Capitolo V

Miriam appoggiò le dita sul piccolo calendario meccanico, appoggiato contro il muro, e fece scattare il meccanismo e il giorno cambiò da quindici a sedici.

Da Embers non passava giorno in cui non le sembrava di poter vivere con serenità. E passavano troppo lenti, aveva l'impressione che le ore non scorressero.

Avrebbe solo voluto scappare da Vexhaben, far finta che la sua vita lì non fosse mai esistita.

Aveva sperato fino all'ultimo che quelle su Rachel fossero solo voci, ma Katherine gliele aveva confermate. La sua rassicurazione di fare il possibile affinché le cose non precipitassero un'altra volta non le sembrava abbastanza: avrebbe voluto fare di più, ma sapeva che il suo posto era lontano dalla politica.

Allungò una mano e strinse una bronzina mai rimessa a posto.

Se la rigirò tra le dita.

Almeno Rachel l'aveva ascoltata, ma avrebbe preferito il contrario: saperla prigioniera le aveva fatto realizzare quanto fosse stata stupida la sua idea.

E quanto idiota fosse stata lei ad andarsi a invischiare in quello scontro. La minaccia di Selah sarebbe diventata realtà se avesse trovato il suo medaglione, ma almeno a casa nessuno sembrava aver notato che, tra i suoi, ne mancava uno.

Non era della famiglia che avrebbe dovuto preoccuparsi. Con tutto quello che il nonno e il padre avevano fatto per la Voragine a Jelas, le avrebbero dato una mano.

Strinse una mano sulla camicia all'altezza dello stomaco: aveva preso decisioni stupide nella vita, ma andare nella Voragine davvero le batteva tutte.

Ed era già passata una settimana.

Una settimana in cui non faceva altro che cercare di impiegare le giornate in qualsiasi modo pur di evitare di pensare a Rachel, ma senza successo. Ogni momento in cui non era impegnata in altro la portava a rimuginare su quanto era successo prima di Embers.

E quel giorno sembrava peggio dei precedenti: non si era riuscita a concentrare, le riparazioni non erano andate avanti e continuare a tentarci era inutile. C'era un peso sul petto che non se ne andava.

Spostò lo sguardo sul pavimento, fissando il gatto acciambellato dove finiva uno degli ultimi raggi di sole della giornata.

Muoveva appena la coda, senza preoccuparsi di quel che gli succedeva intorno.

E a quanto pareva nemmeno lei era abbastanza degna della sua attenzione: Reginald non aveva né fame né voglia di sfruttarla come cuscino.

Lo invidiava.

Lui non avrebbe rischiato la morte o l'esilio per le sue scelte: avrebbe guadagnato gli avanzi dei pasti e una coperta su cui dormire che avrebbe riempito di peli.

Reginald allungò le zampe, girandosi sull'altro fianco.

Miriam sospirò e tornò a guardare di fronte a sé. Lo specchio al muro le restituiva una copia di sé che preferiva non vedere. Evitava il suo stesso sguardo, come se potesse ignorare chi aveva una parte di responsabilità.

Strinse la mano sul petto, lì dove avrebbe dovuto stringere il medaglione.

Selah l'aveva avvertita, l'avrebbe capito, ma fino a quel momento la vita era trascorsa come sempre.

«Miriam».

L'eco lontana del richiamo della madre la fece sospirare. Appoggiò le mani sul tavolo e spinse indietro la sedia. I piedi strisciarono sul pavimento di legno, stridendo nelle orecchie. Il gatto alzò la testa, fissandola con i suoi occhioni scuri.

Aveva fissato il vuoto per minuti interi, senza fare nulla di quello che si era detta e presto sarebbe arrivata anche l'ora di cena.

Alzò lo sguardo verso il proprio riflesso: i capelli spettinati le ricordavano tutti i richiami della madre quando da piccola cercava di sfuggire alla spazzola.

Passò le mani tra i le ciocche, cercando di dare un senso ai riccioli che mal lo acquistavano.

«Miriam!»

