Sicuriscimo! Al gendo per gendo!

Interludio

(Parte seconda)

XXVI

«Signor Kopper, è un piacere riaverla alla Roulette.»

Il banchiere, ingessato in un completo nero di alta sartoria assiana, era anonimo come il suo abbigliamento. Guardò Tommy e gli parlò con una gentilezza obbligata, senza che il suo sorriso raggiungesse gli occhi, mentre le sue mani si muovevano velocemente sul disco per prepararlo all'inizio di un nuovo turno.

«Prima puntata?»

Tommy trangugiò un sorso di liquido ambrato dal suo tulipano di vetro e gli sorrise. Era tè freddo, non poteva permettersi di essere sbronzo quella notte, ma strinse comunque un po' gli occhi e soffiò un alito di ubriachezza fingendo che fosse roba forte. Niente lo divertiva di più che fingersi sbronzo.

«Uhh, buon'uomo. Vediamo, trenta?»

Trascinò sul tappeto verde due fiches per colore, sghignazzando come un idiota.

«Signore, quelli sono trentaquattro aurei, non trenta.»

Tommy si tirò uno schiaffo sulla fronte, stando ben attento a fare più rumore possibile, e rise di gusto. «Vada per trentaquattro, allora!»

Il banchiere lo guardò con un'espressione divertita e allo stesso tempo soddisfatta. Quell'uomo avrebbe perso tutto nel giro di tre turni. Se non avesse pensato alla sostanziosa busta paga in arrivo a fine ciclo, avrebbe quasi provato pietà per lui.

«Bene, cominciamo. Non c'è bisogno che le spieghi le regole. A lei la pallina.»

Gli porse la piccola sfera bronzea, posandogliela sul palmo della mano. Tommy chiuse il pugno, si scrollò le spalle, fece scrocchiare il collo e invitò una delle spettatrici a sedersi sulla sua gamba come portafortuna. Mentre lei, sorridendo, gli si sedette in grembo, Tommy lanciò con un movimento impercettibile la pallina di bronzo dentro la manica, sostituendola con quella di ferro, e adagiò l'altra mano sulla coscia liscia e abbronzata della signorina.

"Il bello di avere a che fare con depravati ludopatici in una Casa da Gioco", aveva detto agli altri, quando avevano escogitato il piano, "è che se tieni una mano tra le gambe di una donna, nessuno guarderà l'altra mano."

E infatti il suo braccio sinistro, con il polsino magnetico, si adagiò sopra il ginocchio di quella donna posizionandosi esattamente sotto il disco girevole. Gli spettatori avevano riso, lui aveva fatto un occhiolino alla fortunata, aveva sbiascicato due parole e aveva dato inizio alla partita, fottendoli tutti.

La Roulette fece ventiquattro giri, prima che il polsino di Tommy attirasse la pallina sul numero otto. La bionda al suo fianco sentì il suo braccio strusciarle pericolosamente vicino al sesso e fece un gridolino, suscitando un'ilarità generale che Tommy sfruttò per ripassare la serie vincente.

Otto, ventidue, cinque, tredici, nove, zero.

Poteva farcela. Bevve un altro sorso di tè, facendo una smorfia convincente e puntò altre venti fiches.

«L'otto è un numero sfortunato, Signore. È sicuro di non voler riprovare il tiro?»

«Sicuriscimo! Al gendo per gendo!», biascicò.

Il banchiere lo derise internamente e fece partire il disco per il secondo turno.

Mentre una folla curiosa si riuniva attorno al tavolo di quella divertente causa persa, Grimm si sedette al banco del primo piano con Baltizar alle spalle. Gli bastò un cenno del capo al banchiere per avere cinque carte in mano ed essere ammesso alla partita.

Baltizar si chinò vicino al suo orecchio per non farsi sentire da nessuno. «Vado all'angolo Sud a controllare lo specchio. Ci vediamo alla fine. Non vincere nulla, se riesci. È meglio non destare sospetti.»

Grimm annuì, trattenendo un sorriso. Attorno al tavolo c'erano quattro persone sconosciute, ma evidentemente sbronze. Vincere il banco sarebbe stato un gioco da ragazzi, anche con le peggiori carte possibili. Quando, dopo aver controllato le puntate, il banchiere dette il via alla partita, Grimm sbirciò la sua mano e gli sembrò uno scherzo del destino. Un Ace. Perdere una partita non sarebbe mai stato più difficile.

