Sono io, l'imprevisto

Oggidì
(Parte seconda)

19

«Avete fatto un giro in barca, prima di venire qui?», chiese Tommy, al loro rientro alla Dovizia.

«No, ehm... Mi sono fatta male, nel retrobottega, e Grimm mi ha dato una mano a disinfettare la ferita», rispose Dahna, con una plausibile spiegazione per il ritardo che desse risposta anche della benda che le fasciava il collo.

«Grimm, cosa? Questo Grimm?», le chiese, per avere conferma che parlassero della stessa persona.

«Conosci altri Grimm?»

«Ti ha medicata.» Non era una domanda. O forse sì, non lo sapeva nemmeno lui. Stava solo tentando di convincersi di quello che gli era appena stato riferito. «Questo Grimm, quello con le tendenze omicide e gli occhi da felino rabbioso, aveva una garza e il tuo collo a disposizione e, invece di strozzarti, ti ha medicata.»

Si girò verso Dankar in cerca di supporto psicologico. «Sono morto? Ti sembro morto?»

«No, purtroppo sembri in piena salute», gli rispose lui, accennando un sorriso.

«E allora sta arrivando la fine di Galthorn, altrimenti non si spiega.»

«È probabile», gli disse Grimm, con la voce ancora roca.

Dankar si voltò verso di lui con uno scatto repentino e gli occhi fuori dalle orbite, poi si alzò e, con estrema lentezza, si avvicinò a Tommy. «Speravo di non averti intorno anche da morto, ma inizio a pensare che tu abbia ragione. Probabilmente, lo siamo entrambi.»

La confusione negli occhi di Tommy era evidente, mentre guardava Grimm. «Non sembri sbronzo, perché parli?»

Dahna soffocò un sorriso. «Sedetevi o con quel pallidume mi tocca davvero portarvi al Colle Esanime.»

I due obbedirono e tornarono ai loro posti, confusi e in attesa di spiegazioni.

«Le ragazze stanno bene?», chiese Grimm.

Loro lo guardarono perplessi, ma annuirono. «Stanno dormendo al Primo», gli rispose Dankar.

Fu Dahna a prendere la parola per diradare le nubi che incombevano sulle loro menti. «Sono passata al Laboratorio perché avevo bisogno di una mano con la ferita. Grimm stava fumando uno dei tuoi cigarilli gialli, dove li hai presi?»

«Ma voi non dovevate tornare subito qui, insieme?»

«Sì, beh, piccolo imprevisto. Chi te li ha dati, i cigarilli?», rispose Dahna, evitando la domanda scomoda.

Dankar la guardò con un'espressione non del tutto convinta, ma decise di non indagare. La fiducia di quella ragazza nei suoi confronti era appesa a un filo sottilissimo da quando aveva scoperto di essere sua sorella e, sebbene lo shock iniziale fosse passato, loro due avevano ancora una pesante conversazione in sospeso. Più di una, a dire il vero. «Un mercante a Keltam, diceva che potevano domare anche i più belligeranti spiriti.»

«Aveva ragione. Quei cigarilli contengono papaveri gialli, rarissimi al di fuori dell'epicentro del deserto. Bernabé li commerciava come calmanti, ma era difficile entrarne in possesso. Quando sono stata ad Assia, ho lavorato per un periodo in un'infermeria da campo durante la guerriglia indigena. Lì, li usavano come medicinali. Non mi era chiaro a cosa servissero, ma non creano dipendenza e hanno fatto rinsavire molti dei guerriglieri mentalmente instabili. Con ciò, non voglio dire che Grimm sia psicopatico, ma se il suo blocco non è un difetto fisico bisogna lavorare sulla mente e, a quanto pare, funzionano.»

«Quanto dura l'effetto?» Tommy era un misto di estasi e incredulità. Dopo quasi dieci orbite, più di mille tentativi falliti e altrettanti silenziosi gesti, forse avevano trovato una soluzione e lui faticava a crederci.

