Prologo
Aveva promesso sangue, ma il pugnale non era affondato nel collo e il momento di pagare pegno era arrivato.
Il fumo delle torce bruciava gli occhi, riempiva l'aria e aveva annerito i muri delle catacombe: strisce nere si alzavano fin quasi all'arco di volta, a distanze regolari, una sorta di ombre immobili.
«Maestà, ma...» La voce di Rachel fu quasi impercettibile, tra passi che rimbombavano e l'eco che finiva per infrangersi contro i mattoni e il terreno ricoperto di polvere e cenere.
Selah alzò una mano: non voleva sentire altri ma. Non da Rachel, per lo meno. Era l'ultima persona che avrebbe dovuto parlare e poco le importava se, per una volta si riempiva la bocca del titolo: non c'era la stessa soddisfazione di quando era Katherine a pronunciarlo. E soprattutto non dopo che la principessa le aveva tolto una soddisfazione.
Ma almeno la Voragine avrebbe pagato, che le colpe esistessero o meno.
L'idea che da lì a pochi giorni avrebbe potuto ripulire Vexhaben dall'ultima parte di magia libera la fece sorridere.
«Io volevo solo sapere perché non sono ancora morta».
Selah si fermò, si piegò sulle ginocchia e appoggiò le dita sul terreno; quando si rimise in piedi, i polpastrelli erano macchiati di nero.
«Colpa... o merito di Katherine» le rispose accarezzandole una guancia Era viva solo perché la politica l'aveva permesso, solo perché Katherine si era intromessa. «Ma poco importa. A volte morire è un destino migliore. E questa volta non ci sarà nessuna arena».
Rachel piegò la testa dalla parte opposta. Due strisciate nere interrompevano il pallore della pelle. Non le avrebbe dato un'altra occasione di fuggire.
Tornò a guardare nell'altra direzione, riprendendo a camminare. Portò la mano sul pugnale alla cintura, stringendo più volte il manico. «Sanguis ut ignis rosa gratia» mormorò.
Le lanciò un'occhiata da sopra la spalla: sembrava rassegnata al suo destino, che si fosse convinta che l'aveva trascinata in quella cripta solo per ucciderla.
Zoppicava e faceva fatica a tenere il passo; teneva una mano stretta sul fianco, dove la benda era di nuova intrisa di sangue. I bracciali di astalt catturavano la luce delle torce, brillando con la sua andatura. Avrebbe voluto chiederle quanto faceva male avere a disposizione tutto quel fuoco intorno e non poterlo usare.
Ed erano da sole. In altri momenti, avrebbe potuto decidere cosa fare di lei e se non ci fosse stato quel veto di mezzo, l'avrebbe lasciata morire sull'altare di Idall.
In altri... ingoiò la saliva, spostando appena il colletto della giacca. Non c'era mai stato un contorno alle visioni: era tutto sfumato, se non il contatto tra loro.
Svoltò in un corridoio sulla destra, fermandosi pochi passi dopo, nello slargo davanti all'altare. Quando ci fu vicino, appoggiò una mano sul drappo di stoffa bianca che lo copriva. Alzò lo sguardò verso la statua di Idall, mormorando: «Sanguis ut ignis rosa gratia». Tornò a guardare Rachel, ferma il più distante possibile da lei.
«Vieni qui» estraendo il pugnale dalla custodia. «Non ho intenzione di ucciderti, ho solo bisogno del tuo sangue».
«E questo... come potrebbe rassicurarmi?»
«Vieni qui» ripeté rigirando la lama tra le mani.
Non appena le fu vicina, le afferrò il braccio bloccandoglielo sull'altare. Abbassò lo sguardo su di lei, serrando le labbra.
«Voglio ucciderti, ma non posso. Ti assicuro che quel giorno arriverà». Appoggiò la lama sulla pelle, affondandola con lentezza. Il lamento di dolore di Rachel la fece sorridere. «Feccia».
Nota di traduzione:
Sanguis ut ignis rosa gratia: Sangue come favore per la rosa di fuoco
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