Se Asclos vuole

Interludio

XX

Era ormai passato un ciclo e mezzo da quando Dankar era partito con Tom e Soffie, in direzione di Keltam. Larry era riuscito a rimettere in sesto Grimm, se con 'in sesto' si fosse inteso farlo bere la metà e non fargli distruggere l'intera Dovizia, e soprattutto a far tornare l'assoluto caos, frutto della sua rabbia, a quella che poteva definirsi una camera discretamente pulita.

Quella mattina, Grimm l'aveva acceso all'alba ed era partito in direzione del Laboratorio, senza mettere nulla nello stomaco se non una tazza di caffè nero bollente.

Due giri più tardi, il robottino stava gironzolando al secondo piano quando sentì dei passi sulle scale fuori dalla porta. Sì fiondò ad aprirla, trovandosi di fronte Dankar, seguito da Baltizar e dal resto della Banda.

«Per tutti i bulloni! Siete tornati!», esclamò con gioia, aprendo i tubi di metallo che si ritrovava al posto delle braccia, in attesa che qualcuno lo abbracciasse.

Baltizar sorrise e gli diede un buffetto sotto un occhio. «Ciao, ruggine. È bello vederti.»

«Davvero? Niente abbraccio? Non avete idea di cosa io abbia dovuto sopportare qui!»

Soffie si intromise tra le gambe degli altri e strisciò fino ad arrivargli di fronte, poi lo strinse così forte che i suoi piedini metallici non toccarono più il pavimento. «Mi sei mancato.»

«Oh, finalmente qualcuno che mi tratta come merito! Anche tu mi sei mancata, amica.»

«Non è vero, non posso esserti mancata.»

«Ti ricordavo più simpatica. È una frase di circostanza, si usa per far sentire a proprio agio chi si ha davanti», disse lui, con fare saccente.

«Ma tu non hai bisogno di frasi di circostanza con me, io ti adoro proprio perché sei apatico. I sentimenti spingono le persone a fare strane cose.»

«Tu leggi troppi libri.»

«E tu ne leggi troppo pochi.»

«Basta, voi due», si intromise Dankar. «Potete discutere più tardi. Dov'è Grimm? Ho bisogno di lui.»

«Al laboratorio», gli rispose Larry, alzando le due sfere che aveva al posto degli occhi al cielo.

Dankar aprì un altro po' la porta alle spalle dell'androide e rimase un attimo interdetto. «Cos'è successo qui dentro?»

Larry era riuscito a rassettare la stanza, ma lo specchio era rotto, i vasi di Tommy, ormai ridotti in cocci, erano stati ricomposti alla bell'e meglio con additivo vinilico e carta da bagno e tutte le lampade erano scomparse.

«Le mie Strelitzie!» Tom, disperato, si catapultò verso le sue piante rinsecchite, ma non appena cercò di abbracciarne una, il vaso si sfasciò nuovamente in mille pezzi.

«Ehi! Ci ho messo una vita a ricostruirlo!»

Tommy gli indirizzò un'occhiata truce. «Ma davvero? Un capolavoro, complimenti.»

«Mi spieghi cos'è successo, Larry?», chiese spazientito Dankar, guardandosi intorno.

Larry si voltò verso il Capitano e alzò le spallucce metalliche. «Mi piace chiamarlo Uragano Grimm.»

Posando la pianta a terra, in quello che ormai non era altro che il cadavere in terracotta di un vaso, Tommy si girò verso il robottino con un'aria preoccupata sul volto. «Non ci è riuscito?»

«A quanto pare, no», gli rispose lui, aprendo le braccia a indicare ogni parte distrutta della camera.

Dankar li guardò con un'espressione confusa negli occhi. «Non è riuscito a fare cosa?»

Tommy scosse la testa, rassegnato, e si incamminò verso la porta. Gli altri avevano bisogno che Grimm controllasse le ragazze addormentate sui letti del primo piano, destinati agli ospiti della Dovizia, per sapere come comportarsi. Lui aveva solo bisogno di stargli accanto e capire cos'era andato storto. Rivoleva indietro il suo Grimm, quello che aveva perso orbite prima. «Salite e aspettateci al Quinto, vado a parlargli.»

