Ti fidi di me?

Oggidì

(Parte prima)

20

«Siamo quasi arrivati.»

Grimm stava preparando l'aeronave per l'atterraggio ad Assia. La vista, da lassù, era uno spettacolo: cupole dorate e case di ogni sfumatura di avorio si alternavano ad alte palme verdi e si estendevano in centri concentrici dalla basilica centrale alla periferia. Il materiale utilizzato per costruire le coperture della Sinagoga era una strana lega chiamata Pinchbeck. Di fatto, si trattava di semplice ottone con inserti in stagno, ma luccicava come l'oro e rifletteva i raggi del sole, creando un'atmosfera onirica.
Accecava anche chiunque ci volasse sopra, pensò Grimm, ma quello era un altro discorso.

Era una città leggermente sottosviluppata, rispetto a Diefbourg. Nessuna macchina o motocicletta a vapore sfrecciava tra le sue strade e poche aeronavi veleggiavano nei suoi cieli. In compenso, anche a quattro miglia di altezza, lui e Dahna riuscivano a respirarne la cultura e le tradizioni.

Tutti gli abitanti indossavano abiti lunghi di ogni sfumatura, decorati con inserti dorati, e portavano al collo, o ai polsi, bracciali, tiare e gioielli in Pinchbeck che contrastavano e illuminavano la loro pelle abbronzata. Alcuni viaggiavano sul dorso di Camelidi o tenevano al laccio Orici dalle lunghe corna nere e affusolate. Trasportavano cesti in vimini pieni di cibarie, probabilmente diretti al Grande Mercato.

Quella città sapeva di spezie, sole e incenso. Scaldava la pelle e alleggeriva l'anima.

Dahna sentì il cuore stringersi per la nostalgia. Assia era il luogo in cui aveva ritrovato la libertà, era stata la sua casa, il suo rifugio. Non il suo mondo, non il suo destino, solo un posto in cui aveva potuto ricominciare da capo, senza mostri alle calcagna se non quelli nella sua mente.

Erano passati trenta giri dalla loro partenza dal capannone delle aeronavi a Diefbourg. Non aveva ancora messo nulla nello stomaco, attanagliato dall'ansia di rivedere suo fratello. Il suo Nath, la sua dolce, piccola metà. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi, di cosa dirgli, anche solo di come avvicinarsi a lui.

Quello che era successo con Grimm, qualsiasi cosa fosse, in qualsiasi modo la si volesse definire, le era rimbombato nella mente come un'eco per tutta la notte.

Ti odio.

Sicura?

Non era più sicura di niente. Quello che le era capitato alla prima missione di Bernabé le si era inciso sottopelle e non l'aveva mai più abbandonata. Nemmeno quando Cinque le aveva detto che l'avrebbe aspettata, nemmeno quando le aveva detto di prendersi il suo tempo, nemmeno quando Tommy l'aveva baciata all'improvviso al Pozzo. Ogni contatto umano, ogni sfioramento, ogni bacio, la catapultavano a quella notte.

Con il tempo aveva imparato a conviverci. I traumi si erano trasformati nei suoi migliori amici, la maggior parte delle emozioni era diventata nebbia. Erano nuvole leggere, come quelle velature bianche che a volte si vedevano nel cielo della stagione delle Fioriture. Le provava, ma non ci dava mai peso. Le scacciava via, fingendo che non la toccassero.

Ma con Grimm era diverso.

Lui non era una velatura, lui era una nube scura, piena di pioggia e lampi, di quelle che si muovono rapidamente prima di una tempesta. Fingere che quel temporale non la toccasse era impossibile. Il battito accelerato, i brividi lungo la schiena, il respiro corto.
Era attrazione.
Un'emozione sconosciuta, una sensazione sbagliata, che il suo corpo non avrebbe dovuto provare. Che non era abituato a provare. Eppure era lì, in ogni sguardo rubato, in ogni sua parola o gesto, nei suoi occhi ametista che iniziavano pericolosamente a somigliare a quelli di lui.

