34. Rudy

Cerco di svegliare Lenoir con dei leggeri baci sul collo, per tutta risposta affonda il volto sul cuscino.«Mhmm» dice allungando la mano sul fianco per abbracciarmi. Non trovandomi apre gli occhi. «Dopo sei giorni in questa pace, ho paura di tornare a Milano.»

«Non volevo svegliarti ma è quasi mezzogiorno e visto che oggi il tempo lo permette volevo farti vedere il mio panorama preferito» mi alzo da sopra di lei, «dopo di te.»

Sorride allungando il suo bellissimo corpo per poi sedersi, leggermente scompigliata e completamente nuda. «Fame» dice dopo un sonoro sbadiglio.

«A questo proposito volevo dirti che ho fatto i pancake» dico sorridendo, è la prima volta che cucino qualcosa del genere, di solito uova, uova, toast e di nuovo uova. La varietà non è il mio forte. «Ho seguito una ricetta su internet, ma la connessione qua è uno schifo quindi la perfezione non è garantita.»

Annuisce mentre indossa l'accappatoio che la notte precedente aveva gettato a fianco del letto. «Immagino sia solo colpa della connessione» dice avvicinandosi alla penisola della cucina dove ho poggiato due piatti.

«A Buio piacciono» affermo fiero indicandolo a fianco dello sgabello in attesa della seconda porzione.

«Volevo ricordarti che Buio mangia i tacchi delle mie scarpe.» Si siede odorando i dischi lievemente bruciacchiati.

«Non giudicare solo dall'aspetto» dico sedendomi al suo fianco.

«Questo è sicuro, altrimenti non mi azzarderei neppure a toccarli.» Ride dopo avermi baciato.

Sono impaziente quando ne addenta un pezzo e ingoia serrando le labbra. Chiude perfino gli occhi per assaporarne appieno il gusto. «Allora, se riesci a escludere il sapore di bruciato, non ti rompi un dente con i grumi della farina e li riempi di sciroppo d'acero che in questo momento immagino tu non abbia in casa, potrebbero essere commestibili.» Poggia la forchetta scoppiando in una fragorosa risata. «Ma sei il migliore perché li hai fatti solo per me.»

Le sorrido mentre afferra la tazza del caffè e poggia le lunghissime gambe sulle mie chiedendo informazioni riguardo al posto in cui vorrei portarla.

«Andiamo a piedi o in auto?»

«In quel crinale è possibile arrivarci solo a piedi e mi sono informato l'altro ieri in paese che il lago è già ghiacciato, pertanto possiamo attraversarlo.»

Sgrana gli occhi. «Dobbiamo attraversare un lago ghiacciato?»

Annuisco, mentre lei entusiasta corre all'armadio, prende degli indumenti pesanti e corre in bagno. «Muoviti, non l'ho mai fatto prima e la cosa mi eccita da morire!» grida per sovrastare il rumore della doccia.

Dall'armadio lasciato aperto, prendo la tuta intera, un lupetto antracite e inizio a vestirmi quando esce dal bagno con indosso il completo da sci comprato nel negozietto del paese e scoppia in una risata. «Sono pronta per girare Vacanze di Natale '92.» Non posso che ridere con lei di quei pantaloni a scacchi rosa acceso e celeste e la giacca aderente in tinta. Ripensando a quanta polvere aveva la confezione in cui erano riposti, probabilmente, guardando l'etichetta, potremmo scoprire essere stati proprio confezionati in quell'anno.

«E saresti la donna più bella di tutto il film.»

«Questa volta non ti credo» dice baciandomi e andando verso la porta d'ingresso per indossare gli stivali. La seguo mentre chiamo Buio a cui metto la pettorina catarifrangente, il guinzaglio, e solo dopo penso ai miei stivali prima di chiudermi la porta alle spalle. Appena finito il vialetto ha le guance e il naso rossi dal freddo, la tiro a me per baciarla e tenerla stretta. «Ho veramente il desiderio di baciarti in pubblico, davanti al mondo e dire che questa splendida donna è mia, solo mia.»

