Chapter 10\"Se si tratta di aprire la bocca, e non il cuore, so anche come..."
<<Non sono pantaloni, è una gonna pantalone, okay? Non è la stessa cosa!>>.
Tento di difendere l'indifendibile e mi rassegno a cambiarmi, per la terza volta, sotto gli sguardi severi delle mie amiche, che si sono autoproclamate giudici di "Milena's haven't got talent". Adesso quasi mi aspetto che tirino fuori dei pulsanti rossi – o il Golden Buzzer, per mandarmi direttamente nella finale delle peggio vestite – oppure dei cartelli numerici per votare, come in "Sex and The City" quando Carrie prova tutto il guardaroba prima di lasciare il suo fantastico appartamento da single e trasferirsi da Mr. Big. Peccato che io non sono una da talent – in questo momento non credo di avere chissà che talenti da mostrare – non ho il guardaroba della Bradshaw e nemmeno un Mr. Big che mi aspetta in un super attico a Manhattan. E' solo una cena, porca miseria.
<<Arriveremo in ritardo>> si sente urlare dalle scale.
<<Abbiamo finito!>> grida Anna di rimando, inclinando la testa verso il corridoio.
Paiono soddisfatte della loro opera: io mi sento un fenomeno da baraccone.
<<Devi imparare a valorizzarti, Mile. Adesso sei di nuovo sulla piazza>> esclama Nat, mentre scendiamo le scale.
<<Sì, mi ci sento, in effetti, su una piazza. Ma per andare sul patibolo>> sospiro, rassegnata, mentre accolgo, però, diversi sguardi maschili interessati alla mia minigonna.
<<Guardoni, fatela finita>> li minaccio, ma ancheggio un po', soprattutto verso Claudio che, noto con stupore, non cede lo sguardo. Mi sta mappando? Ha bisogno di una lente d'ingrandimento?
Per ciò che contiene il mio top brillantinato striminzito, è possibile, ahimè.
<<Quindi, in sostanza, è una cosa a metà tra una lasagna e una... parmigiana di melanzane>> ripeto le parole di Dani, per capire meglio la descrizione della Moussaka, prima di ordinarla.
<<Esatto. L'ho mangiata l'anno scorso, è buonissima>> conferma lui divertito, ordinandola per sé e per me. E' davvero gentile, e anche carino, a dire il vero: il detto "altezza mezza bellezza" fa al caso suo.
<<Of course. Thank you>> esclama con professionalità il cameriere appena terminiamo di indicargli le ordinazioni, in un inglese maccheronico che farebbe rizzare i capelli a tutti i nostri Professori della Lingua Britannica – a parte Anna, per la quale ci affidiamo per le frasi più difficili, data la sua pronuncia perfetta – mentre sorride cortesemente e ritira i menu. La tovaglia azzurra, perfettamente piegata, dopo poco è già stata macchiata di vino, che scorre come acqua già dalle prime portate. Sfido la potente presenza di aglio – tanto non devo baciare nessuno – ingurgitando quantità spropositate di cucchiaiate di tzatziki, una cremosa insalata di cetrioli, yogurt e tanto, tanto aglio, mentre spilucco qualche souvlaki, degli spiedini di carne di maiale, agnello o pollo lasciati marinare in olio, limone e spezie e poi cotti sui carboni. Vorrei assaggiare il piatto di Anna, che mi pare si chiami yemista, ovvero dei pomodori o peperoni ripieni di riso, ma lei ha ringhiato appena ho avvicinato la forchetta, dato che pare essere uno dei pochi piatti vegani a disposizione, e che quindi lei può mangiare. Il riso basmati che li riempie è insaporito con abbondante menta e il macinato di carne in accompagnamento è opzionale. Ci immergiamo poi tutti, per finire in bellezza, nelle golosità tipiche greche, mangiando almeno tre – a testa – di queste strepitose frittelline tonde servite con sciroppo di miele e cannella, le loukoumades.
Alla fine di questo viaggio culinario che ha fatto scatenare le mie papille gustative, posso solo ammettere che amo pazzamente la cucina greca.
Almeno qualcosa da amare l'ho trovata.
E finché si tratta di aprire la bocca, e non il cuore, so anche come.
<<Devi capire che lui è un uomo d'altri tempi. E' unico nel suo genere. Oh, è fantastico>>.
Marco sorride ad Anna, per poi cambiare repentinamente espressione quando la sente aggiungere <<se non fossi già sposata, me lo sposerei>>.
<<Scusami, tesoro mio. Ma di chi stai parlando?!>> le chiede mettendosi seduto sull'asciugamano e guardandola malissimo.
<<Ma come, dell'unico altro uomo che mi ha fatto perdere la testa...>> dice, peggiorando la situazione, aggiungendo allora in fretta, notando l'espressione collerica del marito << ma del mio Ryan, no?>>.
Marco si rilassa visibilmente. <<Ma vai và>> pronuncia piano, tornando a leggere il suo interessantissimo libro, un mattone di cinquecento pagine: se te lo da sulla testa muori.
Lei torna a tormentare me con la sua fissa per Ryan Gosling. <<Cioè, guarda qua: senti il discorso che ha fatto ai Golden Globe>>.
Mi porge una di quelle riviste che io non sfoglierei di mia volontà nemmeno se mi pagassero, obbligandomi a leggere fino in fondo tutta la dichiarazione d'amore per la moglie Eva Mendes che il bell'attore ha fatto in diretta mondiale durante la celebre cerimonia che anticipa di qualche mese quella più rinomata e conosciuta premiazione degli Oscar. <<Encomiabile. Ma scusa... i Golden Globe mica li fanno d'inverno?>> obietto, corrugando le sopracciglia.
