Chapter 1\"Da quell'attimo riuscì ad entrare definitivamente nel mio cuore..."

❗️Attenzione! Se inizi ora il secondo volume, ti sarei perso\a parte della storia e parte del colpo di scena descritto in questo capitolo.


...tu sei e resterai per sempre nel mio cuore...


<<No cioè... fatemi capire: si è inventata la tua morte?>>.

Giorgio, l'ex marito di Nadia, e papà di Marco, Noemi e Claudio, era l'unico a non aver ancora avuto il piacere di leggere il testo, che poi sarebbe diventata una sceneggiatura, di Anna. Fingere un malore, un momentaneo malessere, un incidente – seppur grave – poteva essere plausibile. Forse. Ma addirittura un decesso... questo superava anche le più grandi fantasie – macabre – di Anna.

<<Sapeva che non le avrei mai chiesto di sposarla. Doveva trovare un pretesto cinematograficamente accettabile per concludere la sua storia>> commenta Marco, osservando l'espressione stupìta di suo padre, con una smorfia.

<<Oh, ma la finite di prendermi in giro? Ero... alquanto disperata. E poi eravamo d'accordo, mi pare>>.

<<Vero. Le ho dato io il permesso>> ammette Nadia.

Questa è una novità anche per me. <<Seriamente?>> domando ora io, incredula, inserendomi nel quadretto familiare.

<<Tutto, pur di poter darvi un'altra possibilità, tesori miei>>.

La mamma di Marco, Noemi e Claudio osserva i due piccioncini adorante. Ok, magari la prestavano anche a me qualche giorno in sostituzione pure della mia, di madre.

<<Insomma, queste bomboniere?>> insiste Anna.

<<No. Quelle proprio mi rifiuto. Categoricamente>>.

<<Marco...>>.

<<No no, niente Marco in quel tono lascivo, né occhi dolci. Non ci provare. E' una convivenza, non ancora un matrimonio. E non lasceremo agli ospiti una bomboniera come ricordo della festa, come si usa ora ai compleanni dei bambocci. Assolutamente>>.

<<Hey, io non sono una bamboccia e ho solo voluto dimostrare la mia gratitudine per la presenza al mio Birthday's Party regalando agli invitati una cover per i cellulari, che tutti hanno apprezzato, tra l'altro. Non è colpa mia se tu hai ancora difficoltà a capire che adesso gli smartphone ed i relativi accessori sono l'interesse maggiore degli adolescenti come me, dei "millenials", e non dei vecchi come te>> si sente tirata in causa Noemi, che ha imparato – piuttosto in fretta – a tener testa a suo fratello.

<<We we... piano con le offese qui... io e tuo fratello abbiamo la stessa età. Vecchia a chi?>> scherzo io, facendole la linguaccia.

<<Guarda che lui non è anagraficamente vecchio, è vecchio dentro>> mi rassicura Claudio, facendomi l'occhiolino.

<<Anche perché tu hai diversi anni più di lui... ehm... quattro, giusto?>> chiedo imbarazzata.

La sfrontatezza di Claudio mi rende impacciata. Erano state poche le occasioni in cui avevo avuto modo di incontrarlo e di parlarci, ma la sensazione era sempre stata quella di totale imbarazzo davanti alla sua spavalderia. Che la sua sfacciataggine fosse in realtà una maschera ben costruita e magistralmente indossata?

<<No, solo tre. Ma c'è comunque un abisso>> mi risponde, fissandomi negli occhi. Non mi ero mai accorta che fossero verde scuro, con striature più chiare attorno alla pupilla. Decisamente belli.

<<Allora, questa riunione di Family and Company mi pare conclusa>>.

Marco è al limite della sopportazione. E il suo limite è decisamente sotto la media. Ma anche noi cominciamo a non poterne più delle richieste assurde di Anna.

<<Conclusa un corno. Non abbiamo ancora deciso un bel niente>> incrocia le braccia al petto una Anna che ancora gioca la carta della bimba imbronciata, quando vuole ottenere qualcosa.

<<Siamo qui dalle quattro, amore. Abbiamo già deciso il catering, assolutamente vegano, come vuoi tu, gli addobbi, gli abiti... per fortuna per la musica siamo a posto, visto che suoniamo noi. Mi sembra di dovermi sposare sul serio>> borbotta Marco, ma in tono gentile, cercando di rabbonire la sua dolce metà. La band che lui aveva formato con così tanta fatica e dedizione avrebbe regalato ai due innamorati un concerto privato da sogno. La prima volta che li avevo sentiti suonare ne ero rimasta entusiasta.

