Chapter 12\"Un errore ripetuto più volte, mia cara, è una decisione"...




Raggiungiamo i nostri amici, che nel frattempo sono tornati a Matala, al tramonto, godendoci lo spettacolo magico del sole che muore all'orizzonte.

<<Ho prenotato in quel locale famoso, quello col nome del Re Leone>> ci informa Ale, tornando dall'esplorazione dei bar e dei ristoranti vicini, dove avremmo cenato di lì a poco. <<Bello il palazzo?>>.

<Sì, bello... il palazzo, ragazzi?>> ripete Giò, maliziosamente, ammiccando.

Ma che idea si sono fatti?

<<Molto. Peccato che nessuno di voi è voluto venire, sarebbe stato piacevole avere compagnia>> esclamo subito, in tono piatto, cercando di dissolvere ogni dubbio sulla natura della nostra escursione di coppia e soprattutto su quella del nostro NON rapporto di coppia.

Restano tutti in silenzio, scambiandosi occhiatine in cui aleggia ancora un po' di perplessità.

<<Cavoli, Anna, guarda quello quant'è carino. Mi accompagni in bagno così capisco se è italiano?>> propongo allora alla mia amica, come dimostrazione della veridicità delle mie affermazioni, notando un ragazzo alto e moro che si sta accomodando sul lettino, poco distante da noi, vicino alle toilettes.

La trascino con me nella sua direzione ancor prima che possa rispondere.

<<Ciao>> lo saluto appena gli sono davanti.

<<Hola>> risponde lui, rivelando le sue origini spagnole, e un sorriso da urlo.

Si alza e mi stringe la mano. Nulla a che vedere con la stretta di Claudio, ma comunque piacevole. La cosa orrenda di quando ti presenti in compagnia di un'amica mille volte più bella di te, è il rischio di risultare meno interessante rispetto a lei. Rischio che, comunque, questa volta non c'è. Lui ha occhi solo per me. Incredibile! Esistono ancora i ragazzi monogami! Tobias, così si chiama questo chico per niente male, è appena arrivato sull'isola. Parla anche un po' di italiano, e mi racconta tutta la sua vita, praticamente, prima di informarmi che anche lui cenerà all'Hakuna Matata. Ci diamo quindi appuntamento più tardi, e ci salutiamo, con un gran sorriso.

<<Non è stato così difficile>> penso ad alta voce, mentre prendo una sigaretta dal mio zaino abbandonato sullo sdraio, accanto a Nat, che mi osserva sorpresa.

<<Cosa non è stato difficile? E... da quando in qua fumi?>>.

<<Da quando sto ricominciando anche a flirtare. Mi ero scordata quanto fosse divertente>>.

Sorrido compiaciuta, orgogliosa di me stessa per come sto reagendo alle ripetute delusioni della mia vita. Della serie, mi accontento, di poco, anche se il famoso detto "chi si accontenta, gode" è una minchiata. Mio padre, grande pioniere delle battaglie interiori, mi correggerebbe con "chi si accontenta, sbaglia", ma non sono mai stata una grande seguace delle sue massime di vita.

Mi dà una spallata affettuosa Dani, ridendo. <<Avete parlato un sacco tu e il latino>>.

<<Sì, e lo faremo anche dopo. Verrà con noi a cena>> lo rendo partecipe, mentre anche gli altri hanno terminato l'impegnativo discorso sulle scie chimiche – e da dove è saltato fuori?! – e hanno ascoltato la mia frase.

<<Wow, avrò occasione di rispolverare il mio spagnolo>> commenta pragmatico Sandro, mentre Giò scocciato esclama <<scusa, eh, ma abbiamo prenotato solo per noi dieci...>>.

<<Quindi, il Banderas dei poveri ce lo dobbiamo sorbire anche mentre mangiamo? Non potrebbe stare al mulino con la sua Rosita a rompere le uova invece che i coglioni a noi?>> è l'opinione poco carina di Claudio, che si è innervosito più di tutti per la presenza del mio nuovo amico Tobias.

<<Hey, calma, calma! Mi sono espressa male: ceneremo nello stesso posto, mica allo stesso tavolo! Cavolo, scusate se anch'io vorrei, così eh, avere un minimo di vita sociale, ogni tanto>> sbuffo, adirata.