<<Infatti quello è un giornale vecchio. Ogni tanto lo rileggo>>. Anna è pazza: adesso ne ho le prove. Non è che prima non le avessi, è che avevo l'insana abitudine di voler negare l'evidenza. In quello sono proprio brava...
Osservo Sandro e Dani giocare a scala quaranta sotto l'ombrellone giallo limone proprio accanto al nostro, e Nat che suggerisce le mosse a Dani, facendosi sgamare una volta sì e l'altra pure. Ale e Giò, invece, si sono allontanati dalla spiaggia che avevamo scelto per la giornata, Kato Gouves, e si sono diretti verso gli scogli: si stanno tuffando oramai da mezz'ora, facendo a gara a chi arriva più lontano.
Claudio è accanto a Marco, e sta cazzeggiando con il cellulare, per niente arrossato dall'esposizione prolungata ai raggi UV. Che si faccia delle lampade solari durante l'anno? Altamente probabile. Già me lo vedo avanzare in un centro estetico con le ragazze addette tutte contente, ai suoi piedi, che gli cantano in coro "You're Beautiful", con la "s" sibilata come James Blunt. Dal canto mio, credo potesse essere più adatta "You're so vain" di Carly Simon, ma fate vobis.
<<Vado a fare una corsa>> annuncio d'un tratto, alzandomi in piedi. Oziare sotto il sole non era da me, forse perché con Jake non potevo mai farlo dato che lui detestava stare al sole, avendo la pelle molto sensibile alle sue potenti radiazioni. Aridaje...
Comunque stare sdraiata a cuocermi ad ammazzare il tempo era una cosa che non solo non mi rilassava, ma mi annoiava e mi innervosiva: mi sembrava di perdere momenti preziosi. Momenti che avrei voluto trascorrere sotto Claudio, e non sotto il sole. E non lo avrei ammazzato, il tempo, anche perché, secondo il Liga, servirebbe vivo. E passarlo con lui, a fare cose che mi farebbero sentire molto viva, lo renderebbe tale di sicuro. Maledizione!
<<Anch'io avrei voglia di sgranchirmi le gambe>> dichiara all'improvviso Claudio.
Vuole seguirmi? Che intenzioni ha? Le mie domande hanno presto risposta, ma non quella che, in fondo, speravo. Lui infatti si alza, inforca gli occhiali da sole, mette gli auricolari, e s'incammina nella direzione opposta a quella che stavo scegliendo io. Attivo il mio protone – e anche il mio neurone, che, a differenza degli ormoni, ultimamente si sentiva un po' improduttivo – e, a testa alta, comincio a correre verso il mare.
Ho il fiatone e le guance rosse. Mi butto su un pezzo di sabbia finissima e cerco di riprendermi, ma l'unico modo per farlo è abbassare la temperatura del mio corpo, che era già bollente di suo dopo i pensieri osceni su Claudio. Allora mi avvicino all'acqua: non è calda come mi aspettavo, e, in queste particolari circostanze, è meglio sia così. Penso alla paura che avevo dell'ignoto – e del mare nella sua forma espressiva più tangibile – che mi portava, da bambina, a non volervi mai entrare, se non accompagnata dalle braccia di mio padre, che mi sosteneva per i fianchi e mi faceva sgambettare un po' per abituarmi alla temperatura, per poi provare a lasciarmi camminare da sola. Quando mi poggiava sul fondo, però, strillavo talmente forte che era costretto a riprendermi subito, e a stringermi, dato che mi avvinghiavo a lui quasi come se le onde potessero portarmi via.
Improvvisamente, sento una forte malinconia per mio padre, così taciturno, così riflessivo...chissà cosa penserebbe di me, vedendomi sguazzare felice da sola in mezzo al mar Egeo.
<<Milena>>.
Il mio nome pronunciato a malapena, si confonde con il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli. Mi volto giusto per sincerarmi di aver sentito bene, e vedo Claudio avanzare nell'acqua verso di me. Non ha più né gli occhiali da sole, che lasciano in mostra quegli occhi verdi stupendi, né gli auricolari, con i quali non potrebbe immergersi, né sentire quello che avrei da dire. Perché avrei molto, davvero molto da dirgli.
Invece, quando mi è davanti, bagnato fino al busto con i raggi del sole che gli illuminano il viso, non parlo, perché questa visione mi ha tolto il fiato. Avevo appena ripreso a respirare dopo la corsa, e adesso ero conciata peggio di prima. Neanche lui parla, si limita a guardarmi, serio. Dio, se è bello.
Sebbene muoia dalla voglia di toccarlo, stavolta non sarò io a fare la prima mossa. Deve averlo capito, perché è lui, dopo qualche secondo di esitazione, a muovere la mano verso il mio piercing. Dovrei allenare oltre al mio fisico anche il mio autocontrollo: non è per niente in forma. Lascio che mi sfiori la pancia mentre già lo sto trascinando sotto con me, baciandolo con trasporto. Lo circondo con le gambe per evitare di essere risucchiata dalle onde – in un modo totalmente diverso da come facevo con mio padre, ma la sensazione di sicurezza è medesima – ma quello che mi sta risucchiando forse è anche peggio: è un vortice di passione smisurata, di piacere assoluto, di libidine pura. E non quella di Jerry Calà...
Sorrido al pensiero dell'attore che pronuncia la sua famosa frase nel suo famoso tono goliardico e Claudio si stacca. <<Che hai da ridere?>>.
Glielo spiego e lui scoppia a ridere a sua volta.
