzato Nat emette un sospiro.

<<Non ci sarà tu-sai-chi, giusto?>>.

La riposta di Anna era stata troppo vaga, e il suo elenco troppo corto: meglio approfondire se avessi dovuto affrontare lo spietato Signore Oscuro.

<<Veramente Marco ritiene sia carino invitare tutti, anche i suoi fratelli, e pure il tuo, a dire il vero>> dice in fretta, avvolgendosi nella coperta viola che aveva recuperato dall'armadio dopo che le avevamo rubato quella arancione. Peccato non la rendesse invisibile come il mantello dell'invisibilità, riparandola dalla mia ira. <<No no, non se ne parla. Io non vengo, allora>> esclamo con convinzione, raddrizzando le gambe e toccando così quelle di Anna, che sbuffa sia per il mio gesto, che per le mie parole.

<<Ma piantala! E' passato più di un mese, Mile. Ce ne hai messo a non nominarlo più ogni tre per due, lo riconosco, ma vederlo non ti farà chissà quale effetto, posso assicurartelo>> commenta lei, ma la sua convinzione – poca – nell'affermare tale supposizione non è per niente rassicurante. <<E comunque lavora, quindi se mai passerà solo per un saluto>> tenta di dissuadermi dal mio rifiuto, invano.

<<E io allora non verrò neppure per quello. Ho già faticato molto a rivedere Jake, l'altro giorno...>>

<<A proposito, com'è andata?>>.

Ritorno con la mente a quelle due ore paradossali vissute con lui la settimana prima, nella pizzeria dove andavamo solitamente nei nostri primi anni insieme. <<Era stupito ma contento di vedermi, o almeno così mi è parso. Quando siamo tornati da Creta gli avevo scritto, ma era la prima volta che ci incontravamo. L'ho visto... bene>>. Bevo un sorso di cioccolata all'amaretto, che non era più ustionante. <<Abbiamo scherzato, ma eravamo lo stesso un po' a disagio. Credo sia normale...>>.

<<Ma certo. Tra ex è sempre difficile>> conviene Natalia. <<Però hai fatto bene a chiarire, magari lui aspettava ancora il tuo ritorno speranzoso...>>.

Alza le spalle e sospira, portando alla bocca la sua bevanda al gusto di gianduia e cocco. <<Credo di sì, in verità>> ammetto, controvoglia. <<Ha tentato di baciarmi>>.

Le mie amiche alzano gli occhi su di me all'istante. <<Cooosa? Ma... non avevate appena chiuso definitivamente?>>.

L'incredulità di Anna sembra reale, eppure mi sa di interpretazione da Oscar. <<Ma non fate le finte tonte. Voi già lo sapevate>> esclamo, sapendo di coglierle in castagna.

<<Lui ci ha accennato qualcosa, ma oramai la chat la utilizziamo molto di rado...>> prova ad eludere l'accusa Nat.

<<Ragazze, va bene. Non è importante, davvero. Per me è acqua passata. Voglio concentrarmi solo su di me, adesso>>.

<<L'ho già sentita questa...>> mormora appena Anna, ma colgo la sua obiezione comunque.

<<Stavolta sono seria. Devo impegnarmi al massimo per arrivare al livello cui ambisco da mesi di Krav, ricominciare a fare sul serio Thai, e prendere quel benedetto attestato che mi permetterebbe finalmente di lavorare. Fine>> sentenzio, determinata.

<<Quanti buoni propositi... ti fa onore non aspettare la fine dell'anno>> ammicca, divertita. <<Perciò...>>. Azzarda, restando sul vago<<...posso... invitare anche Jake alla mia festa di compleanno?>>.

<<Va bene, ma stai tirando troppo la... coperta>> la avverto, facendo delle mie parole fatti, e tirando forte verso di me la – evidentemente corta – coperta che non sono più disposta a dividere con Natalia. L'incapacità di condividere era proprio una mia prerogativa... ma che non si dica che non ci provo, almeno, ad essere altruista.

Dimezzo il mio dolcetto alla crema con tutta la generosità possibile, per poi rinfilarmelo in bocca appena la mia amica accenna un rifiuto per consumare la sua parte. Io il gesto l'ho fatto, ho la coscienza pulita. La mia felpa, invece, ha un orrenda macchia di crema alla vaniglia: sempre detto, io, che troppa dolcezza su di me, stroppia.