Mi rinfilo la t-shirt viola, che avevo tolto incurante delle mie spalle rossissime per presentarmi al mio nuovo amico – chissà mai di colpirlo con il mio piercing – e, con i miei fedeli sabot in mano, mi incammino verso le grotte dove si trova il ristorante, prima di colpire con qualcosa d'altro i miei simpatici amiconi.

Il locale, sebbene sia ancora presto, è già pienissimo. Il nostro tavolo è al piano superiore, dove la vista è spettacolare, sulle grotte, ora illuminate. Consumiamo i nostri drink di aperitivo affacciati sul mare comodamente sdraiati su ampi lettini di legno. Dani e Nat si concedono una pennichella pre-cena su due delle amache disponibili, dondolati dal vento. C'è una musica reggae in sottofondo, ma presto comincerà la musica dal vivo, sullo stesso genere, per mantenere l'atmosfera hippie.

Del mio spagnolo ancora nemmeno l'ombra, però, anche se per lui le otto di sera sono come per noi italiani le cinque di pomeriggio.

<<Mica mangiamo alle cinque, no?>> do voce ai miei pensieri, per rispondere alla provocazione di Ale, che mi chiede il motivo per cui Tobias ancora non si è fatto vivo.

Vado a controllare al piano di sotto quando siamo al dolce, un soffice budino al miele, e lo trovo al bancone del bar dalla forma molto particolare: sembra una barca! Mi saluta sorridendo e mi presenta una ragazza ed un ragazzo, sulla trentina, suoi amici e compagni di viaggio.

Ma quindi anche lui è così grande? Sembrava avesse la mia età, o poco più. Parliamo del più e del meno, mentre sorseggiamo un drink verde con l'ombrellino, fino a che mi chiede di fare una passeggiata. Avverto Sandro, che sta tornando dal bagno, del mio appuntamento, e ci mettiamo d'accordo sul ritrovarci con gli altri per il ritorno verso le dieci e mezza, al parcheggio.

Tobias non perde tempo: mi prende per mano mentre mi conduce lontano dal casino e dalle luci del locale. Avanziamo per qualche metro sulla sabbia, ancora calda, che mi solletica i piedi. Gli sorrido quando vedo che sta per baciarmi, e un brivido mi percorre la schiena. Ma non è un brivido di eccitazione. Inizia anche a girarmi la testa... Non mi sembra di aver bevuto chissà quanto...

All'improvviso mi viene un'emicrania così forte che non riesco a tenere gli occhi aperti e, quando mi abbraccia, facendomi quasi sdraiare a terra, mi sento svenire. Tento di rimettermi seduta, ma mi mancano le forze.

<<Hey, ma che succede?>>.

Una voce conosciuta irrompe alle nostre spalle e io alzo un braccio nella sua direzione, in segno di aiuto. <<Milena! Ma cos'hai? Ragazzi, aiutatemi!>>.

Quattro braccia mi sollevano da terra mentre Marco continua a parlarmi, cercando di tenermi sveglia, e Tobias si giustifica parlando troppo velocemente perché possa comprendere quello che dice.

<<Tranquillo, amico, credo abbia preso un'insolazione. Ciao, buon proseguimento>> esclama, presumo verso il mio Banderas, mentre il fratello si fa carico del mio corpo inerme e mi porta fino al pulmino. Mi adagia delicatamente sul sedile posteriore, chiedendo ad Anna di farmi da cuscino con le cosce.

I suoni, le voci, mi giungono lontani, ovattati... riesco a percepire chiaramente solo le parole rassicuranti di Claudio, il suo profumo, mentre mi accarezza i capelli e mi stringe la mano, sussurrandomi dolcemente che presto saremo a casa.

         ***

Che caldo. Che freddo. Voglio muovermi. Non posso. Dove sono?

<<Ferma. Ti cade il ghiaccio. Aspetta...>>.

Apro un occhio, ma sento un forte bruciore. Vorrei alzarmi, ma mi pare di avere le braccia e le gambe pesantissime, la testa come un pallone...

<<Sei conciata male, furbona. Te l'avevo detto che ti saresti scottata>> mi rimprovera Claudio, sdraiato accanto a me sul divano della casa a Gouves: riconosco la tappezzeria a triangolini azzurri e i cuscini arancioni sotto la mia spalla, che ha un colore rosso fuoco: oh mamma.