«Non ne ho idea», gli rispose Grimm, con un'alzata di spalle appena accennata. «Ne ho altri nove, per adesso. Nel frattempo, cercherò di reperire la materia prima e di sintetizzarla in laboratorio. Tieni», disse a Dankar, allungandogli altre boccette del suo composto. «È più concentrato dell'ultimo, dovrebbe durare più a lungo.»

Lui le prese e le adagiò nel primo cassetto, ringraziandolo. «È strano sentire la tua voce. L'ultima volta che l'hai usata mi stavi insegnando come giocare a esagoscacchi, una parola su due era un insulto o una battuta sarcastica, ed ero convinto mi odiassi.»

«Infatti, ti odiavo. Eri un giovane capitano pomposo che credeva di avere l'Impero in pugno e di poter sottomettere chi voleva.»

«E adesso?»

«Adesso sei solo un po' meno giovane», gli disse, alzando un angolo delle labbra e scatenando la stessa reazione in lui.

«Mi dispiace.» Nella voce di Dankar si sentiva tutto il rammarico per la morte dei suoi e, in lontananza, udibile solo alle orecchie di Grimm, anche il senso di colpa per non aver concluso in tempo i lavori al Laboratorio, costringendolo a fabbricare l'ordigno nel seminterrato di casa sua.

«Non devi, non è stata colpa tua.»

«Nemmeno tua, Gri», gli rispose lui, cercando di infondergli quell'amara verità che lui faticava così tanto a ingoiare.

Grimm rimase in silenzio. Non aveva le energie di intraprendere quella conversazione, soprattutto con lui, soprattutto di fronte a Dahna. Aveva già avuto una dose sufficiente della sua compassione per quel dì. «Vado a medicare le ragazze.»

Tommy si alzò e recuperò la sacca dei medicinali ai piedi di Dahna. «Vengo con te.»

E così dicendo, i due scesero al Primo, lasciando gli altri da soli.

Le ragazze stavano dormendo pesantemente. Due letti singoli erano stati accostati per poter sfruttare anche le coperte più grandi e tenerle al caldo. Nonostante fossero pallide e febbricitanti, i loro corpi le avevano costrette a un sonno profondo e pacifico per riprendere le forze e liberarsi dalla droga. Grimm misurò loro la temperatura e controllò il polso con la stessa delicatezza con la quale aveva medicato Dahna, pochi giri prima.

Preparò due compresse e altrettanti bicchieri d'acqua sui comodini ai lati del letto, ormai doppio, e preparò le siringhe di Febbrifuga, tirando fuori il necessario dalla sacca.

«Un piccolo imprevisto?», gli chiese Tommy sottovoce, per non svegliare le ragazze.

«Sono io, l'imprevisto.»

Tommy lo guardò scettico, come se riuscisse a fiutare le sue emozioni a miglia di distanza, ma non lo assillò. «Adesso sembrerebbe che tu debba devastarti i polmoni, al posto del fegato.»

«Non è una soluzione a lungo termine, ma è un inizio.»

«In che senso non è una soluzione a lungo termine?»

«È oppio, Tom. Hai visto come sono ridotte le passerelle di Onderbourg? Sono sotto papaveri anche loro», gli rispose Grimm, picchiettando sul vetro di una delle siringhe per stabilizzare il liquido e rimuovere eventuali bolle d'ossigeno.

«Sì, ma tu ti senti bene, vero? Non mi sembri annebbiato o isterico. Non più del solito, almeno. Anzi, sembri stranamente troppo calmo.»

«Lo sono, ed è strano per te quanto per me, ma anche sintetizzati restano comunque oppiacei, e non sono mai una soluzione. Il problema è la mia mente. Sono psicopatico, hai sentito Briniel, no?»

«E da quando tu ascolti Dahna?» Se lo scetticismo avesse avuto una faccia, sarebbe stata quella di Tommy, in quel momento.