<<Quindi pensavi che questo...>> mormora sensuale, mentre mi bacia di nuovo leccandomi le labbra con la punta della lingua <<...sia... libidinoso?>>.
<<Sapresti descriverlo in un modo più appropriato?>> lo provoco, succhiandogli il lobo dell'orecchio.
<<In effetti... no. Anche se, in verità... non saprei come descriverlo>>.
S' incupisce.
<<Non dobbiamo farlo per forza>> gli suggerisco, per tamponare quella sensazione di pericolo che ho letto nei suoi occhi.
<<Non lo so, Mile... insomma io ho cercato di starti lontano... di farti capire che non dovevi rinunciare a... ad un altro, perché... è pericoloso stare con me...>>. Si scosta leggermente. <<Io... non posso garantirti nulla, capisci?>>.
<<Credo sia la prima volta nella mia vita in cui non cerco garanzie. Non voglio né garanzie, né libretto delle istruzioni, né date di scadenza, né etichette. Voglio solo stare bene>>. Pronuncio l'ultima frase stringendolo di nuovo più forte a me, complice un'onda più prepotente delle altre che ci fa sbilanciare.
<<L'unica cosa con la quale ancora non so se potrei convivere è... la non esclusività. Se oggi baci me, baci me. Se domani volessi baciare un'altra... la baci, ma non baci più me>> specifico, portandomi una mano al petto.
Meglio essere chiari, a questo punto: non sopporterei una Angela, una Soile o, peggio ancora, una Michelle, oppure chiunque altra dal nome improbabile che si slinguazza Claudio davanti a me. Né di lui che mi abbracci con l'odore di un'altra donna addosso. Potevo mandar giù la scappatella con la compagna di pallamano di Anna al matrimonio, dopo che c'era stato quel bacio nelle scuderie, ma nulla di più, d'ora in poi. Prendere o lasciare, gli sto comunicando con lo sguardo, e non mi sto riferendo alla scelta della versione italiana del programma "Love it or List it" di cambiare casa o di ristrutturare quella vecchia, anche se, più o meno, la mia richiesta è la stessa.
Claudio emette un lunghissimo sospiro. <<Milena, un rapporto così è rischioso. Per questo non l'ho mai voluto, sinora. Tu mi piaci, è evidente... ho fatto lo scemo con tutte le ragazze che mi siano capitate a tiro per riuscire a negare che, e alla fine, l'unica che mi interessa davvero sei tu>>.
Spalanco gli occhi sbalordita per questa dichiarazione. Quindi era tutta una messa in scena?
<<Ma io non voglio una relazione>> riprende. <<Non voglio che la cosa poi diventi... seria. Che si arrivi ad un punto di non ritorno. Mi è già successo, io non voglio che ti innamori di me e io non potrei... innamorarmi di te>>.
<<Nemmeno io voglio innamorarmi di te, né viceversa>>.
Sorvolo consapevolmente sul fattore possibilista della cosa da lui evidenziato. <<Comunque... devo ancora capire come si fa, e prima... devo imparare ad amare me. Devo rinnamorarmi di me stessa. Sarò troppo impegnata a cercare il modo giusto per farlo, che non avrei le energie per cercare di farlo anche con te. Ti pare?>>.
Sorrido, ma è un sorriso tirato, carico di tensione. Lui abbassa gli occhi, sospirando di nuovo: è combattuto. <<Ti fa onore... ma io... te l'ho già detto, non posso garantirti niente>> pronuncia a denti stretti, come se in realtà volesse dire altro.
<<Potresti almeno... provarci?>> tento io, carezzandogli la parte posteriore del collo, costringendolo così a drizzare di nuovo la testa e guardarmi.
<<Potrei>> esclama quindi piano, dopo un tempo infinito, baciandomi la punta del naso.
Quel potrei ha tutta l'aria di una promessa lanciata al vento. Se quel banale condizionale fosse sostituito dal tempo futuro, assumerebbe tutt'altro significato. Sì, sarebbe proprio meglio se al posto del "vorrei", con cui non si è mai fatto niente, a parere di Gwen Raverat – scrittrice dei primi del novecento e nipote di Charles Darwin – e del "proverò", che comunque porta lo stesso a fare grandi cose, ci fosse il "voglio". Ecco, con i "voglio" si possono fare addirittura miracoli. E se lo dice la nipote di uno che ha formulato la teoria di evoluzione dell'intera specie umana, e vegetale e animale, e non di un singolo esemplare, che già è complicato, proprio tutti i torti non credo li abbia, no?
Stesso filone del "Volere è potere", ma con la giusta dose di consapevolezza. Niente di meno che...
<<Ah, e una cosa. Mettiamo al bando le cavolate>> affermo autorevolmente, alzando l'indice. <<Ovvero, nessuna sorta di romanticheria, smancerie, nomignoli o roba varia. Chiaro?>>.
<<Sarò uomo delle caverne, lo giuro>> scherza, ma mi solleva con forza e mi butta nell'acqua, lasciandomi lì ad annaspare.
Per una volta, però, non ho il timore di annegare nelle mie debolezze e... nelle mie fantasie.
Tornati alla "base" cedo volentieri il mio letto a Silvia, così da concederle la vicinanza con il suo fidanzato. Non avrebbero potuto sfruttarla chissà quanto, dato che nella stessa camera vi dormivano anche Sandro e Ale, ma era meglio di niente. Per fare i loro comodi potevano trovare delle alternative. E io avrei cercato di carpire qualche informazione o suggerimento per farci i miei – porci, senza dubbio – comodi.
<<Clà, vieni al bar all'angolo che c'è giù in paese. Presto! Ci sono due spagnole da sballo>>.
