Potrebbe sottomettere il mondo
Oggidì
(Parte seconda)
La Pinacoteca era uno dei posti più belli che Dahna avesse mai visto. Ci era stata da bambina con sua madre, da sempre appassionata d'arte, e poi se l'era semplicemente dimenticata, rilegandola in un cassetto ormai polveroso nella sua mente.
Era un edificio a tre piani in mattoni e inserti in Galthorn, collocato all'angolo di via Artefizio, di fronte al Teatro addobbato per i Sacri Natali con lanterne e ghirlande dorate. Dopo orbite di furti e truffe, Dahna non ricordava più la sensazione di trovarsi in un ambiente tanto silenzioso e pacifico senza secondi fini, di ammirare l'arte in ogni sua forma, senza doverla rubare.
Non voleva entrare in quel posto come ladra, voleva entrarci come Dahna Briniel. La vecchia Dahna Briniel.
Si lasciò condurre da Tommy al primo piano, dedicato ai pittori della Quarta centuria, e si ritrovò immersa in un mondo di tele aranciate e smeraldine, intervallate da tocchi di nero e oro.
«Ti piacciono?», le chiese Tommy, sorridendo.
«Sono più da scultura dell'Ottava, ma sì, sono meravigliosi.»
Davanti a sé, un dipinto di Endrell ritraeva una donna seduta su un piccolo sgabello, intenta a intrecciare fili di vimini per creare una cesta. I dettagli delle mani, le venature su ogni dito, ogni singolo filo d'erba sembrava volesse fuoriuscire dal quadro e prendere vita.
Le opere della Quarta centuria si somigliavano, oltre che per l'epoca di produzione, anche per i colori e i temi ricorrenti. Il lavoro manuale, le vecchie tradizioni, le nature morte, erano tutte testimonianze di un mondo antico che viveva di una lentezza pacifica, prima dell'avvento delle nuove tecnologie a vapore. Si viveva con poco e si era grati per tutto. Galthorn non era ancora guidata da un imperatore, ma ogni terra veniva autogestita dalle famiglie.
Le sembrò un po' utopico e un po' finto. Dahna dubitava che il mondo della Quarta fosse il paradiso di cui parlavano le fonti, ma lo tenne per sé e continuò il giro, fino alle scale per il secondo piano dedicato alla Sesta.
La Sesta centuria era stata l'epoca delle grandi invenzioni fisiche, l'epoca della Scienza e della sperimentazione. Dopo cento orbite di transazione e di continua perdita di interesse verso la vita semplice e la fede negli Pseudologi, la Sesta aveva dato il via all'ateismo e a un distaccamento graduale dalle Sacre Scritture. Erano nate la prime Case di Cura, le prime industrie e i primi laboratori di ricerca tecnologica.
Passò davanti ad alambicchi, prototipi di macchine smistatrici e intere pagine di sperimentazioni chimiche pensando che, in un modo o nell'altro, la Scienza aveva cambiato tutto. Aveva inventato le armi moderne, dalle armi era nata la sete di potere e da quest'ultima una monarchia meritocratica che si era poi trasformata in una corsa a chi ce l'avesse più lungo.
Non avrebbe saputo dire quando il mondo era diventato marcio, ma sicuramente non trovò la serenità di una vita semplice, in quelle sale.
Quando arrivarono all'ultimo piano, Dahna si tolse la giacca, la adagiò sull'appendiabiti all'ingresso e restò con una tuta attillata nera, coperta da un grosso maglione a collo alto dello stesso colore carminio delle sue labbra.
L'Ottava centuria, finalmente.
Lo spazio era diviso in due grandi stanze, una dedicata alla pittura e una alla scultura. Era uno dei suoi periodi storici preferiti. Quello che Tommy amava chiamare il "Paradiso galthorniano".
Era l'epoca della libertà in ogni campo, della trasgressione, dell'illegalità. L'era delle prime Case da Gioco, dei primi spettacoli di burlesque, dei cicli di Carnavalia. Delle maschere. L'epoca in cui non si voleva una vita semplice e non si voleva seguire la scienza. Si voleva solo essere liberi.