<<Scotti. Hai la febbre alta. Devi tenere la pezza bagnata sulla fronte>> dice in tono autoritario il mio infermiere, sistemandomi il fazzoletto impregnato di acqua ghiacciata sopra la testa.

<<Ti va di bere un po'? Aiuterebbe>> mi chiede, speranzoso.

Faccio un piccolo cenno con un leggero movimento del capo e lui mi aiuta ad alzare la testa per consentirmi di dissetarmi. Lo osservo grata. Perché mai si sta prendendo cura di me? Tutti gli altri dove sono?

Provo a parlare ma mi esce solo un rantolo: ho la gola secca.

<<Non ti sforzare. E' quasi mattino. Adesso Anna mi darà il cambio. Sono leggermente stanco>> si lamenta, ma sorride.

E' stato qui tutta la notte accanto a me, su un divano scomodissimo, a misurarmi la temperatura e a rinfrescarmi la fronte?

Si concede un momento di riposo, chiudendo gli occhi. Quanto è bello...

<<Clà, vai. Ghe pensi mi>>.

E' arrivata Anna a guastarmi il momento, ma con la sua frase in dialetto milanese mi ha fatta sorridere. <<Ah, l'aragosta è viva, quindi>> commenta sarcastica, accorgendosi della mia reazione.

<<Non ti muovere, però. Riposa che tra qualche ora starai meglio. Cretina>>.

Con questo appellativo affettuoso, mi dà la buonanotte – o il buongiorno – e si stende accanto a me, nel posto lasciato da Claudio, in posizione fetale, addormentandosi all'istante.

La luce irrompe violenta nella stanza, rivelando che è oramai mattina inoltrata.

Le braccia mi sembrano meno pesanti di quando sono rinvenuta qualche ora fa, e così provo a sollevare l'avambraccio destro, con scarso successo.

<<Ciao. Come ti senti?>>. Il sorriso di Claudio mi fa subito stare bene. Porcaccia ladra.

<<Meglio>>mi sforzo di rispondere, ma ho la gola in fiamme.

<<Acqua>> dico piano, e lui mi porge il bicchiere. Deglutisco con una difficoltà immane.

<<Dobbiamo mettere questa pomata, ha detto il medico>>.

Medico? Mi aveva visitata un medico? Non lo ricordo... aspetta... e il mio spagnolo?

<<Tobias?>> gli domando lentamente. Lui aggrotta la fronte. <<Era preoccupato. Pensava di aver fatto qualcosa lui. Sai, al buio non si notava così tanto la tua scottatura. Sa dove siamo, comunque, passerà>> mi informa, impassibile.

E chi gliel'ha dato l'indirizzo? Io no di certo... me lo ricorderei... giusto?

Oh no, invece no. Per niente. Non mi ricordo niente!

<<Ma... cosa è successo di... di preciso?>> biascico, tanto che Claudio deve fare uno sforzo sovrumano per capirmi, avvicinandosi molto al mio viso.

<<E' successo che sei quasi svenuta... mentre... insomma, non so bene cosa eravate intenti a fare>>.

Lo guardo nel panico.

<<No no, non quello!>> si affretta a dire, notando la mia espressione terrorizzata.

<<Cioè, eravate ancora vestiti...>> ammette. Con sollievo, mi par di notare.

Gli faccio capire che mi voglio mettere a sedere, e lui me lo sconsiglia, ma poi mi aiuta, sollevandomi la schiena, che mi brucia da morire. <<Adesso chiamo Anna perché ti spalmi la pomata. Solo che mi sa che è appena uscita...>>.

Si sporge per calcolare in base all'ora segnata dall'orologio sulla parete il tempo rimanente al ritorno della mia amica.

<<Silvia! Nat!>> urla in direzione delle scale, senza ottenere risposta.

<<Sono tutti in paese, a far spese>> esclama Ale, scendendo le scale di corsa.

<<Gli vado incontro per aiutarli a portare la roba, e poi tu cerchi di dormire un altro po'. Non hai chiuso occhio. Mi occuperò io del gambero rosso...>>.

Fa un'occhiolino nella mia direzione. <<Ma ora vado. A voi serve niente?>>.

Alla nostra negazione con il sol movimento del capo – io riesco a muovere solamente quello – anche lui esce, lasciandoci soli.