Ale torna di corsa dal suo giro di perlustrazione dei dintorni e si piazza davanti allo schermo della TV che stavamo tutti fissando per cercare di comprendere se Philogonios e Euphemia – i due protagonisti di questa straziante telenovela greca trasmessa da una rete televisiva locale – sarebbero tornati insieme oppure no, mentre aspettavamo che anche le verdure fossero pronte per poter cenare.
Claudio si volta verso di me. <<Ma... tra poco dobbiamo essere a tavola>>. Smorza l'entusiasmo di Ale, che già pregustava di poter interpretare la scena del film "Immaturi – Il viaggio", in cui Raoul Bova si diverte con una bella spagnola in un'isola greca, non lontana, tra l'altro, da questa. E che poi interpretò la stessa scena anche nella realtà, dicono i gossip.
<<Ragazzi, non si esce adesso. E' quasi pronto. Dai, Ale... le ribeccherai sicuramente>> cerca di convincerlo Anna, con una carezza sulla nuca. Il profumino che aleggia nell'aria pare però persuaderlo di più, così non insiste, ma si accomoda. Nat e Dani sono seduti sul lato destro del divano, molto vicini, intenti a seguire l'appassionante vicenda amorosa che, fortunatamente, si sta per concludere.
Silvia e Giò compaiono subito in cucina, forse attirati dal medesimo odore. Avevano urlano vittoria, salvandosi dal supplizio della visione della soap opera in lingua originale, trovando un punto sulla terrazza che prende, con segnale pieno, la rete libera Wi-Fi del vicino. Sono soddisfazioni...
Per dire, la numerosa e sbadata famiglia McCallister di "Mamma ho perso l'aereo, 1 e 2" non aveva potuto trovare un'alternativa simile – negli anni '90, quando erano stati girate le due pellicole i cellulari erano grandi come mini frigo e una rete internet così diffusa un'utopia – quando erano rimasti in un albergo parigino a sorbirsi una tremenda sit com in lingua francese oppure una in lingua spagnola, bloccati da una pioggia incessante nell'assolata, di solito, Miami, mentre Kevin se ne andava in giro tutto felice a giocare con dei criminali con barattoli di vernice assassini, chiodi e mattoni.
Dopo circa mezz'ora che seguivano il loro cellulare nella ricerca – meglio di Pieraccioni nel "Ciclone" – lei si era fermata dietro la spalla di lui e avevano poi recuperato con un piede un mobiletto abbandonato lì accanto, in sostituzione della povera Silvia che si stava slogando una spalla. Il mobiletto era un valido punto di appoggio per il telefono con mega schermo di Giò, sopra il quale hanno potuto vedere un film, prima, in italiano e anche in HD: meglio di così...
<<Allora, alla fine Euphemia?>> chiede interessato Sandro a Dani, essendosi perso il poco scontato finale dell'interpretazione da Oscar della famosissima attrice dato che aveva perso la scommessa ed era stato l'ultimo a potersi fare la doccia.
<<E' andata con Philaretos. 'Sta troia>> risponde lui scuotendo la testa, mentre addenta una foglia d'insalata imbevuta nella salsa di melanzane.
Mai l'avrei detto, ma è un connubio perfetto. Mi riferisco alla salsa, non alla telenovela.
<<Invece noi siamo riusciti a guardare "Perfetti Sconosciuti">> c'informa Silvia, aspettandosi delle reazione analoghe alla rivelazione di Dani.
<<Ah sì, bello quello! Con... quell'attore...>>.
<<Ce ne sono molti di attori famosi, mi pare. Era un buon cast>> commento io, con le dita imbrattate di salsa allo yogurt, ma senza aglio. Stasera, magari, qualcuno avrei anche potuto baciarlo...
<<Sì, ma veniva fuori un tale casino... >> ricorda a tutti Ale, l'unico che si era accodato ai piccioncini per la visione del film all'ultimo, ma che lo rammentava ancora dalla volta in cui l'aveva visto al cinema.
<<Secondo me invece era una bella storia, con dei bravi attori. E mi ha fatto riflettere parecchio... a te piacerebbe, amore, dato che, alla fine, sostiene la tua tesi sulla pericolosità dei cellulari>> afferma Anna, voltandosi verso Marco e condividendo con lui una generosa porzione della sua millefoglie alle verdure totalmente veg.
<<Ma fatemi capire, di cosa parla questo film? E' un documentario?>> chiede lui, dimostrando di essere il solito pesce fuor d'acqua quando si parla di cultura cinematografica.
<<Macchè! Mica pericoloso in quel senso!>> lo sfotte allora lei.
<<Pericoloso per le cose che abbiamo adesso nelle schede SIM. Registrano tutto, tutti i nostri più peccaminosi segreti>> spiega Nat, in tono cerimonioso. Lei adora queste cose che io soprannominerei, senza dubbi, solo fesserie. E Anna idem.
<<Io non ho nessun segreto nel cellulare. Men che meno peccaminoso>> dichiara tranquillamente Marco, ignaro di che cosa potrebbe scatenare nelle due teste geneticamente portate al melodramma delle mie amiche qui presenti la sua affermazione.
<<Quindi se adesso io ti proponessi di mostrarmelo non avresti nulla in contrario?>> lo sfida la sua innocente mogliettina.
Lui di risposta scoppia a ridere, recupera l'oggetto del desiderio dalla tasca posteriore dei bermuda, e lo passa ad Anna, aggiungendo <<come se non lo avessi già fatto, qualche volta>>.
Lei ignora l'accusa – fondatissima, se ben la conosco – del marito ed esclama, delusa <<ma non c'è la password, e nemmeno una qualche combinazione numerica o altro!>>.