«Arrivo» urlò in risposta a un altro richiamo dal basso.

Reginald allungò la schiena prima di avvicinarsi e strusciarsi tra le caviglie di Miriam.

Sistemò il colletto della camicia, poi sollevò Reginald da terra che protestò con un leggero miagolio.

«Non ho intenzione di rischiare di inciampare di nuovo sulle scale» gli sussurrò prima di dargli un bacio sulla testa e il gatto miagolò in risposta. Era sicura la prendesse in giro, che non vedesse l'ora di svincolarsi dall'abbraccio e correre su e giù per il tappeto marrone che copriva gli scalini in legno.

Allargò le braccia solo quando fu in fondo e Reginald corse via non appena atterrò sul pavimento.

«Tra le lettere arrivate oggi c'è un messaggio per te». Caroline le si avvicinò con la testa abbassata, gli occhi fissi sul plico di lettere. Ne spostò tre, prima di estrarla dal mazzo e passargliela.

«È qualcosa di importante?»

«C'è il tuo nome sopra, ce lo dirai tu». Caroline la oltrepassò, chiamando a gran voce i nomi del padre e di uno dei fratelli.

Miriam se la rigirò tra le mani: non sapeva che pensare a vedere il sigillo in ceralacca con la falena.

O Katherine aveva da dirle qualcosa o i guai erano arrivati tutti insieme.

Si morse un labbro: di chiacchiere in giro non ce n'erano, l'interesse dei giornali della capitale si era spostato verso una serie di rapine nella zona periferica.

Non sembrava essere successo nient'altro di importante.

Ingoiò a vuoto e si disse che non sarebbe servito a niente aspettare. Rimase immobile nel mezzo del corridoio, con le mani che avevano iniziato a tremare.

«Reginald» sibilò quando il gatto passò a corsa tra le gambe.

Reclinò la testa, lasciandosi andare a un sospiro di sollievo nel realizzare che si trattava solo dell'invito al compleanno di Katherine.

***

Gli arazzi bruciati a Gabes erano stati sostituiti, non c'era alcuna traccia di quella festa – come se non fosse mai successa, ma ogni volta che posava lo sguardo sulla mappa del continente lo stomaco le si stringeva ancora. Avrebbe voluto svincolarsi dalla presa di Katherine, gironzolare in giro alla ricerca di Rachel e chiederle scusa. Se non avesse mai parlato di Embers alla Voragine nessuna avrebbe pagato le conseguenze.

Miriam si sforzò di sorridere: aveva sempre invidiato a Katherine la capacità di muoversi nelle situazioni sociali. Non aveva idea se fosse un'impressione o se davvero tutti la stessero fissando, ma voleva illudersi che fosse dovuta all'essere in compagnia della festeggiata e non alla sua fuga nella Voragine.

Fingi e vivrai.

Per quante volte Katherine gliel'avesse ripetuto, non aveva mai capito a cosa si riferisse davvero.

Doveva fingere anche che Rachel non fosse mai esistita?

«Giuro su chi vuoi che mi dispiace, ma Selah non mi ha lasciato in pace finché non le ho promesso che le avresti parlato» le disse Katherine, fermandosi di colpo. Fece una mezza giravolta per trovarsi di fronte a lei. L'abito azzurro si allargò intorno a lei, mettendo in risalto i decori floreali dorati.

«Cosa?»

Sperare di aver sentito male non era un'opzione.

«Selah vuole parlarti».

Katherine allungò le braccia per stringere le mani di Miriam nelle sue e fece un cenno con la testa.

Fin dal primo momento aveva sperato che non si ripetesse un'altra Gabes, ma quelle parole furono abbastanza a farle capire che sarebbe stato molto peggio. Se avesse potuto, sarebbe scappata. Anche a costo di passare la notte alla stazione pur di prendere il primo treno per Jelas e lasciarsi quanta più distanza possibile tra lei e Vexhaben.

«Di cosa?»

«Non lo so, gliel'ho promesso perché volevo solo che mi lasciasse in pace... almeno per il mio compleanno».

