Capitolo III
Il vociare era scemato pian piano fino a tornare un silenzio troppo pesante per reggerlo a lungo.
Katherine prese un respiro profondo, poi abbassò lo sguardo sui documenti.
Con il futuro del regno tra le mani non poteva permettersi di giocare. Aveva barrato quasi ogni punto che si era scritta prima dell'incontro, le ultime proposte da discutere sarebbero state rimandate. L'ultima cosa che voleva era che la scintilla della guerra contro Ethor scoppiasse davanti a lei.
Bastava da sopportare il peso che avesse una parte di responsabilità nella fine della Voragine.
«Altezza?»
Aveva sì richiamato all'ordine i presenti, ma ora che gli occhi di tutti si erano posati su di lei non aveva idea quale sarebbe stata la mossa da fare. Alzò una mano in risposta, avrebbe avuto bisogno di più tempo per trovare altre parole, per non rimandare un'altra volta la discussione.
Era la prima volta che si ritrovava a desiderare che Selah fosse lì a prendere la situazione in mano. Lei non avrebbe mai permesso che volassero insulti tra le due parti, l'avrebbero ascoltata. Forse avrebbero anche trovato una soluzione al problema dell'Exval in due ore o forse avrebbe dichiarato guerra in meno tempo.
Ingoiò a vuoto, poi alzò lo sguardo.
La sedia all'altro capotavola era vuota, alla sua destra sedevano i funzionari di Vexhaben, dall'altra parte quelli di Ethor e tutti erano voltati nella sua direzione.
L'avrebbe risolta a modo suo, non avrebbe dato a Selah un'altra occasione di avere quel che desiderava: la guerra ancora si poteva evitare.
Spinse la sedia indietro, quanto bastava per alzarsi. Congiunse i palmi e sorrise appena.
«Penso che sia meglio se ci fermiamo qui per oggi. Voglio evitare che la situazione precipiti più del necessario e il clima che si è creato non mi sembra l'ideale per proseguire - almeno per oggi».
«Altezza, se posso permettermi, non sarebbe meglio finire di discutere i punti nella lista?»
«Se non ci sono contrari, direi che possiamo proseguire anche domani mattina. Penso che una pausa sia la soluzione migliore al momento».
Un mormorio di assenso riempì di nuovo la stanza e Parson rispose con un cenno affermativo della testa. Era d'accordo con lui sul non lasciare la discussione a metà: era inevitabile rimandare ancora la fine della costruzione della ferrovia.
Uno dopo l'altro i presenti si alzarono dalle sedie, qualcuno lisciò la camicia e Katherine rivolse a tutti un sorriso man mano che si inchinavano, salutavano e uscivano.
Parson fu l'ultimo e si tirò dietro la porta.
Senza i funzionari, la sala sembrava fin troppo grande per lei, piccola e insignificante nonostante fosse figlia e sorella di re. E avrebbe detto che l'incontro avrebbe dovuto iniziare, se non fosse stato per le sedie non allineate al tavolo e le tazze non riposte sui vassoi d'argento.
Avrebbe scambiato volentieri le teiere con bicchieri di vino. Avrebbero alleggerito la serata.
Passò una mano tra i capelli, sfilando lentamente il fermaglio dorato dai capelli.
In tutte le ore che aveva trascorso lì quel pomeriggio era il primo momento in cui riusciva a rimettere in linea i pensieri. Aveva sbagliato ad aspettare fino all'ultimo, avrebbe dovuto mettere fine a quell'incontro alle prime avvisaglie di contrasti.
Parson avrebbe riportato altre cattive notizie a Crohull, un'altra lettera con le notizie che non facevano altro che peggiorare, giorno dopo giorno.
Quando si rimise a sedere, le sembrava che le ultime parole dei funzionari aleggiassero ancora nell'aria.
Un coro di buona giornata, Altezza con poche variazioni, uscito dalla bocca di tutti.
Suonava ironico, visto quanto poco buono vedeva in quella giornata.
Voltò la testa, fissando l'orologio alla parete: segnava la quinta ora e il ticchettare era la sua unica compagnia.
Nascose il viso tra le mani, stropicciandosi gli occhi: da quando Parson le aveva riferito i problemi nell'Exval per la prima volta, le sembrava di non essere più adatta a quel ruolo. In tutto il pomeriggio non avevano fatto passi avanti, ma se avessero continuato in quel modo tutti gli sforzi dai mesi prendenti sarebbero diventati cenere. A ogni incontro le veniva meno la certezza che si sarebbe trovata una soluzione pacifica e se fosse scoppiata la guerra contro Ethor, Selah avrebbe avuto quel che voleva, un'altra volta.
E se non era in grado nemmeno di risolvere i problemi legati all'ultimo tratto della ferrovia, non avrebbe mai potuto fare qualcosa di utile per la Voragine. Sarebbero state solo parole, promesse mai rispettate che non l'avrebbero separata dal resto della corte.