Pensare a Grimm era diventato inevitabile ed era stato anche un modo per non rimuginare sull'imminente incontro all'Orfanotrofio. Pensava che la sua mente stesse cercando di distrarla, ma di fatto le mostrava solo ciò che poteva darle un senso di protezione.

Era paradossale, pensare a Grimm come a una persona che potesse proteggerla, ma la sua mente non era mai stata coerente quando si trattava di lui. Forse era solo il fatto di non essere lì da sola, di avere con sé qualcuno che conosceva suo fratello e di cui Nath si fidava, qualcuno che poteva rassicurarlo e dirgli che lei non era un mostro, che la vita non sempre va come ci si aspetta. Che non lo aveva abbandonato.
Che lo amava.

Grimm poteva anche odiarla, per un qualche motivo a lei ancora sconosciuto, ma dalle parole che aveva rivolto a Tommy e dopo ciò che le aveva fatto, glielo doveva. Almeno su quello erano d'accordo.

L'attracco al Porto Aereo fu facile. Dahna aiutò Grimm ad accostare il dirigibile al pilone d'ormeggio, lasciando che la camera di combustione si raffreddasse. Grimm le aveva rivolto la parola solo per darle indicazioni sulla gestione della nave e sul suo funzionamento. Per il resto del tempo, il silenzio regnò sovrano fino alle porte dell'Orfanotrofio.

«Pronta?»

Davanti ai cancelli, l'ansia arrivò a livelli insopportabili. Dahna faticava a respirare, ma cercava di non darlo a vedere.

«No.»

«Vorrei dirti che te l'avevo detto, ma mi pare superfluo. Sei ancora in tempo per tornare in coperta e aspettarci lì.»

«No.»

Non riusciva a rispondere che a monosillabi. Una parte di lei avrebbe voluto scappare. Le tornò in mente, vivida come la sabbia sotto i suoi piedi, quell'espressione che le aveva spezzato il cuore, la notte dell'incendio. Non era pronta a rivedere quei piccoli occhi ambrati pieni di puro terrore. Scacciò quel ricordo insieme alle lacrime, mentre una guardia si avvicinava a loro, riconoscendo Grimm.

«Signor Ashell, è un piacere rivederla! Siete in anticipo, la aspettavamo tra qualche ciclo.»

Era la prima volta che Dahna sentiva il suo cognome. Ashell nell'antica lingua significava calma. Suonava maledettamente ironico.

Grimm rispose a gesti, in Simbolium. Il suono della sua voce sarebbe stata una sorpresa, dopo diverse orbite di mutismo, e non voleva diventare argomento di pettegolezzi o causa di domande inopportune.

Sì, ero di passaggio per affari e ho pensato di fermarmi a salutare i bambini.

«Ha fatto bene. E questa giovane donna chi è?»

Una potenziale affidataria.

«Questa sì che è una bella notizia. Benvenuta, signorina. Vi chiedo solo un documento di riconoscimento e poi vi faccio entrare.»

Dopo un paio di giri rapidi, restituì a Dahna il suo documento falso e li salutò, facendo loro segno di proseguire.

Gli interni dell'Orfanotrofio erano affascinanti. La gente spesso descriveva quei luoghi come delle decadenti carceri per bambini, ma era chiaro che nessuno di loro era mai stato in quello di Assia. Somigliava a una villa signorile su più piani, tappezzata di tessuti e statue degli Pseudologi. Sul grande salone d'ingresso si affacciavano diverse stanze più piccole, ognuna destinata a un'attività diversa: il refettorio, lo studio della musica, i momenti ludici, la sartoria.

Poteva essere paragonata, in tutto e per tutto, a una scuola. Solo che era molto più di quello, per gli orfani. Era una casa. L'unica che avevano.

Grimm sbirciò tra i vari salotti alla ricerca di un volto familiare. Quando vide Nath, seduto davanti al pianoforte, un angolo delle sue labbra si alzò e una scintilla di orgoglio illuminò le sue iridi. Sentiva il respiro irregolare di Dahna vicinò a sé farsi sempre più corto e poi fermarsi all'improvviso alla vista di quella testolina bionda intenta a premere i tasti bianchi e neri.

