4. Rudy

Il suono metallico della sveglia programmata nel cellulare mi risuona in testa come un martello. Ho dormito poco e malissimo, non per colpa del letto o dei cuscini, ma dell'hotel stesso; è un albergo ed io dormo male in ogni luogo che abbia questo nome.

Gli anni trascorsi da fuggitivo con mia madre hanno scavato una profonda cicatrice e ogni qualvolta io varchi la soglia anche di un Continental a cinque stelle quel ricordo mi attanaglia la mente e non riesco in nessun modo a scacciarlo. Scrollo la testa imitando Buio, il labrador nero che da otto mesi è l'unico mio compagno di letto. Sperando di allontanare i brutti ricordi mi dirigo verso il bagno per una doccia. Sono le nove del mattino, il cielo è terso e la temperatura, nonostante siano i primi di settembre, è sempre piuttosto alta. La conferenza è programmata per le undici, ho tutto il tempo per fare due passi con quel pulcioso e tornare in tempo per l'appuntamento con Dino nella hall prima di recarmi alla società.

Ordino la colazione in camera, niente sguardi addosso per adesso e nel frattempo entro in bagno per una doccia, apro la porta a vetri trasparente della cabina, le pareti sono ricoperte da marmo nero, come il mio umore perenne del resto, apro l'acqua, chino la testa e aspetto che il getto mi arrivi direttamente sulle spalle. Per essere un vecchio del calcio come qualche giornalista del cazzo osa chiamarmi ho proprio un gran fisico e quest'estate mi sono spinto al massimo mettendo su altri quattro chili di massa muscolare, mi sento un toro pronto a entrare nell'arena.

Un anno, al massimo due, Rudy, ripeto insistentemente nella testa da un po'."Atalanta è la squadra che fa per te adesso" è quello che Dino, il mio procuratore, mi ripete da tutta l'estate o meglio dal momento in cui ho firmato le carte per il trasferimento.

Classe 1986, due volte campione del mondo, una volta campione europeo, due campionati italiani, due Premier League Cup, due Bundesliga, tre coppe di Primera Division, due Champions, due coppe Uefa e una coppa Intercontinentale, un Pallone d'oro... e tutto il mondo mi ricorda per due macchie indelebili nel mio palmarès avvenute a distanza di cinque anni l'una da l'altra. Che mondo di idioti!

In tutta sincerità quando Dino a giugno mi ha proposto Atalanta come squadra del riscatto personale ho creduto mi prendesse per il culo, dopo quello che avevo fatto alla nazionale avversaria nella partita Germania-Italia ai mondiali del 2014. Non pensavo stesse dicendo sul serio.

Mancavano otto minuti esatti alla fine del secondo tempo supplementare e bene o male entrambe le squadre auspicavano a tirare i calci di rigore, nessuno aveva il fiato per correre un metro di più, ma nella mia testa il loro capo cannoniere, il bomber osannato da tutta Italia e temuto da tutti i giocatori tedeschi, escluso me, non doveva assolutamente calciare i rigori, pertanto ho agito d'impulso. Mi sono avvicinato, gli ho parlato e solo quattro minuti dopo io avevo il ghiaccio sull'occhio ed il grande Alessandro Leone, il figlio d'arte, un cartellino rosso all'attivo. L'esito è ben noto, Germania in finale e quattro giorni dopo eravamo campioni del mondo.

Non ho mai fatto i conti con le mie azioni, bramo vincere e faccio quello che ritengo giusto per ottenere ciò che voglio. A breve dovrò affrontare il problema, considerando la forzata convivenza con Alessandro Leone giocatore storico dell'Atalanta e con suo padre allenatore da tre anni.

Non penso che il mio acquisto sia stato dettato da specifiche richieste tecnico-tattiche del mister bensì una scelta commerciale e di immagine per la società.

Da quel che ho letto sul suo conto odia i giocatori solitari come me, ed altra nota nettamente negativa non sopporta le prime donne, per lui il gioco di squadra è tutto.