Che buon profumo di lavanda. L'ho recuperato il coso? Ah, sì, è sul sedile posteriore. <<Ma quanto pesa 'sto affare?>>.

<<Neanche la metà di quanto sei pesante tu. Non rompere che siamo quasi arrivati>>. Sgrido quel ragazzino insolente che fino a prova contraria – e prima o poi la troverò – è sangue del mio sangue, e mi assicuro che la torta, vegana, sia ancora intatta, sbirciando con la coda dell'occhio l'involucro ottagonale incastrato nel sedile accanto al mio.

<<Ma poi perché la torta ha la forma così strana?>> sento chiedere da una fastidiosa voce dietro di me.

<<Perché è a forma di diamante e... lei è preziosa come un diamante>> rispondo, sbuffando.

<<Che cazzata>> commenta giustamente Andrea, stringendo a sé il cestino con prodotti bio alla lavanda, mio personale dono alla festeggiata.

<<Sì, è una roba al limite della decenza. Ma suo marito è fuori quanto Anna, e l'ha voluta così... che ci vuoi fare>> faccio spallucce.

<<Queste smancerie mi fanno venire la nausea>> borbotta, mimando un conato di vomito.

<<Vedrai quanta te ne verrà quando scoprirai le cose strane che ci saranno per cena... >> insinuo con un sorrisino malefico, ben sapendo che strane non significasse per forza immangiabili.

Salse viola e verdine non ben identificate su focacce con semi e semini vari, mini hamburger di legumi, cinquanta insalate con altrettanti fantasiosi abbinamenti e delle patatine di mais con maionese vegana ci attendevano sopra il grande tavolo posto a sinistra del divano nella spaziosa sala da pranzo della nuova casa dei miei amici, che ci avevano inondato di complimenti per essere stati puntuali... anche troppo: eravamo i primi. <<Ma non era alle sette e mezza l'appuntamento?>> chiedo sospettosa. Anna mi fa un grande – e calcolatore – sorriso mentre confessa <<alle otto, in verità. Ma... almeno saresti arrivata puntuale!>.

Ignora la mia occhiataccia a tale affermazione – veritiera, mio malgrado – e finisce di piegare i tovaglioli color lavanda. Tutto era di quel colore, il suo preferito; dalle posate, ai bicchieri, alle tende... anche le candele che illuminavano l'angolo buio della stanza erano di colore e al profumo dell'erba aromatica lilla, manco fossimo in Provenza. Lei non aveva neppure un debole per la provincia francese, mi confessò un giorno, ma ciò non le impediva di invadere ogni centimetro di casa – e del suo corpo – con quell'odore, e colore, che anche Marco pareva iniziare ad apprezzare: ah, l'amore.

<<Anche se sono già qui sono pur sempre un'invitata come gli altri, quindi non alzerò un dito, i'm sorry>> affermo risoluta, negando il palese invito della festeggiata ad aiutare ad apparecchiare la tavolata, imbronciandomi maggiormente per far risaltare il mio essere ancora risentita per il suo comportamento di sfiducia.

<<Dai, faccio io. Oltre al fotografo ufficiale devo pure fare il cameriere...>> si offre a sorpresa Andrea, che inizia a sistemare le forchette dal lato sbagliato, venendo subito redarguito, con conseguente pernacchia di risposta. Mentre lui e Anna si scambiano questi gesti d'affetto da un lato del tavolo all'altro, entra Noemi, che si ferma di botto ad osservare la scena. <<Ma è una nuova moda sputacchiare nei piatti prima di usarli?>>.

Mio fratello si irrigidisce, voltandosi di scatto. <<Sì, certo, è un nuovo sistema di pulizia. Vedi?>>. Alza il piatto in ardesia davanti a sé, consentendo a Noemi di verificare il suo innovativo sistema pulente, ridendo.

<<Ma che schifo!>> fa una smorfia, togliendosi il giubbotto. <<Fai fare a me. Voi uomini ce l'avete proprio nel DNA la repulsione per le attività domestiche>>.

<<Non generalizzare, che ho appena finito di fare la lavatrice con ottanta tue canottiere, tra l'altro, che se non te le metto io sul programma delicati poi tu le rovini e...>>. Claudio non termina la frase, entrando nella sala dopo la sorella e vedendo me sdraiata sul divano in pelle color avorio, con le gambe appoggiate al pouf in ecopelle del medesimo colore, e il maglione leggermente alzato per aver portato le braccia dietro la nuca, in totale posizione relax.

