Un unico, innocente, fatale errore
Interludio
(Parte seconda)
XXIII
Era passato un ciclo e mezzo.
Grimm era rannicchiato nella stiva dell'aeronave e stava mettendo a punto gli ultimi dettagli. La pioggia cadeva a secchiate sul vetro del magazzino. Sembrava quasi che qualcuno avesse fatto un grande torto a tutti e tredici gli Pseudologi e che quello fosse il modo più violento che avessero di vendicarsi. Non c'era tregua. La pioggia aveva proseguito incessante per cinque giri, allagando parte della rimessa e creando disagi lungo i canali della città. Lo Zaan era straripato in qualche punto e, se non fosse stato per l'ordine imperiale di sospendere tutte le tratte commerciali via mare, persino le navi più potenti avrebbero avuto qualche remora a veleggiare sicure.
Il progetto era pronto. L'aerostato era stato rafforzato con lastre di metallo che permettevano una maggiore resistenza agli urti e alle intemperie. Grimm aveva scisso la parte inferiore dell'aeronave a metà, trasformando la chiglia nel prototipo di sottomarino progettato dai Mastri ingegneri di Corte. Era un mezzo alquanto rudimentale per le tecnologie del momento. I calcoli erano corretti, ma mancava di robustezza e velocità. Apportate le giuste modifiche e rubati, nel frattempo, parecchi pezzi sperimentali dall'Opificio, il risultato era abbastanza soddisfacente.
Larry e tre membri dell'equipaggio della Murena con esperienza nel settore meccanico lo avevano aiutato a renderlo possibile in appena un ciclo. Le possibilità che potesse ammazzare il Leviatano erano comunque basse, ma quando mai si erano tirati indietro davanti a una sfida?
Come avrebbe detto Tommy: "Più probabilità ci sono di fallire, più ci si diverte."
Sperò con tutto il cuore che avesse ragione.
«Quasi finito?» Dankar si avvicinò al vascello aereo poggiandosi su un bastone e ammirando il risultato.
«Sì, ultime rifiniture Capitano. Il tuo socio, qua, è un vero genio», gli rispose uno dei membri della ciurma.
«Lo so. Larry, sei ancora tutto intero?»
Un braccio metallico sporse dal parapetto agitando una manina in cenno di saluto. «Intero e pronto per partire, Capo. Ha usato una vite del mio gomito per far stare insieme due pezzi della plancia, perciò, se ti faranno una statua, assicurati che ci sia anche io. E che scolpiscano il lato migliore, che è il sinistro. Grazie.»
Dankar sorrise e andò a chiamare Tommy, Baltizar e Soffie. Erano passati otto giri dalla seminotte. Era tempo di andare ad ammazzare quella bestiolina.
Il piano era semplice. La Ghenga e la Ciurma si sarebbero divise il cielo e i mari. Tredici di loro, compresi Soffie e Larry sarebbero rimasti in aria, nascosti dalle nuvole, sorvegliando dall'alto la situazione. Al confine tra il Terzo e il Quinto mare, avrebbero sganciato la chiglia con all'interno lui e Grimm e qualcosa come dodici prototipi di bombe subacquee. Baltizar, Tommy e il resto della Ciurma avrebbero preso cinque vascelli e la Murena e avrebbero aspettato da lontano il segnale dell'aeronave.
Qualche giro più tardi, la pioggia aveva smesso di scrosciare incessantemente, lasciando spazio a qualche nuvola e a diversi Arcospettri che tinteggiavano di sfumature incredibili il cielo. «Pronti?»
Ogni membro della sua Ghenga, dal più impaurito Knot al più entusiasta Tommy, urlò. «Sì, Capitano!»
Quando furono tutti ai loro posti, Dankar bloccò il timone dell'aeronave, lasciandolo a Soffie, e guardò dall'alto tutti i suoi soci.
"Restate in vita, vi prego. Non ho altri che voi." Voleva urlarlo, ma non lo fece.
Due dita scesero semplicemente dal suo collo fino a toccare il cuore, imitate da quelle degli altri.