I muri della prima sala erano pieni di ritratti e paesaggi. Una ballerina di burlesque dentro un enorme tulipano di vetro, attori di teatro travestiti da antichi Eruditi, intere strade imperiali colme di gente mascherata, orge in bordelli legali dalle sfumature rosse e viola. Ad ogni tela, Dahna si sentì rinvigorita.
«Guarda qui», la chiamò Tommy, poco più avanti verso il punto di unione con la seconda sala. «Vedi anche tu quello che vedo io?»
«Una scena di sesso?»
Tommy fece una smorfia e alzò gli occhi al cielo. «Una scena di sesso tra uomini.»
«E allora?»
«E allora perché non sono nato nell'Ottava centuria?»
A Dahna scappò una leggera risata. «Non lo so, Tom. Me lo chiedo anche io.»
Forse il mondo aveva iniziato a marcire dopo quel periodo. O forse era sempre stato marcio e alla gente piaceva ricordare solo le cose buone.
Quando arrivarono nella sala che ospitava le sculture, Tommy girò intorno al divisorio in mezzo alla stanza e scomparve dalla sua vista, probabilmente diretto verso una riproduzione fedelissima di un atleta nudo.
Guardò una scultura alla volta, prendendosi il tempo necessario per imprimere ogni dettaglio nella sua mente. Le curve di ogni ballerina, la lucidità della pelle data dalla levigazione del marmo, le pieghe degli abiti, le espressioni. Ognuna di quelle statue, immobili e senza vita, provava qualcosa che lei desiderava ardentemente. Desiderio, passione, amore.
Lo vedeva negli occhi di quella donna, seduta a cavalcioni sopra il suo uomo, con il seno contro il suo petto e la testa reclinata all'indietro, lo vedeva nei pugni chiusi di un giovane uomo seduto sui talloni con il capo chino e i ciuffi di capelli in disordine sul viso. E poi lo vide nella sua opera preferita. Quella davanti a cui pochi si fermavano. Quella che tirava fuori la parte più nascosta della sua anima.
Realizzata in marmo bianco e ad altezza naturale, la statua ritraeva una giovane spogliarellista con un completo intimo dipinto di nero e una giarrettiera dello stesso colore alla coscia sinistra. Teneva fermo sotto una scarpa taccata un uomo sottomesso, in lacrime.
Si intitolava: "Potere" ed era stata realizzata da un'artista di dubbia identità che veniva ricordata con il nome di Syldra Nemis. Il viso della donna era interamente coperto da una maschera nera e ripiegato all'indietro, le braccia allungate verso l'alto in un momento di estasi leggera, mentre il piede, pesante, schiacciava il sesso opposto e lo sottometteva al suo volere.
Sentì un profumo familiare alle sue spalle. Jerry e pelle nera come la pece. Le venne la pelle d'oca.
«Ti piace così tanto?», sussurrò Grimm.
Dahna si voltò verso di lui e poi oltre le sue spalle, alla ricerca di Tommy che era magicamente svanito nel nulla. Bastardo.
Lo osservò per un istante. Aveva gli occhi stanchi, accerchiati dal nero, i capelli in disordine. Sembrava messo peggio di lei.
Si schiarì la gola, prima di rispondergli. Era tentata di domandargli cos'era successo la notte precedente, ma era stanca. Stanca di pensarci, di provare a ricordare, stanca di restare sempre all'erta.
«La adoro.»
«Perché?»
Lei alzò un sopracciglio, guardandolo come se quella domanda non potesse arrivare dalle sue labbra. Come se vederlo lì, in mezzo a una sala piena di opere d'arte, fosse un miraggio. Come se fosse sbagliato. Pensò di aver immaginato tutto, prima che i suoi pensieri venissero interrotti di nuovo dalla sua voce.
«Voglio sapere cosa ci vedi.»
L'attenzione di Dahna tornò sulla donna mascherata e le sue spalle si rilassarono. Guardò ogni micron di quella superficie come fosse la prima volta. E se ne innamorò di nuovo.
«Ci vedo quello che vedeva l'artista, immagino. Potere. Sicurezza. Autostima. Voglio dire, guardala... Potrebbe sottomettere il mondo, se lo volesse.»