Si voltò verso di lei e alzò una mano tra di loro per fermarla. Le sue parole uscirono labili come sussurri. «Tu resti qui.»

«Scordatelo.»

Grimm alzò gli occhi al cielo. Gli sembrava di avere a che fare con Larry. Mai che lo ascoltassero. Mai un semplice sì. «Se lui ti vede, inizia a urlare, Dahna. A urlare come un dannato. Ha paura di te, i suoi ricordi sono confusi ed è fragile. Se vuoi avere anche solo una possibilità di uscire da quei cancelli insieme a lui, devi lasciare che ci pensi io.»

«Come posso essere sicura che non gli dirai che sono un mostro, che ha ragione ad avere paura di me e che mi deve stare lontano?»

«Non hai altre opzioni.»

«Non ho altre opzioni se non fidarmi di te? Fidarmi della persona che mi ha procurato questa cicatrice, della persona che mi odia più di chiunque altro al mondo e che vuole vendicarsi di me?»

Grimm guardò il cerchio bianco sul suo collo e poi tornò con lo sguardo sui suoi occhi. Un lampo di rimorso passò dietro le sue pupille, quasi impercettibile.

«Già. Ironico, vero?»

«Non mi fido di te, stronzo. Lasciami passare.»

Provò a superarlo, ma lui allungò un braccio e controllò la forza per spingerla lontana dalla porta del salottino, bloccandola al muro, nascosta agli occhi del fratello.

Non era chiaro se sussurrassero urla o urlassero sussurri. Parlavano con voce bassa, ma avevano le grida negli occhi.

«Se non la smetti di comportarti come una bambina capricciosa...»

«Cosa? Cosa vorresti farmi?»

Grimm la fissò per un momento. Stava andando nel panico. I suoi occhi caddero per una frazione di lancetta sulle sue labbra, ma li distolse subito. Alzò le mani per appoggiarle delicatamente sulle sue guance, cercando di farla calmare come aveva fatto nel Retrobottega di Kruler.

Sentì il respiro di lei farsi un po' più pesante. Era stanco di minacciarla, era stanco di odiarla. La mano sinistra scese lungo il suo collo e sfiorò la cicatrice, tremante.

«Ascoltami, Dahna. Qui non si tratta di me e te. So che sono l'ultima persona a questo mondo di cui vorresti fidarti, ma non hai davvero altra scelta. Non sono qui per dire a tuo fratello che dovrebbe avere paura di te. Ce l'ha già, non mi sarei scomodato tanto per ribadirglielo, credimi. Sono qui perché nessuno merita di perdere la propria famiglia. Puoi non fidarti di me, se vuoi, ma non avvicinarti a lui finché non te lo dico io.»

Il respiro di lei stava tornando regolare, ma nei suoi occhi si leggevano solo desolazione e paura.

«Non so se ce la faccio.»

«Perché non sei venuta a cercarlo dopo l'incendio?»

«L'ho fatto. Mi hanno cacciata. Mi hanno detto...»

Una lacrima scese solitaria sulla sua guancia, bagnando le dita di lui. Grimm gliela asciugò e si avvicinò al suo viso, parlando sottovoce. «Lui non è pronto, Dahna. E nemmeno tu.»

«Lui è tutto ciò che mi resta, Grimm.»

Non la biasimò. Se ci fosse stata anche una sola possibilità di poter riabbracciare i suoi, l'avrebbe colta al balzo anche lui. Ma non era così che sarebbe dovuta andare.

«Resta qui», le ordinò.

Dahna gli lanciò un'occhiata truce. Odiava sentirsi dare ordini e odiava tutta quella situazione. «Se mandi tutto a puttane, ti ammazzo.»

Un angolo delle labbra di Grimm si alzò, impercettibilmente. «Bentornata, Briniel.»

Mentre lo guardava entrare nella stanza, Dahna ripensò alle sue parole, quelle che aveva origliato fuori dalla porta del Primo piano, alla Dovizia. 