Miriam annuì con un cenno della testa e spostò lo sguardo da Katherine sulla folla: ancora non erano arrivati tutti gli invitati, non c'era la musica a coprire le conversazioni e il chiacchiericcio si confondeva solo con le prime note di accordo degli strumenti. Poche erano le facce familiari, non aveva visto nemmeno Arthur.

Fermò lo sguardo su un luccichio tra le teste, lo stesso del diadema di Katherine. Aveva sperato fino a quel momento di poter evitare di affrontare Selah più dello stretto necessario ai saluti: sarebbe andato bene anche rimanere in un angolo a impegnarsi in conversazioni sterili sull'ultimo raccolto, sui problemi delle industrie e di quanto successo alla Voragine.

Era disposta a tutto, se avesse significato tenersi lontana dall'unica persona che sapeva la verità e che gliel'avrebbe fatta pagare se necessario.

«Ma se dovesse esserci qualche problema, non esitare a dirmelo».

Miriam sospirò, lo sguardo fisso su nessuno in particolare, poi tornò a guardare la principessa. «Se è tutto il giorno che ti chiede di me, forse è meglio che ci parli il prima possibile».

«È da lei che ti stavo accompagnando. Preferivo togliermi l'incombenza prima che inizi a scorrere il vino. Non voglio rischiare che succeda qualcosa».

«Mossa intelligente» mormorò in risposta, poi tornò a guardare il pavimento, con le sfumature del marmo che venivano nascoste di continuo dalla gonna.

Alzò la testa quando Katherine le strinse appena un braccio. Selah e George erano a pochi metri da loro, impegnati a parlare un funzionario del governo. Le pietre sulle corone brillavano sulle teste, il solo vederle la metteva in soggezione.

Avrebbe voluto togliersi da lì, voltare le spalle e scappare via. Inspirò a fondo, sforzandosi di sorridere mentre Katherine li salutava e il funzionario le rivolgeva un sorriso e una frase di auguri.

Miriam intrecciò le dita di fronte al ventre e si dondolò sulle punte, aspettando che quella conversazione di cui non avrebbe mai fatto parte finisse; lasciò vagare lo sguardo tra gli affreschi del soffitto con i loro stucchi decorativi dorati e i drappi purpurei alle pareti finché non si sentì chiamare.

«Vostre Maestà». Portò una mano sul petto e si piegò in avanti. Sotto le dita il cuore le batteva all'impazzata. Era sicura che il mondo le sarebbe crollato addosso in un attimo.

George appoggiò una mano sulla schiena di Katherine. «Penso sia meglio se almeno noi finiamo il giro degli invitati».

«Possiamo portare un bicchiere di vino dopo, ci terrei a fare un brindisi... privato. Nel caso, avete preferenze?»

Miriam strinse le dita di una mano nelle altre: non ricordava nemmeno un nome delle varietà che erano state scritte sui programmi. Era sicura che non fossero tutti uguali, che le differenze fossero troppo importanti per pensare che uno valesse l'altro. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era una figuraccia davanti ai sovrani.

«Io... cosa consigli?»

Katherine arricciò il naso per un momento, poi sorrise. «Vada per il rosso di Brulais, per te».

«Un Lavrey e un Briville dolce per noi» rispose Selah.

Miriam serrò le labbra in sorriso tirato: anche un commento qualsiasi le sembrava fuori luogo.

«Questa è stata anche un'ottima annata per i vini, peccato solo per la grandinata nei vigneti di Anel» aggiunse non appena si furono allontanati.

Miriam si morse un labbro: non era nella migliore posizione per mettersi ancora più in antipatia la regina, ma di quell'argomento ne sapeva troppo poco per tirare avanti un'intera conversazione.

«Ammetto che non ne so molto».

«Non preoccuparti. La raccomandazione è più che ottima» la rassicurò.

Miriam annuì con un cenno della testa: ogni cosa che le veniva da dire suonava troppo sbagliata nel momento in cui le usciva di bocca, ma voleva togliersi di dosso l'ansia che aveva iniziato a mangiarla.