Fece per uscire sulle scale, quando un braccio gli si parò davanti, andando ad appoggiarsi allo stipite della porta e bloccandogli la strada. Era il braccio debole di una persona ansimante dalla fatica. Sentiva, a una spanna dal suo viso, la stanchezza di chi aveva viaggiato per quarantacinque dì e aveva dovuto centellinare le miscele antidolorifiche per non schiattare al timone.

«Tu non vai da nessuna parte, Thomas. Pretendo delle risposte», gli disse Dankar, con fermezza.

«Anche io, infatti sto andando a cercarle.»

«Da quando abbiamo segreti, in questa Banda? Mi puoi spiegare cosa gli sta succedendo? Il fatto che io fossi preoccupato per Baltizar non significa che non lo sia anche per voi, soprattutto per Grimm. Siamo una famiglia, Tom. Ci teniamo in vita a vicenda, lo facciamo ad ogni fottuta missione. Non mi importa se ce l'ha con gli Dèi, con sé stesso o con tutto l'impero, si sta ammazzando e sta distruggendo tutto ciò che tocca. E per cosa? Cosa c'è di così importante per lui da rischiare di uccidersi ogni santa notte?»

Tommy lo guardò dritto negli occhi per quella che sembrò un'eternità. Non c'era rabbia né accusa nel suo sguardo, solo la volontà di trasmettergli tutto ciò che non poteva dirgli a parole, ma che avrebbe voluto urlare. «La redenzione.»

Grimm era un naufrago alla deriva che voleva salvare tutti, ma non riusciva a salvare nemmeno sé stesso. Di qualsiasi cosa si trattasse, aveva il diritto di tenere segreta quella rabbia, di rinchiudere quei pensieri nella sua mente, di sentire quell'emozione esplodergli nel petto. «Alcune cose non si possono condividere, Dan. Si devono vivere e basta. Lui ha bisogno di viverle a modo suo e di trovare un po' di pace. Anche tu hai dei segreti, stiamo in una cazzo di città che vive di bugie e omissioni, ma questo non toglie che siamo comunque preoccupati per te. Preoccuparsi è umano, ma Grimm ha bisogno di spazio adesso. Vado solo a vedere come sta. Con permesso.»

E così dicendo scivolò sotto il braccio del suo capo e iniziò a scendere le scale.

Il Capitano si girò verso il suo quartiermastro con gli occhi spenti e un sospiro atterrito, e gli chiese di seguirlo nel suo studio, lasciando Soffie in compagnia di Larry.

La salita fu un inferno. A ogni gradino, sentiva di aver abbandonato una parte di sé su quello precedente, sentiva il fiato mancare, le ossa indebolirsi e la fatica pesare come un macigno sulle spalle. Una volta arrivati in cima, nell'istante in cui inserì la chiave nella serratura, le sue ginocchia cedettero.

Baltizar lo prese al volo e lo sostenne finché non riuscì ad adagiarlo con delicatezza sulla poltrona smeraldina. Lui era sempre stato al suo fianco, e non perché glielo avesse chiesto Iwan, ma perché lo amava come un figlio. Lo avrebbe sempre preso al volo a ogni caduta, lo avrebbe rimesso in piedi a ogni piccolo crollo, come aveva fatto molto tempo prima, a qualche passo dalla Murena, quando l'aveva trovato inerte a terra la notte del funerale di suo padre.

«Grazie», sussurrò Dankar, estraendo dal cassetto della scrivania una delle bottigliette contenenti la miscela di Grimm.

Baltizar era sinceramente preoccupato. «Come ti senti?»

«Uno schifo, adesso capisco cosa provava mio padre.»

«Non deve andare per forza così. Può saltare una generazione.»

«Beh, direi che è un po' tardi per quello, non credi? Sappiamo entrambi che non arriverò alla prossima eclissi.»

«Non dirlo neanche per scherzo. Le miscele funzionano e Grimm ce la sta mettendo tutta per trovare una soluzione», gli disse Baltizar, con un'espressione allo stesso tempo severa e disperata in volto.

«E gli sono grato, ma io mi sento sempre più debole, Balt. Le gambe non mi reggono e ultimamente anche il mio cervello sembra prendersi gioco di me.»

«Allucinazioni?»