<<Io le tue cose puzzolenti non te le laverò mai, sorella, DNA o meno. E... continua pure tu, se preferisci>> esclama in tono piatto Andrea verso Noemi, gettandosi letteralmente sopra di me, per farmi il solletico.

<<Ti odio, moccioso!>> urlo infastidita e mi alzo.

Noemi scuote la testa, mentre Claudio resta al centro della stanza, in imbarazzo, ciondolando su una gamba.

<<Eccoli qui. Ciao, famiglia>>. Avvicina il suo capo a quello del fratello e della sorella Marco, appena uscito dalla doccia.

<<Oh, finalmente ci vediamo>> coglie l'occasione Noemi e lo abbraccia.

<<Ma come, ti manco?>> domanda alla sorellina, fingendosi incredulo.

<<Strano, ma sì. Clà è insopportabile, se lo sveglio prima delle due mi rompe e poi non mi fa mai stare in camera da sola con i miei amici...>> si sfoga, parlando a bassa voce, per non farsi sentire dal fratello maggiore.

<<Senti, tu e la mamma avete delle voci molto squillanti che mi penetrano nel cervello e non mi fanno dormire. E' colpa mia? E poi... camera tua è piccola, per quello non ci puoi stare con i tuoi amici, chiaro? Soprattutto se sono maschi>> sottolinea, alzando un sopracciglio.

<<Uffa, non sono più una bambina! Posso frequentare chi cavolo voglio, e dove voglio! Sei troppo protettivo, io sono grande!>> sbraita, rivolgendosi ad entrambi i fratelli, che la osservano contrariati.

<<Ti fai tremila paranoie, invece te ne puoi benissimo andare anche te! Io e la mamma siamo donne coraggiose, non ci servite!>> aggiunge, e si chiude in camera da letto, sbattendo la porta.

<<E' arrabbiata con me, perché me ne sono andato>> afferma amareggiato Marco, sedendosi sulla sedia che trova sulla destra, pensieroso.

<<No, è arrabbiata con me, perché me ne vado>> dice Claudio, nel medesimo modo, accomodandosi sulla sedia alla sinistra del fratello.

<<Cosa? E... dove? Quando?>>. Marco manifesta il suo stupore, che poi è anche il mio, mentre ascolto con interesse questo dialogo fraterno fingendo di posizionare i bicchieri per il vino.

<<Ho pensato di acquistare una casa...>> la prende alla larga, guardando nella mia direzione.

<<Ma... per andarci da solo o...?>> osa chiedere Marco, schiarendosi la voce.

<<Per il momento sì. Poi...si vedrà>> taglia corto Claudio, sistemandosi meglio sulla sedia.

<<Cavolo, che novità tosta. Ci credo che la nostra sorellina è incazzata. Prima io, adesso tu... Ci mettiamo sempre i piedi in testa, ma in fondo lei conta su di noi, lo sai...>>.

<<Lo so, ma è da tanto che ci penso. Voglio... una casa mia. Uno spazio solo per me, da... condividere, a momento debito, con qualcuno... Insomma, mi sembra anche ora>>. Altra occhiata furtiva verso di me. <<Capisci, Marco?>>. Capivo benissimo, io. Stava pensando addirittura di convivere con questa ragazza?

Marco annuisce, e sta per replicare quando suonano il campanello: sono le otto, l'ora reale stabilita per l'appuntamento, e Giò e Ale varcano la soglia ancor prima che lui si sia alzato per aprire.

<<Ci ha fatto salire Anna vedendoci arrivare. Alla porta c'erano Nat e Dani, con Jake>> avvisa Ale, che corre verso il bagno. <<Devo fare una pisciata assurda, scusate>>.

Ridiamo tutti, anche per stemperare la tensione per il suo annuncio: tra poco io, Claudio e Jake ci saremmo trovati nella stessa stanza. Okay, lui non sapeva di noi. O almeno, era la mia più profonda speranza. Ma la paura di ciò che avrebbe potuto verificarsi di lì a poco mi fa restare impalata ai margini del tavolo, con in mano lo straccio in microfibra, color lavanda anche lui, che avevo ricevuto in dono per pulire i calici in cristallo, inutile regalo di nozze della cugina bavarese – nome collegato alla città, non alla crema –  della sposa e utilizzati per l'occasione prima di finire rinchiusi in uno scatolone in cantina.