<<Beh, non sarebbe una cattiva idea, già che siamo dietro a fare questa festa per la casa nuova così in grande...>> azzarda lei, sorridendo angelica.

Ah, le sue favole romantiche. Marco davvero non ha capito in che guaio si sta cacciando? Credevo che una volta scoperta la trama della commedia di Anna la facesse fuori a mani nude. Aveva reso pubblica la loro storia – o meglio, la loro tormentata relazione – svelandone i segreti, anche della sua ambigua e contorta personalità. Sì, aveva descritto senza mezzi termini pure il folle e profondo sentimento che nutriva per lui... che era stato il motivo per cui, dopo quella litigata alla fiera, lui l'aveva rincorsa e le aveva dichiarato amore eterno, sbarazzandosi di quella stronza della sua ragazza, che lo era diventata con l'inganno. Il Karma, si sa, alla fine vuol tirare sempre le somme. Ma, comunque, alla dolce Anna non poteva mica sempre andarle bene. Io, per dire, non le ho parlato per diverse ore – ed è già un record – quando lessi quel capitolo sulle mie magliette deformi. Che poi fosse per far capire al pubblico femminile che tutte abbiamo dei difetti – paranoici all'inverosimile – è indubbiamente lodevole, ma nessuno si batterebbe così per la causa se le paturnie in questione fossero le proprie. Nemmeno se la protagonista in persona si mette a nudo qualche riga prima – letteralmente – svelando un suo problema fisico, neppure così tremendo, a mio parere. Chi non ha qualche smagliatura, se non ritoccata abilmente con Photoshop?

E, comunque, tanto per essere chiari, le mie ginocchia sono orrende. Sul serio.

<<Allora tutti pronti per il sedici. Li avverti tu gli altri, Mile?>> mi domanda per la centesima volta, preoccupata, Anna.

<<Sì, ora li avviso. E controllo anche che il mio abito da damigella sia pronto>>.

Marco mi lancia un'occhiataccia.

<<Insomma, sono la madrina della festa, migliore amica della festeggiata... mi sento un po' come la damigella d'onore di una sposina! Quasi mi faccio cucire sopra lo striscione con la scritta "Bridesmade">> lo provoco, tanto mi dà soddisfazione la sua espressione di orrore al suono delle mie parole.

<<Caro mio, non so se l'hai davvero capito... ma stavolta te l'ha fatta, la Marchiselli>> gli do il colpo di grazia, avvicinandomi quanto basta al suo orecchio sinistro, per farmi sentire solo da lui.

Mi scansa con un gestaccio, ma sorride. Inutile che provi a negarlo ancora: lui è pazzo di Anna. E sa che, comunque, il suo film personale finirà con un matrimonio. Con l'unica donna con cui sarebbe possibile.

Anche io ho sempre segretamente sperato nel mio – ogni bimba gioca a vestirsi da sposa con il grembiule bianco della mamma sulla testa come velo nuziale – come lieto fine, sebbene l'animo romantico non mi appartenga proprio: ma con Jake, il mio ragazzo da più di sette anni, ora come ora, non lo immagino affatto. Ci eravamo iscritti entrambi al Politecnico, io in Design della Comunicazione, lui in Ingegneria Gestionale, nel settore Logistica e Produzione, pensando di proseguire insieme oltre che il percorso di studi, attraverso la sede universitaria, anche la nostra storia. Ben presto mi accorsi, però, della decisione palesemente erronea che avevo fatto su tali basi.

Prima di imbarcarmi nella rischiosa scelta che avrebbe segnato il mio futuro, passavo le notti insonni, ragionando fino a fondermi il cervello, vagliando tutte le ipotesi possibili, realizzando grafici e tabelle con pro e contro probabili, improbabili e ipoteticamente probabili – non chiedetemi come, ma per me era assolutamente perfetto come sistema valutativo – ma stavolta avevo toppato. Come la mia amica Anna – Scienze Psicosociali della Comunicazione non era la facoltà adatta a chi come lei è già di suo un po' socialmente psicotica e non riesce affatto a comunicarlo a dovere – mi ero illusa che imparare i sistemi comunicativi principali potesse essere sufficiente per capirne il funzionamento, per arrivare ad una comunicazione efficace, come se io ne fossi mai stata davvero capace.

La mia mente pragmatica e la mia palese difficoltà a manifestare i miei sentimenti certo non collaboravano a garantirmi una credibilità tale da rendere la mia comunicazione professionale piacevole o interessante e, appunto, efficace. Di certo qualche nozione ed esperienza sul campo non avrebbe potuto cambiare ciò, se non avessi voluto farlo io, in primis.