<<Beh, te la metto io. Sempre che tu voglia...>>.

Potrei muovere nuovamente la testa a destra e a sinistra come ho appena fatto per esprimere il mio dissenso ad Ale ma, non so perché, mi ritrovo invece a spostarla su e giù. E finché va su e giù solo la testa, va tutto bene.

Mi maledico per questo pensiero assurdo e rifletto che, in fondo, lui vuole solo evitare che muoia spellata viva: interessante e controversa immagine.

Sospira – come fa sempre prima di compiere un gesto, o dire qualcosa di scomodo, ho imparato – e mi solleva delicatamente la canottiera blu. Me la sfila dalla testa, pianissimo, aiutandomi ad alzare le braccia. Resta seduto dietro di me, così da lasciare in evidenza solo la parte posteriore del mio corpo. Prende una dose generosa di crema con l'indice e il medio della mano destra e le fa scivolare lungo le mie spalle. E' fredda e, a contatto con la mia pelle bollente, mi scatena crampi e spasmi, che lui cerca di placare soffiandoci sopra, con il solo risultato di aumentarli. Non sono sicura, però, sia davvero colpa solo della febbre... mi sembra che il mio corpo sia totalmente soggiogato da altro... Eppure avevamo fatto un patto...

Passata l'evidentemente incontrollabile reazione, inizia a compiere movimenti rotatori lievi, ricoprendo tutte le spalle, per poi scendere sulla schiena.

Ha un tocco così leggero, ma forte... <<Ecco, a posto. Adesso, davanti...puoi farlo da te. Ti passo il tubetto...>>.

Si gira per recuperare la crema sul tavolo, ma, contemporaneamente a lui, lo faccio anch'io. Con l'alzarsi della temperatura, si abbassano i miei freni inibitori – e la mia poca coerenza, pare.

Appena riprende il suo posto e nota il mio movimento, si blocca e il suo viso assume un'espressione di autentico stupore.

Alzo le braccia e mi stendo, senza distogliere gli occhi dai suoi, invitandolo a continuare il sublime massaggio che aveva iniziato. Lui sospira – di nuovo – ma non si tira indietro.

Vedi a fare i patti col diavolo?

Inizia a spalmarmi delicatamente la pomata sulla pancia, per poi risalire fino al collo, evitando di toccarmi il seno. Si sistema meglio e coinvolge nel massaggio anche la mano sinistra, per arrivare a coprire tutta la parte anteriore della mia spalla destra.

Vacilla, osservando quei – piccoli, ma sufficientemente pericolosi – ostacoli al suo percorso che lo fissano, invitanti, e, finalmente, si lascia tentare. Con solo i polpastrelli del pollice inizia ad accarezzarmi la parte esterna del seno, per poi avvicinarsi, piano, al capezzolo, prendendolo tra le dita, pizzicandolo, facendomi impazzire di desiderio.

Le mie braccia si abbassano, per cingergli il collo, e accompagnarlo nel suo prossimo movimento, quello della sua bocca che sostituisce le sue dita, dandomi il colpo finale. Sono scossa da brividi potenti come fulmini, mentre lui mi sta portando all'orgasmo solo così.

Adesso sì che sto davvero per svenire... una s o meno in questo caso non fa così differenza. Si ferma – maledizione! – sentendo il rumore delle chiavi nella porta, e, velocemente, mi copre con il lenzuolo che avevo lanciato ai piedi del divano, durante la mia tormentata notte.

<<Sta meglio la paziente?>>.

Marco e Anna richiudono la porta dietro di loro e, solo quando si voltano, si accorgono delle nostre eloquenti espressioni e del lenzuolo che mi copre alla meno peggio la parte superiore del corpo, in sostituzione della canottiera che giace abbandonata ai piedi del divano.

<<Immagino tu abbia ancora la temperatura del corpo molto elevata...>> esclama Marco allusivo, con un sorrisino, mentre fa un cenno a Claudio di seguirlo.

Anna resta a fissarmi, scuotendo la testa. Quanto vorrei poter sentire quello che si dicono...

<<Vai... vai...voglio...>>. Maledetta gola arsa!

<<Non origlierò per te!>> chiarisce in tono categorico la mia amica, intuendo le mie subdole intenzioni.

<<Tanto poi mio marito mi dirà tutto>> ammicca, sedendosi accanto a me.

