25. Lenoir

Nel momento esatto in cui ho abbassato l'asciugamano e sono rimasta nuda davanti a lui, ho veramente pensato che i suoi occhi potessero infuocarsi. E quello che è accaduto nei venti minuti successivi ha fatto infuocare anche me. Lascio ricadere la testa sul cuscino mentre con una mano gioca con il mio seno stuzzicandolo delicatamente con la punta delle dita. Si sposta con le mani lungo i miei fianchi poggiando successivamente il volto sul ventre. «Mi hai fatto venire fame» dice. Qualche secondo più tardi sono completamente nuda davanti a lui in cucina. I suoi occhi vagano sul mio corpo quando mi solleva poggiandomi sul tavolo, mettendosi tra le mie gambe. «Ogni volta riesci a togliermi il respiro» dice, poggiando le labbra sulla mia spalla mentre spingo indietro i capelli. «Non ho mai desiderato nessuna quanto voglio te.» Mi prende una gamba e la piega, mettendomi il piede sul tavolo e fa lo stesso con l'altro, finché non sono completamente esposta per lui. Fa scorrere l'indice lungo il mio collo, scende sul ventre e attraversa il clitoride. «Sei ancora bagnata.» I suoi movimenti e le sue parole mi fanno rabbrividire fino all'anima.

Abbasso lo sguardo e vedo che ha in mano il suo uccello e lo sta massaggiando lentamente.

Inclino la testa indietro e il sedere lievemente in avanti mentre i piedi sono ben puntati sul tavolo. Avvicina la fronte al mio petto e strofina la punta su e giù, bagnandola, la posiziona sul mio ingresso e scivola dentro facilmente. Alziamo lo sguardo all'unisono e ci baciamo con violenza mentre il suo pisello entra fino alla radice. I miei seni si muovono ad ogni suo singolo colpo mentre sento dentro di me crescere di nuovo il piacere, distendo la schiena sul tavolo quando Rudy afferra i miei fianchi e aumenta le spinte. Il punto G è costantemente solleticato dal suo pisello e il clitoride grida ad ogni suo affondo. Non riesco a smettere di guardarlo, il suo corpo caldo sopra di me è stupendo.

«Lenoir» sibila, stringendo forte le mie mani e afferrando con i denti un capezzolo.

«Non riesco a essere lento e dolce con te.»

«Non mi piace lento» dico incontrando il suo sguardo, «e non sono dolce.»

Rimane fermo per qualche istante dentro di me e mi bacia. La sua lingua scivola sulla mia, ha fame di me.

«Non voglio farti male.»

«Non m'importa.» La mia voce è venata d'urgenza. «Sto per venire» dico quando capisco che anche lui è al culmine. Sento i brividi lungo le gambe mentre la mia vulva lo racchiude in una morsa. Arcuo la schiena quando lascia i miei fianchi per stringermi a sé e in quell'attimo l'orgasmo esplode. Emetto un prolungato gemito mentre Rudy si spinge del tutto dentro di me e quasi ruggendo lo sento pulsare e venire.

Bacio la vena che ha sul collo sentendo forte il battito del suo cuore. Senza dire una parola mi solleva, gli avvolgo le gambe attorno alla vita, per portarmi nuovamente a letto, quando suonano alla porta.

«Avevo ordinato la cena ma non credevo arrivassero così presto.» Osserva l'orologio sulla parete. «È passata più di un'ora?»

«Come vola il tempo» sussurro al suo orecchio solo dopo averlo morso.

Sciolgo le gambe dai suoi fianchi e con una mano lo blocco. «Vado io, rilassati.» Schiocco un bacio sulle sue labbra e indosso la camicia che ha distrattamente buttato su una poltrona, gli slip e corro a grandi falcate verso la porta. Non mi ha mollato un secondo con lo sguardo e indossando la sua camicia, ho di nuovo provocato una notevole erezione.