Grimm sorrise. «Sì, lo vedo. Ma non hai risposto alla prima domanda. Perché ti piace tanto?»
Perché è tutto ciò che io non sono.
«Immagino di essere una femminista un po' estrema.»
Un impercettibile sorriso dipinse le labbra di Grimm, prima che i suoi occhi la penetrassero con serietà. La sua voce si abbassò di qualche tonalità e divenne quasi impercettibile, quando si avvicinò al suo orecchio. «E pensi che sarebbe altrettanto potente senza maschera?»
Un brivido scese lungo la sua spina dorsale. Era così che voleva metterla? Voleva giocare?
Va bene, giochiamo.
«Non le serve una maschera per essere sé stessa.»
Grimm annuì lentamente, cercando le parole giuste. «Io penso che lei abbia paura, ma che riesca a nasconderla meglio con una maschera sul viso.»
Touchée.
«Le maschere aiutano.»
«Le maschere celano, Briniel.»
«A volte, sì.» Incrociò le braccia al petto, stringendo il tessuto morbido del maglione tra le dita. Qualcosa con cui aggrapparsi alla realtà e non farsi trascinare via da lui. Voleva la verità? Gliel'avrebbe data. «Altre volte mostrano chi sei realmente.»
Lui fece un passo verso la statua e poi si voltò per esserle di fronte. Avrebbe voluto sentire il suo battito in quel momento. «Vuoi parlare di cos'è successo stanotte?»
Dahna rifletté su cosa avrebbe potuto chiedergli. Era davvero mia madre? Ho immaginato tutto? In quale posto buio e dimenticato dagli Dèi sono andata prima di addormentarmi? Sei rimasto con me, stanotte? Mi hai guardata?
Ma non ne aveva le forze. Non voleva pensarci e non voleva parlarne, almeno per un po'.
Scosse la testa. «Voglio solo vivere qualche giro senza pensare alle conseguenze, senza responsabilità, senza fare nulla di sbagliato o di illegale.»
Lui la comprese e gli porse una mano. «Vieni.»
«Tommy?»
«Tom è alla Dovizia, Dahna. Se n'è andato non appena sono arrivato io.»
Lei fece una smorfia. «Me la pagherà.»
«Oh, non ne dubito», gli rispose lui, divertito. «Ti ha lasciata con me, ti fidi di lui?»
«Di lui, sì.»
«Allora, vieni.»
E così dicendo le prese la mano e la accompagnò fuori dalla Pinacoteca. Ad attenderli, poco lontano, c'era una moto nera con inserti cerulei e rifiniture bronzee. Grimm le fece cenno di salire, ma lei non si mosse, scettica.
«L'hai costruita tu?»
«Sì.»
«Allora non ci salgo.»
Lui fece un profondo sospiro e le rivolse uno sguardo frustrato. «L'ho costruita quattro orbite fa, Briniel. E come vedi, per tua sfortuna, sono ancora vivo e vegeto. Metti questo e sali, prometto che andremo piano.»
Le porse un casco integrale e si infilò il suo, guardandola indossarlo e allacciarlo sotto il mento controvoglia.
Montò in sella prima di lei, sbloccando il cavalletto e aspettando di sentire un calore sulla schiena che non arrivò. Non aveva intenzione di toccarlo.
«Ti conviene tenerti.»
«Pensa a guidare.»
Sotto il casco, Grimm sorrise e accelerò. Sebbene tenesse una velocità limitata, sentì le braccia di Dahna circondargli la vita e il suo casco appoggiarsi a lui. Lo teneva stretto come se ne andasse della sua esistenza e lui ne godette per tutto il tragitto, finché non si fermarono fuori città, al confine con Keltam. Dahna scese dalla moto di fretta e cercò di slacciarsi il casco con mani tremanti.
«Non pensavo avessi paura della velocità», le disse Grimm con gentilezza, prendendole le mani e lasciandogliele cadere lungo i fianchi.
«Infatti, non è la velocità il problema.»
Lui non disse nulla, ma le slacciò il casco e glielo tolse, lasciandola libera di respirare. Era affannata e pallida.
«E allora qual è il problema?»
«Le moto. Mio padre.»