«Penso di sì. Ricordi che mio padre credeva di aver visto le Incantatrici in uno dei suoi viaggi lungo la costa est?»

Baltizar annuì. «Le hai viste anche tu?»

«Sì, e ho capito il motivo per cui le chiamano Incantatrici. Non mi è ancora chiaro se sono state loro a farmi avere le allucinazioni o se loro erano l'allucinazione, ma volevo buttarmi, Balt. Volevo gettarmi in mare e non uscirne più. Se ciò che gli Eruditi dicono è vero, le Incantatrici ti fanno vedere ciò che più desideri al mondo e io ho desiderato di morire. Ironico, vero?», gli chiese, con un sorriso spento che non arrivava agli occhi.

«Per niente. È probabile che volessi solo incontrare tuo padre un'ultima volta. Ti sei mai chiesto come gli Eruditi avessero potuto scrivere di quelle meravigliose, enigmatiche creature?»

«Avevano parecchia fantasia?», gli chiese lui, addentando una pasta di mandorla secca che teneva sulla scrivania nei casi in cui il suo sangue chiedeva disperatamente dello zucchero.

«No. Cioè, sì, sicuramente avevano anche parecchia fantasia, ma le leggende hanno sempre un fondo di verità. Siamo noi uomini che, con il passare delle centurie, vi abbiamo cucito sopra delle storie assurde e surreali. Un conto è inventare il Mostralbero per evitare che i bambini vaghino nei boschi in piena notte, un conto è inventare le Incantatrici. Qual era il tornaconto? Sedurre i marinai? Delle donne argentee con una lunga coda suadente e una folta chioma bionda? Invece di fungere da dissuasore, li avrebbe spinti a cercarle con la bava alla bocca. Qualcuno deve averle viste.»

«Sì, qualcuno con gli stessi deliri di mio padre, probabilmente.»

Baltizar alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Non perdere la speranza, figliolo. Grimm ce la farà.»

«Grimm deve pensare prima a salvare sé stesso. Ho bisogno che sia lucido per il progetto dell'aeronave.»

«Non puoi chiederne una a Calidius?»

«No. La Marina Imperiale possiede solo due tipi di aeronavi: le Vedette, costruite per trasportare pomposi cagaaurei da una parte all'altra di Galthorn, in un piacevole viaggio tra le nuvole, e le Belligere che, pur essendo nate per conquistare i territori d'oltremare, vengono armate con ordigni che si innescano in aria o sulla terraferma. Io ho bisogno di un'aeronave che sappia combattere contro le acque del Vaticinio, armata di ordigni subacquei in grado di far esplodere le profondità marine. Non possiamo ammazzare quella bestiolina quando sale in superficie perché, quando lo fa, significa che è in cerca di prede e che probabilmente è anche molto incazzata. Dobbiamo attaccare quando dorme.»

«Non penso che quella creatura abbia bisogno di dormire, sai?»

«Allora lo uccideremo quando banchetta, quando si fa una passeggiata o quando si ritira per una fottuta siesta. Non mi importa, non ho intenzione di mettere a rischio nessuno dei miei, men che meno Grimm.»

Baltizar lo guardò per qualche istante. Un velo di compassione si stese sulle sue pupille a mascherare ciò che davvero provava: la paura che si sgretolasse sotto i suoi occhi, come Iwan. «D'accordo.»

Dankar fece una smorfia di dolore e alzò le gambe fino a poggiare le caviglie sul bordo della scrivania. Un'altra boccetta di vetro nero aspettava di essere stappata e ingurgitata nel cassetto al suo fianco, pronta a dargli un po' di sollievo.

«Andrà tutto bene, Dan», gli disse il suo quartiermastro, con tutta la sincerità e la fiducia che era in grado di trasmettergli.

E lui ci sperò con tutto sé stesso, perché non aveva ancora finito con quel buco di posto dimenticato dagli Pseudologi, non aveva ancora posto fine ai traffici della Celata e, soprattutto, non aveva ancora nulla da lasciare in eredità alla sua Banda. Nulla che valesse davvero la pena di donare, almeno. Avrebbe dovuto avere una vita davanti a sé, la voleva una vita davanti a sé, normale, come quella di tutti gli altri. Non semplice, non oziosa, ma normale, con le fatiche e i dolori di tutti. Ma le sue fatiche e i suoi dolori non erano come quelli di tutti gli altri e neanche la sua aspettativa di vita. La Dama Nera era dietro l'angolo a prendersi gioco di lui, a sorridere a ogni caduta, a godere di ogni gemito, di ogni ansito, di ogni smorfia di dolore.