Quando raggiungo la porta Buio è di fianco a me, lo sposto mentre lego i capelli in una coda di cavallo e apro. Davanti ai miei occhi nessun fattorino, solo il procuratore di Rudy che, altrettanto esterrefatto, mi guarda a bocca aperta.

In silenzio indico la strada a Dino che non ha mai smesso di togliermi gli occhi di dosso. Nessuno dei due proferisce parola, solo Buio abbaia in modo goffo per poi tornare in cucina, io e lui sembriamo due bambini al gioco del silenzio.

«Ciao, Dino» sussurro con un filo di voce.

China la testa facendo un cenno con la mano ingoiando in modo troppo rumoroso. Non credo sia contento di vedermi, o meglio, non è felice di vedermi qui dentro e così svestita.

Rudy completamente nudo irrompe nella stanza togliendo ogni dubbio su cosa potessimo aver fatto prima del suo arrivo.

«Puoi vestirti» afferma in lieve imbarazzo «Mi fai sentire un troll.»

Mi copro la bocca per nascondere il sorriso fuori luogo. In effetti le fattezze di Dino sono proprio quelle di un troll e paragonarlo a quell'essere statuario è un confronto senza speranza per il piccoletto.

Appena Rudy torna con un paio di pantaloncini si siede osservandoci. «Ditemi che avete giocato a dadi, a poker, a carte, a qualsiasi cosa, cazzo!»

Rudy nega sorridendo.

«Cosa cazzo te ridi, mannaggia!» urla palesando, in un momento di rabbia, le sue origini. «Potevi scoparti il mondo interno, perché proprio lei?» Mi indica e quell'espressione mi irrita come non mai.

«Dino, stai zitto» lo riprende Rudy.

«Ti rendi conto che ti sei scopato, di nuovo, la figlia del mister e la sorella del tuo capitano con cui in passato hai avuto, diciamo così, delle divergenze?» Si mette le mani nei pochi capelli rimasti di lato alla testa. «E questa volta sapevi chi fosse!» Struscia il mento con una mano. «Se dovesse scoppiare un casino, col cazzo che ti paro il culo!»

Rudy a pochi passi da me sta stringendo i pugni e digrignando la mascella senza togliere gli occhi da Dino, ma non parla.

«È meglio che vada» sospiro affranta, «sono di troppo.»

Rudy distoglie lo sguardo da Dino e mi osserva.

Entro furente dentro la camera, mi strappo la sua camicia di dosso, infilo i miei abiti in tutta fretta, le scarpe con il tacco e scappo via senza salutare. Mentre percorro le scale Dino continua blaterando su come lo avesse riconosciuto, di spalle, dalla fotografia scattata davanti al bar un mese prima. Ad ogni rampa di scale le parole suonano sempre più lontane e il dolore al cuore sempre più forte. Scendendo ho udito "problema" e "scopata" troppe volte, e i miei occhi si sono riempiti di lacrime. Alzo lo sguardo verso l'enorme portone, in questo istante desidero ardentemente sbatterlo alle mie spalle e chiuderci all'interno Merola, Rudy e le sue scopate del cazzo.

Mi allontano sul marciapiede con una sensazione di nausea. Ciò di cui avevo paura è improvvisamente diventato così reale, non sono diversa dal suo mucchio di conquiste. Che illusa!

Dovevo immaginarlo è Rudy Hoffman.

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Piove e di taxi neppure l'ombra in questa stramaledettissima strada. Non ho un ombrello, indosso delle scarpe dal tacco vertiginoso che si incastrano nel pavé e vorrei disperatamente andarmene da qui. Stringo la giacca al petto per impedire al vento di perforarmi il costato. Finalmente un taxi fa capolino all'inizio della strada, nell'attimo esatto in cui alzo la mano sento gridare il mio nome. È Rudy, completamente bagnato, come me del resto, fortunatamente indossa felpa e pantaloni e non è nudo come l'ho lasciato all'interno del suo appartamento.

«Aspetta» grida, mentre il taxi mi passa di fianco senza possibilità di poterlo fermare.