<<Finalmente vi vedo insieme, lei mi raccontava di uno ma non capivo proprio, poi mi ha accennato alla legge della L e ho compreso a chi si riferisse>> esordisce Jake, parlando con Daniele e Natalia, mentre entrano in casa. <<A proposito, complimenti, amico: sei l'eccezione che conferma la regola>>.

Si scambiano un gesto d'intesa ridendo a crepapelle, coinvolgendo anche Marco, che lo saluta calorosamente, e Giò, che alza il pollice e l'indice di entrambe le mani per creare la lettera L, alla quale si riferisce la battuta – sconcia, ovviamente – di Jake: non si smentisce mai. Stringe la mano di Claudio con educazione e poi alza lo sguardo incontrando il mio. Mi si avvicina e mi abbraccia. Questo gesto così naturale e sicuramente inaspettato mi lascia perplessa, ma contraccambio, mentre colgo lo sguardo sorpreso di Claudio che ci scruta da lontano.

<<Ciao, Milena. Sei... molto casual, stasera>> mi sfotte, per la mia mise volutamente non ricercata: maglione aderente ma casto beige e jeans scuri classici, senza trucco. <<Ma sempre bellissima. Come cavolo fai?>>.

Mi fa l'occhiolino, per poi buttarsi su mio fratello, che è ancora spaparanzato sul divano, impegnato a giochicchiare con la sua reflex.

<<Ciao, campione... di rompimento di palle>> lo saluta affettuosamente, schiacciandogli il mento con il gomito in una mossa wrestler delle loro, mentre Andrea grida <<cazzaro, stasera ti disintegro!>>.

Sorridiamo per lo spettacolo divertente generato dall'evidente complicità dei due, mentre arriva Anna e si mette a rimproverarli, invano: sa benissimo che quando i bambini cominciano a giocare non c'è storia.

<<Ma... Noemi non c'è?>> mi chiede Giò, piano, dopo avermi salutato con un cenno del capo. <<Sì, ma è un po' giù... è in camera, se riesci a farla uscire...>>. Gli lancio una scommessa, sicura che l'avrebbe colta al volo, e portato a casa la vittoria. Probabilmente, dopo la delusione dei fratelli, un'altra figura maschile estranea ai fatti avrebbe potuto calmarla.

<<Buon compleanno, Anna>> fa da apripista agli auguri Claudio. <<Come sai, posso restare poco, inizio il turno alle dieci, mi dispiace. Però mi voglio far perdonare con queste>>.

Recupera da un sacchetto una meravigliosa composizione di rose – ovviamente blu – al profumo di lavanda, con una confezione contenente una smartbox di coppia al centro: il regalo perfetto per lei, che, infatti, gli getta le braccia al collo, felice.

<<Grazie, che bel pensiero!>>.

Ma perché non lo detesta come sto cercando di fare io? La solidarietà tra amiche si è estinta insieme ai dinosauri?

<<State già aprendo i regali?>>. Noemi rientra insieme a Giò nella sala da pranzo, apparentemente più tranquilla.

<<No, solo il mio, che tra poco devo andare. Anzi, hai già chiesto se qualcuno può riaccompagnarti a casa?>> chiede Claudio il più delicatamente possibile, per non urtare ulteriormente l'umore della sorella.

<<Sì, mi riporta lui>> risponde indicando Giò, che si agita, tossendo.

<<Cominciamo, ragazzi?>> interrompe l'arrivo di domande scomode Jake, che si accomoda nel posto assegnato – c'erano disposti su ogni piatto segnaposti con i nomi scritti in corsivo su pezzetti di carta crespa – senza troppi complimenti.

