Restate in vita
Oggidì
11
Danha non aveva ancora smesso di correre da quando Dankar - si rifiutava di chiamarlo suo fratello - le aveva dato la notizia. Era passato del tempo, non avrebbe saputo quantificarlo, ma alla fine si fece l'alba e lei si trovò appena fuori dal Malagio, nel suo tempio di corde e legno, appollaiata sul ramo di un albero al limitare del bosco. Guardava il mare, con il fiato corto. Lui era calmo, a differenza sua. Nessuna nave fendeva le sue onde, nessuna Balaenoptera agitava la sua staticità, sembrava finto. Più cercava di concentrarsi, meno riusciva a riordinare i pensieri, né tantomeno a distinguerli. Erano troppi e viaggiavano a mille orbite-luce al secondo. Aveva un fratello, un fratello pirata, ciò significava che lei era figlia di un pirata. E non di uno qualsiasi, di Iwan il Mendace, per Gaelos! Era per quel motivo che il desiderio di possedere una nave era così dannatamente insito in lei, da non lasciarla quasi respirare? Era quello il motivo del richiamo che anche in quel momento sentiva provenire dalla distesa blu alla fine dello strapiombo sotto i suoi piedi?
Rumori di ramoscelli accanto a lei la fecero voltare. Tommy.
«Vuoi parlare?», le chiese. Aveva l'aria angosciata e la guardava con preoccupazione.
Danha l'aveva sentito avvicinarsi e lo fissò, appollaiato a poche spanne da lei. Era sempre impeccabile, fasciato nei suoi completi eleganti: pantaloni color smeraldo, un paio di stivali bassi e una giacca di sartoria che nascondeva un panciotto con inserti dorati creavano un sublime contrasto con i suoi capelli purpurei.
«No. Posso farti una domanda?», gli chiese lei, curiosa.
«Se sono nato così? Sì, ero irresistibile anche da bambino. No, non ho una ragazza. Sì, sarei più che disponibile a farti provare l'ebbrezza di una notte con me.»
Cercava di non farla pensare troppo.
Danha fece una smorfia disgustata, poi, contro ogni sua previsione, sorrise. «Declino l'offerta e vado avanti, grazie.»
Poi, dopo un attimo di silenzio, sospirò: «Sono solo confusa.»
«Ci credo. È stata una batosta per tutti. Dankar ci ha più o meno messi al corrente. Dovreste parlarvi.»
Danha lo guardò con un sopracciglio alzato. «E per dirgli cosa? "Ciao fratellino, sono felice di sapere che ho passato metà della mia vita drogata da papaveri e di scoprire che esisti. Raccontami un po', com'è andata la veglia funebre di nostro padre?"»
Tommy la fissò per un attimo. «È stata dura per entrambi. Nell'ultimo periodo Dankar sembrava più pensieroso del solito. Stava sempre a passeggio nella sua mente, a mille miglia da noi, seppure nella stessa stanza. Ho iniziato a pensare che avesse trovato un socio migliore di me. Te lo immagini? Sarebbe impossibile.»
Danha alzò gli occhi al cielo, ridendo. «Ce l'ha una fine il tuo ego?»
«Non direi, no.», rispose lui, sorridendo.
Dahna si voltò e ricominciò a guardare il mare, il sole stava facendo capolino e il cielo si stava tingendo di quel rosa aranciato che aveva sempre amato. Nell'alba trovava sempre quel senso di pace e di silenzio, che era pronto a scomparire nel momento in cui le persone si svegliavano e iniziavano a riversarsi per le strade. All'alba, il mondo avrebbe potuto tranquillamente essere suo.
«Mi sta esplodendo la testa», disse lei sospirando.
«Dov'è casa tua?», le chiese Tommy, cercando di cambiare argomento e alleggerire i suoi pensieri.
Danha si girò sul ramo, lasciando le gambe a penzoloni a venti piedi d'altezza, e indicò oltre la radura, al confine con gli alberi. «Laggiù, al confine con il Malagio. Mia madre è morta otto orbite dopo aver dato alla luce mio fratello Nathanael, almeno così mi è stato detto. Io non ero lì, lavoravo al Léon. C'è una lapide al Colle Esanime con il suo nome, ma non ho mai scavato per esserne certa. Mentre mio padre è ancora lì, credo, a bere Malecon e a spaccare cose.»
