5. Lenoir


Se riuscissi a percepire quanto detesti la tua presenza non siederesti bello tronfio su quella poltrona con davanti la maglia delle Dea numero 11 che una volta fu del grande Caniggia e di cui tu, con molta probabilità, non conosci neppure il nome.  Mi riempie di tristezza vederla imbrattata con il tuo cognome stampato sopra. Che orrore!

Hoffman 11, disgustoso come il carnet di domande che ho ricevuto dalla redazione e purtroppo dovrò porti una volta iniziata la conferenza. Stupidaggini volte ad accrescere, per quanto possa essere ancora possibile, il tuo ego smisurato:

Hai intenzione di rimanere molto in Italia? Per quanto tempo la squadra avrà bisogno di me e i tifosi mi vorranno.

Ti sei ben ambientato? Com'è possibile non star bene in Italia?

Come ti trovi con la squadra? Non ho ancora avuto la possibilità di approfondire bene le conoscenze, sono arrivato da poco.

Ritieni il tuo ruolo ben conciliabile con il gioco di squadra dell'Atalanta? Se oggi sono qui è perché il mister e la società hanno ritenuto fondamentale la mia presenza in squadra.

Bleah! Nei miei pensieri risuonano già le plausibili risposte recitate con il suo italiano corretto sporcato da leggere inflessioni in lingua madre.

Osservo nuovamente la dirigenza di sottecchi e per un attimo sento un formicolio sul collo. Ho la netta sensazione che qualcuno mi stia guardando. Mi muovo sulla sedia, dicendomi che sono paranoica, sono a una conferenza stampa piena di giornalisti ed è impossibile che lui fissi proprio me con tanta insistenza o, forse, il mio abbigliamento troppo appariscente ha, stranamente si fa per dire, dato nell'occhio. Ma Rudy Hoffman non può avermi riconosciuta. Questa affermazione mi infastidisce quel tanto che basta da farmi nuovamente spostare sulla sedia. Abbasso gli occhi per coglierlo in fragrante e dopo pochi secondi lo becco sul fatto. Mi stava fissando. Un brivido solitario corre  lungo tutta la schiena. Rilascio lentamente il fiato, cercando di calmare il mio cuore martellante. Se mi ha riconosciuta, ovviamente non è per nulla turbato. Sono sollevata, ma allo stesso tempo insultata. Ho fatto sesso con lui e sarebbe carino credere che sia abbastanza per fargli ricordare la mia esistenza.

E chiaramente non l'ho dimenticato.

Io odio Rudy per quello che ha fatto a mio fratello, io odio Rudy per quello che ha fatto a mio fratello... ripeto la cantilena nella testa più e più volte.

Iniziano le domande mentre maledico il momento in cui la squadra per cui lavora metà della mia famiglia ha acquistato proprio lui, l'uomo con cui ho passato una sola notte di sesso fantastico e di cui la mattina successiva non ne era rimasta traccia.

Ma non mi soffermerò su questo. Sono una professionista. Non cambia nulla. Farò il mio lavoro, e basta.

La prima risposta mi riporta sulla terra, anche se non rispecchia il suo vero essere, credo debba scaldare i motori; la seconda, apre direttamente i caselli autostradali permettendo alla sua affermazione personale di sfrecciare a mille all'ora.

Come se le parole uscissero da sole dalle mie labbra lo interrompo bruscamente: «Rudy, perdona l'intrusione ma per onorare la squadra alludi al fatto di picchiare sistematicamente ogni arbitro o guardalinee sul tuo cammino?» ingoio con tutti gli occhi addosso, abbasso lo sguardo non sapendo se continuare o meno, opto per la prima soluzione, mossa da un irrefrenabile bisogno di riscatto nei suoi confronti.

Non ho ottenuto risposta. Zaccagna ha tolto il suo pupillo dall'imbarazzo in cui volutamente lo avevo fatto piombare. Il principino, non è in grado di rispondere neppure a una domanda un po' insidiosa che subito sputa fumo dal naso. Si vede benissimo da come stringe forte la maglia, è incazzato nero. Ben ti sta, inutile borbottare tra i denti, caro il mio Hoffman, la giornalista bambolina ti ha fatto infuriare più di quanto tu lo sia di solito.

Alzo gli occhi al cielo non ben convinta di ciò che ho appena fatto e quando li abbasso di nuovo incontro lo sguardo di mio padre che di fatto non ciò che faccio e credo non perdonerà questa mia piazzata psicolabile .

Mi alzo dalla postazione allontanandomi amareggiata dalla sala avvolta nei bui pensieri mentre in sottofondo le battutine dei giornalisti sul mio corpo si sprecano. A questi commenti a dir poco sessisti posso abituarmi, al giudizio di mio padre, mai. Ecco il vero problema della sottoscritta: fin troppo sicura di me per molti versi – con un pallone tra i piedi posso stendere chiunque – ma i miei punti deboli vengono fuori sempre nei momenti meno indicati. Quando sento crescere dentro quel moto di rabbia incontrollata non sono più me stessa. La vera Lenoir scompare, si ritrae nella borsetta annullandosi, facendo spazio all'alter ego di me stessa: nervosa, dannatamente odiosa, sarcastica in modo tagliente e affilata come un rasoio. E quando viene fuori quella parte di me ogni relazione interpersonale diventa civilmente impossibile.

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