Ho bisogno di parlare con lui, di fargli capire che qui potrebbe avere una famiglia pronta ad accoglierlo, se lo volesse.

Pregò che fosse sincero e si toccò le guance per imprimere quel gesto nella sua mente. Decise di fidarsi, non che avesse molta altra scelta. Se le cose fossero andate male, avrebbe comunque potuto vendicarsi. Non era la vendetta ciò che Grimm amava di più?

Nella stanza c'erano solo altri due bambini, intenti a imparare il violino e l'Oud con scarsissimi risultati. Grimm si era avvicinato alla schiena di Nath e gli aveva sussurrato all'orecchio, sperando che non iniziasse a urlare per lo spavento.

«Ciao, campione.»

Nath non si agitò né impazzi. Si voltò soltanto a guardare il suo viso e, non appena lo riconobbe, i suoi occhi si illuminarono. Lo abbracciò forte.

«Ash! Cosa ci fai qui? E perché parli?» La sua voce si era abbassata di qualche tono dall'ultima volta che si erano incontrati, ma sembrò squillare in ogni angolo di quella stanza.

«Ero di passaggio e sono venuto a trovarti. Sono nuovi quei due bambini? Non li ho mai visti.»

«Sì, sono arrivati da poco. Perché parli?»

«Forse ho trovato una soluzione per la mia voce.»

«Sono contento per te. Hai una voce diversa da quella che mi aspettavo. Più bassa.»

Gli avvicinò le mani alle guance, muovendole per fargli fare delle smorfie divertenti. «E stai diventando vecchio.»

«Ti ringrazio, anche tu mi sei mancato. Come stai? Come procedono le cose qui?»

Era sinceramente preoccupato per la situazione. Sapeva che Nath non lo vedeva come un problema, per lui quella era semplicemente casa, un posto come quello che era stato costretto ad abbandonare tanto tempo prima e che adesso era diventato la sua quotidianità, ma quello non era il suo mondo. E per quanto si impegnasse e si sforzasse di farsi nuovi amici e di farsi andare bene quella situazione, nei suoi occhi Grimm vedeva riflessi gli abusi che subiva e la mancanza che provava.

La sentiva quella mancanza.

La mancanza di casa, di Diefbourg, dei suoi genitori. La mancanza di sua sorella. Non il mostro che era scappato da lui la notte dell'incendio, ma quella che lo rincorreva sulle scogliere vicino a casa, quella che gli toglieva sempre la crosta del pane per renderglielo più morbido, quella che gli rimboccava le coperte e gli leggeva la storia della Stella prima di dormire.

Grimm sapeva così tante cose della vecchia Dahna. Le aveva imparate attraverso le parole e gli occhi di quel bambino che ormai bambino non era più. In uno di quei momenti condivisi con lui all'Orfanotrofio, Nath gli aveva detto che gli sarebbe piaciuto riavere indietro quella Dahna. Non il mostro del circo, solo la sua dolce sorellona.

Grimm aveva ascoltato tutto e gli aveva detto che probabilmente sua sorella aveva avuto delle ragioni per fare ciò che aveva fatto, che non l'avrebbe mai abbandonato, che lo stava cercando.

All'epoca, non aveva ancora conosciuto Dahna Briniel.

E ora che la conosceva, l'incubo di Nath era diventato anche il suo. Solo in modi diversi.

«Sto bene. Oggi a pranzo ci hanno dato una zuppa al kerri. Bleah, una schifezza. I miei amici dicono che tra qualche dì dovrebbero arrivare quattro famiglie e ci hanno detto che dobbiamo tenerci pronti. E puliti. Io sono sempre pulito, ma comunque nessun mi vuole. Perché?»

Nei suoi occhi leggeva una tristezza e una desolazione immensa. Lo guardava ogni volta e ogni volta vedeva ancora un bambino che stava lentamente perdendo la speranza, che non si sentiva adeguato, che non pensava di essere abbastanza. Abbastanza pulito per essere scelto, abbastanza bello da essere notato, abbastanza buono per essere amato.

