Capitolo VI

Katherine incrociò le braccia: più continuava a guardarsi intorno e meno si sentiva tranquilla.

Arthur era sparito chissà dove, poco dopo la cena e senza una vera e propria spiegazione. Aveva mormorato di essersi dimenticato il regalo e niente era riuscito a convincerlo che non sarebbe stato un problema se gliel'avesse dato il giorno successivo.

Aver lasciato Miriam di nuovo con Selah non la rassicurava: era sicura che la regina non avrebbe fatto nulla in pubblico contro di lei, ma ciò non le impediva di iniziare a impastare qualcosa in cui non avrebbe potuto metterci le mani. Se non altro, per il tempo del brindisi, Miriam non aveva lasciato trasparire un bisogno di aiuto.

Si era svegliata con la speranza di passare una giornata tranquilla, di potersi distrarre per una volta, ma la corte ben presto le aveva fatto cambiare idea: prima l'insistenza di Selah, poi lo zelo dei nobili nel farle gli auguri e infine la dimenticanza di Arthur. Ci mancava solo che la delegazione di Ethor mettesse sul tavolo altri problemi.

Scoccò loro un'occhiataccia: le fasce azzurre sul petto li facevano risaltare nella folla, poi tornò accanto a George che le strinse una spalla.

Aveva passato anni nel centro della festa, l'unico giorno dell'anno in cui si poteva permettere di brillare di più del fratello, ma nulla in quel momento sembrava girare per il verso giusto.

Arthur non era lì e tutti avrebbero fatto domande sul perché, commenti su quanto fosse da irresponsabile abbandonarla così. Le voci avrebbero iniziato a girare ben presto.

E se non fosse tornato a breve, avrebbe avuto tra le mani un altro problema oltre alla ferrovia verso Crohull.

«Non è ancora tornato?»

«No».

«Cielo, che figura mi fa fare. Ma dov'è finito?»

Il fratello le appoggiò le mani sulle spalle. «Vedrai che avrà una motivazione valida».

Katherine strinse la radice del naso tra le dita e inspirò a fondo. «Voglio sperarlo. Perché a quanto pare non sono capace di tenere in piedi nessun tipo di relazione».

«Non è un irresponsabile».

«Cosa ti ha fatto per fartelo credere?»

«Mi ha lasciato vincere a scacchi».

«Forse perché era ubriaco. Sei il peggior giocatore del regno».

George scoppiò a ridere la strinse in un abbraccio e Katherine aggrottò la fronte: non erano da lui quei gesti d'affetto, forse era il vino o forse divideva la responsabilità con Arthur. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che l'aveva fatto, ma doveva ammettere che le era mancato.

Ricambiò l'abbraccio senza essere convinta che non fosse altro che una distrazione e si allontanò solo quando fu lui a lasciare la presa.

«Questa volta penso di dover essere io a farti gli auguri, principessa».

Si voltò di scatto e si sforzò di sorridere a Selah. Le offrì un altro bicchiere, poi si sistemò a fianco di George che le circondò la vita con un braccio e le diede un bacio sulla fronte.

«Grazie».

Guardò il bicchiere e prese un sorso di vino: almeno aveva qualcosa con cui distrarsi.

«Arthur non è ancora tornato?» L'avrebbe chiesto a tutti, anche ai vasi.

«No».

«Una mossa da vero idiota... ma ammetto che siete una bella coppia. Pareggia con la tua di fare da garante a Rachel».

Se la sua intenzione era provocarla, aveva sbagliato a non aggiungere un altro nome agli invitati. Avrebbe dovuto assumersi il rischio di averla di nuovo nella sala, forse ne sarebbe valsa la pena solo per vedere la faccia di Selah.

Katherine abbassò il bicchiere: se solo avesse indossato la divisa, poteva lasciarle una macchia di vino sulla giacca.

«Spero per lui ne valga la pena. Speravo di passare almeno una serata tranquilla, di distrarmi dai problemi nell'Exval, ma ogni conversazione va a finire su quello e non posso nemmeno lamentarmi troppo. La delegazione è in giro, non voglio vedere scoppiare la guerra per il mio compleanno».

«Sarebbe un bel regalo da parte di Ethor».

«Per te».

«Per quello potrei ringraziarti, per una volta». Selah le sorrise e Katherine aggrottò la fronte.