Grimm sbuffò, contrariato. «Da quando ha ragione. Ho perso la voce quando ho perso i miei e non saranno dei semi di papavero a farmela tornare. Io glielo devo, Tom. Lo devo a loro che, se fossero qui, farebbero di tutto per farmi guarire. Non so se avrò bisogno di una benedizione di Morlion, di uno strizzacervelli o di un miracolo, ma non mi fumerò oppio giallo per il resto della mia vita solo per far vibrare le mie corde vocali.»

«Uno strizzacervelli, sei impazzito? Sai cosa fanno gli strizzacervelli?», gli chiese Tommy, nel panico.

«Strizzano i cervelli?», gli chiese lui, sarcastico, alzando un sopracciglio.

«Appunto! Il tuo vale troppo. Non fartelo strizzare, per favore, che poi gocciola e ti ritrovi come me, con una brodaglia grigiastra che nuota tra le pareti del cranio.»

Grimm sorrise. Se avesse potuto barattare la sua mente per quella di Tommy l'avrebbe fatto senza pensarci due volte. Non aveva intenzione di andare da un Medico della Psiche, sebbene credesse parecchio nel loro lavoro, non aveva bisogno di un miracolo e, sicuramente, non sarebbe andato a chiedere udienza a Morlion perché lo benedisse. Doveva solo trovare il modo di superare quel lutto, di somatizzare quel trauma, di guardare le sue cicatrici, nascoste dall'inchiostro, e ringraziare che ci fossero, che il suo corpo avesse retto, che fosse sopravvissuto.

Ci erano volute nove orbite per arrivare a questo, quasi quattro per dire loro addio, altrettante per cercare di annegare quel trauma nell'alcol e, alla fine, erano bastati un cigarillo giallo e un paio di occhi ametista.

Mentre inseriva l'ago nel braccio della prima ragazza, cercando di darle un po' di sollievo, ripensò a ciò che era successo poco prima, al Laboratorio.

Aspettava di farle del male da molto tempo, aspettava quella sensazione di sollievo che si dovrebbe sentire quando finalmente si mette in atto una vendetta che si premedita da una vita. Si aspettava che lei piangesse, che si prendesse la colpa per quella notte, per quell'abbandono, che chiedesse scusa per il suo egoismo e che tornasse da dove era venuta.

Invece aveva stretto i denti, sopportando quell'ustione come se la meritasse, e l'aveva guardato come se quel gesto non l'avesse scalfita, come se provasse pena per quel groviglio di emozioni che si era trovata davanti. Gli aveva chiesto se fosse soddisfatto, se si sentisse meglio e lui avrebbe voluto con tutto sé stesso dirle di sì, che se lo meritava, che la colpa era sua se lui in tutte quelle orbite si era riempito il cuore di odio e il fegato di alcol. Che era colpa sua se il senso di colpa non voleva saperne di andarsene.

Ma la verità era che la colpa non era mai stata sua.

Lei era solo una persona ferita e sola, che aveva combattuto, esattamente come lui, con i mostri dentro la sua testa. Era stata un capro espiatorio, qualcuno a cui addossare una colpa che per lui era diventata troppo pesante da portare sulle spalle. Non doveva scusarsi di essere fuggita, di essersi salvata, e non doveva scusarsi per il fatto che Grimm fosse diventato così. Non doveva farsi perdonare niente, aveva fatto ciò che era giusto e gli aveva sbattuto in faccia, senza emettere una parola, la semplice, cruda verità.

Che quella che provava non era più sete di vendetta, ma desiderio.

Che quelle a cui ambiva non erano più le sue scuse, ma le sue labbra.

Che quella che sentiva non era più rabbia, ma un'attrazione travolgente verso l'unica persona che in quelle dieci, lunghe orbite gli aveva fatto sentire, per la prima volta, di nuovo qualcosa.