Osservò uno a uno gli altri partecipanti e incassò i loro sguardi con lo stesso bluff. Scoprì la carta con il valore più basso e la bruciò, tenendosi le altre. Stare con Tommy tutte quelle orbite gli aveva fatto male, ma era anche servito a qualcosa.

Le partite continuarono per una ventina di giri rapidi. A Tommy mancava solo l'ultimo numero della serie, mentre Grimm aveva piano piano scoperto tutte le carte dell'ace senza che nessuno, se non forse il banchiere, si fosse accorto della vittoria che aveva in tasca. In ogni caso, ciò che la gente vide furono due uomini sbronzi e poco abili al gioco, perciò il piano procedeva a meraviglia.

Al momento della scoperta finale, Grimm, come da programma, non aveva vinto né perso nulla, se non un minimo di dignità e soddisfazione personale.

Andò incontro a Baltizar, che aveva seguito la partita da lontano. «Se ti avesse visto Tommy, ti avrebbe ricoperto di insulti in questo momento, ma ehi... Ottimo lavoro.»

Grimm annuì, sconsolato. Visto niente?

«L'ombra ha seguito la tua partita fino a un attimo fa, adesso è sparita.»

Si guardarono intorno, sorseggiando finti liquori, finché non intravidero Dankar incamminarsi verso il piano inferiore con Geerd.

«Via libera. Ti copro io.»

Scivolarono verso le sale da bagno, sviando poi all'improvviso dietro a un tendaggio spesso a fianco alla mescita. Un cameriere puntò lo sguardo verso quel movimento improvviso, ma non notò nulla. Quando furono certi che nessuno li avesse visti, Grimm fece strada su per i gradini di una stretta scala a chiocciola fino a raggiungere il sottotetto. Era semibuio e, per loro fortuna, vuoto. Non potevano fare luce, perciò Grimm attese di abituarsi all'oscurità e si mosse lentamente, facendo attenzione a non urtare nulla. Baltizar, in cima alla scala, tenne d'occhio il pavimento e la stanza sottostante per accertarsi che non arrivasse nessuno, gettando di tanto in tanto occhiate al compagno nel buio.

Dopo qualche istante, Grimm gli si avvicinò e usufruì della luce soffusa proveniente dal piano inferiore per comunicare con lui attraverso il Simbolium.

Chiunque abbia progettato questo edificio è un genio. È molto più complesso di come l'avevamo immaginato. Dobbiamo trovare Tommy.

Baltizar non capì, ma non fece domande. Non erano nella posizione migliore per fermarsi a chiacchierare di cosa ci fosse in quella stanza. Qualcuno poteva sbucare da un momento all'altro e chiedere loro spiegazioni che non avrebbero saputo dare.

Il quartiermastro annuì e sbirciò un'ultima volta all'interno prima di apprestarsi a scendere, ma, ancora prima di poter poggiare il piede sul primo gradino, una mano gli toccò una gamba.

Sentì il sangue diventare ghiaccio e ogni singolo pelo sulla schiena rizzarsi, prima di trovare il coraggio di guardare in basso.

«Trovato niente?» chiese Dankar, sottovoce.

Dalle labbra di Baltizar fuoriuscì un grugnito esasperato.

«Porca puttana, Dan! Non ho più l'età per certi scherzi, potrei rimanerci secco!»

Dankar soffocò una risata e aspettò che entrambi scendessero i gradini per passare dal corridoio secondario e sbucare nelle sale da bagno.

«Allora, cos'hai scoperto?»

Grimm cercò di mettere insieme ciò che aveva visto per spiegarglielo. Ha costruito una macchina sul modello del montacarichi della Dovizia che si estende in altezza per tutti e cinque i piani e che smista il denaro. Qua sopra tiene quattro armadi diversi a seconda dei tagli delle monete false che vengono separate dalla macchina. Sono andato a memoria, non si vedeva nulla, ma al tatto sembravano tutte contraffatte.

«Quindi mi stai dicendo che secondo te ogni piano ha una sorta di condotto di scarico che collega tutte le macchine e i banchi alla smistatrice?»

Grimm annuì. Non posso esserne certo, ma è probabile. L'insieme delle tubazioni che collegano i vari giochi trasportano le monete al montacarichi che le porta al secondo piano, dove vengono smistate.