«In paese ci hanno visto baciarci più di una volta» dice prendendomi in giro, sapendo benissimo che chiamare paese un agglomerato di sole dieci case è un eufemismo. «La prima fase del nostro debutto in società è già avvenuta, caro mio, e se sei d'accordo...» stringendomi la mano, «quando torniamo potrai baciarmi dove vuoi.» E i suoi occhi si illuminano.

«Io voglio baciarti ogni singolo istante di ogni singolo giorno.» Mi esplode il cuore dentro al petto mentre iniziamo nuovamente a camminare, mano nella mano sopra la neve soffice con quel puntino del nostro cane che a tratti appare e scompare felice. Attraversiamo un bosco di abeti, un crinale piuttosto scosceso, nuovamente un bosco, questa volta con alberi molto più grandi dei precedenti e dopo due ore di camminata arriviamo alla fine dell'ultima radura che porta al lago ghiacciato.

«Manca poco al tramonto, dobbiamo attraversarlo in fretta, principessa, altrimenti i nostri sforzi saranno vani.» Le stringo la mano mentre appoggia un piede sulla superficie ghiacciata e, dopo che si è stabilizzata, faccio lo stesso. «Andiamo» le dico e lei annuisce. Scivoliamo fino ad arrivare al centro esatto del lago quando il sole attraversa le due montagne all'orizzonte e lo spettacolo è da togliere il fiato. La osservo guardarsi intorno mentre la luce rossastra l'attraversa e illumina di fuoco acceso tutto il ghiaccio sotto di noi. Sembriamo al centro di un vulcano. Le guardo il volto su cui rispecchia il tramonto e vorrei imprimere quell'immagine nella testa per tutta la vita, una sorta di marchio indelebile nel cervello. Improvvisamente capisco che non posso perderla, non voglio perdere la mia principessa.

«Rimani con me per tutta la vita, Lenoir» le chiedo quando le sue mani si abbassano.

«Cosa?» Mi guarda con un misto di entusiasmo e confusione.

Non ho idea di quello che sto facendo in questo momento, ma le parole escono come un fiume in piena. «Mi sono accorto di aver appena terminato un puzzle da ottantamila pezzi.»

Inarca un sopracciglio non capendo quello che sto dicendo.

«Tu mi rendi completo. Sei la mia casa» dico mentre sento il cuore esplodermi nel petto. «Tu, Lenoir, sei la casa che non ho mai avuto.» E un suo sorriso riempie tutta la vallata. «Ho fatto cose senza senso e mi rendo conto di non essere stato la persona più piacevole del mondo, ma con te mi sento diverso e tutte le cazzate che ho fatto mi hanno portato qui. Tu mi fai essere una persona migliore.» Sorride piangendo quando proseguo una delle dichiarazioni meno romantiche della storia. «Lo so, abbiamo appena iniziato a uscire insieme. Cazzo, la tua famiglia non sa neppure di noi, ma non me ne frega niente perché io voglio te.  Desidero una casa con te, tornare a casa da te, desidero dei figli, due cani e se vuoi anche un pappagallo. Io ti amo, con il cuore, il corpo e l'anima. E se mi vuoi io sono tuo, principessa, per sempre. Fin che morte non ci separi. Cazzo, Lenoir. Ti voglio.» Espira profondamente. «Sposami, sii la mia casa e lascia che io sia la tua. Fino al mio ultimo respiro, se vuoi, sarò con te.»

È immobile di fronte a me, il suo petto si ingrossa a causa del respiro affannato. Poi mi guarda negli occhi. «Rudy Hoffman, ho sempre creduto di essere una persona sana di mente e suppongo di esserlo anche adesso, sono venuta a letto con te dopo appena un'ora dal nostro incontro, se dopo tre mesi mi chiedi di spostarti... non posso che rispondere di sì.» E seppellisce il suo volto nel mio petto gridando: «Ti amo» così forte da sentire l'eco almeno cento volte.

Le prendo il volto. «Non so quando, come e dove, ma davvero vuoi diventare la moglie di questo farabutto?»

Annuisce indicandomi. «Ex farabutto» precisa, prima che la baci appassionatamente. La sollevo da terra facendola girare e, accorgendomi che si sta facendo buio, mi dirigo verso il bordo del lago.