<<E io lo dirò a te, se fai la brava>> mi posa amorevolmente una mano sulla nuca, per poi tirarmi una ciocca di capelli in modo decisamente meno amichevole.

<<Devi ritenerti fortunata, carina, che non riesci a parlare, perché altrimenti ti darei il tormento finché non mi spiegheresti che cosa state combinando tu e Fidel Castro dei poveri, qui>>.

La mia faccia interrogativa la spingead aggiungere <<sai, l'uomo che è stato con più donne al mondo. Il leader cubano se la spassava... pare che se ne sia fatte più di trentacinquemila>>.

La guardo sbalordita, ma non per la sua dettagliata informazione, quanto per la sorpresa che possedesse tale dato. Aveva condotto una ricerca a tal proposito solo per impressionarmi?

<<Milena>> dice ora severa, schiarendosi la voce. <<Se hai voluto allontanarti da Jake per decidere che senso dare alla vostra storia, lo capisco. Ma adesso mi sembra tu stia percorrendo una strada ben precisa. Cioè: l'hai definita "pausa di riflessione" solo perché "periodo di prova con un amante" pareva troppo brutto?>> ironizza, ma restando seria.

<<Hai già fatto diversi errori>> continua, con più decisione. <<O così li hai ritenuti tali, con Claudio... e un errore ripetuto più volte, mia cara, è una decisione>>.

Detesto il suo tono moralistico, sebbene le sue parole abbiano un senso. <<Tu non vuoi un'altra relazione, e neanche lui. Non so se ne sarebbe capace, a dire il vero...>> conclude il suo dialogo a senso unico, massaggiandosi in mento, riflettendo.

<<Quindi è solo sesso? Come con tutte le altre?>> mi chiede dopo un minuto di silenzio, schietta, lanciandomi un pugnale avvelenato di finta comprensione.

So che mi provoca perché mi vuole bene, ma in questo momento vorrei solo non dovermi giustificare di qualcosa che nemmeno io ho ben chiaro cosa sia.

<<No. Siamo amici... >> sibilo, serafica.

<<Amici? Amici di letto, vorrai dire...>> mi corregge, per nulla convinta.

Chiudo gli occhi, per la spossatezza ma soprattutto per poter chiudere fuori dal mio piccolo mondo, per qualche secondo, tutto quello che mi turba, fingendo che mi sia tornato il malessere di prima.

Le domande scomode di Anna lasciano spazio alle sue risa, però, quando entrano in salotto Sandro e Ale con un cappello davvero strambo. Stringo al petto il lenzuolo e torno seduta, osservando meglio quel copricapo dalla cupola rotonda e dalla larga tesa, tipico di cacciatori o viaggiatori della Grecia antica, chiamato Petaso. Ale ci descrive nei minimi dettagli l'incontro con questo particolare omino che vende cappelli strani giù all'angolo, narrandoci anche la leggenda di Ermete e Perseo, che l'astuto commerciante ha utilizzato per vender loro quei fantastici cappelli, che hanno acquistato anche Giò e Dani. Li sfoggiano orgogliosi mentre le rispettive fidanzate li fissano rassegnate, proponendo, invece, un altro genere di spettacolo: dopo pranzo si deciderà quale film vedere. Sembra stiano facendo di tutto per passare il tempo, non allontanandosi da casa, e da me.

Alzo il braccio per avere la parola, come a scuola. I cappellai matti si zittiscono, in attesa, mentre Marco e Claudio ci raggiungono dopo la loro discussione. Sembrano nervosi.

<<Ragazzi>> mormoro con fatica. <<Non dovete stare qui forza. Io me la cavo anche da sola. Andate al mare>>.

<<A pescare?>>.

<<Al mare!>> ripeto, alzando di mezzo tono la voce, rauca e da gallina strozzata, che mi ritrovo.

Dani annuisce: ora ha capito.

<<Ha ragione. Basta che rimanga qualcuno, non dobbiamo esserci tutti. Resterò io>> si offre Nat, con evidente delusione di Dani, che ora vorrebbe non aver inteso le parole della neo fidanzata.

<<E poi vengo io>> interviene Silvia, avanzando di un passo. <<Che stasera, se non vi spiace, vorremmo uscire da soli io e lui>>.