Considerando anche il destro che ho assestato a Skomina nella finale di Champions di quest'anno per non aver ricevuto il rigore nettissimo a mio favore, allo scadere del tempo, credo che la mia rinascita come calciatore avrà bisogno di essere studiata, coltivata e maturata al meglio.

Chiudo l'acqua della doccia ed esco arrotolandomi l'asciugamano in vita mentre mi dirigo verso lo specchio e osservo l'immagine riflessa.

Hai qualche dubbio nella riuscita del piano, Rudy?

Un anno... massimo due e faranno la fila per offrirti un contratto migliore di questo.

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Dino è arrivato sotto l'albergo quaranta minuti dopo l'orario pattuito, ero infastidito come sempre del ritardo, anche se sono passati ventisette anni dal nostro primo incontro e lui non è mai arrivato puntuale, spero sempre in una sua redenzione. Non oggi.

Entro nella sala stampa della società per la conferenze quando già all'interno sono presenti giornalisti, fotografi e sul tavolo troneggia la nuova maglia che da lì a breve dovrò indossare facendomi fotografare bello sorridente. Ormai dopo cinque cambi di società l'iter lo conosco molto bene, oserei dire a memoria.

Nel momento esatto in cui mi siedo al tavolo con a fianco l'allenatore e la nuova dirigenza i miei occhi si posano su qualcosa di meraviglioso e insolito in una stanza di soli uomini.

Lei è china sopra i documenti che tiene in mano, non vedo il suo volto ma è così bella da far male alla vista. Poco dopo, alza lo sguardo verso un giornalista due file oltre lei ed è come se un treno mi travolgesse in pieno.

Eccola lì: i suoi occhi verdi lievemente allungati sono così profondi da perdersi al loro interno e i capelli color ambra, fermati di lato, lasciano spazio alla vista del lungo collo.

Cazzo, ricordo ancora come mi sono sentito quando ho baciato la curva del suo collo. Sono passati cinque anni ma dal suo aspetto non si direbbe; è maturata, sì, ma è come se solo qualche ora fa avessi lasciato la sua camera. Ne osservo l'abbigliamento che poco si confà con l'aurea quasi eterea che continua a emanare e da come si muove si direbbe non a suo agio.

Quella notte in Brasile abbiamo fatto scintille, la nostra intesa era unica... penso concorderemmo entrambi. Quando l'ho portata in camera, mai avrei pensato di poter possedere quel corpo, ma nel momento in cui ho poggiato il ghiaccio sul suo sopracciglio ho sentito l'irrefrenabile bisogno di prendermi le sue labbra e così ho fatto. Era deliziosa, proprio come avevo immaginato durante l'ora trascorsa assieme. Un corpo sodo, tonico. Gambe chilometriche. Era anche più fantastica di quanto sembrasse, se la cosa potesse essere possibile. L'ho fatta vibrare come un'arpa, gemeva e si contorceva. Eravamo fradici ed esausti, stesi sulle lenzuola, cercando di riprendere fiato. Poi l'ho stuzzicata, fatta eccitare nuovamente. La seconda volta è passata da dolce e lenta a bollente e dura in meno di qualche minuto. Non riesco a credere di ricordarmelo così bene. È stato cinque anni fa, e non è che nel frattempo non sia passata altra acqua sotto i ponti: un bel po' di belle donne a dire il vero. Ma quella è una notte che non dimenticherò mai.

Ed ora scopro che è diventata una giornalista, quella notte ammirandone il corpo, avrei giurato fosse una sportiva, ma mi sbagliavo.

Con la mano sinistra sposta una ciocca di capelli dal viso e noto che al suo dito non ci sono anelli. Sorrido dentro.

Non c'è dubbio: quella ragazza mi ha segnato e lo ha fatto dal momento esatto in cui ho incontrato il suo sguardo quando mi sono avvicinato per chiederle se andava tutto bene.