Tommy rimase a guardarla per un po', mentre pensava a come rispondere. Ognuno di loro aveva attraversato l'inferno e ognuno di loro, nessuno escluso, aveva bisogno di sentirsi capito.
«Mi dispiace.»
Danha alzò le spalle. «A questo punto non so se preferirei essere figlia sua o di un perfido pirata.»
«Iwan non era come lo descrive la gente. Dankar mi ha parlato di lui. Le maschere non le abbiamo inventate noi bastardi della Banda.»
«Già, immagino sia così.»
Dopo qualche istante di pensieroso silenzio, Tommy sussurrò: «Dovremmo rientrare. Dankar ci ha convocati a mezzodì per discutere di qualcosa che è successo tra il Macellaio e Madama Emeralda. Solo pensarci mi fa venire i brividi..»
Danha annuì. «Potresti lasciarmi sola per qualche istante? Ti raggiungo.»
Tommy si alzò e con due salti fu per terra, incamminandosi verso il Malagio.
Danha invece restò in equilibrio sul ramo, poi con un salto agile e rapido atterrò su quello in cui sedeva il suo compare, sedendosi al suo posto. C'era qualcosa di confortante nel sedere al posto dell'incarnazione dell'egocentrismo. Non ebbe bisogno di esprimere nulla a parole, non ebbe bisogno di esternare il suo dispiacere, non che ci fosse qualcuno a cui dirlo. Tutto ciò che fece fu lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento e piangere. Pianse sua madre, pianse le sue decisioni, pianse per suo padre, chiunque fosse, che aveva buttato la sua vita nel cesso oppure che giaceva in fondo a uno degli Otto mari, uno stronzo o un perfetto sconosciuto. Pianse per il suo passato, pianse per ciò che aveva subìto, per ciò che gli era stato fatto, pianse finché non rimase una sola goccia d'acqua e sale in lei.
Tommy la stava aspettando nascosto dietro al tronco a cui si appoggiava la sua schiena, non era tornato indietro, non si era avvicinato, non le aveva messo un braccio intorno alle spalle e non le aveva detto tenere parole confortanti. Era semplicemente stato al suo fianco, senza farsi vedere, e aveva condiviso con lei quel momento di sfogo e disperazione. Aveva atteso, con la stessa calma e pazienza che solo chi sa riconoscere un tale dolore possiede.
Dopo qualche momento, Danha si lasciò scivolare fino a terra e si incamminò, ancora un po' scossa ma decisamente più leggera, verso Tommy che la attendeva al limitare del bosco.
«Pronta?», le chiese.
«Per cosa?»
«Chi arriva primo alla Dovizia vince», disse lui, con un ghigno sul viso.
Danha sorrise. «E cosa vinco?»
«Il prossimo precedì, turno di guardia all'Abisso...»
Non riuscì nemmeno a finire la frase che Danha era già partita come un leopardo. Corse verso il Malagio e, una volta arrivata a quella che sembrava una piccola cappelletta, saltò sul parapetto della scalinata e da lì sul balcone e sul tetto.
Per un momento Tommy la perse di vista, ma erano poche le anime coraggiose che decidevano di correre sui tetti di Diefbourg a quel giro, perciò ritrovarla non fu così arduo. Le luci delle case e delle botteghe erano ancora quasi tutte spente, la città si sarebbe svegliata a momenti.
Oltre alle due ombre che correvano e saltavano da un tetto all'altro, le uniche figure che marciavano per strada erano le Giubbe verdi di guardia davanti al Municipio e per le strade. Solitamente la ronda cominciava alle prime luci del dì, due Giubbe per ogni stradina secondaria, quattro di fronte al Municipio e quattro di fronte alla Cattedrale. Chissà perché.
Quella mattina, tuttavia, una sola guardia rondava per ogni strada, mentre in Via Florizia, all'ingresso del Circolo della Rosa, erano radunate dieci Giubbe verdi, con tanto di carri blindati costruiti con quello che superficialmente pareva galthorn, ma che poteva benissimo essere il risultato di sublimazione di diversi metalli da parte di esperti Alchemici.