«Non so se è la cosa per cui lo vorrei» ribatté prima di prendere un altro sorso. Il sapore fruttato del Brulais le impastò la bocca. Avrebbe voluto la caraffa a disposizione, per poterselo riempire quante volte sarebbero state necessarie per sopportarla.

Il silenzio fra loro fu riempito dalla musica.

Se Arthur non fosse tornato a breve avrebbe potuto dichiarare un fallimento la serata. Fare una figuraccia di quel genere davanti a tutti l'avrebbe riportata a essere sulle bocche di tutti, cosa che, dopo il veto, avrebbe evitato volentieri.

Si voltò quando il mormorio alle sue spalle si fece abbastanza forte da vincere le note.

Gli invitati, ormai quasi al completo, si erano allargati, lasciando quanto bastava a far passare una persona.

«È...?»

«Sì, quello è il tuo idiota» continuò George.

Katherine gli passò il bicchiere ancora pieno, poi si avviò nella direzione di Arthur. Non sapeva nemmeno che dirgli, se arrabbiarsi con lui davanti a tutti o chiedere a Selah di tagliargli lo stipendio.

Si passò una mano tra i capelli, poi accennò a un inchino.

L'aveva visto fin troppe volte con indosso la divisa, ma ognuna era come la prima, quando Miriam gliel'aveva presentato. Troppo bello per restare arrabbiata con lui.

Ma la recita doveva continuare, almeno in pubblico.

Gli si fermò a pochi passi, incrociò le braccia e inclinò appena la testa. «Spero tu abbia un motivo valido».

«Lo so, lo so» rispose Arthur. Alzò le mani e il nastro argentato del pacchetto brillò per un attimo. «Sono un idiota, non ho bisogno che me lo ripeti».

Katherine sospirò, poi gli sorrise. «Se non altro, adesso tutta la corte lo sa».

«Pensavo fosse una cosa già nota».

Le si avvicinò, stringendo il pacchetto con entrambe le mani. «Ma immagino tu sia curiosa di cosa mi sia dimenticato di così importante».

«Il tuo cervello?»

Arthur coprì la distanza mancante e le strinse un braccio intorno alla vita e le diede un bacio sulla fronte. «Forse dovresti smettere con il vino, principessa. Non costringermi la lingua a tenerti impegnata in altro. La mia proposta di Gabes è sempre valida».

Avrebbe voluto avere tra le mani un ventaglio pur di togliersi il calore dalle guance. Giocherellò con la spilla che chiudeva il bavero, senza avere il coraggio di alzare gli occhi. La maschera dell'essere ancora arrabbiata sarebbe caduta in un attimo, distrutta dalla felicità di avere un problema in meno da risolvere.

«Era l'ultimo regalo che ti mancava a cena, aprilo ora». Rabbrividì quando la voce di Arthur le sfiorò l'orecchio.

«Vuoi davvero farmi scoprire se hai trovato il cervello?»

«Chiedimelo di nuovo e ti prometto che ti lascio da sola per il resto della serata».

«Lo so che non hai il coraggio di farlo»

«Potrei stupirti» le rispose prima di metterle in mano il pacchetto.

Katherine se lo rigirò tra le mani, guardò oltre la propria spalla per guardare George, ma scosse le spalle. Non le aveva nemmeno accennato cosa intendesse regalarle e nessuno si era lasciato sfuggire una parola – ancora non era convinta che il fratello fosse del tutto estraneo alla faccenda.

Sfilò il nastro argentato alzando lo sguardo su Arthur, che si passò un dito nel colletto.

«Che hai combinato stavolta?»

Arthur passò lo sguardo sulla folla e scosse appena la testa. «Aprilo e basta. Non possiamo stare ad aspettare».

«Un vero peccato che sia il mio compleanno, la mia festa...». Tolse anche la carta e la fece cadere a terra. «E divertente detto da te, visto che ho trattenuto la musica il più possibile per concederti il primo ballo».

Una parte di sé avrebbe voluto continuare con il tira e molla, vedere fino a che punto poteva portarlo; l'altra moriva dalla curiosità di sapere. E alla fine, fu la seconda a vincere.

Aprì appena la scatolina e fin da subito qualcosa brillò al suo interno. L'aprì del tutto e rimase a fissare le due foglie d'edera in oro. Odiava ammetterlo, ma Arthur era riuscito a stupirla.

Quando alzò lo sguardo, lui stava fissando il soffitto con aria falsamente distratta.

«Arthur».