Lui annuì, ma non cercò di approfondire. Se questo era tutto ciò che voleva condividere, l'avrebbe lasciata libera di sfogarsi o di restare in silenzio.
«Dove siamo?»
«A Bridgen, un paesino poco fuori città. Al confine con Keltam.»
Lei si guardò intorno, sempre più confusa. Era un luogo spoglio e tranquillo. Le metteva i brividi. «E perché siamo qui?»
«Perché entrambi abbiamo bisogno di non pensare per un'antinotte. Vieni.»
Non suonava bene per niente. L'ansia iniziò a crescere dentro di lei, finché non si trovò ai piedi di un edificio apparentemente abbandonato.
«Hai intenzione di uccidermi?»
Una flebile risata uscì dalle labbra di Grimm, prima che la porta si aprisse e li lasciasse entrare.
«Vuoi che ti uccida?»
«No, ti ringrazio. Sto bene così.»
«E allora non lo farò.»
Grimm iniziò a scendere dei gradini che portavano al piano inferiore, dal quale proveniva una musica bassa e lasciva. Aprì una porta alla sua destra e la invitò a entrare.
Sto per morire. È finita. Stasera è la sera in cui Grimm vendicherà sua madre. Cosa cazzo ci faccio qui?
«Ti fidi di Tommy?», le chiese, leggendole i pensieri.
«Inizio a pensare che non dovrei.»
In quello sgabuzzino faceva caldo, ma lei non osò togliersi la giacca. La stanza era più grande di quanto Dahna si fosse immaginata e i muri erano ricoperti di scaffalature piene di costumi e maschere carnevalesche. Alla sua sinistra, una vetrata dava sul piano inferiore, una grossa sala con divanetti e tavoli affacciati su un palcoscenico semicircolare.
«So cosa ti ricorda, ma non lo è. Fidati di Tommy.»
Lo disse come se non fosse Tommy colui di cui Dahna avrebbe dovuto fidarsi, ma lei non riuscì comunque a togliersi quella sensazione di inadeguatezza di dosso. Grimm aprì un cassetto e ne estrasse una maschera nera, identica a quella della statua nella Pinacoteca e le si avvicinò, posizionandogliela sul volto e fissandogliela con un fiocco dietro la nuca.
«Questo è il Lux. È il locale mio e di Tom. L'abbiamo rilevato molto tempo fa con la sua vincita alla Casa da Gioco. Vorrei che fosse filato liscio come sembra, ma è stata un'impresa. L'abbiamo ristrutturato e trasformato in una sorta di rifugio per le ragazze di Emeralda. Sapevamo che non era una soluzione a lungo termine e che non poteva ospitarle tutte, nel caso fossimo riusciti a farle scappare, ma il colpo non è comunque andato a buon fine, perciò resta una casa e un posto di lavoro per chi non ha più nessuna delle due cose.»
Dahna gli rivolse una smorfia disgustata.
«Ballano, Dahna. Ballano e basta. Nessuno entra in questo posto senza che io lo sappia e nessuno prova ad avvicinarsi a loro senza che io lo ammazzi di botte. Dopo i controlli, a ognuno viene data una maschera e viene offerta la possibilità di cambiarsi. Alcuni uomini diventano donne, alcune donne uomini, e alcuni decidono di spogliarsi del tutto. Ti lascio immaginare di chi sia stata l'idea. Ma per ognuno, comunque, vige l'obbligo della maschera. Puoi non cambiarti se vuoi, ma vorrei che lo vedessi e che per una notte non pensassi a niente di quello che sta succedendo là fuori.»
Dahna pensò di impazzire. Ogni cosa lì dentro le ricordava il Circolo della Rosa, i divanetti, il palco, la mescita. Solo il colore era diverso. Non era rosso come il sangue o viola come i lividi, ma era verde petrolio, il preferito di Tommy.
Grimm attirò la sua attenzione e le alzò il mento con un dito. «Non sei obbligata a fare nulla. Sei una maschera come le altre, stanotte, e io non ti conosco. Non pensare a niente e sii te stessa. Puoi sottomettere il mondo, se lo vuoi.»