Un portafortuna o un addio, l'avrebbero scoperto presto.
Seguì Grimm al piano più basso e si mise al suo posto, di fronte alla plancia. Quando vennero sganciati, sentì lo stomaco arrivargli in gola. L'impatto della chiglia con l'acqua fu più forte del previsto. L'aeronave, prossima alle prime grotte del Verkheid, era scesa di quota per evitare non solo che l'urto facesse male a loro due, ma anche che risvegliasse la bestia. Dankar non aveva messo in conto, tuttavia, che anche una semplice caduta di qualche decina di piedi causava vertigini e nausea. Il composto che aveva bevuto poco prima rischiò di risalirgli in gola.
Grimm accese la camera di combustione interna e girò alcune manopole bronzee di fronte a lui, accanto al piccolo timone. Solo quando il batiscafo si fu stabilizzato, controllò che il suo capo stesse bene e permise a sé stesso di guardare fuori dai vetri.
Fu uno spettacolo incredibile. Più scendevano, più la luce faticava a trapelare, più i loro occhi si abituavano. Banchi di sarde lasciavano il posto a murene e Melanoceti inquietanti, che nuotavano in una sfumatura di blu brillante sempre più scura. Sotto di loro, tra gli scogli abissali, Riftie bianche e Pennatulacee rosa oscillavano portate da gelide correnti senza un inizio né una fine.
Faceva un freddo mortale.
Un Narvalo si avvicinò a loro, incuriosito, per poi scappare via nel giro di qualche istante, risalendo verso la luce che si allontanava lentamente. La pace, in quegli oscuri abissi, era a dir poco agghiacciante. Si spostarono nel punto di avvistamento dell'Hopeless, all'interno di una delle grotte scavate dal flusso dell'acqua ai piedi delle montagne occidentali.
Era vuota. Nera come la pece e fredda come la neve.
Ti senti bene?
Dankar non amava la profondità o le altezze, ma conosceva quelle acque come le sue tasche e non avrebbe mai fatto trapelare il timore che quel buio incuteva in lui.
Annuì, tranquillizzandolo ed esortandolo a proseguire.
Nella grotta successiva, avvistarono un Loligo gigante color corallo, grande il doppio del batiscafo, addormentato su uno scoglio. Otto tentacoli di dimensioni colossali spalmati su tutta la roccia. Un brivido corse lungo le loro schiene al pensiero che si svegliasse. I Lolighi giganti non erano conosciuti per la loro benevolenza. Qualsiasi cosa galleggiasse in quelle acque, pesci, marinai o bottiglie di rum, diventava una preda. A meno che non fosse dieci volte più grande di loro.
Forse, era per quel motivo che stava lì, nascosto. Dovevano essere vicini.
Stavano per entrare nella terza grotta quando un'ondata forte e improvvisa li spinse con prepotenza verso il mare aperto, lontano dalle rocce.
«È troppo forte per essere una corrente», disse Dankar. Il battito del suo cuore aumentò a dismisura, un rivolo di sudore freddo scese dietro la sua nuca, mentre si voltava verso Grimm.
No, infatti. Era uno schiaffo. Ha solo sbagliato mira. Reggiti.
Mentre preparava lo sgancio delle bombe al di sotto dello scafo, chinandosi per controllare che fosse tutto pronto, sentì Dankar immobilizzarsi sul sedile al suo fianco e un tocco appena accennato sulla spalla. Il suo respiro si fece corto e i suoi occhi si chiusero, preparandosi a una vista che avrebbe infestato i suoi incubi per sempre.
Quando si rimise dritto, illuminate solo dalle flebili luci davanti alla loro plancia, delle fauci grandi tre volte lo scafo e due occhi gialli e furiosi stavano fuoriuscendo lentamente dall'oscurità della grotta, un pezzo alla volta, formando un grugno di dimensioni gigantesche, distorto in un sorriso malefico.
Dankar gemette, tenendosi alle maniglie di scurezza poste ai lati del sedile.