So che è questo il motivo per cui, pensando che il suo cuore appartenesse ad un altro uomo, me ne sono andato facendo la cosa più stronza che potessi mai fare, lasciandomela alle spalle, come se la notte assieme non avesse significato nulla.

A cosa starà pensando in questo momento avendomi davanti?

Avrei voluto sapere della sua presenza prima, lei ha avuto un vantaggio su di me. Cosa ha pensato del mio trasferimento? Sarà stata irritata? Interessata? Felice di vedermi? Eccitata come me nell'averla davanti?

Rudy, è impossibile che qualsiasi uomo sulla faccia della terra possa essersi fatto scappare una così stupenda creatura, pertanto mettiti il cuore in pace, toglile gli occhi di dosso e stalle lontano.

Distolgo lo sguardo per riuscire a concentrarmi, opto per il pancione barbuto seduto a due metri da lei, ma è quasi una calamita per la vista. Tossisco, abbasso lo sguardo e torno in me, proprio per iniziare a rispondere alle domande dei giornalisti in sala.

Uno di loro inizia senza prenotarsi: «Rudy, ben arrivato in Italia, o meglio, ben tornato.»

Sorrido mentre si interrompe per formulare la domanda. «Il tuo esordio è stato ben diciotto anni fa con la grande signora, pensi di concludere la tua carriera in Italia?»

Sospiro. «Ho trentaquattro anni, non sono più un ragazzino, ma ho la più assoluta consapevolezza di essere lontano dal momento in cui appenderò le scarpe al chiodo come dite qui.» Sorrido compiaciuto.

Un altro alza la mano corredata da matita. «Rudy, quali sono le tue sensazioni nel vederti davanti quella maglia?»

Rispondo da paraculo, ormai son troppo navigato per sapere cosa hanno bisogno di sentirsi dire i giornalisti. «Ho voglia di giocare, io sono nato per dare calci al pallone, per lottare, sudare e vincere. Onorerò questa squadra e questa maglia...»

E cazzo mentre sto per finire la frase una voce femminile interrompe il mio discorso acchiappa giornalisti. Essendo lei l'unica donna nella sala mi volto immediatamente verso quella figura quasi angelica che sta osando chiedermi se, onorando la squadra, alludo al fatto di picchiare sistematicamente ogni arbitro o guardalinee sul mio cammino. Con questa cazzo di domanda ha fatto calare il gelo. Abbassa lo sguardo sul suo taccuino mordendosi il labbro inferiore, un gesto che in altri momenti mi avrebbe fatto impazzire, non adesso, o meglio non del tutto. Chiudendo gli occhi rincara la dose domandandomi il vero motivo del mio trasferimento all'Atalanta: giocare palla al piede in nome della maglia o, cosa che ritiene più veritiera, riscattare il mio nome ormai danneggiato da scellerati gesti?

A questo punto Zamagna prende le redini della situazione, alzando il tono della voce e chiedendo ai fotografi di collocarsi davanti a tutti per le foto.

Mi alzo e afferro in malo modo la maglia per metterla all'altezza del petto ponendo in bella mostra il numero 11, che una volta fu di Caniggia ma su cui oggi a chiare lettere è associato il mio cognome, Hoffman. Devo averle fatto più male del previsto andandomene quella notte e questo pensiero mi amareggia, ma non si spiega questa furente aggressività nei miei confronti. Era fidanzata, cazzo! Per quale motivo si sta comportando da isterica?

Mi ritrovo più stizzito del solito e senza filtro cervello-bocca, fortunatamente a voce bassa ma ben distinguibile a coloro che ho di fianco ovvero il mister Leone e il presidente bisbiglio: «Ma queste scimmiette ammaestrate per quale cazzo di motivo le fanno entrare?» Non contento rincaro la dose: «Oggi ha portato le tette e il culo, la prossima volta porterà anche il cervello. Acida vipera.»

Saluto ed esco dalla sala più cupo di quando sono arrivato.

Un anno Rudy, evita qualsiasi distrazione e non dovrai trattenerti in questa città un giorno in più.

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