Era lui ad avere un debito nei suoi confronti, ora, e non c'era moneta esistente, a Galthorn, con il potere di estinguerlo.

Si prese il volto tra le mani, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, lasciando che le dita si perdessero tra i suoi capelli e somatizzando il senso di colpa che, per quanto familiare, in quel momento era mille volte più pungente e doloroso.
«Ho fatto una cazzata», disse, sottovoce.

«Non è una novità. Quanto grossa?», gli chiese Tommy, con dolcezza. Sapeva che avrebbe parlato, aveva solo bisogno dei suoi tempi.

«Imperdonabile.»

«Vuoi parlarne?»

Grimm esitò qualche istante, ma alzò lo sguardo verso l'amico. Tommy aveva iniziato a costruire un bel rapporto con Dahna, aveva paura della sua reazione, ma era anche l'unica persona a cui avrebbe voluto dirlo, dalla quale voleva ricevere aiuto.
«La fasciatura sul suo collo... Non si è fatta male nel retrobottega, sono io ad averla ferita.»

«Tu, cosa?» Era sorpreso e arrabbiato. «Grimm, che cazzo hai fatto?»

«Le ho spento il cigarillo sul collo. Non volevo farlo. Non è una giustificazione, niente potrebbe giustificarmi, ma la mia mano è partita da sola, senza che io riuscissi a fermarla. Non sono mai arrivato a tanto, non ho mai fatto del male a una donna, non lo farei mai e tu lo sai meglio di chiunque altro. Sai perché voglio che quelle ragazze siano libere e sai che non le toccherei mai per fare loro del male o senza il loro consenso.»

«E allora che cazzo ti è preso?»

Grimm scosse la testa, affranto. «Non lo so. Io... Onestamente, non lo so. Quella donna mi fa perdere il controllo.»

«Quella donna ha iniziato a farti perdere il controllo molto tempo fa.» Tommy si alzò e trascinò la sedia vicino alla sua, sospirando. «Hai ragione, Gri. Quello che hai fatto è imperdonabile, ma lei ha superato i gironi della morte e, nonostante questo, poco fa ti ha coperto, mentendo a noi. Forse avevate entrambi bisogno di toccare il fondo, per ricominciare da capo.»

Grimm annuì, pensieroso. «Forse. Ricordi cosa feci dopo il colpo alla Casa da Gioco?»

«Andasti ad Assia, come ogni orbita.» Tommy ricordò le parole di Dahna e collegò i pezzi. «Sei andato lì per cercarla?»

«Avrei fatto il giro di mezzo Impero per cercarla, Tom, ma sono andato ad Assia per i bambini, come al solito. L'ho trovata senza volerlo. L'ho vista prendersi cura dei guerriglieri feriti, l'ho vista serena e non ho trovato il coraggio di parlarle, di chiederle spiegazioni. Probabilmente, se l'avessi fatto, non avrei coltivato tutto questo odio nei suoi confronti. La guardavo da lontano e la rabbia che provavo nei suoi confronti cresceva a pari passo con la sua felicità. Pensavo non se la meritasse, dopo quello che aveva fatto alle ragazze del Lupanare. Il problema è che invece se la meritava e che la mia non era solo rabbia.»

«Cosa non mi stai dicendo?»

«Conosco suo fratello.»

«Nath?»

Grimm annuì. «Ha passato molto tempo in una Casa di Cura psichiatrica per recuperare la memoria, poi l'hanno spostato all'Orfanotrofio. Un ragazzo andava a trovarlo quasi ogni giorno e stava con lui per qualche giro.»

«Potrebbe essere quello che ha aiutato Dahna a scappare dal Léon?»

«Probabile.»

«Come facevi a sapere che era lui?»

