Capitolo VII

Miriam saltò l'ultimo scalino per scendere dalla corriera. Non sapeva nemmeno da cosa derivasse quell'eccitazione che si andava a mischiare all'ansia. Selah l'aveva messa con le spalle al muro, ma non aveva certo intenzione di bruciarsi l'opportunità che le era caduta addosso.

Strinse le mani sulla tracolla della borsa, poi si infilò nella folla nel vicolo: senza le bancarelle dei venditori di geris, sembrava più largo. E più puzzolente, senza l'odore di vaniglia a riempire le narici.

Si fermò a riprendere fiato alla fine, quando si allargava sulla piazza antistante al cancello di ingresso al palazzo, l'unico punto in cui non riceveva gomitate.

Due soldati erano di guardia, uno per lato, i volti nascosti dall'ombra dei cappelli con la piuma bianca.

Infilò la mano nella borsa, stringendo tra le dita la lettera firmata da Selah. Sarebbe stata abbastanza per non avere domande da parte loro.

«Miriam!»

Si guardò intorno, certa di essere stata chiamata, ma ne ebbe la certezza solo quando notò Arthur venirle incontro agitando una mano.

Gli sorrise e mosse qualche passo nella sua direzione.

«Che ci fai qua?»

Tirò fuori la lettera, pur consapevole che Arthur non si sarebbe risparmiato dal ficcare il naso nei suoi affari. Ma era una delle poche persone di cui si fidava a cui avrebbe potuto chiedere informazioni.

Lui se la rigirò tra le mani e aggrottò la fronte prima di tornare a guardarla.

«Sai di che si tratta?»

Miriam scosse la testa. «Me l'ha detto alla festa, o meglio. Lì mi ha offerto il lavoro, ma non so i dettagli. A dir la verità, non so nemmeno di cosa si tratta in generale. La lettera è arrivata ieri».

«Davvero? Mi era sfuggito».

«Forse ­– e sottolineo forse – perché è successo mentre non c'eri e dopo non era l'argomento più adatto alla festa. Soprattutto dopo la tua... trovata. Non facevano altro che parlare di voi sulla corriera».

Arthur si tolse il cappello e si passò una mano tra i capelli. «Almeno parlano di altro che non sia il mio ritardo. E a questo proposito...» Tolse l'orologio dalla tasca e lo aprì. «Sarà meglio andare, prima di esserlo di nuovo. E stavolta non ho scuse che tengano».

«Stessa strada?»

Arthur si guardò intorno, poi le fece cenno di avviarsi. «Ti rispondo meglio tra poco, ma sì».

Attraversarono la piazza e si avviarono lungo il viale in silenzio: la stagione autunnale continuava con le sue fluttuazioni di tempo e la sciarpa per cui Caroline aveva tanto insistito iniziava a dare fastidio. Miriam se la tolse e la legò alla borsa.

Arthur procedeva con le mani nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo fisso davanti a sé e le labbra serrate, come se stesse aspettando il momento giusto per dirle qualcosa.

Solo quando furono abbastanza lontani dal cancello Arthur parlò di nuovo. «Ho avuto una promozione. Sono colonnello ora. Dice perché Bowyer va in pensione e Selah vedeva... male il grado di capitano per spostare Katherine».

«Oh, dici sul serio?» Miriam lo colpì sul braccio con un pugno. «Hai avuto una giornata di fortuna».

«Non proprio, sono aumentate le responsabilità». Si grattò una guancia. «Tra cui questo progetto».

«Sì, ma di cosa si tratta? L'unica cosa che so è che c'entra la magia».

«Oh, Selah vuole solo nuove armi. Sai, se dovesse scoppiare la guerra con Ethor...»

Miriam si fermò per un attimo. La possibilità c'era sempre stata: la minaccia di Ethor, seppur nascosta, non era mai passata. E la Voragine non rappresentava più un problema, nessun altro punto nel regno doveva ancora una bolla di magia. Non c'era niente che potesse bloccare Selah dal dichiarare guerra.

«Perché? Dare fuoco non era già abbastanza?»

Arthur si lasciò scappare una risata. «Non si sa mai, meglio avere precauzioni in più».

Aveva ancora una speranza che non fosse vero, ma Arthur sembrava sincero e il motivo per cui Selah non voleva parlarne alla festa.