Danha si era fermata a pochi passi dal limitare del tetto dell'emporio di fronte, abbassandosi fino a strisciare per poter guardare la scena senza essere notata. Tommy la imitò, sporgendosi quel poco che bastava per capire di cosa si trattasse. Madama Emeralda stava parlando animatamente con due Giubbe, senza tuttavia gesticolare e guardandosi spesso intorno con sospetto. Dalla loro postazione, Dahna e Tommy non sentirono molto, riuscirono si e no a captare le parole: oggi, Glessow e milione di aurei, che come tracce non promettevano bene, ma neanche così male.
Mentre la Madama e le due Giubbe erano intenti a parlare, dal Circolo uscirono le altre otto guardie, trasportando a gruppi di quattro delle barelle improvvisate con due ragazze profondamente addormentate, o più probabilmente passate a miglior vita, coperte da un leggero lenzuolo nero. Il volto era seminascosto, perciò Danha non seppe dire quanti anni avessero, ma sospettava che non fossero adulte. Le Giubbe le caricarono sui carri con la delicatezza che solitamente si attribuisce a uno stivatore e chiusero le porte, blindandole attraverso una sbarra tubolare.
«Il Capo vi vuole alla Dovizia», la voce di Soffie arrivò dal nulla, alle loro spalle. «Veloci.»
Danha trasalì. Era talmente concentrata a guardare cosa stava succedendo in strada che non l'aveva sentita arrivare e per lei questa era una cosa grave. Lei sentiva tutto.
Annuì e scivolò insieme a Tommy lungo il tetto e poi lungo la grondaia fino alla strada, dirigendosi verso la Dovizia attraverso stradine laterali poco affollate.
«Fermi!», urlò una voce da dietro le loro spalle. Una Giubba verde si stava avvicinando, spuntata chissà quando da chissà quale vicolo.
«Salve agente», disse Tommy, sorridendo. «Qualche problema?»
«Ve lo dico tra un attimo. Cosa state facendo?»
«Una passeggiata. È una così bella giornata», rispose indicando il cielo sereno.
«I documenti, prego.»
I ragazzi tirarono fuori tre libricini in pelle nera e li porsero alla guardia. Questa li osservò con attenzione, sollevando di tanto in tanto gli occhi per puntarli su di loro.
«Mila, Kerev e Welya, rispettivamente circense, commerciante e studentessa.»
«Signorsì, signore.»
«Dove lavorate?»
«In proprio Signore, un po' qua e là a seconda di chi necessita del nostro aiuto. Per Mila è diverso.»
La guardia li fissò con sguardo dubbioso. «E che se ne fa la gente di una circense?»
Fu Danha a rispondere, stavolta. «Sapete com'è, i banchetti di corte non si intrattengono da soli.»
Così dicendo, lanciò alla Giubba uno sguardo di sufficienza, come a voler dire: "lavoro per le stesse persone per cui lavori tu, idiota, lasciaci andare".
Contro ogni previsione, funzionò.
La guardia restituì i libretti d'identità e chinò per una frazione di lancetta la testa. «Perdonate, non sapevo lavoraste anche voi per l'Imperatore.»
Fu Tommy a chiudere la faccenda, un compito che ultimamente gli si addiceva parecchio. «Tutto a posto, dunque, Signore?»
«Per ora, ma vi tengo d'occhio. State lontano dai guai», e così dicendo volse le spalle ai ragazzi e si incamminò da dove era venuto, fucile in spalla e manganello nella mano sinistra.
«C'è mancato poco, piccola giullare», disse Tommy, schernendola.
Danha gli tirò un pugno ben assestato sulla spalla. «Uno. Non chiamarmi mai più così. Due. Vi ho salvato quelle gigantesche chiappe che vi trovate al posto della faccia. Tre. Che razza di nomi sono Mila e Kerev?»
«Belli, vero? Hanno un non so che di chic.»
Soffie, appoggiata al muro della Taverna di Pontevecchio con le braccia incrociate al petto, alzò le sopracciglia in tono di stupita insofferenza per le stronzate sparate dall'amico.
«Sembrano i nomi di due boia della seconda centuria.»
«Appunto. Tuniche incappucciate nere come il galthorn. Scintillanti falci alte quanto un Elephantidae. Come ho detto: chic.»