<<E a che mi serve? Te l'ho detto che io non ho segreti>> afferma semplicemente lui, mentre Anna, insoddisfatta, glielo ripassa.
<<Sì, okay, però cosi non vale. Cioè, lui l'iPhone lo usa prevalentemente come orologio, è normale non ci sia nulla dentro>> ipotizza Silvia.
Natalia annuisce, portandosi una mano sul mento, come fa sempre quando il suo cervello sta elaborando qualcosa, prevalentemente cazzate.
<<Hai proprio ragione>>. Ecco la prima. Silvia lascia perdere, non darle corda...
<<Hai davvero, davvero ragione! Allora facciamolo anche con gli altri! >> propone quindi, con enfasi. Troppo tardi.
Claudio, che per tutto il tempo è stato in silenzio, interviene bruscamente. <<Non osate toccare il mio. E' come una borsa di una donna, non si sbircia mai dentro>>.
Utilizza il paragone con l'indispensabile e tanto amato oggetto femminine solo per cercare una solidarietà dall'altro sesso, che non ottiene. Chissà cosa ci sarà mai nascosto tra i file, nella rubrica e soprattutto nella galleria delle foto e dei video di quel Samsung Galaxy con la cover dorata – da tamarro – che possiede: non voglio saperlo.
<<Poche storie. Tutti i telefoni sul tavolo>> non demorde Nat, agguerritissima. <<Non dovremo guardarci dentro, ma solamente leggere ad alta voce i messaggi o ascoltare le chiamate che arriveranno in questo momento. Nel lasso di tempo, cioè, che staremo qui a tavola. Come nella commedia>> chiarisce, poggiando quindi, per prima, il suo Huawei rosa davanti a sé.
<<A me pare più una tragedia, che una commedia>> coglie perfettamente il punto Sandro, che però, riluttante, estrae dalla tasca della camicia il suo Smartphone di una marca sconosciuta – da buon informatico, si schiera con la concorrenza delle grandi marche del settore – e lo poggia vicino a quello di Ale, che l'aveva di fianco a sé già da prima dell'inizio del massacro che avverrà appena questo gioco perverso inizierà sul serio.
Silvia segue Sandro, e si volta verso Giò, attendendo che anche il suo ragazzo faccia altrettanto. <<E' una stronzata>> commenta, ma, notando lo sguardo indagatore di Silvia, si affretta a prenderlo.
Lei glielo ruba dalle mani e lo poggia di fronte al proprio. <<Chi si tira indietro significa che ha qualcosa da mascherare>> afferma maliziosamente, costringendo, tacitamente, tutti i restanti, ovvero io, Claudio e Anna a partecipare.
Ci guardiamo, un po' intimoriti, e poi osserviamo anche tutti quei custodi silenziosi, che ci minacciano, tacitamente.
<<E adesso?>> chiede un po' spaesato Marco, fingendo di interessarsi a questo nefando passatempo.
<<Adesso... aspettiamo>> mormora appena Anna, lentamente, creando suspance.
Il primo cellulare che si illumina è il mio. Oh, Dio. Ma se non ho neppure la rete 4G attivabile su quel baraccone!
<<Sarà la Vodafone che mi dice che non c'è campo>> azzardo, notando che tutti gli occhi sono puntati sul mio schermo luminoso.
Ma ignoravo che i telefoni erano stati disposti proprio nel punto trovato a fatica da Giò e Silvia in cui prendeva il Wi-Fi, manco avessero trovato un tesoro perduto passando per il triangolo delle bermuda. Ecco, avrei voluto essere lì, adesso, dove i campi magnetici e le reti wireless non funzionavano affatto.
<<Veramente è un messaggio WhatsApp di... tuo fratello. Spedito ieri, ma che è arrivato solo adesso>> esclama ancora una volta delusa Anna.
<<Che però ti riferisce un messaggio di Luana. Chi sarebbe?>>. Le spiego che è la ragazza che abbiamo visto al parco, a Milano, quel pomeriggio prima che partisse, che fa il mio corso di Krav Maga. "Deve aver incontrato Andrea in palestra" penso.
Anna quindi legge ad alta voce. <<Luana vuole sapere perché non le rispondi, le ho detto che sei in Grecia e che forse ci resterai per sempre, ah no quella è una mia speranza – faccina che ride – Mi ha anche detto di stare alla larga da quel figo, chi minchia è? – faccina che ammicca – Quello che vi ha raggiunte al parco perché è uno che va con tutte. Ma di chi parla? Cazzo ti sei appena mollata con Giacomino, che, tra l'altro, mi deve ancora prestare il gioco dell'XBOX di Hunger... va bè, fottiti, sorella, ciao – dito medio in segno di saluto>>.
Mio fratello non mi ha mai scritto un messaggio così lungo in tutta la sua – appena torno, finita di sicuro – breve e insignificante vita. MAI. Vorrei sotterrarmi.
Non oso alzare la testa, che ho abbassato dopo l'appellativo "figo" – assolutamente consono per descrivere Claudio, per carità – mentre il mio respiro si faceva sempre più corto ad ogni parola pronunciata da Anna. Sto per parlare, per dire... non so, qualcosa – qualsiasi cosa – quando vibra il cellulare di Giò. Salvata in corner.
Silvia recupera il cellulare del suo fidanzato prima che possa farlo chiunque altro. <<Allora, dunque... ah, è tuo padre. Avviso di chiamata...>> esclama con un tono sia sollevato che deluso, come se in realtà volesse un pretesto per discutere. Sapevo che c'erano dei problemi tra di loro, dipendenti anche dal fatto di vivere uno a Roma e l'altro a Milano – le relazioni a distanza io proprio non le ho mai capite – ma non pensavo fossero già al punto di trovare più stimolante litigare piuttosto che andare d'accordo. Giò allarga le braccia contento della sua dimostrata incolpevolezza. Sollevato, oserei dire.