«Katherine mi ha detto che volevate parlarmi».

Selah le appoggiò una mano sulla schiena e la spinse di qualche passo più lontano dalla folla.

Si voltò indietro, ma non trovò Katherine, già sparita nella folla. Nessuno l'avrebbe aiutata. Ingoiò a vuoto, poi tornò a guardare Selah.

«Spero non sia... non siano cattive notizie» aggiunse congiungendo le mani all'altezza del petto.

«Le conseguenze per un gesto come il tuo non sono argomento da festa. Ma ringrazia il ciel–, no. Ringrazia me che ho deciso di chiudere un occhio sulla questione. Dopotutto a Embers non ci sono stati morti...» Selah si guardò intorno, poi si piegò in avanti e continuò a voce più bassa: «E nessun altro sa la verità sulla tua colpevolezza, Dankworth».

«Maestà, mi dispiace. Non avevo intenzione, dico dav–».

«Non me ne faccio nulla delle tue scuse e non avrai certo un'altra possibilità».

Miriam si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, appoggiò una mano sul petto e annuì con cenni veloci della testa. Non avrebbe potuto chiedere di più a Selah.

Eppure, le mani incrociate di fronte al ventre e il leggero sorriso sulle braccia le facevano pensare che ci fosse altro.

«Sì, Maestà. Se ci dovesse essere qualcosa che posso fare per dimostrare la mia fedeltà a Vexhaben – qualsiasi cosa, davvero – sarà mio piacere».

Parola dopo parola, meno si convinceva di quello che le stava dicendo, ma era l'unico modo di mantenere quella facciata di fedeltà della famiglia.

Avrebbe dovuto fare il possibile per convincere Selah che la sua fedeltà era rivolta solo al regno, che non avrebbe tentato di aiutare ancora la Voragine. Che non aveva le proprie idee.

«Non posso che esserne più felice, Dankworth. Vorrà dire che non dovrò fare fatica a convincerti». Selah fissò per un attimo la folla, poi tornò a guardarla. «Purtroppo non è il momento adatto a spiegare i dettagli, sei già sulla linea di quel di cui volevo parlarti».

«Immagino che riguardi la magia, o non avremmo questa conversazione».

Avrebbe voluto avere un bicchiere in mano – non le interessava nemmeno il tipo di vino, qualsiasi varietà che avrebbe potuto rilassarla sarebbe andata bene.

Ma Katherine era sparita.

Altri invitati erano arrivati, la sala si stava riempiendo, ma ancora l'inizio del ballo era ancora lontano.

Non riusciva nemmeno a pensare cosa volesse Selah da lei: ci doveva essere sotto qualcosa per convincerla a fare quel cambiamento, ma ogni domanda poteva essere quella sbagliata. Avrebbe dovuto aspettare.

«Proprio così. Hai già dimostrato di conoscere abbastanza l'argomento, più di quanto si possa trovare sui libri».

Per la prima volta nella vita, le sembrava uno sbaglio aver continuato a seguire con curiosità gli insegnamenti del nonno.

«Sì? Cosa...» Si schiarì la voce. «Cosa devo fare?»

«Vorrei che lavorassi a un progetto con Weller. È uno dei miei ingegneri, non so se lo conosci».

Miriam aggrottò la fronte: non era un nome nuovo, ma non riusciva a ricordare la faccia dell'uomo. Forse era stato il padre a rammentarlo, forse Katherine. Non era importante.

«Non penso ci siano problemi, non ho altri lavori al momento» mormorò in risposta, sforzandosi di rivolgerle un sorriso. «Posso avere qualche informazione?»

«Tutto a tempo debito».

Miriam spostò lo sguardo sulla folla, sperando che Katherine tornasse presto: il vino era l'unica via di fuga accettabile a quel punto. Sospirò sollevata quando la intravide tra gli invitati, con la corona di lapislazzuli che brillava tra i capelli neri e due bicchieri tra le mani.

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