Danha alzò gli occhi al cielo e ricominciò a camminare. Non aveva nessuna voglia di rivedere Dankar così presto, ma il lavoro era lavoro e finché l'argomento fosse rimasto sul piano professionale si sarebbe sforzata di sopportare la sua presenza.
Arrivati di fronte all'ufficio di Dagger, i tre non ebbero bisogno nemmeno di bussare. Il loro capo aprì la porta vestito di una divisa nero pece coperta da un mantello incappucciato e teneva appoggiata sopra la fronte un'antica maschera dei Medici della Yersinia, con un lungo becco bianco e un mezzo cilindro in pelle adagiato sulla testa. Con una mano guantata spinse delicatamente Soffie, invitandola a tornare nella sua stanza, e diede l'ordine agli altri di scendere a cambiarsi.
Una volta scesi nelle cabine, Danha e Tommy scomparvero al loro interno. Grimm si stava già cambiando.
«Qual è l'occasione, se si può chiedere?», domandò Danha ad alta voce dall'interno.
«Siete ufficialmente invitati al ballo in maschera di Madama Emeralda al tramonto», rispose Dankar, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate al petto.
Tommy sbucò dal camerino con un sopracciglio arcuato. «Ufficialmente invitati?»
«Beh, lei ha ufficialmente invitato me e io invito ufficialmente voi, perciò...»
«Perciò ci imbuchiamo.»
«Mettila come ti pare, avete una maschera sul viso e siete professionisti, no?»
Così mi lusinghi, mimò Grimm, dopo aver scostato la tenda per uscire dal camerino. Indossava un completo nero con inserti grigi, il panciotto si distingueva dal resto per mezzo tono di sfumatura, mentre la cintura e le scarpe erano di un seppia scuro, opache. Al collo, la solita sciarpa era sostituita da un foulard di seta dello stesso colore delle scarpe e del cilindro, che era delicatamente incastrato sulla chioma azzurra. Grimm si spostò verso destra e si accomodò davanti a una delle toelette, tirò fuori dal cassetto una scatolina cilindrica, la aprì e immerse le dita al suo interno, per poi passarle tra i capelli, che diventarono di un nero corvino nel giro di qualche orosecondo. Una volta ripuliti il collo e le dita, prese una maschera bronzea che copriva solo metà della parte superiore del viso, lasciando scoperto un occhio, e la chiuse dietro alla nuca con un fiocco.
«Se non ti conoscessi direi quasi che sei un gentiluomo», gli disse Tommy, prendendo il suo posto alla toeletta. Si tinse i capelli con una miscela castana, poi si lavò le mani, si alzò e si mise di fronte all'alto specchio vicino alla porta, muovendosi come un modello.
«Accidenti! Quanta bellezza in un unico pezzo di vetro.»
Dankar e Grimm alzarono gli occhi al cielo, sbuffando, poi si voltarono insieme verso la tenda della cabina di Danha, che si stava scostando per lasciarla uscire.
«Wow», dissero allo stesso momento il Capitano e Tommy, che la vedeva riflessa insieme a lui nello specchio. Portava un lungo abito in velluto semilucido di un verde assiano scuro, con inserti argentati, un'ampia scollatura sul davanti e un altrettanto ampio spacco lungo la gamba sinistra, che lasciava intravedere delle scarpe taccate bianche. I capelli d'avorio erano raccolti in basso, appena sopra il collo, in uno chignon che lasciava comunque alcune ciocche al vento. Si avvicinò all'armaria delle maschere e ne tirò fuori una di metallo bianco dalla forma a mandorla allungata verso le tempie.
«Qualcuno dovrà pur distrarre Emeralda, no? E chi meglio di una stilista assiana alla disperata ricerca di ispirazione?»
Dankar aveva annuito, seppur ancora destabilizzato dalla vista della sorella in quel vestito. Era un po' troppo pallida per essere originaria di Assia, ma gli stilisti viaggiavano di continuo e spesso si insediavano in città diverse da quelle d'origine. Avrebbe funzionato. Doveva funzionare.
Grimm, appoggiato alla toeletta, non le aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno per un secondo, ma non fece alcun commento, le sue mani erano serrate all'interno delle tasche dei pantaloni. Il silenzio fu interrotto da una fragorosa risata che fuoriuscì dalle labbra di Tommy. Il giovane uomo le si avvicinò e le prese la mano per farla roteare. La lunga gonna si gonfiò e a lei sfuggì una risatina compiaciuta.
