Capitolo X

Selah spostò lo sguardo su ognuno dei presenti: Katherine fissava fuori dalla finestra, come se la riunione non le interessasse più. Aveva in mente chissà cosa e un peso di resposabilità che forse non sarebbe stata in grado di reggere. L'aveva quasi lasciata scherzare per tutto il tempo in cui si trattava della Voragine, ma con Ethor... avrebbe dovuto dimostrare che alla fine i soldi della sua educazione erano stati ben spesi. Pochi la fissavano, la maggioranza sfogliava i documenti davanti a sé e, di tanto in tanto, lanciava un'occhiata in giro, in un vano tentativo di evitare d'incrociare lo sguardo.

George tamburellava sul tavolo e reggeva la testa con l'altra mano, le labbra serrate.

Aveva seguito le orme del padre, cercato di rimandare la questione il più possibile e ora ne pagava le conseguenze: se non fosse stato per Gabes, Ethor sarebbe stata la prima cosa da affrontare nel loro regno.

Scosse la testa, portò le mani dietro la schiena e percorse quel poco che la separava dal cesto indicato da Katherine.

Quella notizia le aveva scombussolato tutti i piani: si era illusa di avere più tempo, di poter perfezionare i dettagli, ma no.

Non poteva farne nemmeno una colpa a Katherine.

L'unico che aveva una qualche responsabilità era il sovrano di Ethor: se non aveva avuto il coraggio di far affrontare la questione dai suoi delegati, in guerra sarebbe scappato alla prima occasione.

Il rotolo che aveva indicato la principessa troneggiava sugli altri. Infilò la mano nel mucchio e ne tirò su uno a caso; la carta frusciò e ruppe il silenzio che era tornato.

George non si sarebbe smosso dalla via della prudenza per il momento, Katherine si sarebbe illusa sulla diplomazia.

Li avrebbe lasciati nella loro bolla, se proprio li faceva stare meglio.

Eppure, era la stessa strada che non aveva portato sviluppi significativi con Ethor. Avrebbero dovuto già aver capito che la soluzione migliore sarebbe stato lasciato fare a lei.

A spezzare il silenzio c'era solo l'eco dei propri passi. Si soffermò un attimo a osservare i riflessi arcobaleno della luce sul pavimento: sarebbe stata un'ottima giornata per dichiarare guerra a Ethor. Non c'era una nuova in cielo, l'azzurro risplendeva limpido in alto. I versi degli uccelli arrivavano attutiti, lasciavano intendere che la stagione più fredda era sempre lì.

Si fermò a pochi passi dal tavolo, srotolò la mappa, infilò la mano nella tasca e tirò fuori un accendino. Lo accese e lo avvicinò a un angolo. Alla fiamma servì un istante per avvolgere la carta e mangiarsela, tra i mormorii dei presenti.

«Questo». La lasciò cadere a terra quando arrivò a metà. «Questo è il destino che Ethor si merita. Non la diplomazia, non... la pietà».

Portò le mani dietro la schiena e fissò i ministri, uno dopo l'altro. Gli sguardi si alternavano tra lei e la mappa in fiamme sul pavimento, con la paura che il fuoco potesse spargersi. Ma si sarebbe esaurito lì: intorno c'era solo il marmo, niente tende o stendardi o tavoli a cui attaccarsi.

«La stessa pietà fornita alla Voragine?»

Katherine spostò i capelli neri sulla spalla. Non la guardava, continuava a fissare le punte.

Diversi sguardi si alternarono tra lei e la principessa.

«Non è il momento adatto a parlarne. È bene che tu capisca che alcune cose non potranno essere cambiate. Tornando a Ethor, è vero che una... mossa del genere ci può fornire il tempo necessario a organizzarci».

«Ma non è la Voragine. Non possiamo attaccare senza un motivo valido».

«Se per questo, nemmeno aspettare che siano loro ad attaccare noi». Si appoggiò con entrambe le mani al bordo del tavolo, fissando Katherine. «Non ho intenzione di dichiarare guerra prima del necessario, ogni ritardo nell'organizzazione potrebbe costarci territori, uomini e mezzi. Ma se a preoccuparti è il tuo matrimonio... ne terrò di conto nei confronti di Datchery».

Katherine serrò le labbra e distolse lo sguardo.

Avrebbe voluto chiederle cosa pensava di poter fare sulla questione.

Scosse la testa, a scacciare il pensiero. Non era il momento di focalizzarsi sulla principessa quando c'erano altre questioni di mezzo.

«Bene, torniamo a noi». Selah strinse una mano nell'altra. «L'ultimo attacco alla Voragine è stato la conclusione di un piano nato quattro anni fa».

Quasi tutti annuirono con un cenno della testa e solo Katherine alzò una mano.