Un'imprecazione sfuggì dalle labbra mute di Grimm, ma il Capitano non la sentì, impegnato a tenere sotto controllo il battito fuori controllo e il respiro corto.
Grimm esalò un profondo respiro e prese una decisione immediata: salì di quota, avanzando in direzione del Leviatano.
«Che cazzo stai facendo, Gri? Ti sei bevuto il cervello? Dobbiamo risalire! Ora!»
Non fosse stato per la tensione dei suoi nervi, che lo avevano trasformato in un blocco di granito, Dankar gli avrebbe tirato un pugno sul braccio.
Quando fu sopra la testa della bestia, Grimm sganciò i pesi alla base dello scafo e sei bombe subacquee, sperando che il mostro aprisse la fauci per ingurgitarne almeno tre. Una speranza anomala, un desiderio folle, forse, ma geniale. O, almeno, lo sarebbe stato se la creatura non si fosse scansata all'improvviso.
Gli ordigni toccarono la sua coda e gli scogli al di sotto di essa ed esplosero senza provocargli alcun danno letale. Fu solo allora che, spinto da un'ira furente, l'Hopeless spalancò le sue fauci e si precipitò sul sommergibile, stringendolo tra i denti. La camera di pressione dell'ossigeno si ruppe e per un attimo Dankar pensò che sarebbe morto. Per un istante, quel pensiero gli diede anche un po' di pace. Non era stata la malattia, ad ammazzarlo, ma una creatura marina di dimensioni colossali. Era morto combattendo. O, quantomeno, tentando di farlo.
I suoi deliri furono presto messi a tacere da una sensazione di vuoto nello stomaco. La stessa che aveva provato cadendo, ma capovolta. Avevano preso velocità, stavano risalendo in superficie a una rapidità tale da sembrare sovrumana. In pochi istanti, l'ossigeno che era mancato dentro alla camera di pilotaggio era stato sostituito da quello della brezza fresca che odorava di salsedine.
Lo spettacolo, dalla Murena, fu scioccante. Un enorme serpente marino dal volto draconide si era alzato nel bel mezzo del nulla dalle acque placide, arrivando quasi a toccare l'aeronave in mezzo alle nuvole sopra di lui. Tra le fauci, teneva un pezzo metallo alquanto familiare.
Non avrebbe dovuto essere quello il segnale, ma si mossero tutti con una velocità fulminea. L'aeronave si avvicinò alla bocca della creatura, cercando di mettere in salvo Dankar e Grimm. La flotta, guidata da Balt, si allargò attorno al suo corpo, formando un cerchio. A tutti i membri dell'equipaggio che non erano presi da compiti essenziali venne ordinato di preparare cannoni e armi. E di tenersi pronti.
Baltizar incamerò ogni singola molecola d'ossigeno di cui era capace e urlò con tutta la forza che aveva nei polmoni, per farsi sentire. «Aspettate il mio segnale!»
Gli uomini di ciascun vascello tremarono, ma obbedirono. Dall'aeronave, Soffie e altre quattro persone sganciarono i rampini per agganciare il sottomarino. La bestia continuava ad agitarsi, con lo scafo tra le zanne. Con un colpo secco di coda tranciò a metà uno dei vascelli, destinando parte della ciurma a un traumatico tuffo in mare.
La vista che i caduti ammirarono, risalendo alla ricerca di ossigeno, serrò loro la gola, già priva di aria. Le dimensioni di quella creatura superavano ogni loro più fervida immaginazione. Persino stare a galla e cercare di sopravvivere sembrò un'impresa. Un solo, piccolo movimento di quella coda creava onde alte decine di piedi.
Quando sull'aeronave furono certi di aver agganciato qualcosa, sebbene non fosse chiaro cosa, si udì la voce di Baltizar riecheggiare tutt'intorno. «Ora! Fuoco!»
Il boato di più di duecento cannoni risuonò, insieme agli spari dei fucili e delle baionette, e rimbombò contro le rocce delle caverne limitrofe, causando qualche piccolo smottamento. La bestia stava mordendo sempre più forte l'acciaio, divincolandosi e guaendo dal dolore. La sua carne si lacerò in diversi punti e colorò l'acqua di rosso vermiglio.