Il telefono di Claudio, intanto, resta muto. Eppure sento sempre la suoneria di mille messaggini durante il giorno. Non è che...
Mi alzo e raggiungo il piatto sopra il quale sono stati radunati i telefoni – come a dire, mettiamo tutto sul piatto...– e trovo la conferma alla mia tesi.
<<Clà! Il tuo è spento!>> urlo per farmi sentire da tutti, arrabbiata. Voglio proprio vedere, adesso, chi vorrà sotterrare la testa nella sabbia.
<<Sarà stato scarico... sarà morto da solo>> prova a giustificarsi, ma mi raggiunge e lo accende.
<<Quaranta per cento di carica... strano davvero si sia spento autonomamente... forse il tuo ha delle impostazioni particolari, magari, eh...>> commento vittoriosa, con un sorrisino.
Lui sbuffa, lo sblocca e lo rimette sopra gli altri.
<<Nessun altro vuol fare il furbo, qui?>>. Anna si sta appassionando talmente, che quando il piccolo schermo dello Smartphone appartenente a Giò si illumina di nuovo, caccia un urletto di eccitazione, soddisfatta. Il proprietario meno.
E' sempre Silvia a sentirsi autorizzata a verificare chi cerca il suo ragazzo, e, stavolta, non è suo padre. <<Noe?>> chiede infastidita, leggendo il mittente. O meglio, la mittente. Lui la guarda serio.
<<Massì, è sua sorella>> esclama indicando distrattamente Marco, dando una parvenza di disinteresse, ma non molto ben mascherata. Marco, e anche Claudio, si accigliano.<<E perché mia sorella scrive a te?>> gli domanda brusco.
<<Già, come mai nostra sorella ti scrive?>> gli fa eco Claudio, lanciando un'occhiataccia al fratello. Tra i due il più protettivo e il più legato a Noemi era sicuramente Marco, ma non per questo Claudio non si sarebbe buttato nel fuoco per lei: almeno un minimo di considerazione.
<<Beh, leggiamo il testo>> afferma allora Silvia, aprendo il messaggio. Non aspettava altro. >>Oggi ti ho chiamato ma eri irraggiungibile. Quello non sa nemmeno chi siano gli Who. Mi ha chiesto dieci volte CHI? – faccina che ride – Per fortuna che mio fratello me li ha fatti ascoltare. A proposito salutamelo. E anche Clà. Spero di sentirti presto – venticinquemila puntini di sospensione e faccina che manda un bacio>>.
Niente di così compromettente... no? Se non che si riferisse a solo un fratello, e non ad entrambi. Le facce di Silvia, Marco e Claudio mi suggeriscono però che no, non si può definire poi un messaggio così tanto innocente, in fondo.
<<Voglio solo sapere>> inizia, cercando di stare calmo Marco <<...perché non mi hai detto che sentivi mia sorella. Minorenne, ti ricordo>>.
<<Nostra!>> lo interrompe Claudio, ma restando serio, e lanciando la medesima occhiata assassina ad un Giò che pare farsi piccolo piccolo al cospetto di tale domanda accusatoria.
<<Perché avrei dovuto? Non stiamo facendo nulla di male>> dichiara con falsa sicurezza in sua discolpa, voltandosi verso Silvia, che ha gli occhi bassi, in evidente confusione.
<<Mi ha scritto qualche volta dopo il matrimonio, soprattutto di Andrea, veramente>> aggiunge astutamente, per riuscire a fugare ogni dubbio sulla natura del loro rapporto.
Se si scrivevano per mio fratello, qualcosa doveva pur dire. Volevo partecipare alla conversazione, davvero, ma non avrei saputo come intervenire, e, soprattutto, non riuscivo a smettere di pensare al motivo per cui, invece, il telefono di Claudio non desse ancora segni di vita.
Concentrati sulla discussione per Noemi, abbiamo scordato di controllare per un momento gli altri cellulari, perdendoci i due messaggi di Nat e di Anna, arrivati contemporaneamente proprio alcuni istanti fa. E' Nat ad avvicinarsi per leggerli, concedendo tregua a Giò.
<<Anna, io leggo il tuo, tu leggi il mio>> dice categorica, porgendo all'amica quel ridicolo coso rosa shocking.
<<E' un messaggio di un gruppo...>> annuncia distrattamente lei, alzando però subito gli occhi dallo schermo per fissare intimorita Anna.
<<Sì, ci è arrivato lo stesso messaggio... sapete, quelli tutti uguali, corali...>>. Cerca di lasciar cadere la cosa, ma c'è qualcosa che mi puzza.
<<Scusate, che chat è che include voi e non me?>> chiedo allora a bruciapelo.
Loro si scambiano sguardi colpevoli.
Mi alzo di scatto e strappo il cellulare ad Anna prima che possa nasconderlo, leggendo veloce lo schermo. <<Milena, la regola...>> mi ammonisce Ale, e io capisco che devo farlo ad alta voce.
Ma non so se ne ho il coraggio.
<<Ciao care, spero tutto bene - faccina contenta - vi divertite? Il tempo com'è? Lei come sta? Vi parla mai di me? Mi manca tanto... – faccina triste con la lacrima – Se avete novità scrivetemi. Per favore. Ciao – faccina che saluta>>.
<<Avete creato un gruppo dove potete sparlare di me con lui a vostro piacimento?>> mormoro, indignata, minimizzando ciò che hanno provocato in me le parole appena pronunciate.