«Sei uno spettacolo», le disse Tommy.
«Lieta di fare la mia parte», rispose lei, facendo un breve inchino.
«Grimm, che te ne pare?»
Lo sguardo di Grimm si era spostato verso lo specchio, ma restava fisso sul riflesso di quel viso mascherato e su quel corpo fasciato, e restò così immobile e contemplativo che se i suoi soci non l'avessero conosciuto bene, avrebbero giurato fosse pronto a uccidere quella ragazza. Eppure sul suo volto permeava la stessa calma e serenità di sempre, non aveva lo sguardo di chi volesse fare del male, né gli occhi pieni di devozione come un credente ai piedi delle statue degli Pseudologi e neppure pieni di focoso desiderio. Stava semplicemente guardando quella figura come si guarda qualcosa che non si capisce. E lui odiava non capire.
Rumori metallici arrivarono alle loro orecchie dai piani inferiori. Sembrava quasi che qualcuno stesse rovistando con insistenza in un grosso recipiente pieno di ferraglia per cercare un bullone o un qualsivoglia oggetto minuscolo e quasi invisibile.
«Larry?», chiese Tommy, guardando Grimm.
Il compagno alzò gli occhi al cielo e annuì, poi si diresse verso l'uscio, proseguendo per le scale in direzione della sua camera.
«Scusate», disse Dahna, confusa. «Chi è Larry?»
«Il mio migliore amico», disse Soffie, che nel frattempo era rientrata tutta agghindata per la festa, con un vestitino di tulle celeste, un paio di scarpette con un fiocco dello stesso colore e i lunghi capelli sciolti. Si diresse verso la toeletta e se li tinse di un marrone rossiccio, per poi scegliere una maschera nera che le avrebbe coperto l'intero viso.
«No, Grimm è il migliore amico di Larry, poi ci sono io e poi, forse, in fondo in fondo, tu», le disse Tommy, schernendola.
Soffie si girò e gli tirò un pennello da cipria in testa.
Dopo mezzo giro lento d'orobussola, mentre i due ancora battibeccavano come fratelli mancati, Grimm fece il suo ritorno nella stanza e si chiuse la porta alle spalle.
«È vivo?», gli chiese Tommy.
Purtroppo, sì. Qual è il piano?, chiese a gesti, tornando a rivolgere lo sguardo sulla ragazza riflessa nello specchio, mentre il Capo spiegava la missione.
Danha all'inizio aveva guardato altrove, compiaciuta, poi aveva capito che quegli occhi sarebbero rimasti fissi su di lei finché non fossero usciti da quell'edificio, perciò decise di sostenere quello sguardo, cercando di capirne il significato. Era attratto da lei? Aveva paura di lei? La vedeva come una minaccia o solo come qualcuno che si era insinuato senza permesso in quella strana banda che aveva preso il posto della sua famiglia? Non parlava da tempo, orbite se ciò che Dankar le aveva detto era effettivamente vero, e questo certo non aiutava a capire cosa gli passasse per il cervello, ma Danha non sapeva come reagire, non sapeva come risolvere. E poi chi cazzo era Larry?
Quando, al calar del sole, il Capitano invitò tutti a uscire dopo aver dato loro istruzioni sulla serata, lei stette indietro rispetto agli altri e tirò per la manica Tommy di modo da restare per qualche istante con lui, lontana dalle orecchie indiscrete degli altri. Grimm non parlava, ma aveva un udito infallibile.
«Che problema ha Grimm con me?», gli chiese, quando fu certa che nessuno potesse ascoltare.
«Che problema ha Grimm con chiunque, vorresti dire.»
Danha alzò un sopracciglio. Non le sembrava un tipo rancoroso, non molto sociale sicuramente, ma nemmeno lei si risparmiava qualche conoscenza nella sua lunga ascesa verso la sopportazione del genere umano.
«Ti ha visto vestita così e gli saranno andati in tilt gli ingranaggi.»
«Sei un idiota.»
«E tu sei uno splendore, Briniel. Miglior capro espiatorio che si sia mai visto. Non dovrò nemmeno temere che qualcuno mi scopra stasera, perché guarderanno tutti te», le rispose, ammiccando.