Quando aprì le fauci, lasciando andare quella preda liscia e per niente saporita, il sommergibile rimase ancorato ai rampini dell'aeronave e venne tirato in salvo. Dankar aveva ormai esaurito la paura, era solo stanco, il suo fisico faticava a reggere il peso dell'adrenalina. Grimm, d'altra parte, ci andava a nozze. Quando fu certo di essere agganciato alla Belligera e che l'Hopeless fosse stato ferito letalmente, sorrise e allungò il braccio sotto il sedile. Dankar annuì, ringraziandolo con gli occhi per la forza e il coraggio che in lui iniziavano a scemare. Sentirono lo scatto. Poi le bombe rimanenti vennero sganciate dallo scafo e presero il loro posto nelle fauci spalancate e supplicanti della bestia.
Nessuno sentì il ticchettio degli ordigni mentre il Leviatano ruggiva e crollava, sprofondando su sé stesso e negli abissi del Vaticinio, ma tutti, dal più umile mozzo a Soffie, settanta piedi sopra la superficie ormai vermiglia, sentirono l'esplosione subacquea. Si propagò, in centri concentrici, creando dapprima una cupola d'acqua nel luogo lasciato vuoto dalla creatura e poi un'onda che vibrò fino alle coste più lontane.
Ogni marinaio, compresi quelli in volo, subì il contraccolpo di quella potenza. Molti riuscirono ad aggrapparsi ai parapetti o agli alberi, alcuni finirono in mare, a nuotare con gli altri nel sangue e nelle carni ormai ridotte a pezzi della bestia.
Tutti, però, nessuno escluso, nel silenzio che seguì, esultarono con tutta la voce che avevano in petto.
Grimm sospirò e restò ad occhi chiusi per un po', dopo essersi accertato che Dankar stesse bene. Quando fu caricato sul ponte della Belligera, crollò seduto con la schiena contro l'albero di mezzana. Soffie corse da lui e lo abbracciò con tutta la forza che aveva.
Vai a controllare Dankar. Ho messo uno dei suoi antidoti in cabina. Ne ha bisogno.
«Grazie, Gri», gli rispose lei, con gli occhietti lucidi, stringendolo forte un'altra volta.
Non fece in tempo a chiudere gli occhi per riposarsi un attimo, che un altro abbraccio, decisamente meno soffice, lo sorprese e lo risvegliò dal torpore.
Larry.
Larry lo stava abbracciando. Che cosa cazzo stava succedendo?
«Si fa così? Oh, no, aspetta.» Spostò le braccia metalliche sotto quelle di Grimm, schiacciandosi contro la sua cassa toracica e tenendo alte le chiappe. «No, è scomodo. Com'è che ha fatto Soffie prima?»
A Grimm sfuggì una risata silenziosa. Si scostò da quel groviglio di tubi e lo avvicinò a sé, stringendolo in un abbraccio.
«Oh. Bello, mi piace. Di solito sono gli altri ad abbracciare me, io non so come si fa, non so dove mettere i tubi, capisci? Mi stai capendo? Sei caldo.»
Menomale.
«Fammi provare.» Si inginocchiò accanto a lui e gli gettò le braccia al collo, stringendo forte. Grimm sentì gli ingranaggi della sua scatola cranica vicino all'orecchio sinistro, che si mettevano in moto per memorizzare i movimenti.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, un sorriso sincero e genuino si fece strada sulle sue labbra. Ricambiò la stretta, avvolgendo un braccio intorno al busto di metallo, finché Larry non si scostò.
«Memorizzato. Come stai? Tutto intero? Che è successo là sotto?»
Un sacco di buio, un sacco di pesci, un mostro gigante con una mira pessima.
«Sempre detto. Più sono grossi, più hanno il cervello piccolo. Guarda me. Io sono piccolo, ma sono un genio.»
Devo essermi dimenticato di montarti la modestia. Ricordamelo, quando torniamo a casa.