Miriam annuì, poi fissò lo sguardo davanti a sé: gli abeti ai lati del viale li accompagnavano con le loro ombre inclinate e allungate verso destra. L'aveva ormai percorso tante volte, ma senza le fiaccole accese c'era un'atmosfera diversa, la consapevolezza di non essere lì per divertimento, ma per lavoro. Selah aveva trovato la punizione giusta per lei: usare la magia per il bene di Vexhaben, ma in guerra.

«La guerra è già scoppiata?»

«No, ma il rischio è alto. La diplomazia non sta funzionando e non ho nemmeno idea di come verrà accolta la notizia di un altro matrimonio».

«Mh?»

Arthur si fermò e si stropicciò gli occhi. «L'estrema risorsa della diplomazia era un matrimonio tra Kate e qualche principe dei regni confinanti. E, pubblicamente, i tempi sembrano affrettati. Come se volessimo... correre ai ripari».

«Cielo, che casino che è la politica».

«E ancora sono solo ipotesi. Ho il sospetto di aver fatto arrabbiare diverse persone oltre confine».

«Puoi fare come Reginald quando dà sui nervi a mia madre: chiedere scusa all'ora di pranzo mettendo su la faccia più adorabile che riesci a fare».

«Per tutti gli dei, smettila di parlare del tuo gatto come se fosse una persona».

«È il modo migliore per togliersi gli scocciatori di torno» rispose alzando le spalle. Aveva confuso Rachel, aveva funzionato al ballo del compleanno di Katherine e iniziava a dare sui nervi ad Arthur: ormai era una teoria ben testata.

«Posso immaginarlo».

Arthur rimase in silenzio finché non si fermò sul secondo gradino della scalinata d'ingresso.

«E senti, non ne abbiamo mai parlato, ma c'è una questione che è rimasta... a metà?»

Miriam gli appoggiò una mano sul braccio. «Mh? Quale?»

«Mi dispiace per averti trascinato a palazzo quando sei tornata».

«Non ce l'ho mai avuta con te. So che stavi facendo il tuo dovere e che ero dalla parte sbagliata. Non mettere la tua carriera a rischio solo in nome della nostra amicizia».

Arthur annuì con un cenno della testa. «Grazie di capire. Libera di dire a chiunque che Reginald è più intelligente di me».

«Con piacere. Un matrimonio reale non ti salverà dalle voci di confronto sul mio gatto».

«Andiamo. Che oggi possono farmi pagare il ritardo e, detto tra noi, non ho voglia di ritrovarmi nel mezzo delle ire di Selah».

La realizzazione che non poteva più tornare indietro senza giocarsi la reputazione la colpì all'ultimo scalino. Non si trattava più di un ballo in cui poteva passare in secondo piano, era un lavoro richiesto dalla regina in persona, la lettera nella borsa era lì a ricordaglielo.

Seguì Arthur oltre il portone e subito a destra, verso un'ala che si allontanava dalla scalinata principale. Strinse le mani sulla tracolla e si impose di proseguire a testa alta: non c'era nessun motivo – per il momento – per cui dovesse vergognarsi del medaglione sul petto.

Il corridoio proseguiva affacciandosi sulla serra interna: oltre le finestre avevano già fatto la loro comparsa alcuni alberi, messi al sicuro dalle prime ghiacciate che non avrebbero tardato ad arrivare. La luce del sole che filtrava tra i vetri di tanto in tanto creava riflessi arcobaleno sulle mattonelle di marmo, le cui venature cambiavano da mattonella a mattonella; allo svoltare di un angolo cambiò in mattonelle di cotto.

Rivolse un piccolo sorriso a tutti quelli che incrociavano, per lo più ufficiali militari, più impegnati a guardare i propri documenti che dare loro attenzioni.

«Siamo arrivati» le disse fermandosi davanti a una porta.

Miriam si affacciò per dare un'occhiata all'interno.

«Sistemati su un qualsiasi sgabello, gli altri non dovrebbero tardare molto. Torno tra poco».

«Va bene, a dopo». Appoggiò una mano sullo stipite e si piegò appena indietro. «Se vedi Katherine dille che posso sistemare l'orologio appena ho finito qui».

«Sarà meglio, prima che mi butti giù dal letto pensando di essere in ritardo un'altra volta».

Miriam ridacchiò, scosse la testa e avanzò all'interno.