Danha, nel frattempo, stava guardando dritta di fronte a sé quel ragazzo muto che camminava elegantemente tra Dankar e la piccola Soffie. Si girò una volta a guardare lei e Tommy, uno sguardo di sfuggita, di cui Tommy non si accorse, intento a prenderla sotto braccio.
«Grimm non parla mai di ciò che prova, non con me almeno. Potrebbe avere un interesse nei tuoi confronti o potrebbe volerti ammazzare, direi che lo scopriremo vivendo. O morendo, nel tuo caso», continuò lui, ridendo.
«Non sei simpatico.»
«Sono la persona più simpatica del mondo, me lo dicono tutte.»
«Tutte chi? Le tue amiche immaginarie?»
«Tutte quelle che mi vogliono portare a letto», le disse, facendole l'occhiolino.
«Sai, di solito si dice a una persona che è simpatica per attenuare il fatto che faccia schifo a letto. Tipo, senti qua: "Com'è andata con Tommy l'altra notte?", "Ah, sì, Tommy... È simpatico". Non lo prenderei come un complimento.»
«Se vuoi ti mostro come smentisco quelle voci», rispose lui, malizioso.
Dahna gli lanciò uno sguardo sofferente e decise di non rispondere. Tommy era fatto così, ammiccante e provocatorio. O amavi la sua personalità o pensavi costantemente a strozzarlo. Dahna faceva parte al cento per cento di questo secondo gruppo, ma sorrise comunque, tentando di cambiare discorso. «Chi è Larry?»
«L'unico bastardo della Banda che ancora non hai conosciuto, ma sta a Grimm decidere se presentartelo. Per la maggior parte del tempo, e soprattutto per questioni di sicurezza, non si muove dalla sua stanza. Non posso dirti di più. Fai un po' troppe domande, sai? Mi piace», disse lui.
«E tu sai che non entrerai mai nelle mie mutande, sì?», rispose Danha, provocando una risata genuina nel compagno.
«Sì, signora. Provarci è divertente, però, e io non mi tiro mai indietro davanti al divertimento.»
Dahna sbuffò, ma gli angoli delle sue labbra erano rivolti verso l'alto e le piccole rughe a lato dei suoi occhi erano una prova lampante che, per quanto strano fosse, per quanto volesse stritolargli il collo, a volte un semplice battibecco con lui era quello di cui aveva bisogno per dare un freno ai suoi pensieri. Le ricordava Cinque, ma scacciò quel ricordo non appena lo sentì affiorare nella mente.
«Tu c'eri l'ultima volta che Grimm ha parlato?»
Tommy guardò in direzione del ragazzo di fronte a loro e aggrottò le sopracciglia. «Io e Grimm ci conosciamo da parecchio tempo, ancora prima che Dankar entrasse nelle nostre vite con i suoi contratti e gli utopici piani di cambiare il mondo. Siamo cresciuti insieme, all'Institutum eravamo nella stessa classe di Chimica, ma lui era uno stacanovista, mentre a me piaceva usare la Chimica per altri scopi meno... ortodossi, diciamo. Quando lui si graduò ad honorem, io ero in mare a scontare una pena di cinque orbite per vilipendio e tentato assalto alla Corte. Una stronzata, avevo semplicemente messo dell'elio nei condotti meccanici dell'aria poco tempo prima della Plenaria e hanno tutti cominciato a parlare con una voce bellissima che avrebbe reso tutto molto divertente. Ah, se solo avessero saputo stare al gioco.»
«E il vilipendio, per cosa? Chi hai insultato?»
«Le Giubbe di guardia e l'assistente di Morlion e forse anche qualcun altro, strada facendo. Ero una testa calda.»
«Complimenti vivissimi. Sei il ritratto dell'indiscrezione. Come ci sei finito con Dagger?»
«Ah è una storia divertente! Quando ho finito di scontare la pena, ho continuato a viaggiare per mare per qualche ciclo, ero al verde e quindi ho diciamo preso in prestito a tempo indeterminato qualche aureo dalle navi e dai villaggi di passaggio per poi rivenderlo al miglior offerente.»
«E Dankar era un offerente?»