Quando Anna si trasferì a Londra per un – seppur breve – periodo per lavorare al posto della madre, lasciando gli studi, io feci altrettanto, stando però ad autocommiserarmi vicino a Gorgonzola, città metropolitana di Milano, dove abito, strafogandomi, appunto, con kg di pane e quel formaggio da cui la città prende il nome, che non avrà un aspetto né un odore invitanti, ma il cui sapore mi tira sempre su.

D'accordo, sarà inusuale, ma dove sta scritto che solo la Nutella ha il potere di risollevare le sorti catastrofiche dell'autostima di una ragazza? A voi umani la cioccolata, a me il formaggio muffoso.

Il mondo è bello perché è vario...


<<Lo sapevo che mi stava da cani>> sbuffo, armeggiando con la cerniera del vestito nero con inserti magenta che avevo scelto di indossare per la festa di inaugurazione della casa di Anna e Marco.

<<Ma non è vero. Anzi...>>.

Jake, che ha molto più gusto in moda femminile della sottoscritta, mi osserva compiaciuto. <<Secondo me è meglio se sposti più su la manica, vedi?>> si avvicina e crea un risvolto più corto sul tessuto della manica destra.

Mi guardo allo specchio a figura intera del corridoio. Poi guardo oltre le mie spalle, dove il mio ragazzo è ancora intento a sistemarmi l'abito. Da quanto tempo non sentivo le sue mani su di me? Chiudo gli occhi in cerca di una risposta, concentrandomi sulla sensazione delle sue dita tozze sul mio braccio sottile.

<<Tutto bene, tesoro?>>.

Detestavo essere chiamata tesoro. A meno che a farlo fosse Gollum in persona – almeno la parte buona di lui – con quella sua esse sibilata da far vibrare di terrore anche il personaggio più oscuro degli Anelli del famoso Signore, ma che a me farebbe solo ridere.

<<>> rispondo in automatico, tornando nella mia solita modalità ghiacciolo.

Data la mia eccessiva – per costituzione – magrezza, lo sembravo anche. Un ghiacciolo freddo e duro, con il suo bel stecchino all'interno.

L'eccessivo calore di Jake, in costante contraddizione con la mia freddezza, però, non contribuiva affatto allo scioglimento dei ghiacci, dentro di me – a differenza della catastrofe ambientale odierna mondiale – se mai ne potenziava la durezza.

All'inizio della nostra storia si verificò un incidente paragonabile a quello del Titanic. La dolcezza del timido Giacomo –  ribattezzato poi Jake, per pietà – si era scontrata con la rigidità della parte superiore del mio personale iceberg. Ne erano stati danneggiati la sua virilità ed il mio amor proprio, ed erano annegati insieme ai dispiaceri – come farebbe un alcolizzato – anche i nostri progetti futuri. Fortunatamente, la parte inferiore del mio iceberg, latente – quella che non avevo rivelato mai, nemmeno a lui – aveva retto all'urto ed era stata capace di risollevare le sorti di una storia già destinata ad affondare.

Lo ricordo come fosse ieri, quel giorno di metà settembre, in cui Jake mi rivelò di aver ricevuto il regalo suo più grande – se lo cantava Tiziano Ferro, ci può stare, no? – ovvero il nostro primo bacio.

Lo bramava da quanto, dal secolo scorso?

<<Mile, perché non vorresti stare vicino a me?>>.

<<Perché te l'ho già spiegato, Giacomo, mi irrita il tuo modo di battere sempre il piede a terra. E' insopportabile. Non starò mai e dico mai seduta accanto a te a lezione. Mi deconcentri>>.

Lui scosse la testa, nervoso. <<Sicura che sia solo quel gesto a deconcentrarti?>>.

<<Sicurissima>> affermai categorica. Sbuffò e si girò verso la finestra, offeso.

<<Come sei permaloso. Sei davvero una femminuccia>> lo sfottei.

<<Non sono per niente una femminuccia. Come osi?>>. Pareva essersi offeso sul serio.

Giacomo era un po' strano, ma era pur sempre uno dei pochi esemplari maschili presenti in classe. Uno dei pochi secchioni, per giunta, che non sembravano sempre dei nerd sfigati che avevano voluto avventurarsi nelle losche aule del Liceo Classico solo per atteggiarsi a fare i geni.

<<Te l'ho già detto. A me piacciono gli uomini veri. Sai... quelli che non devono chiedere mai>> continuai a punzecchiarlo.

Quant'era divertente. Anche perché, a quindici anni, cosa avrei potuto mai saperne di uomini?!

<<Se se... poi vediamo quando trovi davvero il tipo stronzo che ti tratta male, da chi vai a consolarti...>>.