<<Non è come pensi... >> comincia Natalia, con la frase più scontata e falsa del mondo, perché quando si ricorre a tale frase in realtà è esattamente come si pensa.
<<Insomma, Mile, Jake è nostro amico. Non è che perché adesso siete in "pausa" noi non possiamo più sentirci, ti pare?>> prende coraggio Anna, avvicinandosi a me.
<<No, certo, ma non in questo modo!>> grido io, furente.
<<E in che altro modo, allora? Non lo usiamo per sparlare di te, ma per parlare, anche di te, sì, se necessario. Perché lui sta soffrendo come un cane e ci chiede spesso di intercedere per lui. Ma noi rispettiamo la tua volontà e non lo facciamo>>. Anna quando deve argomentare, e soprattutto convincere, delle sue benevole intenzioni è davvero brava. Potrebbe andare in parlamento. Quest'ultimo concetto è proprio un colpo da maestro. Adesso vuole scatenare il mio senso di colpa, che avevo giusto giusto parcheggiato – in doppia fila – un pochino?
Provo a calmarmi, ma mi sento tradita. Bella sensazione, vorrei urlarle addosso, quando Ale ci svela che anche lui sente ancora Carolina, anticipando il suo consueto messaggio della buonanotte. Tanto per fare il buonista, millantando di avere una coscienza, e non aspettare la ghigliottina: chissà quante cose dirà alla nostra crudele compagna di classe, che tramite lui si sta mantenendo aggiornata sulle nostre vite. Se le avesse detto del matrimonio... sarebbe morto.
Quando penso che non può andare peggio di così ricordo che Nat aveva due messaggi, non uno, in arrivo. <<Natalia, leggi l'altro messaggio>> le ordino, ricordandomi, però, che potevo farlo da me, avendo in mano io stessa il suo telefono arlecchinesco. E' sempre di Jake, constato, ma della chat personale: logico che ne avessero una pure per dialogare solo lui e lei.
Prendo fiato e leggo <<Ah, bella, devi anche dirmi come procede con Dani. Voglio tutti – faccina con sorriso malizioso – i dettagli. Soprattutto se sono piccanti. Intesi?>>.
Questa volta a tuffarsi nella vergogna è la mia cara amica traditrice, con Daniele al seguito: sgamati. Quindi c'erano dei progetti tra di loro... dei quali era a conoscenza il mio ex-fidanzato e io no: tradita due volte.
Ma perché cavolo Claudio poteva starsene in panciolle durante la mia impiccagione? Facendo l'adulta che può passare sopra a certe cose senza venirne ferita, riporto l'arma del delitto al suo posto, sbirciando però lo Smartphone dorato.
Lo sapevo: Claudio non aveva attivato la rete Wi-Fi. L'icona corretta vicino alle altre non è illuminata. La attivo con un gesto veloce e, improvvisamente, circa cinquanta – o cinquecento – messaggi lo bombardano, come proiettili. Sono tutti di Facebook, perché lui, il numero di telefono, non lo dà a nessuno, come spiega, balbettando, adesso, nel panico più totale: bastardo.
Siamo intimoriti quanto lui, tanto che nessuno osa avvicinarsi alla bomba a mano pronta ad esplodere di nuovo appena fosse stata sfiorata. I messaggi della app Messenger del noto Social network continuano ad arrivare a ripetizione.
Natalia, per tentare di allontanare l'attenzione su di sé, decide di fare da kamikaze e afferra l'ordigno. <<Dunque... da dove iniziamo?>> afferma nel panico, scorrendo velocemente il dito sullo schermo.
<<Allora c'è Giulia, che non vede l'ora di rivederti...>> si ferma, tentando di trovare un ordine di lettura. <<Nicole che dice che è stata benissimo e che le dispiace che sei partito... Sara che scrive che l'hai fatta impazzire e che non sa come rintracciarti... >>. Alza gli occhi in direzione dell'interessato, come a chiedere il permesso di poter continuare, data la particolare... intimità del contenuto dei messaggi.
Lui sospira, ma tace: le regole sono regole.
<<Ok, faccio prima così>> prende in mano la situazione, allargando lo schermo e iniziando a leggere in tono piatto: <<Jessica: Sei bellissimo, chiamami>>. <<Carola: Ti prego rispondi– faccina che piange>>.
<<Tiziana: Sarà per un'altra volta, ma che ci sia. Ti voglio>>. <<Viola: Ma dove cazzo sei finito. Sei un bastardo– dito medio>>.
<<Brasso: ma all'estero non prende il tuo cesso di cellulare? Lasciaci qualche bella greca pure a noi, che quando passi tu poi è una strage, ciao, ci becchiamo quando torni e prima che partiamo noi, il 28. ah alla fine andiamo a Mikonos. Ti ha cercato Giorgia, l'ho liquidata per te. Ciao bro>>.
<<Soile: torno in Italia sabato prossimo, solo sesso. Rispondi>>. <<Ingrid: nessuno mi ha mai fatto sentire così, voglio che mi...>>. Faccia allibita di Nat che sorvola sul finale della frase.
<<Okay, okay direi che può bastare. Abbiamo capito la natura e il livello intellettuale dei tuoi messaggi>> intervengo brusca, sbattendomene di sembrare la fidanzata gelosa. Non me ne frega niente, non posso sentire ancora un'altra sola parola. Sono davvero una povera illusa. Volevo cosa? Esclusività? Possibile non aver inteso prima la gravità della situazione?