«Non so cos'è, ma dal nome non mi piace per niente. Sei stato grande, però. Ce l'avete fatta! Guarda!»
Grimm si sporse dal parapetto. Il coro di giubilo e tripudio non aveva smesso di riempire l'aria. Alcuni vascelli della flotta avevano subito danni dalla caduta della creatura e dal fuoco incrociato. Imbarcavano acqua, ma a nessuno importava.
Tutti i caduti vennero messi in salvo sulle navi ancora integre, che ripartirono verso la capitale.
Bottiglie di Jerry vennero portate sovraccoperta e canzoni trionfali vennero intonate - o per meglio dire, stonate - lungo l'intero tragitto di ritorno a Diefbourg. Le acque vermiglie divennero a mano a mano sempre più rosate, fino a tornare del colore ceruleo e brillante del Primo.
Ce l'avevano fatta.
* * *
Al loro arrivo, qualche dì più tardi, la città era silenziosa. Per le strade del porto e della costa non vi era anima viva. Sembrava disabitata.
Mentre la flotta ormeggiava al porto, cercando qualcuno a cui chiedere informazioni, l'aeronave fu portata all'ingresso del Palazzo imperiale per l'entrata trionfale al cospetto di Calidius. Dankar aveva riposato per un giro. Non aveva recuperato tutte le forze, ma quelle che aveva gli bastarono a scendere dal dirigibile in compagnia di Soffie. Grimm era rimasto in cabina. L'anonimato era una delle sue armi preferite, non avrebbe mai calpestato i tappeti viridi della Corte di fronte a un pubblico, a meno che non fosse strettamente necessario.
Non appena misero piede su quei ventotto maledetti scalini, la risposta a ogni loro domanda non tardò ad arrivare. La maggior parte degli abitanti della città era riunita nel salone centrale dove lui stesso aveva richiesto, e ottenuto, l'impresa da cui era appena uscito vincitore.
Solo che la gente non applaudiva lui.
Si avvicinò a un ragazzo all'uscita del salone. «Cos'è successo?»
«Ma come? Non avete sentito? Morlion ha pregato Okean e questi ha ucciso il Leviatano che minacciava il Vaticinio. Ci ha salvati! È un santo! Lode a lui e agli Dèi», rispose il ragazzo, con un urlo di giubilo, applaudendo sonoramente.
Una statua alla fine era effettivamente stata costruita per venerare un eroe.
Solo che era l'eroe sbagliato.
«Che si fa adesso?», chiese Soffie, stupefatta.
Dankar ci pensò su, mentre guardava la scena. Poi, gli angoli delle sue labbra si alzarono in un ghigno sagace.
«Sorridi e applaudi, piccola. Un uomo, per essere santificato, deve prima morire.»
Pensò a suo padre e a ciò che Baltizar gli disse, molto tempo prima, riguardo a Morlion.
Mentre batteva le mani, con un sorriso sardonico sul viso, vide l'orgoglio negli occhi di Calidius e ricordò le voci che giravano da tempo sulla sua malattia mnemonica. L'oblio. Le dimenticanze.
Il lasciapassare del vescovo o un suo progetto. Solo gli Dèi, e suo padre, sapevano di cosa fosse capace quell'uomo.
Era stato furbo, e si meritava ogni lode che stava ricevendo per questo, ma aveva commesso un unico, innocente, fatale errore.
Si era messo contro le persone sbagliate.
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Spazio autrice:
Bruttino eh il Leviatano?😂
Io sono già talassofobica di mio, sarei schiattata lì sotto, seduta stante.
Avrei detto: è stato un piacere. Addio.
😨
Iniziamo a scoprire nuovi lati di Morlion, nuove domande sul passato. Baltizar ci deve pareeeecchie spiegazioni 😅
Spero vi sia piaciuto combattere contro una bestia marina. Complimenti per esserne usciti vincitori e non aver avuto alcuna lode per questo.
Ci vendicheremo 💪🏻
Vi voglio bene,
S.
❤️
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