7. Lenoir
Sto percorrendo il lungo corridoio che dalla sala stampa porta verso l'esterno dove l'autista della redazione attende me e Andrea, il cameraman. La partita è finita con una vittoria dell'Atalanta grazie a un gol da fuori area di Alessandro, quando riesce a smarcarsi sull'ala destra è difficile fermarlo. Alcune volte basta allentare un attimo la difesa e la squadra avversaria fa subito breccia. Onestamente il match non è stato dei più entusiasmanti, ma ad inizio campionato è inutile aspettarsi una partita febbricitante da guardare con il cuore in gola. Fatta eccezione che per mio padre, a suo dire ogni partita è da giocare al limite. Come allenatore, infatti, è al limite di tono vocale e pressione coronarica; quando sono scesa a bordo campo per i commenti di metà partita ho temuto che la sua faccia esplodesse e non per il caldo eccessivo.
Al termine com'è suo solito fare si è tenuto ben lontano da domande e indiscrezioni, ed io non ho fatto esclusione, i favoritismi per lui non esistono, in compenso ho intervistato l'allenatore, due giocatori avversari e per ultimo mio fratello, ben felice di potersi gongolare davanti alle telecamere. Chiuso il collegamento mi ha chiesto se avessi intenzione di mangiare qualcosa con lui, la moglie e altri ragazzi, ho risposto di sì, anche se probabilmente li avrei raggiunti in ritardo. All'ingresso uno steward ci sorride aprendoci gentilmente la porta, percorriamo il ciottolato verso i cancelli e poco prima di arrivare alla macchina mi accorgo di aver lasciato il cellulare in sala stampa.
Chiedo scusa all'autista per la perdita di tempo e a piccoli passi, o per quanto la gonna possa concedermi, percorro la strada a ritroso.
Esco dalla stanza ormai vuota con il cellulare in mano, seguo il lungo corridoio oltre gli spogliatoi fino all'ultima rampa di scale che mi condurrà all'uscita. In quel momento il cellulare vibra e istintivamente chino la testa per guardare il mittente del messaggio quando vado a sbattere contro un petto estremamente duro.
«Cazzo.» Sento esclamare in un tono troppo familiare mentre due mani enormi mi bloccano le spalle. Il suo profumo fresco e pungente mi colpisce ancora più forte di quanto abbiano potuto fare i suoi pettorali. «Ti consiglio di guardare dove stai andando e non tenere il naso su quell'affare» borbotta insofferente con il medesimo intercalare freddo e distaccato.
Mi raddrizzo nascondendo dietro la schiena l'oggetto causa del misfatto, quando alzando lo sguardo incontro i suoi occhi azzurri a poca distanza dai miei. È lui, è Hoffman e dopo cinque anni ricordo ancora il suo profumo... sono pessima. Non ho idea del motivo per cui sia ancora all'interno dello stadio ma è l'ultima persona a cui vorrei rivolgere la parola in questo momento. «Scusami, ero distratta. Non pensavo che fosse rimasto qualcuno.» Lo guardo, i capelli neri sono bagnati e pettinati all'indietro mentre dalle maniche arricciate della camicia spunta l'inchiostro irregolare dei molti tatuaggi. Il mio cuore salta un battito e riesco a malapena a respirare.
Lui senza dar peso a ciò che dico si sposta di lato per potermi camminare attorno e andarsene senza proferire parola oltre l'ammonizione.
«Oggi non hai giocato!» Ma cosa diamine ho detto. Chi, nel pieno delle sue facoltà mentali chiede a un giocatore a cui tre anni fa è stato assegnato il pallone d'oro, come mai oggi non abbia giocato la partita d'esordio in una squadra considerata minore per i suoi standard. Nessuno, tranne una deficiente come me. In sua presenza non mi sento nel pieno delle mie facoltà, è un dannato dato di fatto.
«Non ho giocato per colpa tua, bambolina figlia di papà, sono stato messo in panchina perché ho offeso l'onore di questa gentil donzella.» Mugugna un dick soffocato di cui ben ricordo il suono. «Non riuscirai a tenermi lontano dal campo per un'altra partita, ho intenzione di starti a distanza di sicurezza, quindi, porta quel bel culetto lontano da me.»
Le sue parole mi gelano il sangue nelle vene, per alcuni versi lo conosco intimamente ma per altri nemmeno un po' e la sua reazione ne è la prova. «Non me ne frega niente se questo è ciò che pensi, egoista presuntuoso, ma sei molto lontano dalla verità. Io ti ho fatto una semplice domanda a cui, se ricordo bene, non hai neppure risposto, vuoi la registrazione? Quindi, smetti di comportarti da cazzone per due secondi, pensa alle tue azioni e non riversare le tue frustrazioni sulla sottoscritta.»
Il suo atteggiamento passa da rilassato a prudente. «Diciotto stagioni all'attivo e mai, neppure una volta, ho fallito nel mio intento. Io ottengo sempre ciò che voglio. Se il mio atteggiamento o la mia stessa presenza feriscono l'animo di questa principessina va' pure a piangere dal mister Leone o Alessandro se preferisci, loro saranno estremamente felici di combattere le tue inutili battaglie. Dopotutto sappiamo entrambi che hai la lingua troppo lunga per questo lavoro.»
«Tu non sai niente di me, non mi conosci e non puoi sapere se posso essere adatta o meno per questo maledetto lavoro! Io sono una giornalista, questo è ciò che deve interessarti e preoccuparti, ti renderò la vita impossibile, caro mio. Non avrai sempre Zaccagna o qualche altro lecca piedi a toglierti dall'imbarazzo. Intesi, pallone d'oro dei miei coglioni?» urlo in maniera sconsiderata schizzando via e, come se ciò che ho appena detto non fosse stato abbastanza incisivo, prima di voltarmi e andarmene lungo il corridoio, sfodero due diti medi ad altezza occhio. Repertorio standard da vera principessa!
Quando salgo in macchina Andrea percepisce il mio stato d'animo e non proferisce parola, conosce la gentil donzella troppo bene da scegliere di non indagare proprio adesso, lo farà, è dannatamente curioso, ma non in questo momento, tiene troppo alla sua incolumità.
I ricordi scorrono nella mia mente. Il suono della voce di Rudy e la sua vicinanza sono stati abbastanza per farmi tornare indietro nel tempo, a quella folle notte passata assieme e di cui nessuno è a conoscenza, neppure Stella. Troppo imbarazzo. Per quanto mi sia sforzata di dimenticare, è rimasta con me, e rivederlo mi ha fatto perdere l'equilibro psicofisico.
Per un attimo ho avuto la netta sensazione che mi stesse spogliando con gli occhi ma il suo atteggiamento distaccato ha solo confermato i miei sospetti, per lui non ero e soprattutto non sono niente.
E così deve essere.
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