Quell'uomo doveva essere presto suo e Dankar ne era cosciente, ma era pur sempre un Dagger.

La morte li aveva maledetti. Lui non poteva fare altro che guardarla in faccia ogni volta, rialzarsi e dirle di andare a farsi fottere.

XXI

«Posso?», chiese Tommy, aprendo la porta del Laboratorio.

Sei già dentro, mimò Grimm di rimando.

Era seduto al suo solito posto, con un alambicco di fronte che gorgogliava sommessamente. Un liquido violaceo nuotava tra le pareti dell'ampolla, creando un vapore rosato che andava a depositarsi sul fondo della serpentina, diventando trasparente.

Il composto per Dankar.

Tommy sorvolò sulla risposta acre dell'amico e andò a sederglisi di fronte. «Cos'è successo?»

Niente.

«Se mi dai ancora una volta questa risposta, ti strozzo.»

Non è successo niente, è questo il problema. Doveva succedere qualcosa, invece non è successo niente.

«Rya?»

Scappata.

«Che vuol dire che è scappata?»

Vuol dire esattamente quello che ho detto. È scappata, volatilizzata, scomparsa.

«E le altre?»

Ancora sotto papaveri, ancora sotto Emeralda.

«Merda. Mi dispiace, Gri.»

E di cosa? Sono io che non avrei dovuto fidarmi. Nemmeno la conosco. Ho riposto in lei le mie speranze, le ho dato il potere di salvarle e lei l'ha usato per sé stessa. L'egoismo muove ancora il mondo e Galthorn è sempre corrotto. Come ho detto, non è successo niente. Dove sono gli altri?

«Alla Dovizia, ti stanno aspettando. Penso che Dankar abbia in mente qualcosa per far fuori il Leviatano, ma ha bisogno di un incarico imperiale e del tuo cervello per portarlo a termine. Sei sicuro di stare bene?»

Grimm avrebbe voluto urlare, ma non poteva, non ci riusciva. Forse era proprio quello a renderlo così apatico, così restio alle emozioni. Il fatto era che lui non poteva esternarle, quelle emozioni. Non poteva urlare per la rabbia, non poteva ridere di gioia e a malapena riusciva a piangere per il dolore. In quel momento, avrebbe voluto urlare che no, non stava bene. Non era riuscito a salvare le altre, non era riuscito a salvare Lamnia, di nuovo. Era deluso e incazzato, ma rimase in silenzio, come sempre. Come avrebbe potuto far capire a Tommy che si sentiva spezzato se le sue mani non potevano urlare, i suoi occhi avevano finito le lacrime e dalla bocca gli usciva a malapena un sibilo? Voleva dirgli: "No, non sto bene. Non ho più una famiglia, non ho più una casa, ho delle persone attorno a cui tengo e a cui non posso parlare. Il mondo è pieno di merda, la gente è egoista. Non riesco a salvare me, non sono stato in grado di salvare i miei, figuriamoci se riesco a salvare loro".

Erano le voci nella sua testa, le sensazioni sulla sua pelle, le emozioni nel suo petto, tutte bloccate lì dentro, ad ucciderlo lentamente.
E così parlava a gesti, ma non solo con il Simbolium. Esprimeva gratitudine a modo suo, donando ciò che poteva, come le miscele per Dankar. Esprimeva dolore a modo suo, tartassando i tasti del pianoforte fino a che le dita non gli facevano male. Ed esprimeva rabbia a modo suo, spaccando tutto ciò che incontrava sulla sua strada.

Non era una reazione eccessiva, non era la maniera sbagliata di somatizzare quell'emozione. Era semplicemente l'unico modo in cui lui riusciva a buttare fuori tutto ciò che non poteva urlare, tutto ciò che le sue corde vocali non riuscivano più a dire.