«Se vengono smistate qua sopra, e mi hai detto che hai trovato solo falsi, dove finisce il denaro autentico?»

Tiro a indovinare? Per peso e caratteristica, penso che venga lasciato cadere e finisca nel suo studio alla Sotterranea.

Era ciò che immaginava. Aveva senso. Geerd non poteva fidarsi di tenere il denaro vero a Diefbourg. Loro erano appena entrati in quella stanza senza allarmare nessuno, perciò non doveva essere così sicura come nascondiglio per il bottino, ma un condotto che permetteva alle monete di cadere letteralmente nelle sue casse a Onderbourg? Quello non solo era fattibile, ma anche geniale, soprattutto per una persona come Geerd.

Mentre pensava a come proseguire con il piano, un boato di applausi e risate arrivò ai loro timpani dal piano inferiore. Si guardarono per un istante, giungendo quasi simultaneamente alla stessa conclusione. Tommy.

Scesero le scale per arrivare alla sala delle slot e lo videro in piedi sul suo sgabello, con il bicchiere in mano, a esultare e ballare con una coordinazione degna delle più fradice spugne della Murena.

«Cosa ci siamo persi?» chiese Baltizar a un cliente che stava alzando il bicchiere alla sua salute.

«Ha rotto la Roulette. Il Signor Kopper ha vinto tutto. È la prima volta che vedo qualcuno riuscire nell'impresa e mi diverte molto sapere che a vincere sia stato un alcolizzato cronico che non ha la più pallida idea di cosa stia succedendo.»

L'uomo rise e li lasciò soli, avvicinandosi al festeggiato, che si beò per qualche istante degli applausi, delle ovazioni e, soprattutto, dello sguardo furente del banchiere. Solo dopo un po', Tommy si voltò verso l'angolo in cui erano riuniti i suoi compagni e si rese conto che qualcuno, oltre a loro, lo stava fissando.

Geerd.

Dankar lo sentì avvicinarsi all'orecchio di un banchiere alla loro destra e sussurrargli: «Quota?»

«Duecento spaccate, Signore. Ha vinto.»

Il Falsario annuì, pensieroso, e si avvicinò alla folla, ricostituendo una parvenza di silenzio.

«Signor Kopper! Congratulazioni! La fortuna deve aver un debito nei suoi confronti, sono impressionato! La prego, mi segua, usciamo di qui. Voglio offrirle da bere per la sua vittoria.»

Tommy, con gli occhi a mezz'asta, guardò di sfuggita Dankar e lo vide annuire.

D'accordo allora. Vada per il piano B.

«Andiamo!», urlò sbiascicando, con l'indice all'insù, e causando un'esplosione di giubilo e risate.

Passando accanto alla Banda, Geerd, troppo impegnato a farsi strada tra la folla, non si rese conto del passaggio furtivo di carte tra il Capitano e il fortunato vincitore della Roulette e non degnò di uno sguardo le guardie appostate alla scala per il piano superiore. Si limitò a dire a Tommy: «Resti qui, torno tra un attimo», lasciandolo da solo, appoggiato a uno stipite con la testa pesante e gli occhi chiusi.

Fu di ritorno poco più tardi con un foglio in mano, il suo lungo cappotto grigio e un sorriso di circostanza sulle labbra che Tommy trovò sublime. Stava lasciando la proprietà nelle mani degli altri e non aveva idea di cosa avesse scoperto Grimm all'ultimo piano. Si fidava ciecamente di ognuno di loro, ma era preoccupato per Dankar e Soffie. Non avrebbe voluto lasciarli soli in quell'impresa, la sua impresa, ma non aveva altra scelta. Dankar aveva previsto uno scenario simile e lo aveva preso da parte qualche giro addietro per metterlo al corrente del piano di riserva. D'altronde, pensare che il Falsario sarebbe stato zitto e sarebbe uscito a bere un bicchiere con il Capitano, dopo una vincita simile, era allo stesso tempo ingenuo e improbabile.

Mentre seguiva Geerd alla locanda lussuosa all'angolo, barcollando e cantando una sonata vittoriosa, la Casa da Gioco chiuse i battenti su ordine del proprietario e spedì tutti gli altri sfortunati a casa propria, serrando il portone principale con tre persone all'interno, nascoste nelle Sale da bagno e sotto il banco della Roulette.