La luce che filtrava dalle finestre senza tende illuminava il pulviscolo nell'aria che si muoveva lento; l'odore di carta le riempì le narici. I fogli erano ovunque: sul tavolo più grande, nel centro, e su quelli più piccoli spinti verso la parete opposta. Gli sgabelli non erano ordinati, posizionati dove capitava.

Nelle librerie alle pareti erano ammassati plichi di documenti e altri fogli più grandi.

Sembrava esserci una logica nel caos.

Si sedette sul primo sgabello, lasciando dondolare le gambe. Non aveva idea di chi avrebbe dovuto aspettarsi: aveva idea solo del nome di Weller, ma non l'aveva mai visto.

Si voltò di scatto quando qualcuno oltrepassò la soglia.

La nuova arrivata, una giovane che sembrava poco più grande di lei, si fermò a squadrarla da capo a piedi pochi passi dopo.

Indossava la stessa divisa dei soldati – camicia bianca, pantaloni marroni e una giacca dello stesso colore, il cui colletto era chiuso da una spilla a forma di falena –, ma non c'era niente a indicare il grado; solo una fascia nera a stringere il braccio destro.

Teneva i capelli marroni raccolti in una coda alta che metteva in risalto il volto ovale. Non era una faccia del tutto nuova: doveva averla vista a qualche ballo, incrociato la sua vita senza mai entrarci.

Almeno fino a quel momento.

«Oh, tu sei... la nuova aggiunta?»

Miriam scivolò in piedi e le si avvicinò con la mano destra tesa verso di lei. «Immagino di sì. Mi chiamo Miriam Dankworth».

«Arianne Turner» rispose lei mentre gliela stringeva con discreta forza.

«Abbiamo avuto accenni che ci fosse qualcuno di nuovo, ma pensavo fosse uno scherzo di Datchery, ormai ne dice così tante che gli credo solo se lo vedo far qualcosa».

Arianne afferrò un plico di fogli e lo iniziò a sfogliare

Miriam strinse le mani al petto. «Conosci Arthur?»

«Se lo conosco? Mi limito solo a stracciarlo ogni volta che posso a gare di bevute. Tu che problema hai con lui? Ti ha battuto a carte? A scacchi?»

«A dir la verità, ha tentato di corteggiarmi per un'intera serata. E al ballo successivo ho provveduto a presentarlo alla principessa».

Arianne inclinò appena la testa.

«Oh. Toglimi un dubbio: è vero anche che ha una certa dose di responsabilità o l'ha solo detto tanto per aprire bocca?»

«Da quel che ho capito ce l'ha».

«Cielo, era meglio licenziarsi. È che... l'ho imparato a conoscere abbastanza grazie a mio fratello e non è proprio la persona a cui affiderei... roba del genere». Allargò un braccio e indicò il tavolo.

«Ha i suoi momenti da idiota, ma non è una cattiva persona. Ci tiene alla carriera, dubito si lascerebbe sfuggire un'occasione del genere».

«Soprattutto dopo la sua proposta di matrimonio. Non l'avrei detto capace di una cosa simile, ma... buon per lui».

«Be', immagino di sì». Miriam distolse lo sguardo da lei e tornò a sedersi sullo sgabello. Non aveva idea di come continuare la conversazione: se aveva ben inteso la famiglia doveva anche sapere voci su di lei. Su quanto strana fosse la propria famiglia.

Forse già pensava che il loro posto non era Vexhaben, che facevano meglio a starsene a Jelas.

Forse avevano ragione. Se fossero rimasti là non sarebbe successo niente. Avrebbe potuto evitarsi tutta quella situazione, forse anche non essere tenuta d'occhio dalla regina.

«Quindi com'è che sei finita qua? Se posso chiedere? Hai brillato negli esami all'accademia, come noi altri? Hai meriti scientifici che non ho sentito perché probabilmente ero a bere?»

Miriam alzò la testa di scatto: Arianne si era appoggiata a una libreria e la stava osservando con le braccia incrociate.

«No, niente accademia. Non l'ho frequentata, a dir la verità. Penso... penso sia per gli studi che ha portato avanti mio nonno sulla magia».

Si grattò una guancia: era sempre una parte di verità. Selah non mentiva a dire che la voce non si era sparsa. O forse lei era stata troppo ubriaca per capirlo.

Osservò Arianne muoversi per la stanza, afferrare cartelle a caso, sfogliarle e rimetterle a posto – come se stesse cercando qualcosa che non riusciva a trovare. La coda dondolava dietro a ogni passo.