«La gente è stupida e solitamente non si rende conto della bellezza che ha sotto il naso. Tu sei perfetto così come sei, Nath. Se le persone non se ne rendono conto è un problema loro, non tuo.»

Il ragazzino lo guardò di sottecchi, scettico, ma sorrise. «Grazie, Ash. Ho imparato il brano che mi hai insegnato l'altra volta. Vuoi sentire?»

Grimm gli sorrise di rimando e gli fece un cenno di assenso con la testa, incitandolo a mettere le dita sui tasti. Una melodia si diffuse tra quelle pareti insonorizzate, arrivando alle orecchie di Dahna. Era una progressione di accordi lenti e pacifici. Niente di troppo complesso. Lei sbirciò, senza farsi vedere, e notò che la mano sinistra di suo fratello a malapena toccava i tasti dello strumento. Grimm gliela prese nella sua e con quella libera lo aiutò con gli accordi bassi, decisamente più complessi ed elaborati. Più capaci.

Riconobbe la musica, ma non riuscì a ricordare il luogo o il momento in cui l'aveva sentita. Una lacrima silenziosa scese sulla sua guancia e lei soffocò un singhiozzo. Era cresciuto tantissimo e l'aveva fatto senza di lei. Era cresciuto da solo, senza la sua famiglia. Si odiò per questo e finalmente capì le parole di Grimm.

Nath aveva ragione ad avere paura di lei, aveva ragione a odiarla, a non volerla vedere. Lei stessa si odiava, nonostante la ricerca continua, nonostante le preghiere, nonostante tutto. Pensò che avrebbe potuto fare di più, che avrebbe potuto setacciare ogni micron dell'Impero, che avrebbe potuto scavalcare quei cancelli orbite prima e tentare di avvicinarsi a lui. Anche se questo avesse voluto dire essere presa. Anche se fosse stato l'ultimo suo gesto. Avrebbe dovuto essere lì con lui.

E invece le avevano detto che non c'era.
Le avevano detto che era morto.

Non riuscì ad asciugare né a fermare il fiume di lacrime che la scosse e si accasciò a terra per cercare di riprendere fiato. Ogni tasto premuto da suo fratello e da Grimm era una lacrima in più sul suo viso. Quando smisero di suonare, Grimm gli fece un applauso e lei sentì qualcosa spezzarsi dentro. Si rialzò e si mise a correre fuori dalle mura di quella casa che sembrava più una prigione, lontano da quella famiglia che non era quella di Nath né la sua.

Grimm aveva ragione, non era pronta.

E lui la sentì. Sentì i passi veloci che si allontanavano verso l'uscita e chiuse gli occhi per un istante, sentendo in parte il suo dolore.

Nath si girò verso quel rumore e poi di nuovo verso di lui, confuso. «Non si può correre qui dentro.»

«Perché cosa succede se correte?»

«Ogni infrazione del regolamento comporta delle punizioni.»

«E qual è la punizione se correte?» Non era sicuro di volerlo sapere.

«Due schiaffi in faccia. Ci sono punizioni peggiori, ma comunque nessuno corre qui dentro. Chi era?»

Grimm lo guardò con compassione, mentre sentiva la furia crescere nei confronti di chiunque avesse avuto il coraggio di alzare le mani contro quei bambini.

Ma ora aveva il potere di cambiare le cose. Sebbene non avesse programmato di fare ciò che stava per fare, era giunto il momento di porre fine alla sua sofferenza. Di portarlo via da quel carcere nascosto dietro una facciata di impeccabile perbenismo. Pregò gli Dèi che tutto andasse per il verso giusto e che lo perdonassero.

«Nessuno. Ascolta, Nath. So che questa è la tua casa e so che hai degli amici qui, perciò capirei se mi dicessi di no, ma ti voglio proporre una cosa. Ti va di venire con me? Non sono un granché come famiglia, ma potresti correre in casa e potresti decidere tu cosa vuoi mangiare e...»

Nath lo guardò con la luce negli occhi. Una speranza. Era tutto ciò che chiedeva e tutto ciò di cui aveva bisogno. Grimm non lo sapeva, ma era l'unica famiglia che avesse mai voluto.