Il giro di perlustrazione fu un ostacolo più semplice del previsto. Il disco era già stato controllato, come sempre dopo ogni vincita, e resettato per le giocate dell'indomani, perciò l'unica impresa per Dankar fu quella di stare immobile e non respirare. Grimm, al contrario, conscio che la totalità delle guardie era di sesso maschile e anche alquanto superstiziosa, trascinò Baltizar all'interno dei cubicoli delle sale da bagno femminili. Come previsto, tutto ciò che accadde fu che una delle giubbe si palesò, sbucando oltre allo stipite della porta principale, urlando: «C'è qualcuno?» e prendendo il silenzio in risposta come un no. Secondo le sacre scritture, a nessun uomo era permesso di entrare nelle sale femminili per una questione di rispetto. Nella realtà, Grimm pensò si trattasse di pigrizia o mancanza di testosterone, ad ogni modo funzionò. Quando anche l'ultima guardia fu fuori dal portone principale, buio e silenzio calarono sopra le loro teste, dando loro il via libera.

Quando Baltizar e Grimm lo raggiunsero, Dankar passò al secondo un paio di sacchi di iuta e lo guardò allontanarsi su per le scale.

«Andiamo. Grimm ci raggiungerà sotto», disse a Baltizar.

I gradini che scendevano a Onderbourg erano più ripidi del previsto. Li trovarono dietro alla bottigliera della mescita al piano terra, nascosti all'interno di una botola in ferro. Le uniche luci là sotto provenivano dalla luna, infiltrata dalla Celata e riflessa sulle sue acque nere, e dalle passerelle di legno della Sotterranea. Dankar andò verso la piccola porta che dava su quel mare di legno fluttuante e la aprì da dentro. Soffie li stava aspettando, guardandosi attorno per non dare nell'occhio.

«Finalmente. Ci avete messo un'eternità!»

Dankar la guardò e sorrise. «Tommy ha vinto parecchi soldi.»

«Non avevo dubbi. La vera domanda è: perché non è qui al posto tuo?»

«E la risposta è sempre la stessa: perché ha vinto parecchi soldi. È con Geerd, cambio di programma. Vieni, entra. Vai all'ultimo piano scoperto a dare una mano a Grimm. Vi aspettiamo qui.»

La guardò allontanarsi di corsa e si voltò per ispezionare la stanza. L'ufficio del Falsario era esattamente come lo ricordava: una stanza asettica, ma allo stesso tempo piena di cianfrusaglie finte e documenti falsi. Rovistarono tra le carte e gli oggetti, finché non si sentì un rumore sordo.

Baltizar aveva battuto un pugno contro un mobile, facendolo tremare. «Bastardo.»

«Cos'hai trovato?»

Il quartiermastro si girò e gli allungò la mano con il palmo rivolto verso l'alto. Appoggiata sopra c'era un'orobussola con incisioni in oro, stranamente familiare.

«Era di tuo padre. Aprila.»

Dankar obbedì. All'interno, un'incisione lineare si spezzava in otto punti e terminava in un simbolo a forma di croce, creando la costellazione gaeloide. Sopra la stella gaelica, la più luminosa di tutte, c'era scritto il nome di sua madre.

«Era il suo Nord. Lo è sempre stato.»

Dankar avrebbe voluto rispondere, ma si limitò ad annuire e a riporre l'orobussola nel taschino. Gli aghi erano bloccati all'estremità destra, che in quel momento segnava sia l'Est sia il terzo giro dopo il semidì, ma l'avrebbe data a Grimm e sarebbe ritornata in vita, insieme al suo ricordo di lui.

Si spostò nuovamente dietro la scrivania e, dopo qualche istante, indicò un foglio. «Avevi ragione.»

Baltizar si avvicinò e sottrasse la pagina da sotto il suo indice per leggerla.

«Una copia del certificato di morte di Arya.»

Dankar annuì e si voltò verso la piccola finestra che dava sulle passerelle della Sotterranea. Perso per qualche istante in pensieri rivolti a sua sorella, non si accorse che Baltizar aveva piegato e riposto nel taschino interno della redingote un altro pezzo di carta con un'espressione a dir poco allibita.

Non è possibile, aveva pensato.