Allungò le braccia sul tavolo, si appoggiò allo schienale e fissò di fronte a sé.
Si stropicciò gli occhi, poi spinse lontani i documenti e i fogli si sparpagliarono sul tavolo.
Se il caminetto fosse stato accesso, non ci avrebbe pensato troppo a lanciarli tra le fiamme. Li avrebbe guardati volentieri accartocciarsi in mezzo al fuoco, distruggersi insieme alle delusioni che le avevano portato.
Ma doveva tenerseli, continuare ad avere vicino il segno del proprio fallimento.
Sospirò, indecisa sul da farsi. Doveva chiedere aiuto per mettere a posto quel disastro. Rimaneva il dubbio di chi: Arthur le avrebbe passato un bicchiere di vino, Selah le avrebbe detto di lasciare che gli attriti interni portassero alla guerra e George... George rimaneva l'unico a cui avrebbe potuto chiedere.
Alzò lo sguardo quando dei passi riecheggiarono nella stanza.
Sospirò sollevata nel realizzare che si trattasse del fratello e non di Parson o uno dei suoi a volere altre informazioni.
«Ti stavo per venire a cercare».
«Mh?» George si fermò e aggrottò la fronte. «C'è qualche problema?»
«Ethor, la ferrovia, Parson che vuole continuare gli incontri anche quando è chiaro che porterebbe solo ad allargare il disaccordo» rispose Katherine allargando le braccia. «E forse altro che mi sfugge. Non ci sono stati progressi negli incontri riguardo alla conclusione della ferrovia, mi dispiace».
«Sapevamo tutti sarebbe stata la parte più difficile».
«E me l'avete buttata addosso. Grazie».
George scosse la testa e si avvicinò. Incrociò le braccia sulla parte superiore dello schienale della sedia di fronte a lei e la guardò.
«Ti sei mai chiesta perché non abbiamo lasciato il vecchio ministro a gestire la situazione?»
«Perché nel caso le cose vadano male la colpa è mia e voi potete prendervi il merito di sistemare il tutto?»
«Perché così abbiamo un deterrente nel far dichiarare guerra a Ethor».
Katherine si appoggiò allo schienale. Rigirò il fermaglio tra le mani, senza staccare gli occhi dal fratello. «Che significa?»
«Tempo fa uno degli uomini di Parson l'ha insultato ed è scoppiata una rissa. Per grazia divina non è morto nessuno o saremmo già stati in guerra. Averti qui significa una maggiore sicurezza, se dovessero ferirti avremmo un motivo valido per attaccare, ma a loro non conviene, sarebbero nella parte del torto».
Katherine annuì con un cenno della testa. «C'è un motivo se non ne sapevo nulla della rissa?»
«È una notizia che non è mai stata diffusa».
Non gli chiese nemmeno il perché: le avrebbe risposto per la sicurezza di tutti, ma di quello poco le importava. Ci dovevano essere molti più eventi di cui non aveva idea, un intreccio che lui e Selah si sarebbero portati nella tomba.
«Tu cos'è che volevi dirmi? Non è da te farmi visita senza un motivo».
«Solo sapere avevi finito la lista degli invitati per il tuo compleanno. La data si avvicina, gli inviti sono da spedire».
Katherine sospirò. Non poteva dirgli la verità che se ne fosse dimenticata del tutto e che avesse la certezza solo su due nomi. Non avrebbe avuto senso chiedergli di non fare alcuna festa, far finta che l'ultimo giorno del mese sarebbe stato uguale agli altri.
«Mi è passato di mente. Te la farò avere, spero stasera». Spinse indietro la sedia. «Ho... ho avuto altro a cui pensare, gli incontri non stanno andando nella direzione che vorrei» continuò avvicinandosi alla finestra.
Il panorama piatto di tetti che le ciminiere spezzavano in lontananza era diventato ormai familiare. Ma sotto il cielo plumbeo non c'erano i riflessi dei profilati di metallo, sembrava togliere ogni speranza al futuro. Su quel lato non c'era la rassicurazione del giardino, di avere un punto in cui potersi rifugiare per mettere in fila i propri pensieri: solo l'allungarsi del centro abitato che le ricordavano il proprio ruolo.
Strinse una mano sul medaglione, serrando le labbra.
«Hai voglia di parlarne?»
Sarebbe andato a cercarlo per quel motivo, non aveva senso scacciarlo via e lasciarsi affogare nei rimorsi di quel che avrebbe potuto fare meglio.
«Non so nemmeno da dove cominciare a sistemare le cose. Manca solo l'ultimo tratto e la conclusione dei lavori mi pare sempre più lontana, ma in quei pochi chilometri sotto le montagne dell'Exval stanno sorgendo problemi: le risse sono sempre più frequenti e rischiamo uno sciopero».
«Selah mi ha accennato qualcosa. Sai qualcosa sulla causa?»