Non aveva idea di cosa pensare di lei: era del tutto diversa dalle persone che era solita frequentare. Se tutti fossero stati come lei sopportare quel lavoro sarebbe stato difficile, avrebbe quasi preferito tornare a svolgere favori per Wiseman–Barling all'arena, come

«Lo immaginavo, non ti sembra di averti visto là. E non hai né la divisa dell'esercito né la fascia del corpo di ingegneria. Be', spero sia un'aggiunta utile la tua e non... l'ennesimo spreco di risorse. Tra poco ci chiederanno di portare il mare a Vexhaben... così, tanto perché la famiglia reale vuole divertirsi».

Miriam rimase in silenzio e spostò lo sguardo sulla porta: il chiacchiericcio nel corridoio si era fatto più forte, accompagnato da un'eco di passi.

Strinse una mano nell'altra, certa che il difficile stava per arrivare.

«Turner! Modera le parole, finirò per licenziarti un giorno o l'altro».

Una voce si impose sul mormorio che si fermò di colpo, mentre tutti gli occhi si posavano su di lei.

L'uomo doveva essere Weller. Si avvicinò al tavolo e ci appoggiò sopra altri fogli che portava arrotolati sottobraccio.

Si voltò poi verso Miriam e le sorrise.

Si avvicinò con una mano tesa verso di lei.

«Immagino tu sia Miriam. Simeon ha parlato tanto di te quand'eri piccola. Sei identica a lui».

Miriam gliela strinse e la pelle ruvida grattò contro il proprio palmo.

«Sarà un piacere lavorare con te».

«Lo... lo spero anche io» mormorò Miriam in risposta.

Weller estrasse un fazzoletto dal taschino della giacca e pulì il monocolo. Osservava gli altri prendere posto, togliere fascicoli dalla libreria e allargare i fogli sul tavolo. Due giovani avevano sistemato una lavagna davanti a una finestra e avevano iniziato a cancellare i vecchi calcoli.

«E voi, disgraziati, che avete da stare a fissare? Ve l'avevo già anticipato che avremmo avuto un'aggiunta alla squadra. Tornate al lavoro. Ci sarà tempo per le presentazioni».

Miriam sorrise d'istinto: non ci voleva molto a capire perché Selah si fidasse tanto di quell'uomo. Avevano lo stesso modo di lavorare.

Da una parte, però, gli era grata che potesse far spostare l'attenzione da lei al lavoro. Sapeva che alla prima pausa le sarebbero venuti addosso tutti con la loro curiosità.

Alzò lo sguardo quando sentì una mano appoggiarsi sulla sua schiena. «Se hai domande sul lavoro non esitare a chiedere. Posso capire se hai dubbi».

«Solo due al momento: di preciso, cos'è che si dovrebbe fare? E soprattutto, cosa ci faccio qui?»

«Solo tentare di costruire un'arma che possa usare la magia. E visto che si dice che tu ne sei pratica, sarebbe solo una perdita di tempo cercare di capire a fondo gli appunti di tuo nonno».

Miriam serrò le labbra. Il nonno si sarebbe rivoltato nella tomba a sentire quelle parole: non era il motivo per cui aveva studiato a fondo la magia. Ci vedeva una fonte di energia per Vexhaben, un modo per aiutare l'intero regno in periodo di pace.

Non per portare maggiore distruzione in guerra.

«C'è qualche problema?»

«Oh, no. Avrei solo preferito avere prima qualche informazione in più per non dover perdere troppo tempo oggi».

«Oh, non preoccuparti». Weller strinse appena la mano sulla spalla. «Avremmo tempo per sistemare i dettagli. La segretezza era solo per evitare che la voce arrivasse alle persone sbagliate».

«Mi spiace deludere le speranze». Si voltarono tutti verso Arthur, fermo sulla porta. Alle sue spalle faceva capolino un'altra ombra e Miriam si spostò di un passo, certa che si trattasse di Rachel. «Ma... diciamo che potrebbero esserci problemi con Ethor».

«Ci sono ordini da Sua Maestà?»

«Prima finite, meglio è. Farò sapere altro, quando arriveranno notizie alla fine della riuonione del governo».

Il mormorio risalì di colpo e Miriam si portò una mano alla bocca. Era il futuro che tutti avrebbero dovuto immaginarsi quando Selah era salita al trono.

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