E invece lo era. Arya che amava i costumi, Arya che era arrivata sulla Murena l'ultima volta con un corsetto gonnato a righe. La donna la cui figlia era partita all'improvviso, senza spiegazioni, se non un'allusione a un circo. La donna che non aveva fatto nulla per fermarla, che non aveva fatto nulla per salvarla. La donna che gli raccontava tutto, di cui si era innamorato, piena di buio e rimorsi, ma anche di gentilezza e ottimismo. Tra quelle carte non c'era solo il certificato di morte di Arya Briniel, c'era anche la copia della modifica del nome avvenuta prima del matrimonio. Un segreto che si era tenuta per sé, un segreto che non aveva raccontato neppure a lui che era diventato il suo migliore amico, il suo confidente, il suo punto di riferimento.

I pensieri di entrambi furono interrotti dai passi mesti di Grimm e Soffie, che scesero i gradini con un sacco pieno di aurei.

«Abbiamo i falsi.»

Dankar annuì e li guidò verso il piano inferiore, trovando esattamente ciò che avevano preventivato: una stanza divisa a metà. Un laboratorio pieno di utensili per la falsificazione nonché metalli in quantità spropositate per la creazione di monete fasulle lasciava spazio, dall'altro lato del muro, a una camera più piccola con una cassaforte in galthorn. Una serratura con combinatore meccanico a sei cifre.

Grimm si avvicinò, guardingo. Speravo fosse più facile da scassinare, ma se non vogliamo che si accorga dell'infrazione almeno per qualche giro dobbiamo indovinare il codice.

Dankar, Baltizar e Soffie rovistarono tra le carte del laboratorio per una trentina di giri rapidi, senza successo. Il tempo passava e loro scavavano nel vuoto. Era impossibile provare tutte le combinazioni in una notte, probabilmente non sarebbe bastato nemmeno un ciclo, ma in quei taccuini non c'era niente. Nessun codice, nessun indizio.

«D'accordo. Dobbiamo entrare nella sua mente. Cos'è che ama alla follia Geerd?», Baltizar guardò il resto della Banda in attesa di una risposta.

«Sé stesso, il denaro e il gioco», rispose Dankar, concentrato.

«Non ha figli?»

«Non che io sappia.»

Soffie guardò Grimm. «Quanti tentativi abbiamo?»

Tre. Poi si bloccherà per un giro.

«Proviamo con la sua data di nascita.»

Dankar sfogliò tra i suoi documenti e la trovò. «Ventidue, tredici, cinquantuno.»

Grimm provò, inutilmente.

«La combinazione vincente della Roulette», suggerì Dankar.

E chi cazzo la sa, oltre a Tommy?

Baltizar si sfregò entrambe le mani sul viso. «Ci dev'essere scritta da qualche parte.»

«Non abbiamo tempo, stanno per rientrare.»

I loro cuori iniziarono a battere più forte, mentre la tensione si diffondeva nell'ambiente come fumo acre e pungente.

Soffie continuò a sfogliare le carte, finché non trovò il diario del Falsario. «Qui! Combinazione vincente Roulette: Otto, ventidue, cinque, tredici, nove, zero.»

«Sono troppi numeri», disse Baltizar, guardando la serratura della cassaforte a sei cifre.

Grimm si mise comunque all'opera, sommando le cifre, e inserì i numeri otto, quattro, cinque, quattro, nove e zero. Non scattò nulla.

«Siamo fottuti, Geerd sarà di ritorno da un momento all'altro.» Baltizar iniziò a camminare avanti e indietro, impaziente, con l'ansia che gli attanagliava la gola. Era troppo vecchio per un colpo. Lui era quello seduto in macchina pronto a scappare, dannazione, non quello che scassinava casseforti!

«Aspettate, c'è qualcos'altro. Dan, guarda.»

Dankar le andò incontro, prendendo il diario in mano e sfogliando ogni pagina che la piccola indicava. Per ogni macchina, per ogni banco, per ogni giocata, c'era la cifra massima della vincita o delle perdite a cui i giocatori andavano incontro. Se Geerd amava davvero il denaro e il gioco sopra ogni cosa, quella era l'unica risposta plausibile. E la loro ultima possibilità.

«Grimm, ho bisogno del tuo cervello. Calcola: cinquemila alla Roulette più trentamila aurei a slot, quindi trentamila per cinque, più ottantamila per banco, quindi ottantamila per tre. Quanto viene?»