Indica Giò, che le sorride, contento. Claudio tace. Ne resto delusa, ma non lo do a vedere. Ringrazio invece le mie vittime sacrificali con un bacino lanciato al vento. L'essere malata fisicamente si ripercuote anche sulla mia emotività, che adesso ha già qualche problema di suo, e il mio mantenermi solida e poco espansiva mi risulta più complicato. Le spalle e la schiena, intanto, stanno tornando ad una temperatura accettabile, e io vengo travolta da una stanchezza che mi fa addormentare di colpo. Riesco finalmente a stare in una posizione in cui non sento dolore e dormo per circa tre ore.

Quando mi sveglio, Silvia sta leggendo l'ultimo libro di Fabio Volo sul divano al lato opposto a quello dove sono ancora sdraiata io, assolvendo al suo compito di infermiera, durante il suo turno di servizio. <<Riesci a mandar giù qualcosa?>> mi domanda dolcemente. Ho lo stomaco vuoto, ma non ho per nulla fame. Scuoto la testa e provo a muovere le gambe: vorrei alzarmi, perché mi scappa la pipì. Provo a mettermi in piedi ma la testa fa un giro sulle montagne russe, e devo sostenermi al tavolo per non caderci sopra. <<Piano, piano... dai, ti aiuto>>.

Sussulto appena mi sfiora le spalle roventi. <<Ops, scusa. Dobbiamo mettere ancora la pomata, per quelle>>. Non ho mai fatto la pipì davanti a nessuno, e con Silvia, che non conosco chissà così bene, un po' mi vergogno. Ma non ho chissà quali alternative... di colpo penso alla vecchiaia e mi deprimo.

Quando finisco, mi aiuta a sciacquarmi il viso – e, appena si allontana, do una passata anche al collo e alle ascelle – poi va in camera, a recuperarmi un vestito pulito da indossare. In effetti, la canotta ed i pantaloncini che ho da ieri sono fradici e sporchi, e cominciavo ad emanare uno sgradevole odore di sudore, dato che la febbre era scesa grazie anche a quello. Avrei bisogno di una doccia, ma per ora basta ed avanza non sembrare più un gamberetto puzzolente. Se Claudio mai dovesse ritentare ciò che ha fatto quella mattina... non morirei dall'imbarazzo di non essere presentabile.

<<Ha mangiato?>> sento Anna chiedere a Silvia dal corridoio.

<<Ah, ma sei sveglia! Come ti senti?>>. E' ancora bagnata e accaldata, e si sta togliendo la sabbia dai piedi.

<<Abbiamo visto Tobias. E' venuto fino a qui per sapere come stavi>> sorride, reputando l'informazione di vitale importanza per farmi abbandonare le mie autolesionistiche fantasie sul fratello di suo marito.

<<Ah sì?>> mi fingo interessata, testando il volume della mia voce, e quanto assomigli ancora al gracchiare di una cornacchia. Mi avvicino alla cucina, testando il livello attuale delle mie abilità locomotorie.

<<Sì. Invece Nat e Ale hanno preso esempio da voi>> si rivolge a Silvia, mentre si sistema meglio l'asciugamano attorno alla vita. <<Usciranno a cena da soli. Anche Claudio non tornerà>>.

Questa volta guarda me, combattuta. Sento che sta per arrivare una bomba e vorrei potermi mettere al riparo prima che scoppi. Ma sono ostacolata, inchiodata da gambe molli e fragili e da una volontà più debole ancora, in attesa, aggrappata come un naufrago disperato al pensile della cucina e ad una speranza oramai alla deriva.

<<Ha conosciuto una in spiaggia e staranno fuori insieme>>.

Un minuto di silenzio per le mie patetiche illusioni –  che sono tornate a farmi sentire una vera imbecille  – grazie.

<<Adesso ho fame. Cosa è avanzato dal pranzo?>>.

Voglio essere pronta all'eventualità di un possibile sondaggio su cosa è più importante per me tra l'amore o il cibo e voglio poter essere libera di esprimere la mia preferenza solamente con i fatti, ingurgitando l'impossibile. Posso fare benissimo a meno degli uomini, soprattutto di quelli belli come Dei greci, muscolosi e tatuati, ma non potrei mai vivere senza carboidrati. Mi pare ovvio. E i famosi cioccolatini di Forrest Gump, vorrei dirlo anche alla mia amica Anna, che ci tiene tanto, prima o poi scadono: meglio mangiarsi tutta la scatola, prima che avvenga.