«Perché ho il sospetto di essere l'unica persona in questa stanza a non sapere di cosa si tratta?»

«Perché allora non eri abbastanza importante».

«Ma se adesso lo sono, gradirei una spiegazione».

Selah si accarezzò il mento: fin da subito il governo era stato concorde nel nascondere a Katherine la verità, il vero perché di tutti gli attacchi contro la magia. Ma tenerla ancora all'oscuro avrebbe solo portato ad allargare la frattura tra loro e non poteva permetterselo, non per quello che era collegato a Ethor.

«L'obiettivo finale non era eliminare la magia. Era eliminare le persone... inutili. Non abbiamo bisogno di chi, da patetico, ha preferito la morte al combattere».

Katherine abbassò la mano di scatto. Fissava il vuoto, con le labbra serrate e la fronte appena aggrottata. Ma anche se avrebbe cercato di rimettere insieme i pezzi del passato sarebbe stato troppo tardi.

«Ora, Weller ha già ricevuto l'ordine... da un paio di mesi, a dir la verità, ma solo pochi giorni fa hanno trovato un prototipo che possa funzionare. Si tratta di un'arma che permetterebbe alla magia di essere ancora più distruttiva. Ammetto che avrei voluto avere il tempo dalla nostra, ma nel caso estremo può essere comunque essere utile. Mi basta che sia usabile, non che sia perfetta».

Fissò tutti i ministri, uno dopo l'altro, e alla fine si fermò su Katherine: forse il mondo le sarebbe ancora crollato intorno se non sapeva che buona parte della responsabilità fosse stata delegata ad Arthur.

«Per quanto riguarda la sicurezza del regno, ho intenzione di rafforzare le linee difensive sul confine, soprattutto nelle regioni da cui è più probabile un attacco da Ethor. Se i Dankworth accetteranno, come speriamo, di ospitare l'incontro a Jelas, manderò soldati a controllare che sia tutto a posto. Ci sono domande?»

«Solo una, Maestà: dovremmo alzare le tasse? Il popolo potrebbe prenderla male considerando le ultime feste e un futuro matrimonio...» Kipps si asciugò la fronte con un fazzoletto, poi sfogliò alcuni documenti.

«Valuteremo in futuro, per il momento no» rispose George. «Se sarà necessario faremo anche tagli alla vite a corte».

Kipps annuì con un cenno della testa. «Al momento le finanze sono abbastanza per un aumento di spese nell'esercito. In caso di conflitto, potrebbero non esserlo. Volevo solo avvisare, prima che possa essere troppo tardi».

«È stata una decisione saggia».

«Sui costi del matrimonio ci aggiorneremo».

«Non ho fretta. Se dovesse essere un vantaggio per il regno, sono disposta ad aspettare». La voce di Katherine era bassa, appena udibile.

«No». Spostò lo sguardo sul fratello. «Il matrimonio si farà, comunque si evolva la situazione. Può servire a distrarre dalla guerra. Proseguiamo con quanto necessario adesso».

***

Selah reclinò la testa e si appoggiò sulla spalla di George. La coperta di lana che copriva entrambi non era abbastanza a vincere il freddo della sera. Erano poche le stelle che brillavano in cielo, ancora era troppo presto. Ma non era sicura che avrebbe potuto reggere fino al momento in cui la volta sarebbe stata puntellata ovunque. Era arrivata al punto di voler chiudere gli occhi e aspettare il giorno successivo: le cose sarebbero sembrate meno storte all'alba.

Quella strana tranquillità le ricordava le prime serate trascorse insieme, quando George non faceva altro che parlare delle costellazioni e metteva da parte la solita maschera di apatia.

Ma non c'era la sua voce a spezzare il silenzio, la minaccia della guerra continuava ad aleggiare intorno a loro e quella giornata era sembrata fin troppo lunga, a una certa non era stata nemmeno sicura di vedere la fine della riunione. L'idea che ogni precauzione non sarebbe stata abbastanza era già scemata: avrebbe fatto il possibile per assicurare la migliore difesa a Vexhaben e in caso di conflitto gettare le basi per la vittoria.

Quello, con la coperta sulle spalle e le braccia di George intorno al corpo, era stato il primo momento in cui le era sembrato possibile riprendere fiato.

«Sembri avere tutto sotto controllo, ma... per cosa vorresti dichiarare guerra? Per essersi comportati come dei bastardi?»

Selah sospirò: non aveva affatto voglia di riprendere il discorso con George. Ma rimandarlo sarebbe stato peggio.

«Fosse per quello, sarei in guerra con tua sorella da anni». Si voltò e, una volta faccia a faccia con George, gli circondò il collo con le braccia. «Ma no. Non è una motivazione abbastanza forte. Alla fine, il tracciato fino a prima delle montagne dell'Exval è finito. Potremmo conquistare solo quella regione - quanto basta per unire».