Trecentonovantacinquemila.

«Sono sei cifre. Proviamo.»

Sicuro?

Dankar annuì e pregò con tutto sé stesso di avere ragione. Quello era l'ammontare del guadagno previsto nel caso di perdita simultanea di tutte le giocate della Casa. Era il biglietto di sola andata di Geerd verso il paradiso del dolce far niente e della pensione. Se non era quello, il numero più importante per lui, allora non aveva proprio idea di quale potesse essere. Nel caso non avesse funzionato, avrebbero dovuto forzare il barilotto con dell'esplosivo e addio copertura.

Mentre girava le cifre, Grimm pregò che il metallo rispondesse ai suoi comandi. C'erano diversi modi di scassinare una cassaforte, diverse tecniche per aprire una serratura con gli attrezzi giusti, ma un combinatore meccanico in galthorn? Quel tipo di cassaforte veniva usata a Corte per tenere sicure le entrate della Chiesa. L'unico modo per aprirla senza un codice era farla esplodere.

Quando, all'ultima cifra, sentì uno scatto familiare, tutti tirarono un sospiro di sollievo. All'interno, adagiate su cuscinetti di velluto, giacevano torri di aurei scintillanti che avrebbero potuto sfamare l'intera popolazione di Diefbourg per un paio di orbite e una busta sigillata con la ceralacca imperiale.

Passami il sacco vuoto.

Baltizar obbedì e Grimm iniziò a riempirlo con il bottino, passando la busta a Dankar. Quando ebbe finito, prese il sacco pieno di monete false dell'ultimo piano della Casa da Gioco e le piazzò all'interno, costruendo torri identiche a quelle originali.

Quando richiuse la cassaforte, a parte qualche carta spostata e oggetto toccato in quel marasma caotico che era il laboratorio, sembrava che nulla fosse accaduto.

Dankar rubò qualche altro documento e uno dei timbri per ceralacca con il nome del Falsario sopra, poi invitò tutti a tornare ai piani alti per rientrare alla Dovizia.

La proprietà venne lasciata vuota e buia come da programma, solo con qualche aureo in meno nelle casse del suo proprietario.

Quando arrivarono alla Dovizia e scesero alla Tana, Tommy li stava aspettando su una poltrona con un tulipano di Jerry in mano.

«Dov'è la mia vincita?»

Grimm gli lanciò il sacco di iuta ai piedi, guardandolo godere come mai prima di allora.

«Quindi è fatta?» Aveva gli occhi lucidi per l'emozione e il cuore a mille per l'adrenalina che non ne voleva sapere di lasciare il suo corpo.

«Hai il mio documento?» gli chiede Dankar, avvicinandosi alla scrivania ed estraendo dal primo cassetto uno degli antidolorifici di Grimm.

Tommy tirò fuori dalla giubba un foglio piegato e glielo porse, facendogli l'occhiolino.

«È stato un gioco da ragazzi. La proprietà è tua. Cioè, sua. Hai capito, no?»

Dankar annuì, soddisfatto. Geerd aveva appena firmato l'atto di trasferimento della proprietà del Macellaio, prendendone a tutti gli effetti il possesso. Quando fosse andato a depositarlo, Kruler avrebbe finalmente avuto un nome per il suo ladro di case e avrebbe attaccato Geerd. Quest'ultimo avrebbe risposto che non c'entrava nulla e avrebbe accettato di pagare un risarcimento pur di evitare che la questione arrivasse al Simposio, solo per accorgersi che tutto ciò che gli era rimasto nella cassaforte erano soldi falsi.

Sarebbe affondato per mano di sé stesso, solo e povero come nessun altro, senza soldi né proprietà, perché l'atto di acquisto della Casa da Gioco non era più nel suo laboratorio, ma nel taschino della giubba di Dankar.

L'aria iniziò a sapere di vittoria e di vendetta, alla Tana. Quattro tulipani di Jerry e un bicchiere di tè alla menta si alzarono quella notte a celebrazione del primo vero passo verso la distruzione di Onderbourg. Uno di loro aveva scoperto qualcosa di grosso, ma lo tenne per sé.

Dopo essersi scolato il rum, più per famelica necessità che per senso di vittoria, Baltizar si alzò e si congedò per andare a riposare.