<<Ti butti... sul cibo, quindi?>>.

<<Sì, mi devo rimettere in forze. E poi voglio intasare un organo alla volta. Lo stomaco è il primo della lista, il cuore viene dopo. Un'indigestione di cibo fa meno male di una di sentimenti>> affermo sibillina, allungando la mano per acciuffare il pacchetto di patatine in fondo alla credenza, che mi fissa invitante.

<<Mica il tuo cuore era chiuso?>> mi chiede in contropiede, passandomi, con una smorfia di disapprovazione, un paio di forbici per aprire il mio prezioso bottino.

<<Vero. Lo stomaco però no. E, comunque, anche se il cuore non lo fosse stato, non ci avrei lo stesso fatto entrare uno che non sarebbe degno di starmi neanche sulle palle>> affermo senza mezzi termini, ritrovando la mia sana autoironia e in parte la mia salute, fisicamente parlando.

<<Scusate, ma non ci sto capendo niente. A chi vi state riferendo? A me questo Tobias pare così carino... e, poi, non ci andrei giù così pesante... potrebbe essere solo un flirt estivo...>>.

Ci voltiamo all'unisono verso l'ignara Silvia, ricordandoci in quel momento fosse anche lei all'interno del perimetro nel quale sostavano le pericolose mine pronte a disintegrare ogni briciolo della mia dignità. Cara ingenua Silvia...

<<Le zucchine che avete preso stamattina vanno fatte al forno?>>.

<<Sì, accendilo. Hey, dove vorresti andare, tu?>>.

Marco mi riacchiappa ancor prima che possa aprire la porta.

<<Voglio solo prendere una boccata d'aria. Sono chiusa qui dentro da tutto il giorno. Adesso fa bello fresco, fuori. Dai, solo un momento>> imploro, con la mia voce quasi tornata normale. Almeno lei.

<<Però aspetta che mangiamo, così poi ti accompagno>> interviene Anna, preoccupata.

<<Guardate, vado solo fino alla spiaggia e poi ritorno. Mi sento davvero molto meglio>> cerco di convincerli, mantenendo, apparentemente senza fatica, la posizione eretta e lo sguardo sereno.

<<E va bene... ma torna subito, che fra poco più di mezz'ora sarà pronto>>.

<<Okay, mamma>> le sorrido, riconoscente, ed esco.

Inspiro a fondo l'aria, che sa di mare e di libertà. Barcollo, ma non mollo: ce la faccio a fare pochi metri per arrivare al mare. Devo.

Sotto la luce luminosa della luna la mia pelle sembra quasi tornata ad una tonalità accettabile. Mi siedo sulla battigia, poggiando il mento sulle mie – sempre orrende – ginocchia. Al rumore delle onde del mare se ne aggiunge un altro, di... qualcuno che sta masticando? Potrei soffrire di misofonia, poiché questo ruminare mi fa saltare i nervi. Volgo il mio sguardo verso destra: da lì proviene quel fastidioso suono, ma, nel buio, non vedo nulla. Finché, dietro un ombrellone semi chiuso, scorgo Claudio, intento a mangiare un gyros ripieno, sdraiato su un lettino rimasto aperto in mezzo alla spiaggia. Sorrido e vado verso di lui, che, sorpreso, quasi fa cadere la pita a terra. Io sono stupita a mia volta, ma non nego che quest'incontro era il desiderio che mi aveva spinta ad uscire.

<<Ma che...>>.

<<Ci faccio qui?>> concludo per lui.

<<Potrei domandarti la stessa cosa. Non dovevi cenare... in compagnia?>>.

Lui si rabbuia.

<<Ma... sono in compagnia>> dice invece, fingendosi tranquillo.

<<Claudio...>>.

Addenta un altro pezzo di pomodoro e mi offre l'altra metà della prelibatezza greca che sta gustando. <<Vuoi favorire?>> divaga.

La mordo direttamente dalle sue mani, aiutandomi con le dita quando la salsa allo yogurt cola dalla melanzana e mi rimane sul labbro.

<<Vedi? Sto cenando in compagnia>> insiste.