«All'epoca non lo sapevo, ho collegato tutto solo dopo il racconto di Dahna, l'altra notte. Quando tornai lì, dopo il fiasco del Lupanare, conobbi un bambino biondo di nome Nathanael. Mi raccontò del Léon, ma i suoi ricordi erano confusi. Era quasi sicuro di avere una sorella, ma lo disse con il terrore negli occhi, come se quella sorella fosse il suo peggior incubo. Le somiglia molto. Torno da lui e dagli altri ogni orbita, quando posso.»

«Lei sa che è lì? Devi dirglielo.»

Grimm annuì. Non sapeva se lei ne era a conoscenza, ma aveva il diritto di sapere. «Glielo dirò.»

«E le dirai anche degli aurei che stai inviando per il suo mantenimento?»

«No, questo non deve saperlo. Io ho iniziato a fare visite e mandare denaro all'Orfanotrofio molto tempo fa, quando ho iniziato a potermelo permettere. Ci potevo essere io, al posto loro, e quei soldi sono destinati a qualsiasi bambino che abbia perso la propria famiglia, incluso Nath. Dahna lo ha abbandonato, esattamente come ha fatto con le ragazze, e per quanto io provi rabbia per questo, Nath non avrebbe mai dovuto subire il suo egoismo. Nessuno di quei bambini avrebbe voluto restare solo e ognuno di loro cerca solo un posto in cui sentirsi di nuovo a casa.»

Tommy sentiva, nelle parole di Grimm, tutta la solidarietà e la comprensione per quei bambini. Aveva ragione. Se non fosse stato per lui, o per Dankar, non avrebbe avuto una famiglia e, probabilmente, avrebbe passato orbite in una stanza vuota e asettica, come le loro. «Forse non è come pensi. Dahna potrebbe anche aver lasciato le ragazze per rifarsi una vita, ma l'hai vista quando parlava di suo fratello. Se potesse stargli accanto, sono sicuro che lo farebbe, senza esitazioni.»

«Lo so. Dubito che non si sia recata all'Orfanotrofio mentre era ad Assia, quindi deduco che debbano averle mentito riguardo alle condizioni o alla presenza del fratello. A te non ha detto niente?», chiese all'amico, con la speranza che avesse le risposte che lui non riusciva a trovare.

Tommy fece un cenno di diniego con la testa, sospirando. «Cosa intendi fare adesso?»

Smettere di combattere.

Riportarlo da lei.

«I Natali si avvicinano. Dankar starà escogitando un piano per andare a Corte, salvare Soffie e capire quale sarà il prossimo incarico imperiale. Ti chiedo di salire al Quinto, adesso, e dirgli che sono andato ad Assia, a cercare papaveri gialli. Dì loro che le ragazze si riprenderanno e di non aspettarmi. Prendo in prestito l'aeronave più piccola. Sarò di ritorno tra quattro dì, in tempo per coprirvi. Ho bisogno di parlare con lui, di fargli capire che qui potrebbe avere una famiglia pronta ad accoglierlo, se lo volesse. Non dire niente a Dahna, finché non avrò capito cosa fare.»

Tommy annuì, con un profondo sospiro, rassicurando l'amico che non ne avrebbe fatto parola.

Una rassicurazione inutile.

Dahna era dietro a quella porta, per terra, con l'orecchio sinistro teso verso il legno freddo, le ginocchia avvolte dalle braccia sottili e le lacrime a rigarle le pallide guance.

Ci era stata, in quel maledetto Orfanotrofio. Non l'avevano fatta entrare, le avevano detto che non c'era nessun bambino con quel nome. Aveva passato orbite in giro per l'Impero a cercarlo, notti intere a controllare ogni casa di Diefbourg, a spiare da ogni finestra, in cerca di due piccoli occhi familiari.

Si alzò senza fare rumore e, una volta fuori dalla Dovizia, si appostò dietro al muro in attesa di Grimm. Quando lui uscì e si diresse verso nord, lo seguì a debita distanza, senza farsi sentire, come un'ombra, finché non si trovò davanti a un vecchio magazzino, apparentemente abbandonato.