Dankar lo guardò con fare interrogativo, intuendo che qualcosa non andava, ma non disse nulla. Sapeva cosa volesse dire essere stanchi, stanchi da non riuscire a reggersi in piedi e da desiderare solo lenzuola pulite e una lunga notte di riposo, ma non immaginava neanche lontanamente il vero motivo di quell'espressione afflitta.

Quando entrò nella sua stanza e si sedette sul letto, Baltizar ripensò a dettagli che gli erano sempre sembrati irrilevanti. Dettagli che aveva raccontato alla veglia funebre di Iwan, pezzi di un puzzle che solo in quel momento iniziava ad essere comprensibile.

Il corsetto gonnato a righe.

I costumi.

La fretta.

Aprì il primo cassetto del suo scrittoio e ne estrasse una scatola nera. Un profumo di carta e inchiostro si sprigionò nella stanza quando tolse il coperchio, scoprendo una cinquantina di buste chiuse con lo stesso mittente.

Arya.

Aveva continuato a scrivergli per tre orbite, dopo essere scomparsa dalla vita di Iwan . Lo aveva rassicurato, dicendogli che stava bene e che aveva preso la decisione giusta, che aveva conosciuto un uomo, che si stava rifacendo una vita con i piedi per terra e una nuova serenità che non pensava di meritare.

Erano passate ormai sei orbite dall'ultima lettera, ma Baltizar avrebbe potuto ripeterla a memoria con gli occhi chiusi.

Caro Balt,

Li ha presi, ma non posso fare nulla a riguardo. Non ho mai potuto fare nulla. Non posso salvarli, non posso proteggerli, posso solo sperare di aver cresciuto Dahna forte abbastanza da sopportare la vita e ciò che essa le riserverà.

Partirò per un posto lontano. So che ne saresti capace, ma ti chiedo di non trovarmi. Non cercarmi. Dimenticati della mia esistenza, per il tuo bene, per quello di Iwan e per il mio.

Ti porterò con me, ovunque io vada.

Per sempre tua,

Arya.

Con il groppo alla gola, posò la lettera e prese il documento che aveva rubato a Geerd. Sperò con tutto sé stesso che fosse falso, ma qualcosa, nell'incrinarsi della sua anima e nei suoi respiri sempre più corti, gli suggerì il contrario. Leggerlo gli provocò un dolore fisico alla pelle, agli occhi e alle ossa.

Con la presente,

l'Imperatore Calidius III di Galthorn, con il lasciapassare del Consiglio della Corte Suprema e alla presenza della cittadina in questione, approva la modifica del nominativo di Leyra Bernabé in Arya Kaleanis.

Sentì il cuore farsi pesante, come se potesse affondare nelle sue viscere da un momento all'altro, e ogni singolo nervo irrigidirsi fino a creare una statua di pietra.

Il corsetto gonnato a righe.

I costumi di scena.

Sì maledì per non esserci arrivato prima.

Nessuno l'aveva preparato a quel momento.
Ogni parola, ogni contatto, ogni sorriso. Non era possibile che fosse tutta una bugia. Arya non era stata una maschera, non poteva esserlo.

Una lacrima scese lentamente lungo la sua guancia senza che se ne accorgesse, mentre le sue lunghe dita scorrevano ogni lettera di quella pagina.

Le sue ultime parole gli danzarono dietro alle pupille, riempiendole di doloroso inchiostro.

Non ho mai potuto fare nulla.

«Cosa ti hanno fatto, Arya?», chiese al vuoto.

E il vuoto non rispose.

_______________________________________________________

Spazio autrice:

E questo, siori e siore, è ciò che ho cercato di dirvi dall'inizio. C'erano indizi di questa cosa ovunque, dal capitolo uno in poi.
E voi mi direte: hai rotto il cazzo con ste parentele. Ebbene, sono finite (forse, chissà).
Questa era la più grande rivelazione che aspettavo di farvi. Ho aspettato quasi due anni, quindi spero ne sia valsa la pena.
Torneremo presto nell'oggidì e presto capiremo perché la madre di Dahna è a Corte, nel frattempo vi auguro il meglio e auguro a me stessa un buon lavoro perché le mie ferie forse arriveranno solo a novembre 🥲

Vi voglio bene,
S.
❤️

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top