«Questa non è la stessa strada» dice guardandosi attorno.

«Stiamo andando verso la macchina di Ronan, qui sotto» le dico tenendola sempre stretta a me.

«Esiste una strada percorribile con l'auto, che porta fino a qui?» Sorride baciandomi il collo.

«Se alle cose belle ci arrivi con fatica, le apprezzi di più» dico con un filo di voce prima di aprirle lo sportello.

«Sicuramente» risponde entrando nell'abitacolo.

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Mancano meno di quaranta minuti alla mezzanotte del 31 dicembre quando esco dalla porta del bagno chiamando Lenoir che si trova sul divano davanti al caminetto. Si volta sorridendo. «È possibile che ogni qualvolta io incontri il tuo sguardo, tu sia sempre più bella?» le dico appoggiato alla parete con le braccia incrociate.

«Davvero?» chiede, avvicinandosi a me.

«Una tradizione svizzera dice che qualsiasi cosa farai la notte dell'ultimo giorno dell'anno potrai farla per tutto l'anno.»

Sorride a meno di un passo da me. «E quale sarebbe?»

«Amarti» dico prima di tirarla verso di me e baciarla. «E così per gli anni a venire.»

In lontananza dei fuochi d'artificio indicano che la mezzanotte è appena scoccata. «Buon anno, principessa» le dico dopo averla baciata.

«Felice anno nuovo, amore» sussurra, guardandomi negli occhi.

Ci dirigiamo verso la vasca riscaldata mentre i fuochi d'artificio continuano la loro danza e noi iniziamo la nostra.

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L'universo sta facendo il tifo per me.

Lenoir sta dormendo di fronte a me e la luce della luna illumina la sua pelle. E' meravigliosa. I capelli, delicatamente abbandonati sul cuscino le incorniciano il volto. Un brivido mi scende lungo la schiena. Non è più paura, bensì consapevolezza, consapevolezza che proteggerò la mia futura moglie a qualunque costo, ma ogni giorno che passa sono sempre più convinto che non dovrò più proteggerla da me.

Improvvisamente i suoi occhi si aprono e sorride guardandomi.

«Sei ancora sveglio?» chiede, allungandosi.

«Stavo riflettendo su quanto mi senta completo e felice quando sono con te. La futura signora Hoffman.»

Solleva il volto guardandomi. «Lenoir Hoffman, suona bene», dice facendo una smorfia.

«Sei certa di voler stare con me. Sapendo chi sono, chi sono veramente, vuoi comunque diventare mia moglie?»

«Io voglio diventare tua moglie» dice con naturalezza, senza alcuna esitazione. «So che sei stato danneggiato, ma ti voglio lo stesso. E non voglio nemmeno aggiustarti. Ti voglio solo così come sei, istintivo, irascibile, e... adorabile». Un sorriso le illumina il volto e gli occhi riflettono la luce della luna che attraversa la vetrata. «Voglio il vero te, il te oscuro, quello che mi ha lasciata, quello che mi ha reso triste più di chiunque altro, ma anche più felice di quanto non sia mai stata».

La bacio e le sue labbra, sono calde, morbide, mie. Mi alzo, le prendo la mano e lei, cazzo, prende la mia.

«Avevamo entrambi bisogno di tempo? Dovevamo riorganizzare le nostre vite? Toccare il fondo? Bé, non lo so. L'unica cosa di cui sono certa è che, appena possibile vorrò diventare la signora Hoffman e trascorrere con te il resto della mia vita».

E questa è la vera bellezza di Lenoir: è forte, è consapevole ed è certa di cosa sia giusto o meno nel suo mondo.

E io voglio farne parte.

«Ti amo», dice sorridendo come la ragazza che cinque anni fa mi ha permesso di entrare nella sua camera d'albergo.

«Ti ho amato prima io». La provoco, come il ragazzo che ha sempre saputo, in fondo al suo cuore, che lei, era irresistibilmente sua.

Si avvicina e mi bacia, portando la sua mano sinistra sulla mia guancia. »Io e te, facciamo parte di un unico destino».

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