«Dici davvero? Posso venire con te?»

«Sì, se lo vuoi. Non saremmo soli. Ti ricordi di Dankar e Tommy? Te ne avevo parlato qualche tempo fa.»

Lui annuì, con gioiosa incredulità. «Il corsaro imperiale e quello che va matto per i vestiti?»

Quelle parole causarono una risata spontanea in Grimm. Un suono che non sentiva da tempo. «Proprio loro. In più, c'è Soffie. Ha più o meno la tua età, potreste andare molto d'accordo. Se lo vuoi, se te la senti, potremmo essere la tua famiglia. Non proprio una normale, ma sicuramente una migliore di questa.»

«Wow! Davvero? Davvero mi volete con voi?»

Il suo sorriso era così grande e la gioia nei suoi occhi così brillante, che Grimm non ebbe il coraggio di dirgli che c'era un altro membro in quella strana famiglia. Non voleva mentirgli, ma non voleva neanche spaventarlo, perciò scelse una via di mezzo. «C'è anche un'altra persona che vorrei che conoscessi. Potrebbe non piacerti...»

«A me le persone non piacciono a prescindere, quindi non c'è pericolo. Se piace a te, però, dev'essere una brava persona.»

Se piace a te.

Come te lo spiego?

«Ti fidi di me?»

Lui lo guardò con un po' di scetticismo negli occhi, come se avesse intuito che qualcosa non andava. Ma si fidava di lui. Forse era l'unica persona di cui si fidasse davvero.

«Sì. Non mi metteresti mai in pericolo, vero?»

Qualcosa in Grimm si infranse in mille pezzi. Si aggrappò al pensiero che non gli stava mentendo, che stava solo omettendo una parte della storia. Solo che quella parte della storia per quel bambino era un tassello enorme e fondamentale. Per quanto volesse dargli una famiglia, il tipo di famiglia che lui stesso aveva perso, si sentì un bastardo.
Probabilmente, Dahna aveva ragione.
L'unica cosa da cui avrebbe dovuto proteggerli era lui.

«No, Nath. Non lo farei mai. Promettimi che ti fiderai di me, qualsiasi cosa accada, e io ti porterò via da qua e ti terrò la mano ogni volta che ne avrai bisogno. Le persone possono fare errori, ma questo non vuol dire che siano per forza cattive. Alcune cambiano.»

Mentre diceva quelle parole, sperò con tutto il cuore di avere ragione. Sperò che Dahna Briniel non fosse un'altra maschera, sperò che quel cuore di ghiaccio si sarebbe scaldato alla vista di suo fratello, che sarebbe tornata a essere la stessa che gli rimboccava le coperte e lo cullava quando aveva gli incubi.

Ci sarebbe voluto del tempo, forse, e probabilmente Nath lo avrebbe odiato all'inizio, ma per quanta rabbia avesse provato nei confronti di Dahna, l'unica cosa che voleva è che quel bambino avesse una famiglia. Non gli era chiaro quando questo pensiero fosse diventato così prorompente.

Quell'Orfanotrofio era pieno di bambini che cercavano una casa, un'identità, una famiglia. Lui avrebbe voluto esserlo per tutti loro, ma Nath era sempre stato diverso e da quando sua sorella era entrata nella sua vita, facendo combaciare pezzi che fino ad allora erano stati sparsi sul pavimento della sua anima, non era più riuscito a pensare ad altro. Pensò che fosse un modo di redimersi, per chiederle perdono per la cicatrice che le aveva procurato. Un ramoscello d'ulivo in quella guerra inutile che lui aveva iniziato. Con sé stesso, più che con lei.

Ma la verità era che gli occhi di quella giovane, bellissima donna erano cambiati, la notte in cui aveva parlato di suo fratello. Avevano preso le stesse sfumature grigie e spente dei suoi, nelle orbite dopo l'incidente. L'aveva guardata e aveva capito che non erano poi così diversi. Erano due naufraghi in un mare di insopportabile dolore.