<<Come preferisci>>. Decido di assecondarlo, sedendomi ai margini dello sdraio. Lui inghiotte l'ultimo boccone e mi osserva, riflessivo. Mi sfiora il collo con l'indice, facendomi cadere la spallina del vestito bianco, come quella volta nel camerino di Gap.

<<Non sei più tanto rossa... sta passando, per fortuna. Ma domani niente sole>> sentenzia, avvicinandosi, ma con cautela.

<<Riguardo a prima... mi ricordi cosa non abbiamo capito del patto che abbiamo suggellato ieri?>>.

<<Che non si possono controllare le pulsioni. Tu dovresti saperlo più di me, indubbiamente>> gli rispondo veloce, senza remore. <<Claudio... con chi dovevi essere questa sera?>>.

Deglutisce piano e mi scruta, titubante. <<Dovevo, con una ragazza che abbiamo incontrato oggi al bar>>.

Indirizzando lo sguardo verso il mare, prosegue, con la voce spezzata <<volevo... con chi sono ora. Per quello adesso ci sei tu e non lei, qui>>.

Prendo coraggio. <<Ma se non fossi venuta...>>.

<<Sarei stato da solo per cercare di temporeggiare ancora su ciò che, mi pare oramai ovvio, è inevitabile>>. Così dicendo, mi prende il viso tra le mani e mi bacia, con sicurezza, affondando le mani nei miei capelli, spingendo la sua calda lingua nella mia bocca, fino in fondo, con la foga di chi ha aspettato troppo qualcosa che bramava dal profondo, e, che adesso che finalmente la sta ottenendo, non può più attendere nemmeno un altro secondo prima di possederla.

Porto in fretta anche le mie mani sul suo viso, alzando una gamba per girarmi meglio verso di lui. Ci ritroviamo così appoggiati l'uno sull'altra, petto contro petto, seduti sullo sdraio, con le gambe divaricate, stringendoci come se avessimo paura di cadere.

Ci baciamo con la stessa intensità per quelle che sembrano ore, e solo quando, purtroppo, riappaiono le vertigini – causate dall'insolazione, e non dai baci, questa volta – mi stacco e gli dico che non mi sento ancora bene e che è meglio se torniamo a casa. Sono dispiaciuta perché vorrei prolungare questo momento all'infinito e perché ho il terrore che questo sia, come sempre accade con lui, solo un piccolo attimo di sbandamento, che terminerà non appena ritorneremo alla quotidianità, dove mi rimbalzerà per un'altra e io fingerò di fregarmene, coinvolgendo nel mio patetico piano lo spagnolo di turno.

<<Non so cosa tu pensi a riguardo, ma io temo che dovremmo dirlo a tutti>>.

Ecco le mie interminabili paranoie soffiate via con una sola frase. Lo guardo sorpresa, ma ancora perplessa.

<<Non... non sei d'accordo?>>.

<<No, cioè... sì... non lo so>> vacillo, prigioniera dei giudizi che ci piomberanno addosso.

Non so se voglio essere considerata l'ennesima preda del Don Giovanni qui di fronte. Non sono abituata ad essere giudicata una debole. Non sono abituata ad essere giudicata, punto.

<<Sarai l'unica. Insomma... nessun coinvolgimento sentimentale, sia chiaro>> assicura, pragmatico, grattandosi la nuca.

<<Siamo amici... che si baciano. Ma solamente tra di loro, come... come vuoi tu>>. Si blocca, ma aggiunge subito <<...e io. Anche io lo voglio. Eccome...>>.

Riprende a baciarmi, questa volta con maggiore convinzione, mormorando <<non voglio baciare nessun'altra che non sia tu>> per rimarcare il concetto.

Oh Dio, mi manca l'aria.

Ma sono le vertigini, i suoi baci o le sue parole? Ho chiesto esclusività, ma voglio sul serio essere "l'unica"? E, soprattutto, voglio sul serio che lui sia il mio "dopo"?

La febbre che sta tornando si prende la colpa, e io scagiono – per il momento – la mia tormentata coscienza.

Nota Autrice: Eh sì... finalmente c'è stato... IL bacio! 😍 Sono leciti però i dubbi di Milena, non credete? 🤔

Al prossimo aggiornamento!😌

Continuate a seguire gli sviluppi di questa storia... non ve ne pentirete 🤓

Lisa

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top