Era il suo modo di sentire e Tommy lo sapeva. Per questo non si era scandalizzato vedendo la stanza mezza distrutta, per questo gli stava accanto in quei momenti senza giudicarlo. Perché Grimm aveva imparato a vivere a gesti e, per quanto alcuni di essi fossero esagerati o distruttivi, ve ne erano altrettanti che erano profondamente amorevoli.

E se c'era una cosa che aveva imparato da lui era l'importanza di notare quei dettagli. Grimm forse non urlava l'odio, non sussurrava l'amore né canticchiava la gioia, e spesso nascondeva tutto dietro a una corazza di sarcastica indifferenza, ma quando apriva la porta della camera con un nuovo cilindro in velluto assiano e glielo adagiava in una scatola fioccata sul letto, Tom in qualche modo sentiva le sue parole.
Erano semplici, come il suo gesto, ma parlavano più di qualsiasi altra voce al mondo.

«Ti ho portato una cosa da Keltam», gli disse con un sorriso gigante, tirando fuori dalla tasca una scatolina di legno verkheidiano. Grimm accennò un sorriso e scosse la testa, come se pensasse di non meritarlo.

Non dovevi.

Quando aprì la scatolina, su uno strato di velluto nero erano adagiati due ingranaggi di legno incastrati alla perfezione, uno leggermente più grande dell'altro. Due incisioni artigianali diverse tra loro decoravano entrambe le corone al di sotto delle cremagliere: Edchris e Ravia. I nomi dei suoi genitori.

La voce di Tommy risuonò nella sua mente come miele su una ferita. «Mi piace pensare che si incastrassero, dente dopo dente, fino a formare un meccanismo perfettamente funzionante. Il legno è stato rivestito di una vernice ignifuga nera, quelli delle colline la usano spesso al limitare dei boschi. Se, invece, ti stai chiedendo perché le incisioni fanno pena è perché le ho fatte io. Un ciclo e mezzo in mare con Dankar è più lungo di quello che immagini.»

Grimm alzò lo sguardo su di lui con gli occhi leggermente lucidi. Anche se avesse potuto parlare, non avrebbe trovato le parole per ringraziarlo. Così si alzò, si avvicinò a lui e fece una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato: lo strinse in un abbraccio.

Dai suoi occhi non scese alcuna lacrima, dalle sue labbra non uscì alcuna parola, ma da quell'abbraccio esplosero e si contennero tutte le emozioni che aveva provato negli ultimi quarti. Tommy le assorbì tutte, come fossero sue, e sentì un sospiro profondo poco lontano dal suo orecchio. Quando si staccò da lui, Grimm sentì una leggerezza inconsueta attraversargli le vene.

«Ricordi quando mi hai spiegato il funzionamento della termobomba? Quando questa tocca un corpo estraneo, la pressione all'interno aumenta a una velocità inimmaginabile finché la carcassa dell'ordigno non esplode in mille pezzi. Ecco tu sei quella carcassa e le tue emozioni sono i combustibili. Se ne rinchiudi troppe in uno spazio che non può contenerle, basta un istante, un gesto, un contatto, e tu esplodi. Devi imparare a gestirle e a evitare l'innesco.»

Mi piacerebbe sapere come.

«Non c'è una regola fissa. Ognuno ha i suoi modi. Il mio è quello di non darci mai troppo peso, ma come per ogni moneta anche questa ha un dritto e un rovescio. Non dare peso alle emozioni può permetterti di vivere serenamente e di non farti toccare dai problemi, ma non posso assicurarti che ti permetterà di sentirti completo. Ad ogni gioia corrisponde sempre un dolore, se non vuoi provare il secondo non puoi illuderti di poter godere della prima. Io mi accontento di stare nel mezzo. Se mi chiedessero di scegliere tra il dritto e il rovescio di una moneta, io sceglierei sempre il bordo. Si soffre meno.»

Grimm annuì. Lui aveva scelto l'indifferenza come arma, ma era l'arma più finta che avesse mai impugnato. Il suo mutismo gli permetteva di vivere sul bordo, come Tommy, ma dentro di sé non sentiva di avere una moneta. Aveva un dado a cento facce che non si fermava quasi mai. Cento emozioni che non andavano d'accordo le une con le altre. Tom sosteneva che sul bordo si soffrisse meno, lui ne dubitava fortemente.