Ci rilassiamo e iniziamo a cercare il nostro nome per conoscere la nostra destinazione. La mia è all'inferno, se seguiamo le indicazioni disposte da Anna e ne consideriamo l'accezione Dantesca del termine. Il mio posto, accanto a quello di Jake e davanti a quello di Claudio, non faceva presagire nulla che non potesse rientrare alla perfezione nel primo dei Tre Regni dell'Oltretomba creati e sapientemente descritti dal padre della lingua italiana. Iniziando la discesa partendo dal secondo cerchio, in cui i lussuriosi – di cui facevamo parte sia io che Claudio, senza dubbio – venivano trasportati e percossi in aria dalla bufera come in vita furono travolti dalla passione, io potevo anche fare un bel giretto nel Flegetonte – il fiume di sangue bollente – per il mio peccato di violenza contro il prossimo, date le cose poco carine che vorrei poter fare al mio "amico" che mi sta di fronte – Jason Voorhees almeno aspettava il venerdì 13 prima di dare sfogo alle sue cattive azioni – mentre lui, di contro, poteva farsi rincorrere in tondo percorrendo all'infinito l'ottavo cerchio, quello dei seduttori, che lo avrebbe accolto senza problemi. Poi sarei stata senza possibilità di fuga immersa nel ghiaccio nella mia permanenza al nono cerchio, destinato ai traditori, luogo probabilmente idoneo anche a Claudio, dato che aveva tradito la mia fiducia spacciandosi per qualcosa che non era, e mai sarebbe stato.

<<No, passa pure, lei non può mangiarli>> mi distrae Jake dai miei assurdi pensieri Divini, rifiutando il piatto che gli porgeva Nat. <<Sempre che ti facciano ancora venire mal di stomaco, i funghi...>> chiede conferma, allarmato, guardandomi.

<<Sì sì... non posso, ancora... grazie>> lo rassicuro della sua premura, con un sorriso.

<<Anzi, dammi un po' dei tuoi spinaci, che senza formaggio non li vuoi>>. Era normale conoscere i reciproci gusti dopo molti anni insieme, ma lo stesso un po' inquietante.

Alzo gli occhi e incontro quelli di Claudio, che osserva assente ogni nostra parola e gesto, limitandosi ad annuire alle domande di Ale, che non sta zitto un minuto, e a masticare con minuzia ogni boccone che introduce nella sua perfetta e disgustosamente stupenda bocca. Distolgo in fretta lo sguardo, in preda ad una profonda fame che non c'entra niente con il cibo. Spingo indietro la sedia e, con una scusa, mi allontano. Prendo la giacca marrone che avevo scelto tra le mille quella sera – la più anonima che possedevo – ed esco sul terrazzo. Recupero nella tasca una sigaretta, colpendomi la fronte con la mano al ricordo dell'accendino – scarico – chiuso nel palmo, inutile al mio scopo. Sto per entrare in casa per trovare un'alternativa, quando la portafinestra si apre, facendo comparire la figura di Claudio: maledizione, perché mi ha seguita? Sbuffo e mi giro, appoggiandomi alla ringhiera bianca.

<<Volevo solo salutarti, sto andando>> mi spiega, avvicinandosi. Sento il suo profumo e il calore del suo corpo dietro il mio, e il mio cuore comincia a battermi veloce nel petto.

<<Ciao. Buon lavoro>> gli dico nel tono più piatto e neutrale possibile, senza voltarmi. Lui sospira, rivelando come sempre con tale gesto una certa tensione, e mi prende per le spalle, costringendomi a voltarmi. <<So che non ho il diritto di chiedertelo, né tu il dovere di accettare, ma... verresti a cena con me venerdì?>>.

Scrollo le spalle per liberarmi dalla sua presa, e dalla sensazione pericolosa che scatenano – come sempre accade – le sue mani su di me.

<<E perché mai?>> mi trovo a domandargli, invece di rispondergli subito negativamente, concedendogli il tempo – il lusso – di trovare una motivazione valida prima di rifiutare.

<<Perché devo parlarti. Devo... ho bisogno di dirti alcune cose>> balbetta, impacciato.

<<Credo che ci siamo già detti tutto. O quello che non hai detto, su questa lei, comunque l'ho inteso lo stesso. Non ho bisogno di altre spiegazioni>> resisto, mordendomi il labbro, per la difficoltà che mi occorre per farlo.

<<Ma sono io che ho... bisogno di fornirtele>> ripete, torturandosi le dita, con la palese complessità di ritrovarsi "bisognoso" di qualcosa, o di qualcuno.

<<No>> dico allora, incrociando le braccia al petto in segno di chiusura.

Lui abbassa gli occhi, deluso, ma mi prende la mano, portandosela al petto. <<Il leone che c'è qui sotto l'ho fatto a vent'anni. Il motivo non è quello di sentirmi il re della foresta, come pensavi tu, ma è per ricordarmi che senza la forza, il coraggio di ruggire davanti alle difficoltà della vita, non si può andare avanti. E poi perché fa figo>>.