<<Stronzo? Io intendo solo che... non abbia paura di farsi quattro buchetti!>>.

<<Oh, ancora con questa storia?>>. Alzò gli occhi al cielo.

<<Sì. Te lo faccio rivedere, se vuoi>> dissi accattivante, ammiccando.

<<Ehm... no, grazie. Mi fa impressione>> esclamò con una smorfia.

Il mio bellissimo piercing all'ombelico  –  di cui andavo talmente fiera da rischiare una congestione un giorno si e l'altro pure, visto che avevo sempre la pancia scoperta per farlo notare – era stata la mia prima vera grande conquista: ai miei era venuto un colpo appena ero tornata dallo studio di Tattoo e Piercing in centro. Potevo nascondere quel brillantino che mi spuntava dalla maglietta, ma a che pro? Non ero mai stata una da bugie e sotterfugi.

Quando lo avevo sfoggiato, trionfante, il giorno dopo iniziata la scuola, tutta la classe ne era rimasta entusiasta, a parte Giacomo. Mi ero guadagnata una certa reputazione, e non potevo farmi vedere in giro con un rammollito – così credevo, almeno – come lui. Così, quando aveva insistito per uscire con me, non gli avevo neppure risposto. Fino a che la prof. d'Italiano non mi aveva costretta ad un riavvicinamento, sebbene solamente di banco: a me scocciava pure quello.

<<Senti, non tergiversare: dobbiamo finire la ricerca entro domani e, per tua sfortuna, la devi portare a termine con me. Vengo da te nel pomeriggio>> m'inchiodò.

<<Uffa, d'accordo. Ti scrivo l'indirizzo. Puntuale, alle quindici!>> urlai spazientita, e mi voltai, dandogli le spalle. Pretendevo la puntualità da lui quando io manco sapevo dove stesse di casa: ritardataria cronica era il mio secondo nome.

Evidentemente non era il suo: alle 14:59 il suono fastidioso del campanello della mia villetta a schiera dai mattoni a vista rimbombò nel pianerottolo. E nelle mie delicate orecchie.

<<Vado io! E' un mio compagno di scuola>> urlai dalle scale, con la remota speranza che qualcuno mi sentisse. Non sapevo bene chi c'era in casa, ma pare qualcuno dei miei – mi dissero, io ancora non ne ho le prove – parenti, ovvero mia madre, che lavorava da casa, mio padre, intento a sfruttare le lunghe giornate oziose da neo pensionato – aveva iniziato a lavorare ancora in culla, praticamente – e mio fratello, Andrea, un bimbetto viziato che giocava alla play station fino a che non gli venivano le emorroidi, probabilmente. Il dubbio di esser stata adottata si insinuava spesso nella mia mente, lo ammetto.

<<Ciao. Vieni>> tirai per un braccio Giacomo, mentre mi riavviavo verso le scale,  sopra le quali si trovava la mia stanza, che quasi inciampò sul tappetino color cacca di topo dell'ingresso. Non certo uno dei migliori acquisti di mia madre: e pensare che faceva l'arredatrice.

<<Quindi è questo il piccolo mondo di Milena>> commentò il mio – non così gradito – ospite, mentre andava in perlustrazione della mia grande camera, collegata allo studio di mia madre, che le fregai gentilmente, appena fui abbastanza grande da capire che con quattro moine potevo ottenere ciò che desideravo senza troppi problemi, al bagno di servizio e alla mansarda.

<<Già. Forza, tiralo fuori>> invitai con poco garbo Giacomo ad estrarre dal suo zaino verde militare il quaderno di appunti, per svolgere il compito assegnato.

<<Come, così, su due piedi? Almeno prima un po' di preliminari...>> scherzò lui, e io, sorprendentemente, scoppiai a ridere per la sua inattesa battuta spiritosa. Che possedesse quel raro e sottovalutato umorismo da saper rendere ironica e paradossale la realtà circostante? Della serie, una risata ci salverà...

<<Quanto sei scemo. Forza, sbrighiamoci, che dopo voglio fare un bagno caldo>>.

Notando un sorrisino malizioso comparire sul volto di Giacomo, aggiunsi subito <<da sola>>,  non riuscendo, però, ad evitare di sorridere a mia volta.

<<Me le stai servendo su un piatto d'argento, tesoro>>.

<<Non chiamarmi tesoro. Mai. Chiaro?>> lo ammonii.

<<D'accordo, tesoro. Allora, lo tiro fuori oppure no?>>.