E mentre Grimm saliva a bordo di una piccola aeronave bronzea e celeste, accendendo la camera di propulsione e controllando che fosse tutto pronto per la partenza, lei si nascose nella stiva finché il motore a vapore non li fece decollare. Solo quando fu certa di essere a un'altezza tale da non poter più tornare sui suoi passi, salì in cabina e si avvicinò silenziosa a Grimm, in piedi davanti al timone.

Sfilò dal cinturino in pelle fissato alla coscia lo stesso pugnale che lui le aveva messo in mano poco prima e glielo adagiò sulla gola, sorprendendolo alle spalle.

Lui inspirò a pieni polmoni il suo profumo, riconoscendola, e cercò di calmarsi dallo spavento che gli aveva provocato, intuendo che la conversazione con Tommy non era stata così privata come pensava. «Non si origliano i discorsi altrui.»

«Portami da lui.»

«Non è pronto per vederti. Non ancora, almeno. Ha paura di te e io cerco solo di proteggerti da un incontro che non sei in grado di affrontare.»

Ognuna di quelle parole fu una pugnalata alla schiena. «Oh, adesso vuoi proteggermi? Sai qual è l'unica cosa da cui dovresti proteggermi? Da te. Sei un bastardo.»

Sulle labbra di lui si dipinse un sorriso stanco e triste. «Vero. Ora, dimmi qualcosa che non so già.»

«Ti odio.»

Grimm bloccò il timone e si voltò verso di lei, lasciando che il dirigibile seguisse la sua rotta e che la lama scorresse sul suo collo. Le alzò il mento con una mano e le si avvicinò fino a sfiorarle la punta del naso, sentendo la pressione del pugnale, e del suo sangue, farsi sempre più pesante. Parlò con una calma impressionante, ascoltando il respiro di lei farsi sempre più corto.

«Sicura?»
La mano che le teneva sollevato il mento si spostò più in alto, tracciando con il pollice la linea del suo labbro inferiore. Era morbido come lo aveva sempre immaginato. Maledettamente invitante. Il ciclo più freddo all'improvviso divenne il più caldo e quella domanda rimase sospesa, senza risposta.

Dahna lo guardò come se non riuscisse più a capire chi fosse, come se le mancasse l'aria e allo stesso tempo respirasse l'unico ossigeno di cui aveva bisogno. Aveva paura. Paura di provare quello che stava provando, paura che fosse sbagliato, paura che l'avrebbe devastata. Avrebbe dovuto odiarlo. Voleva odiarlo. Quei brividi lungo la schiena, quell'improvviso calore, la voglia di lasciarsi andare non erano previsti.

Un rigolo di sangue colò da un piccolo taglio sul collo di lui. La presa sul pugnale si era intensificata, come il ritmo del suo respiro.
Si facevano del male come se ne avessero bisogno, come se quelle ferite servissero a ricordare loro la strada giusta, come se fossero un sacrificio necessario per provare ciò che stavano provando.
Una benedizione, un permesso.

Grimm vide nei suoi occhi tutto questo. Vide paura, odio, rancore, ma soprattutto vide desiderio. Tutto ciò che provava lui, che aveva sempre provato nei suoi confronti, era riflesso in quelle due ametiste brillanti. Mille emozioni contrastanti che si rincorrevano dentro a quelle iridi immense. Dopo tanto tempo, in un modo perverso, sadico e paradossale, fu un po' come tornare a casa.

«Benvenuta nella mia mente, Briniel.»
_______________________________________________________

Spazio autrice:

Ciurma ❤️‍🩹
Andiamo da Nath, siete felici? 🥹
Chi come me sta sotto un treno per Grimm? Stu piezz emmerda💀🥲
Fatemi sapere cosa ne pensate,
Vi voglio bene!
S.
❤️‍🩹

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top