Sorride, stringendomi la mano, prima di poggiarsela sulla coscia destra. <<Qui ho un'opera surrealista ispirata a Mirò, artista che io adoro particolarmente, mentre il teschio...>>. Porta la mano sul braccio. << ...se te lo ricordi, è...>>.

<<Sì, sì, quello... quello lo ricordo>> confermo, incapace di distogliere lo sguardo dalla sua mano sulla mia.

<<Okay. La S è per Bon Jovi, ma... anche per Superman, lo ammetto>> sghignazza, ammettendo la mia supposizione di voler essere un moderno Clark Kent, utilizzando, attraverso il logo tatuato, super poteri del famoso super eroe per accalappiare le ragazze e la vista ai raggi x per spogliarle con gli occhi, probabilmente, prima di farlo davvero.

<<Il serpente che ho sul fianco...>> riprende, e, quando sposta la mano attorcigliandola al suo corpo, quasi muoio <<...rappresenta il continuo rinnovarsi, dato che i serpenti cambiano la pelle durante la loro vita, e anche la possibilità di usare il suo veleno per rispondere ad un attacco>>.

Abbassa la voce, attirandomi a sé per permettere alla mia mano di arrivare alla sua schiena, senza smettere di fissarmi negli occhi.

<<L'aquila con la testa di usignolo qui, tra le scapole... è il primo tatuaggio che ho fatto, a diciotto anni>>.

Deglutisce e parla più lentamente. <<Il motivo è che volevo ricordarmi di poter essere libero. Volevo imprimere nella mia pelle quella sensazione di avere delle ali che mi avrebbero portato in cima ad una montagna, metaforicamente parlando, per osservare tutto dall'alto, per...>>.

Si ferma, in evidente difficoltà, poggiando il mento sulla mia testa e ispirando il profumo dei miei capelli. <<Per prendere le distanze dalle cose e osservarle da una posizione sopraelevata, e, quindi privilegiata>>.

Perché mi stava raccontando tutto questo? Perché mi stava svelando ora i suoi segreti?

Siamo occhi negli occhi, praticamente abbracciati, e non so cosa sarebbe accaduto se qualcuno non ci avesse interrotti. Quel qualcuno è Jake, che esce sul terrazzo e si blocca, notandoci. <<Sta arrivando il primo. Mi hanno chiesto di avvisarti, Milena. Claudio, pensavo fossi già andato, ci hai salutato secoli fa>> esclama, serio.

<<Sì, io... stavo andando>> lo rassicura, voltandosi appena, mentre mi lascia riluttante la mano. <<Fammi sapere se... cambi idea. Ciao>>.

Apre maggiormente la porta finestra per passare senza far spostare Jake, che resta immobile a fissarmi. <<Che cosa stava succedendo, Mile?>> mi chiede a denti stretti, facendo trapelare incredulità mista a rabbia.

<<Nulla. Stavamo parlando>>. Mi difendo prontamente dalla sua tacita accusa, raggiungendolo: avrei fumato più tardi. Adesso mi bastava il fumo che gli usciva dalle orecchie.

<<Intendo... se non fossi arrivato io>> chiarisce, restando talmente rigido che non lo avrei spostato neanche con una gru.

<<Niente, te lo ripeto. Non accadrà più niente>> mormoro, tradendomi.

<<Più? Significa che... che è già accaduto?>>. Chiude gli occhi in attesa di quella che non vorrebbe essere una conferma, ma che, purtroppo, lo è.

<<Sì. Ma... non è stato come pensi tu>>.

<<Ah sì? Non ti ha abbindolata per poi mollarti come fa con tutte? No? E com'è andata, quindi? Sono molto curioso>>.

Il suo tono saccente e accusatorio mi fa innervosire. <<Non sono affari tuoi, Jake. Noi non stavamo già più insieme, sapevi che non era solamente una pausa. E quello che è accaduto tra me e Claudio non ti riguarda>> affermo risoluta, oltrepassandolo, intenzionata a terminare subito il discorso, che, per me, comunque, era già chiuso da un pezzo.

Odo la sua voce arrivare lontana, ma mi colpisce lo stesso, dritta alle spalle. <<Come preferisci. Ma quando tornerai da me, e lo farai... a leccarti le ferite, io potrei anche non esserci più>>.