«Mh? Oh, sì, giusto». Si passò una mano tra i capelli e accennò un sorriso. «Katherine, in nome di Xiais, vuoi sposarmi?»

***

Katherine distolse lo sguardo dagli ormai quasi del tutto spogli, complice l'inverno ormai imminente. Alcuni rami spiccavano contro il cielo, grigio come i giorni precedenti. Era quasi strano avere le candele accese per pranzo: i candelabri sul tavolo lanciavano riflessi giallastri sulle foglie d'edera, le cui basi erano circondate dai rami.

La stessa decorazione che aveva visto anni prima, quando era stato George a fare la proposta a Selah.

Avrebbe voluto chiedergli perché così presto, quando per la corte la prima volta in cui erano stati ufficialmente insieme era Gabes. Voleva reprimere l'idea che qualcosa bollisse sotto, qualcosa di cui ancora non era al corrente. L'idea che la guerra a Ethor fosse già stata dichiarata le fece stringere lo stomaco.

Sfilò il rametto d'oro dalla spilla e se lo rigirò tra le mani: le due foglie più in alto erano più grandi, portavano incisi da un lato i simboli delle famiglie – la falena e il papavero – e dall'altro le loro iniziali. Altre, più piccole, scendevano fino alla fine del gambo.

Alzò lo sguardo su Arthur che continuava a camminare nel mezzo della stanza, con la giacca ancora sbottonata. Girava intorno al tavolo, con la testa stretta tra le mani; di tanto in tanto fissava i bicchieri di cristallo e le posate d'argento, quasi volesse assicurarsi che fosse tutto al proprio posto.

Sembrava nervoso, come se avesse realizzato troppo tardi le consegue della sua proposta.

«Non dirmi che hai paura di mio fratello o di mio padre».

«Cosa? No, no. Nessuno dei due mi ha ucciso quando ho chiesto per il matrimonio» rispose lui. Si passò una mano tra i capelli e accennò un sorriso. «Penso di averla scampata, soprattutto dopo aver promesso a tuo fratello che l'avrei fatto vincere a scacchi».

Katherine stirò le labbra in un sorriso: le vittorie di George avevano acquisito senso d'un tratto. E non era perché il fratello aveva affinato la sua tecnica.

«La tua famiglia?»

«No. A dir la verità è stata mia madre a insistere per fare la proposta ieri sera. E a questo proposito, vuole organizzare una festa in nostro onore. Ti farò sapere i dettagli, ma non sarà nulla di che, ci saranno pochi invitati e tanto vino».

Katherine annuì. Se non altro, tutte le feste e i preparativi necessari le avrebbero fornito una distrazione dagli incontri con Ethor, anche se la nuova alba era arrivata e che venisse dichiarata guerra le importava poco.

«Quindi?»

«Posso dire che chi mi fa più paura è la regina?»

«Sarebbe strano il contrario».

Rimise il rametto d'oro nella spilla e gli si avvicinò. Cercò di dare un ordine ai ciuffi di Arthur, ribelli sulla fronte.

«Potevi anche darti una sistemata, prima di farmi fare un'altra figuraccia».

«Chi è che ha iniziato a dire di essere in ritardo?»

«Non è colpa mia se l'orologio di Miriam si è fermato e qualcuno non riusciva a svegliarsi».

«Quella era conseguenza di vino e del sesso» Arthur sorrise, poi le sfiorò le labbra in un bacio. «Avremo modo di recuperare il tempo perso stamani, principessa. Anche se ero convinto che volessi scappare».

«Perché dovrei?»

Le strinse le braccia intorno alla vita e la tirò a sé.

«Magari eri ubriaca e ti sei già pentita di avermi detto di sì».

Katherine lanciò uno sguardo alla porta. Voleva accertarsi che quelle parole non le si rivoltassero contro: con il veto a Embers rischiava già troppo.

«È ufficiale, mi sono innamorata di un idiota. Avrei dovuto ascoltare Miriam quando ha detto che hai la stessa intelligenza di Reginald»

«Potrei offendermi, se non sapessi fosse il gatto che ha preso di mira il nuovo divano di Caroline».

Arthur scoppiò a ridere e Katherine lo imitò.

«Se proprio lo vuoi sapere, l'unico sì di cui non so se pentirmi è stato accettare di fare il ministro per mio fratello».

«Allora sarà mio piacere farti dimenticare la politica».

Intrecciò le dita dietro il collo di Arthur.