Claudio mi osserva mortificato, immaginando i miei pensieri – non ci vuole chissà quale fantasia, se ti affidi alla mia faccia schifata – mentre Marco propone di porre finalmente fine a questo ridicolo gioco al massacro.
Concordiamo e stiamo per riappropriarci dei telefoni – e dei nostri segreti che non sono più tali – quando squilla... quello di Anna. Ci blocchiamo non sapendo come comportarci. <<E' mia madre>> ci informa lei tranquillamente.
<<Posso benissimo mettere in vivavoce. No problem>> ci rassicura, mentre recita un <<ciao mamma, come va?>> annoiato.
<<Bene, tesoro. Voi?>>. La voce di Agata, già gracchiante di suo, riecheggia debole nell'aria.
<<Tutto bene. Senti, se non hai da dirmi nulla di urgente però riattacca che spendi un botto>> le suggerisce Anna, con nessun secondo fine, lo so.
E quanto Agata avrebbe fatto bene ad ascoltare – per una volta – il suggerimento della figlia...
<<No beh, urgente... una cosa che volevo dirti a voce. Sarò breve>> assicura.
<<Va bene, dai, ti ascolto...>> acconsente Anna, lasciando incustodito il cellulare sul tavolo mentre indietreggia di qualche passo per recuperare il suo bicchiere di succo di pesca, in preda ad un attacco di sete improvviso e urgente.
<<Ho sentito Mirella... la mamma di Luca>>.
Al nome Luca quasi si strozza e fa cadere il bicchiere a terra.
<<Anna, tutto okay?>>.
<<Sì sì, si è solo rotto qualcosa...>>.
E qualcos'altro minaccia di rompersi tra poco.
<<Ah. Dicevo... Mirella. Parliamo del più e del meno, ma poi mi sono lasciata sfuggire che sei in Grecia...e fin qui, nulla di male. Ma le ho anche detto che sei in luna di miele...>> si ferma, rammaricata, sospirando, ma poi continua <<lei si è arrabbiata, perché non lo sapeva che ti fossi sposata. Insomma, Luca le aveva detto che dopo quella notte forse potevate tornare insieme, poi lei non lo sente più per un po' e poi tu ti sposi... insomma, era confusa, tutto qui. Comunque ora è tutto a posto. Vero?>>.
Come se stessimo giocando a "Un due tre stella" o intrappolati nel più moderno "Freeze", come dei concorrenti del Grande Fratello – in effetti abbiamo appena rivelato molto di noi, senza l'ausilio di telecamere impiccione – siamo rimasti congelati ai nostri posti. Quasi non respiriamo e non sbattiamo neppure le palpebre degli occhi, dalla paura, o meglio, dal terrore, di ciò che sta per accadere. Ha omesso questo piccolo dettaglio persino nel romanzo, proprio per evitare tutto questo...
Anna non ha mai rivelato, né a parole scritte, né dette, a Marco di essere stata a letto con Luca. A meno che la mia migliore – se può ancora dopo stasera definirsi tale – amica sia stata spinta da un'ondata di sincerità insieme alle onde marine e glielo abbia confessato negli ultimi minuti.
Ne dubito fortemente, osservando il volto pietrificato di Marco.
Agata, intanto, continua ignara a domandare se è tutto a posto, e quando Anna finalmente ritrova la voce – e il coraggio – di parlare la zittisce con un <<certo, mamma, ciao>> e riattacca.
Non ha la forza di alzare lo sguardo verso suo marito, che volge il suo al cielo, come per trovare un suggerimento dall'alto su cosa fare, o dire. Anche Ale ha il naso all'insù, per evitare di doversi confrontare con Anna, o con chiunque altro, mentre Silvia giocherella distrattamente con un coltello, evitando gli occhi di Giò fissi su di lei. Temo quasi stia meditando di scagliarlo addosso a qualcuno: c'è l'imbarazzo della scelta. Se lo prestasse a me, il mio bersaglio sarebbe già pronto, e prenderei la mira per poter fare un colpo secco: taglierei la testa al toro. Anche se sarebbe meglio tagliargli qualcosa d'altro, al toro qui presente.
Nat e Dani si scambiano occhiate perplesse, mentre Sandro, l'unico ad essere stato "salvato" da questa roulette russa si sente comunque inghiottito da questa giostra di tensione, che gira impazzita. Claudio tiene gli occhi bassi, forse sta pregando, per espiare i suoi peccati. Io mi volto verso il mare, cercando di dare un senso a tutto ciò che è appena accaduto, pensando che, in fondo, il repubblicano Abraham Lincoln, aveva capito proprio tutto: possiamo ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non possiamo ingannare tutti per tutto il tempo.
E, soprattutto, non possiamo ingannare noi stessi.
Essere chiusi dentro, è peggio che essere chiusi fuori, nonostante sia lo stesso spiacevole. Virginia Wolf, onore al merito, hai ragione pure te.
Ma quando ti apri, di tua volontà oppure se vi sei costretto, capisci perché i rapporti umani sono così disastrosi: la maggior parte delle persone considera il riuscire ad entrare nel cuore delle persone una conquista.
In realtà, è, invece, una grande opportunità, riservata a pochi.
E nel grande gioco della vita, lo sto scoprendo passo dopo passo, vince solo chi, alla fine, non perde il cuore.
Nota Autrice: Voi avete mai visto il film "Perfetti Sconosciuti"? Cosa ne pensate del mio riferimento e dell'ispirazione che ne hanno fatto i protagonisti della mia storia?
Cosa accadrà ora tra Anna e Marco?
Non vi resta che restare aggiornati! 😉
Cercatemi, se avete piacere, su IG o su FB, oppure su TikTok digitando lisa_negrelli_autrice ☺️
A presto!😍
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