Mi volto, non ho intenzione di parlare con lui, non voglio che veda gli occhi rossi e capisca quanto mi abbiano ferito le parole di Dino.

«Un taxi, per favoreee!» urlo a pieni polmoni, mentre un passante si volta, guardandomi perplesso.

Improvvisamente Rudy mi prende le spalle in una stretta fortissima, mi divincolo facendo un passo in avanti. «Vattene» dico perentoria.

«Ascoltami per un minuto» sospira, «un minuto e poi, se lo vorrai sparirò dalla tua vita.»

Completamente in silenzio e senza voltarmi deglutisco e stringo ancora più la giacca, ma non faccio un passo per andarmene.

«Dino è la mia famiglia, è l'unica persona che chiamo per gli auguri di Natale o se ho bisogno di un consiglio. Sono stato sulla vetta del mondo, ho vinto, stravinto, ma non ho mai coltivato affetti, nessuno mi ha mai insegnato come si fa né ho sentito il bisogno di averne.» Le lacrime mi scendono copiose sulle guance mentre lo ascolto. «L'unica persona che in tutti questi anni si è preoccupata per me è stato lui... non ha una laurea, non ha tatto e non riesce neppure a parlare in italiano ma lui si preoccupa per me» abbassa il tono di voce, «e ai suoi occhi tu potevi essere un potenziale problema, o meglio, così credeva.» Attende qualche secondo. «Fino al momento in cui ha capito che tu sei la mia salvezza.»

Istintivamente ruoto la faccia verso di lui e anche i suoi occhi sono arrossati, o meglio, uno è livido e semi chiuso e l'altro sull'orlo del tracollo. Si avvicina ancora di più e mi cinge i fianchi con le mani sussurrando all'orecchio. «Lenoir, è giusto che tu sappia che quella mattina, sì era mattina, ho desiderato dormire al tuo fianco, perché anche cinque anni fa, starti vicino mi faceva sentire sereno.» Sospira. «Ho visto il tuo tatuaggio con le prime luci dell'alba e credevo avessi un ragazzo, un fidanzato un... qualcuno, e ho provato un misto di paura e gelosia da sentire il bisogno di andarmene. Ma ho commesso un errore, un gravissimo errore. E oggi non m'importa quello a cui dovrò rinunciare o quanto dovrò lottare contro la tua famiglia, io ti voglio.»

Chino la testa in avanti. «Non voglio fidarmi di te. Non voglio toccare le stelle e sprofondare di nuovo nell'oblio. Questa volta non ne uscirei.»

Mi volta abbracciandomi a sé. «Me la sono filata una volta. Non sono così idiota da rifarlo.»

È bello sentirlo riconoscere ciò che ha fatto...

«E se io diventassi veramente la causa dei tuoi problemi?» sussurro chinando lo sguardo affranta.

«Non m'interessa. Non ho intenzione di perderti, Lenoir. Non rinunciamo a noi, solo per paura di fare un errore.» Mi stringe al petto.

«Perché non ho continuato a odiarti con tutta me stessa, perché?» dico singhiozzando.

Con una mano accarezza i miei capelli ormai fradici. «Perché siamo fatti l'uno per l'altra, nati entrambi il giorno di una finale del mondiale di calcio.»

Mi strappa un sorriso.

«Conosco una persona che crede molto in queste fatalità» insiste baciandomi la fronte. «Scienziati di non so quale università stanno studiando quanto le coincidenze possano influire nella vita quotidiana.»

Con l'indice mi alza il mento. «Lenoir Leone, rimani con me. Ti prego, resta e cercherò di essere degno di te, anche se non so esattamente se merito la stupenda donna che ho davanti.»

Il suo bacio è dolce e delicato come se stesse assaporando ogni singolo secondo, poi con una mano mi sposta di fianco, si china e mi prende in braccio e in quello stesso istante ogni dubbio scompare.

Siamo immobili, sotto la pioggia, bagnati e stretti, quasi con la paura che l'altra persona possa sparire da un momento all'altro.

«Portami da te» sussurro.

«Come desideri, principessa.»

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