«Mi hai già costretto a rimandare un incontro, immagino ne sarai contento».

«Come se non sapessi che avere una via di fuga ti rende felice... anche se è un pranzo in famiglia per cui siamo fin troppo in anticipo».

«Almeno hai il tempo di sistemarti la giacca». Katherine strinse i lembi tra le mani, poi sospirò. «A quella festa che dicevi... immagino ci saranno anche i Dankworth».

«Sì, perché?»

«Ho un favore da chiedere a Reynard e Caroline. Roba grossa per quanto riguarda l'Exval. Preferivo farlo... insomma, non con la delegazione di Ethor in giro».

Arthur le fece alzare il mento con due dita. «Puoi non pensare alla politica per mezza giornata?»

«Lo farei, se non si rischiasse il tracollo con Ethor. Se la regione dell'Exval non fosse una polveriera pronta a esplodere. Ho già parlato con mio fratello, il favore da chiedere è organizzare un incontro a Jelas».

«E pensi che ti dicano di no?»

«La mia speranza è il contrario» gli rispose chiudendo il primo bottone. «Se andasse tutto bene... sarebbe una grandissima vittoria».

«Io non ci conterei troppo, principessa».

Katherine sospirò e reclinò la testa.

La tranquillità era finita. Lasciò andare la stretta sulla giacca di Arthur e mosse qualche passo verso Selah. Sembrava che si fosse legata al dito quanto le aveva detto nella notte di Gabes: prima aveva tirato fuori il discorso di fare da garante a Rachel, poi, per il pranzo, aveva optato per la divisa militare.

Si era vestita come tanti altri pranzi e cene, quando ancora era una semplice conoscenza.

L'unica cosa che la distingueva nel suo ruolo era la fascia rossa e oro sul petto.

«Solo perché l'idea è stata mia? Eppure mi pare di essere stata quella che ha fatto più passi avanti in queste trattative».

«Non nego che sia buona, ma so che l'unico modo in cui io possa celebrare una grandissima vittoria sia con il vedere Crohull tra le fiamme».

Katherine sospirò, poi incrociò le mani davanti al ventre. «Quindi? Cos'è che vuoi?»

«A dir la verità, volevo parlare un attimo con Arthur, prima che arrivino gli invitati e il vino inizi a scorrere».

Arthur fece qualche passo avanti, si portò una mano sul petto e accennò un inchino. «Ditemi, Maestà. Spero non ci siano problemi».

«Oh, no. No. Selah sorrise. «Riguarda il tuo grado».

«Se si tratta del ritardo di ieri sera, prometto che non si ripeterà. È stata una dimenticanza imperdonabile da parte mia, ma il nervosismo mi ha giocato un brutto scherzo e giuro, giuro su Kurais ch–».

«No» lo interruppe Selah. Congiunse i palmi all'altezza del petto. «È un ritardo di cui nessuno ti incolpa – per una volta. È una questione diversa e forse prematura per oggi. Trovo solo che il grado di capitano... stoni, per un matrimonio con una principessa. Vorrei promuoverti a colonnello».

Arthur si passò una mano tra i capelli. «Maestà, io...»

«Non devi darmi una risposta oggi. Puoi pensarci».

«Cosa c'è sotto?» Katherine aggrottò la fronte. «Cos'è che vuoi stavolta?»

«Principessa, perché devi essere sempre così sospettosa? Ho solo offerto una promozione al tuo futuro sposo. Sia per il matrimonio sia per il suo contributo a Embers. Se non fosse stato per lui la festa poteva andare molto, molto peggio».

Katherine serrò le labbra: quella era una parte che era rimasta ben nascosta da tutti. Eppure, non aveva nulla da dire contro Arthur. Alla fine non aveva fatto che il suo dovere, anche se aveva una responsabilità nella cattura di Rachel. Sorrise per non dare a Selah la soddisfazione di averle appena guastato il pranzo con quella notizia, poi appoggiò una mano sul braccio di Arthur che si voltò verso di lei.

«Dovresti accettare, ti meriti davvero la promozione».

Arthur si chinò a darle un bacio sulle labbra, poi si avvicinò a Selah e le strinse la mano. «Grazie, Maestà. È un onore per me».

«Sono felice che tu abbia accettato. La pensione per il vecchio Bowyer è ormai vicina. Ci sono alcune questioni di cui dovremmo discutere, ma lo faremo domani: per oggi è bene godersi la festa».

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