<<Sì, prendi pure il quaderno che cominciamo>>. Scandii bene le parole, stavolta, così da evitare ulteriori doppi sensi, sorvolando sul fatto che avesse volutamente utilizzato di nuovo l'appellativo tesoro. Ma un sorriso ebete si era insinuato a tradimento sul mio viso, appena Giacomo iniziò a punzecchiarmi, e non accennava a togliersi di torno. Gli indicai la sedia vuota accanto alla scrivania, mentre io mi stavo per accomodare sulla mia, adiacente a quella. Non feci in tempo, però, a voltarmi per raggiungerla, che lui si sedette, trascinandomi con sé.

Planai tra le sue gambe, e d'istinto gli mollai un ceffone in fronte, con il solo risultato di sbilanciarmi e quasi stramazzare al suolo, se lui non mi avesse tenuta ben salda al suo corpo. Nella quasi caduta il cappellino che Giacomo indossava – probabilmente ci dormiva anche, con quel berretto da nerd mancato – cascò a terra, rivelando non uno, ma ben due piercing, sul sopracciglio destro, che prima, nascosti dalla visiera, non avevo notato. Restai di stucco, osservando quanto fosse molto più intrigante così il suo viso, notando anche l'incredibile colore grigio scuro dei suoi enormi occhi, che fissavano i miei, seri. Di colpo, quegli occhi si abbassarono sulle mie labbra e poi anche quelle di Giacomo iniziarono a trovarle interessanti, dato che stavano non più solo osservando, ma testando con sapienza quanto potessero essere allettanti insieme alle mie. Le mie labbra, poi, non erano da meno, trovando un perfetto assetto sulla strada delle sue, come per una nuova auto durante il giro di rodaggio. Aveva sfidato la paura degli aghi per dimostrare a me la sua temerarietà e baciandomi, in quel momento, stava dimostrando ancora più coraggio di quello che mai avrei pensato potesse avere.

E io che lo facevo uno sfigato senza spina dorsale...

Il bacio mi piacque talmente tanto che non solo non lo rifiutai, ma – con estremo stupore di entrambi – non riuscii a trattenere un profondo e sincero mugolio di piacere, mentre lui mi stringeva ancora più forte. Sarebbe stato un ricordo davvero perfetto se quel che accadde dopo non mi fece impaurire a tal punto da volerlo dimenticare al più presto.

Quella che fu una reazione alquanto naturale, sensata e normale, all'epoca mi sembrò una cosa disgustosa: l'erezione di Giacomo si manifestò palesemente appena la sua lingua si fece strada nella mia bocca. Aprii gli occhi di scatto, scioccata e mi alzai subito, allontanandomi da lui. <<Ehm... credo... credo proprio che dovremmo studiare, adesso>> farfugliai, sedendomi ai piedi del divanetto accanto alla scrivania, aprendo a caso il quaderno di Giacomo, che orrore degli orrori, all'interno custodiva un segreto ancora più sconcertante. Nella pagina al centro, infatti, proprio quella che mi si presentò appena lo aprii, si facevano beffa del mio innato disgusto per le manifestazioni – anche su carta – di romanticherie e roba zuccherosa varia, mille cuori con il mio nome al centro. No: questo era troppo.

<<Giacomo, credo che dovremmo scordare subito ciò che è accaduto e... fare questo compito in autonomia. Vai a casa>> dissi, glaciale.

<<Io vado, se è ciò che vuoi. Ma... non voglio dimenticare un bel niente>> esclamò serio, iniziando a ritirare le sue cose.

Prese poi, dalla mensola accanto a sé, sulla quale si trovavano tutti i miei CD, quello dei Doors. <<Sai cosa diceva questo tizio qui?>> mi chiese, indicando il volto del carismatico e rivoluzionario frontman del gruppo.

Chi, Jim Morrison? Conoscevo ogni parola lui avesse pronunciato e cantato, grazie a mio padre, che lo venerava.

<<Diceva che rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di...>>. Aspettò che terminassi io la frase, guardandomi intensamente negli occhi.

Controvoglia, bisbigliai <<vivere per paura di morire>> e non riuscii più a sostenere il suo sguardo, confusa.

<<Già. Ciao, Mile>> si congedò, e uscì dalla camera in silenzio.

Ma, da quell'attimo, Giacomo diventò Jake, e riuscì ad entrare definitivamente nel mio cuore.


Nota Autrice: Eccoci all'inizio di questo nuovo viaggio! Sorpresi del colpo di scena iniziale? Era un romanzo! Anzi... una sceneggiatura... la nostra Anna ha reso la sua storia una trama da raccontare! Ve lo aspettavate? E cosa ne pensate della nuova protagonista?

Inserite il titolo nella vostra biblioteca, se desiderate restare aggiornati.

Buone nuove emozioni!

Lisa

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