«Gli ultimi rapporti dicono che i rischi di esplosioni sono troppo elevati: ci sono stati diversi... incidenti. Cariche esplose forse per sbaglio che hanno ferito diverse persone, ma non c'è la certezza se dietro ci sia la casualità o la volontà. Nessuno vuole lavorare alla galleria con il rischio che la montagna crolli, quindi i lavori sono fermi e c'è uno scambio di accuse tra noi e Crohull. Stavolta nemmeno il tè è servito a placare gli animi e spero davvero ci sia un'altra soluzione».
«Immagino che la guerra non sia quella che intendi».
Katherine sospirò, scuotendo appena la testa. «Abbiamo già versato abbastanza sangue in questi giorni. Speravo che si potesse evitare, che ci fosse un'altra soluzione».
«E sono d'accordo con te, preferirei portare Vexhaben verso un periodo di pace ora che una questione è risolta».
«È strano che sia tu a dirlo. Avrei detto il contrario visti gli attacchi ingiustificati alla Voragine. Sia della Notte dei Morti sia dell'altro giorno. Non sono stupida, puoi dirmi che vuoi la pace, ma so che la verità è che ti allinei a quel che vuole Selah».
«Mi viene da chiederti a cosa sia stato dovuto il tuo veto».
«Non volevo dare fastidio a Selah. Questa volta speravo davvero di non vedere un altro attacco alla Voragine». Serrò le labbra, senza smettere di fissare l'orizzonte: era troppo stanca per volersi avventurare in un giustificare le proprie azioni e il silenzio con cui George aveva accolto la sua risposta non le piaceva affatto.
Il lento ticchettare delle lancette sembrava accompagnare i battiti del cuore e più scattavano, meno si sentiva tranquilla. Se non le avesse detto altro, avrebbe trovato una scusa per scivolare via. Anche se aveva bisogno del suo aiuto, non era della Voragine che dovevano parlare.
La lista degli invitati.
Un incontro con Arthur per cui era già in ritardo.
Un tè da prendere con qualcuno.
Aveva iniziato a contare sulle dita le possibilità quando l'eco dei passi di George la distolse dai suoi pensieri.
«Hai intenzione di fare qualcosa? Hai detto che mi volevi parlare e te l'ho sempre ripetuto: se hai bisogno di un consiglio sono qui».
Katherine strinse la mano a pugno: ancora aveva da scoprire quale fosse la vera faccia di George, ma quello non era il momento di litigare.
Si voltò verso di lui.
Si era fermato dall'altra parte del tavolo, ma riprese a camminare con le mani dietro la schiena; il medaglione dondolava appena a ogni passo.
«Ora come ora sono quasi sul punto di dar ragione a Selah e dire che Crohull si merita solo di cadere tra le fiamme. Tuttavia, ancora ho una speranza che si possa risolvere senza la guerra. Che ci sia una via diplomatica e ho un'idea... ma ho paura sia stupida. Vorrei parlare di persona al loro ministro dei trasporti. In territorio neutrale, né qui né a Crohull».
George annuì con un cenno della testa. «Non la trovo affatto un'idea stupida, spesso avere intermediari fa più danni che altro: più interessi ci metti nel mezzo e peggio è. Possiamo organizzarlo. Hai già in mente dove?»
Katherine avanzò lungo la parete e si avvicinò al cesto con le mappe arrotolate. Prese la più grande e la scatolina con i segnaposto che erano soliti usare per non deturpare la mappa, poi tornò al tavolo e la distese, avvicinando una tazza per tenere fermo un angolo. Puntò il dito sulla regione di confine dell'Exval e George annuì, un tacito segno di cominciare a parlare.
«Escluderei le capitali e tutte le regioni centrali perché nessuno vorrà oltrepassare troppo i confini». Posizionò due cerchi su Crohull e Vexhaben. «Vorrei anche evitare ogni territorio troppo legato alla corona, ma nemmeno un paesino di confine che nemmeno compare sulle mappe».
«Niente Frinard».
Scosse la testa, mettendone un altro sul nome.
«E vorrei che fosse raggiungibile da entrambe le parti. Che le premesse dell'incontro siano le migliori possibili» aggiunse passandosi una mano tra i capelli. Anche a seguire con gli occhi tutta la linea scura che divideva i territori di Vexhaben da quelli di Ethor, tutta l'attenzione continuava a convergere nell'unico punto in cui le linee ferroviarie dei due regni si avvicinavano. L'aveva sempre considerato strano che non ci fossero altri collegamenti, ma da quando aveva toccato con mano i problemi nell'Exval forse era meglio così. Forse erano destinati a rimanere separati.
Prese un altro segnaposto dalla scatola, rigirandoselo tra le dita. Più spostava gli occhi da una regione all'altra, più era convinta che ci fosse solo un posto adatto a quell'incontro.
Inspirò a fondo, puntò il dito su Jelas e alzò lo sguardo su George. «Con tutta la protezione che ho dato ai Dankworth negli anni, spero che la mia fiducia sia ben riposta».
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