«Lo so che non sarà solo quella» rispose George appoggiando la fronte sulla sua. «Non voglio fermare la guerra, voglio solo che abbia...»

Selah gli mise un dito sulle labbra.

«Una motivazione si trova sempre. Se non c'è, si può creare. Dammi tempo. Lo sai quanto detesti avere i piani buttati all'aria, ho solo bisogno di organizzarmi».

George le strinse le dita e le baciò il palmo. «Nessuno si aspettava una tale mossa. Ora sarà difficile convincere Katherine a non mandare all'aria il suo fidanzamento».

Selah sospirò: l'ultima cosa che mancava era uno scandalo del genere. «La tua idea non è male, distrarre il popolo è un'ottima cosa. Ma perché dovrebbe farlo?»

«Perché... non so come, si è convinta che un matrimonio con l'erede di Ethor potesse essere una buona idea».

Selah aggrottò la fronte: anche a costo di buttarla in prigione, l'avrebbe tenuta a Vehaben. Non poteva permetterle una tale mossa. Avrebbe distrutto ogni piano che si erano creati: non aveva aspettato così tanto per vedersi rovinare la vita dalla principessa.

«Forse. Finché non entrano nel mezzo altri interessi politici. E poi, non eri tu a voler usare tua sorella come mossa politica?»

«Sì... e no. So che nostra madre non l'avrebbe mai voluto. Quella era solo un'idea venuta fuori sul momento, ma odierei l'idea di vederla dividere la vita con qualcuno da Crohull».

Annuì con un cenno della testa: per quanto sarebbe stata felice di togliersi Katherine di torno, sarebbero stati in pochi a considerare quell'unione una buona idea.

E doveva ammettere che il lavoro che era riuscita a fare non era stato niente male - anche se c'era un doppio fine di Ethor dietro.

«I rapporti sono buoni al momento, ci sono altri modi per rafforzare le alleanze oltre ai matrimoni. E Arthur è un bravo ragazzo, anche un buon partito».

«In diversi la considerano una proposta affrettata, come se ci fosse qualcosa dietro. E non parlo sono di Ethor. Qual è la verità che nascondi?»

George ridacchiò appena. «Mi ha solo promesso di lasciarmi vincere a scacchi per due mesi».

«Così non migliorerai mai la tua strategia».

«Forse è vero». George spostò una mano dietro la sua nuca e le diede un bacio sulla fronte. «Ma a Vexhaben serve un erede. Arthur avrebbe anche aspettato, sono stato io a spingere. Ma se la situazione è questa non possiamo permetterci di aspettare altri quattro anni per un matrimonio».

Lasciare il regno senza eredi, in balia delle mire di qualche nobile qualsiasi, non era la situazione migliore. Per quanto poteva sembrare uno sviluppo affrettato, il senso c'era e lo condivideva.

«Una cosa alla volta. Sistemeremo tutto, come abbiamo fatto con la Voragine».

Avrebbe dovuto dirgli che era una bugia, che solo pochi giorni prima aveva rimescolato tutto quanto. Serrò le labbra e si promise che mai né avrebbe parlato con George e mai avrebbe ceduto di nuovo a quella tentazione.

«Non voglio distrarti dalla guerra e pensavo fosse la soluzione migliore. Noi... noi ci penseremo quando tutto sarà finito».

Selah appoggiò le labbra su quelle del marito. Ne avevano parlato a sufficienza, ma l'ultima cosa che voleva era affrontare anche quel discorso.

Concordava con la logica di George. Avrebbe rafforzato la loro posizione interna, dato un motivo per continuare a combattere anche nei momenti più bui.

In tutto ciò, però, non era sicura che Katherine fosse al corrente del secondo fine se aveva già iniziato a tirare indietro sul proprio matrimonio. Non sarebbe stata altro che propaganda.

«Quindi pensi che scoppierà davvero? Che possiamo saltare l'idea di Katherine?»

«No. Ho inviato un messaggio a Crohull subito dopo l'incontro con i Dankworth. Vedremo come andrà, ma non voglio precludere la strada alla diplomazia».

«Io voglio solo vedere Crohull bruciare...» mormorò Selah.

George le diede un bacio sui capelli. «Lo so. E lo farai».

«E di cosa parleremo all'incontro?»

«Potrai dichiarare guerra a Jules di persona».

Selah ridacchiò e appoggiò la fronte sul petto di George. «Quindi sarebbe tutta una farsa. Lo dovevo immaginare».

«Mi aspetto una risposta in tempi brevi, se accetteranno, discuteremo allora di cosa parlare. Per il momento possiamo pensare a noi».

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