Nessuno meritava di perdere la propria famiglia. E tutti meritavano di averne una. Anche lei. Anche Nath. In fondo, quel bambino non era l'unico a cercarne una.

«D'accordo, allora. Vai a prendere le tue cose, io vado a firmare un po' di fogli.»

E così dicendo, lo guardò uscire felice, chiedendosi se avesse fatto la scelta giusta. La guardia gli chiese spiegazioni riguardo alla donna che era fuggita e lui inventò una scusa plausibile, come sempre. Se c'era una cosa che aveva imparato da Tommy, oltre alla differenza tra il color malva e il glicine, era la capacità di improvvisare.

Mezzo giro più tardi, si trovavano al Porto Aereo. Gli occhi di Nath faticavano a credere a ciò che stavano guardando.

«Chiudi la bocca, altrimenti ci entrano le zanzare.»

Grimm sentì il suono dei denti che sbatterono all'improvviso. Sorrise e si chinò leggermente per essere alla sua altezza. «Sei pronto?»

Il ragazzino annuì deciso. Grimm lo guardò come avrebbe guardato sua madre ai fornelli o suo padre mentre lo aiutava con i compiti a casa. Lo guardò con un sentimento negli occhi dimenticato da tempo, che era convinto di non riuscire più a provare. L'affetto.

Non gli disse che un membro della sua nuova famiglia, forse quello che avrebbe odiato di più, era già a bordo. Sperò solo con tutto il cuore che Dahna stesse sottocoperta per l'intero viaggio. Doveva evitare che i due si incontrassero e capire come gestire il casino in cui si era appena cacciato.

Doveva trovare una soluzione. E in fretta, pure.

Fu più semplice e sbagliato del previsto.

Mentre lasciavano il deserto, accingendosi a salire sull'aereonave, Grimm guardingo e Nath a dir poco affascinato da quella strana tecnologia, una ragazza dai capelli corvini e il viso coperto da un velo nero si palesò davanti a loro, salutando il più piccolo.

La sua voce suonò leggermente diversa, nascosta dietro quel tessuto. Grimm la guardò e vide nei suoi occhi la decisione che aveva preso. Aveva scelto di essere forte e aveva scelto di ricominciare da capo, guadagnandosi l'amore di suo fratello come un'estranea. Lo avrebbe amato e protetto come sangue del suo sangue, senza che lui lo sapesse.

Era una decisione corretta? Probabilmente, no. E nemmeno la più facile. Ma era la migliore per loro. Stavano ingannando un ragazzo, ma lo stavano facendo per il suo bene. Nath non sarebbe più tornato all'Orfanotrofio, non avrebbe mai più ricevuto uno schiaffo, avrebbe avuto tutto ciò che potevano dargli.

Forse non avrebbe mai accettato di convivere con il suo incubo, ma con il tempo avrebbe iniziato ad amare quella strana ragazza mora e vestita in modo bizzarro, finché non fosse stato pronto a scoprire che era sua sorella e che lo amava allo stesso modo.
Che non aveva mai smesso di farlo.

Non ci credette più di tanto, ma ci sperò con tutto sé stesso.

Vide la gratitudine nei suoi occhi e gli bastò. Vide l'amore nei confronti di Nath e seppe di aver fatto la cosa giusta. Per una volta.

La sua voce suonò seria, ma amichevole. Lui vi sentì solo infinita commozione.

«Ciao, io sono Jamila. Benvenuto in famiglia, piccolo. Pronto per guidare un'aeronave?»


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Spazio autrice:

Questo capitolo nella mia testa suonava molto più lungo, ma come sapete questa storia sarà revisionata e leggermente ampliata, per dare spazio a momenti come questo e a luoghi come l'Orfanotrofio, su cui vorrei scrivere un centinaio di pagine.
Problema: se vado avanti così alla fine diventa un Proust e non c'è mai una fine 😂

Spero comunque di avervi dato un assaggio di Assia e che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate ❤️❤️❤️
Se lo leggete con la colonna sonora di Aladdin in sottofondo, è tutta un'altra storia ahahahah 😂

Vi voglio bene,
S.
❤️

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