«Hai fatto fuori le mie Sterlitzie, maledetto», gli disse Tommy, con un'aria di finta accusa, per sciogliere quel groviglio di pensieri che lo tormentavano.

Erano già morte.

«Ho chiesto a Larry di bagnarle!»

Ah, sì. Ha avuto un piccolo surriscaldamento quando siete partiti, deve aver perso qualche pezzo. Te ne prendo di nuove, quando passo davanti al Fioraio.

«Sarà meglio! Sei pronto? Passiamo un attimo dalle botteghe prima di andare alla Dovizia che sto morendo di fame.»

Grimm annuì e gli passò una scatola piena di boccette del composto di Dankar.

Un giro più tardi, dopo aver fatto scorta di arrosticini di Gadus, polpette di tonno e birra, entrarono nell'ufficio al Quinto della Dovizia. Non appena varcarono la soglia, tutte le buste contenenti le cibarie caddero a terra con un tonfo profondo.

Baltizar era accovacciato vicino alla scrivania, chino sul corpo privo di sensi di Dankar.

«Dobbiamo portarlo alla Casa di Cura, aiutatemi», ordinò agli altri due, rimasti immobili con gli occhi strabuzzati.

Grimm corse a sentirgli il battito debole e chiese a Tommy di andare a prendere uno straccio bagnato con acqua gelida e il mercurio. Adagiò il panno sulla fronte e avvicinò il piccolo tubicino di vetro all'orecchio di Dankar in attesa che il liquido salisse e si stabilizzasse.

Segnava centodue gradi.

Gli aprì la camicia con forza, facendo saltare i bottoni che si inseguirono in una corsa folle sul pavimento. Il petto era ricoperto di vescicole che si estendevano lungo il fianco sinistro fino all'attaccatura dei calzoni.

Ha preso il Fuoco. Tommy, prepara la macchina. Non dire niente a Soffie. Balt, aiutami a portarlo sul montacarichi. Ha bisogno di antibiotici.

Si misero tutti in moto con una fretta disperata. Quando riuscirono a salire sulla macchina, con il corpo del loro Capo disteso sul retro, Baltizar lasciò il posto a Tommy e tornò al secondo piano per tenere impegnati Soffie e Larry.

«Cos'è il Fuoco?», chiese Tom a Grimm mentre sfrecciavano tra le viuzze di Diefbourg.

Se Asclos vuole, un'infezione batterica.

«E se non vuole?»

Se non vuole, è virale. Ce la prendiamo tutti.

«Ce la farà?»

È un soggetto a rischio. Se il Fuoco non lo ammazza, sicuramente peggiorerà le sue condizioni.

«Dove stai andando? Questa non è la strada per la Casa di Cura.»

Se lo portiamo lì, ci ammazzano per essere certi di evitare la diffusione del morbo. Torniamo al Laboratorio, ci penso io.

«Grimm... Mi fido di te, ma sei sicuro di cosa stai facendo? Rischiamo di perderlo.»

Lui non rispose, ma aumentò la pressione del piede sul pedale dell'acceleratore.

Aveva gli antibiotici e i calmanti, il tavolo di lavoro e una brandina per far sì che recuperasse le forze nei dì a seguire. L'avrebbe salvato, anche fosse stato l'ultimo suo gesto.

Quando arrivarono davanti al Laboratorio, trasportando con fatica il peso morto del loro Capo, non videro nulla di sospetto, ma la Dama Nera li stava aspettando appoggiata allo stipite della porta, con lo sguardo malizioso, un sorriso sulle labbra e l'acquolina in bocca.

Finalmente, disse. Ma nessuno la udì.

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Spazio autrice:

Ciao ciurma 🥹
Ho poco da dire in realtà, questo capitolo ha messo nero su bianco molti dei miei pensieri e un pezzetto del mio cuore.
Era necessario affinché vedeste una parte di Dankar e Grimm che ancora non si era palesata.
Spero di avervi portato un po' di emozioni e di avervi fatto conoscere le loro.

Cosa pensate che succederà? Pronti per andare a Corte?

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare presto perché il prossimo weekend sono via. In questi giorni non sono stata bene e quindi sono a casa che scrivo per guarire, in tutti i sensi ❤️‍🩹
Vento a favore e mare calmo,
S.
🧭

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