Non so davvero come possa comportarsi normalmente, ridendo e scherzando, dopo la penosa conversazione che abbiamo appena avuto. Ma Jake è così, ed era una delle cose che all'inizio amavo di lui. Ora, però, mi sembra solo che il non voler affrontare le situazioni scomode sia un pretesto infantile e poco lusinghiero, e bado bene a non imitarlo. Anna mi domanda più volte il motivo del mio malumore, ma io temporeggio.

Quando tutto quel cibo – veramente buono, devo ammettere, sempre con quella punta di rammarico per non riuscire mai a fidarmi completamente all'alternativa vegetale al 100%, per poi venire costantemente smentita – finisce, tutti i regali, apprezzati e non, e Anna non si fa scrupoli nell'ammetterlo sono stati scartati e tutti gli invitati si sono dileguati – mio fratello è stato accompagnato a casa da Nat e Dani con la scusa di un mio ipotetico tasso alcolemico oltre i limiti di legge – ci sdraiamo nel letto una accanto all'altra.

<<Sei felice?>> le chiedo, titubante.

<<Sì. Non credo di poterlo essere più di così. E a te, invece, cosa rende infelice?>> mi domanda cauta, sollevandosi su un gomito per guardarmi.

Invidio la sua empatia e il suo sapermi leggere dentro così alla perfezione. <<Il non sentirmi mai adeguata. Il fatto che per tanto tempo ho creduto di essere forte e invece ero debole, e adesso non so che farmene di tutta questa vulnerabilità, che detesto>>. <<Mi detesto>> ammetto senza freni, come se parlassi allo specchio.

Lei sorride e mi prende la mano: si vede che sono morbide o hanno qualche altra qualità particolare, se costituiscono tale attrattiva per così tante persone. <<Tu sei la persona più forte che ho mai incontrato, Milena. Stai solo capendo che forse essere forte non ti ha permesso, fino ad ora, di concederti il lusso di vivere, sbagliando. Hai sempre avuto questa grande integrità morale, come se grazie a quella potessi essere immune agli errori. Quando, finalmente, hai ceduto il passo a qualcosa di vero, di puramente emozionale, ti sei persa. Ma per ritrovare una te migliore. Ne sono certa. Devi solo capire come fare, adesso... riconoscere e guidare la nuova te>>.

<<Fosse facile>> sbuffo, mettendomi a sedere.

In quel momento entra Marco. <<Oh, scusate. Non volevo disturbarvi>> si affretta a dire, uscendo dalla stanza.

Lo chiamo. <<Sono io che sto disturbando, ragazzi. Adesso vado...>>. Quanto avrei voluto non dover restare sola...

<<Non è necessario, puoi dormire di là. Così domani staremo un po' insieme, prima che vada al lavoro>> mi propone Anna, come captando i miei pensieri.

<<Okay, io ho lezione dalle 15 alle 19, domani>> ricordo, ritrovando l'orario corretto nell'agenda della mia mente. <<Anzi, venerdì prossimo dovrò uscire prima, sempre che andrò... >>. Mi ributto sul letto, nervosa.

<<Andare dove?>>. Marco si siede accanto a me, carezzando i piedi di Anna.

<<Tuo... fratello mi ha invitata a cena>> rivelo, in un sospiro.

Anna si stupisce ed emette un grido strozzato, mentre Marco, invece, mi osserva, pensieroso. <<Venerdì prossimo, hai detto?>>.

<<>> confermo, corrugando la fronte. <<Perché?>>.

Lui tentenna: non sa se rispondere onestamente o meno. Ma poiché è lui, e lui è sempre sincero, so che lo farà. <<Perché vedi, venerdì... è il suo compleanno>> mormora, sospirando.

Claudio mi aveva invitata a cena il giorno del suo compleanno? Voleva passare... con me il giorno del suo compleanno?!

Lo guardo sbigottita, cercando nella mia testa una risposta plausibile, invano.

<<Sapevo che aveva chiesto la serata libera, cambiando il turno di lavoro, ma credevo che avesse...altri programmi>> ammette, a disagio.

<<Sarà meglio dormirci sopra. Ti porto un pigiama pulito>> esclama in fretta la mia amica, il cui volto ha assunto un'espressione preoccupata. Talmente preoccupata, che quando mi allunga il pigiama con gli orsetti viola e io le faccio una smorfia di orrore, si limita a sorridere, senza commentare.

Mi fiondo sotto le morbide coperte nel letto della stanza degli ospiti dipinta di azzurro e mi lascio andare ad un sonno senza sogni: sarebbero stati incubi.

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