«Dankar stava ancora imparando a fare il capitano, io gli sono semplicemente sbucato una notte sul ponte. Un paio di orbite prima, la Casa Industriale per cui lavorava Grimm aveva dichiarato fallimento e, per quanto lui lavorasse sette dì su sette cercando di trovare una soluzione, si trovò presto con le chiappe per terra e le tasche vuote. Così decise di usare quello che sapeva per fare ciò che non si sarebbe dovuto fare e quale migliore socio se non il sottoscritto per iniziare a commerciare androidi con motori alternativi a vapore, completamente illegali? Diventammo colleghi, all'epoca non avevamo neanche idea di cosa significasse, ci comportavamo da grandi uomini in affari, ma eravamo dei ragazzini. Gli automi, tuttavia, furono un successo.
Li vendevamo alle famiglie più benestanti come macchine di supporto alla quotidianità. I robottini di Grimm sapevano aspirare per terra, lavare e girare per la casa trasportando dolcetti e bicchieri di rum agli ospiti, che se pensi ai passatempi dei cagaaurei significava svolgere la metà del loro "lavoro" giornaliero. Grimm parlava ancora all'epoca, non è mai stato un grande chiacchierone, una frase su due era puro sarcasmo e passava la maggior parte del suo tempo in laboratorio, ma parlava. Io invece parlavo anche troppo e mi cacciavo nei guai spesso, quando ho finito di scontare la pena ero rimasto talmente tanto tempo in mare che potevo quasi essere un Capitano. Dipendenza da rum e scelte sbagliate erano i miei secondi nomi, quindi i presupposti c'erano, però mi sono fatto un po' più furbo e ho iniziato a usare le necessità degli altri a mio favore. Volevo iniziare a fare affari con il grande Iwan, io punto sempre troppo in alto, ma dopo aver scoperto che era andato a fare visita ai suoi amici con le pinne, ho deciso di seguire il figlio e gli ho proposto un affare che non poteva rifiutare.»
«Diventare tuo socio?»
«No, comprarmi tre once di Belladonna per duecento aurei.»
«Ma è un furto!»
«È la mia specialità. Te l'ho detto, aveva appena preso le redini della Murena, a malapena sapeva cos'era la Belladonna.»
«Ma sapeva di avere una sorella», disse Danha, rabbuiandosi in volto.
Tommy stette per qualche momento in silenzio, pensando attentamente a quali parole usare per intraprendere quella conversazione nella maniera più delicata possibile.
«Sì e no. L'unico che poteva saperlo e che conosceva bene Iwan è Baltizar, ma è in mare adesso, si occupa delle rotte commerciali di Dankar quando lui è sulla terraferma. Sono passate dieci orbite e Balt non è cambiato di una virgola. Sarà uno spasso fartelo conoscere.»
Danha annuì, con un sorriso che tuttavia non raggiunse gli occhi, poi stette il silenzio per il resto del tragitto fino al Lupanare.
Dankar e Grimm li stavano aspettando qualche metro più avanti, ai piedi degli scalini che portavano al sontuoso ingresso, sulla cui soglia si ergeva in tutta la sua massiccia corporatura una donnona che, incurante dell'aver superato ormai le cinquanta orbite di vita, indossava un vestito attillatissimo color magenta, con inserti di diamante che lo facevano luccicare ad ogni accenno di movimento. Portava gioielli in ogni dove, dai capelli alle caviglie, e si era coperta le spalle con una pelliccia écru che Danha non voleva neanche immaginare a quale animale fosse appartenuta. Dava il benvenuto agli ospiti e li intratteneva per pochi, frivoli orosecondi, prima di invitarli ad accomodarsi.
Dankar si girò verso gli altri. «Qualche domanda?»
I quattro fecero un cenno di diniego con la testa. Danha scoccò uno sguardo di sottecchi a Grimm che stava guardando qualcosa all'interno, poi lui si voltò verso il gruppo e la guardò di rimando. Si osservarono per un istante da sotto le maschere: lei confusa, lui accigliato.
Poi Soffie prese la mano di Tommy e Dahna controllò che il coltello infilato nella giarrettiera fosse saldo.
Cinque V diefbourghiane scesero dal collo al petto, tratteggiando con una carezza due linee immaginarie a lato del cuore di ciascun membro di quella strana banda. In Simbolium significava: "Restate in vita".
«Bene. Allora si va in scena, gente.»
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