Dahna sentì le gambe cedere e allo stesso una sensazione di potere scorrerle nelle vene. Grimm aveva ragione. Per un motivo a lei assolutamente non chiaro, quella notte avrebbe potuto scordarsi chi era là fuori ed essere semplicemente lei. L'Ottava centuria che diventava realtà.
«Ti lascio sola, nel caso tu voglia cambiarti. Io sarò accanto al bancone, se hai bisogno di me, ma non saprò chi sei a meno che tu non me lo dica.»
Se ne andò, lasciandola sola. L'eco delle sue parole che si imprimeva nelle pareti. Cercò tra gli scaffali ciò che voleva e lo indossò, coprendolo con una vestaglia nera di seta assiana, prima di scendere verso il salone.
Quella notte non era più Dahna Briniel.
Quella notte era Potere.
* * *
Come promesso, Grimm sedeva accanto al bancone su una poltrona leggermente rialzata e controllava la sala che si stava riempiendo. Una trentina di persone uscirono dai camerini, alcuni con costumi d'epoca, alcuni in lingerie, alcuni senza. Alcuni erano alti, altri bassi, alcuni magri, altri decisamente più robusti. Ma tutti, nessuno escluso, portavano una maschera sul viso. Compreso Grimm.
Si era tolto la giacca ed era rimasto con una camicia nera che metteva in risalto ogni muscolo e lasciava trasparire, sul petto e sugli avambracci, i numerosi tatuaggi a copertura delle cicatrici. A differenza di quella di Dahna, la sua maschera era bianca e gli copriva solo la metà superiore del viso, lasciandogli le labbra libere.
Una ballerina gli girava intorno sfiorando delicatamente con la mano i cuscinetti in velluto su cui era seduto. Lui non si girò al suo ingresso, ma lei sentì il suo sguardo penetrargli le ossa e il sangue farsi bollente. I suoi stiletti neri tacchettarono lungo la stanza fino alla poltroncina davanti a lui. Non era la migliore visuale sul palco, ma era quella in cui Dahna voleva sedersi quella notte. Era la notte in cui regnava l'istinto e lei aveva intenzione di seguirlo.
Si legò i capelli argentei in un piccolo chignon semi raccolto, lasciando che il resto della chioma scendesse oltre lo schienale della poltrona.
Un cameriere le si avvicinò e le chiese se gradisse qualcosa da bere.
«Un Jerry doppio, con ghiaccio. Grazie.»
Un angolo delle labbra di Grimm si alzò, prima dell'apertura dello spettacolo. Le luci soffuse si spensero gradualmente sulla platea, lasciando visibile solo il palcoscenico. Sopra quelle assi scricchiolanti, tre ballerine in corsetti d'epoca, sedute su altrettante sedie, iniziarono a muoversi con il sorriso sulle labbra.
Dahna ripensò agli spettacoli del Circolo e si rese conto che Grimm aveva ragione. Quelle donne ballavano con la gioia negli occhi, la passione sulla pelle. Non erano costrette a farlo, lo facevano perché amavano danzare. Amavano provocare, mettersi in mostra. Amavano il potere che le maschere sui loro occhi conferivano loro.
Segui l'istinto.
Dopo quattro numeri, si scolò l'ennesimo tulipano di Jerry e, prima di rendersi conto di cosa stesse facendo, si trovò dietro le quinte in attesa della fine del numero successivo. Chiese a una ragazza di poter salire sul palco e lei le sorrise, incoraggiandola.
«Di cosa hai bisogno?»
Vediamo se riesco ancora a mandarti fuori di testa.
«Tessuti aerei, li avete?»
La ragazza si illuminò. «Sì! Finalmente! Non sono mai stati utilizzati, ma sono qui da sempre. Immagino che qualcuno ti stesse aspettando. Te li sgancio subito.»
Le sorrise. Non si aspettava quella gentilezza, ma fu un unguento lenitivo sul suo cuore spezzato. «Grazie.»
Non appena prese tra le mani il tessuto, sentì una stretta prepotente attorno al cuore. Non credeva che bastasse un tocco per ricordare ogni sensazione, ogni emozione, ogni trauma, eppure eccola lì, con i brividi sulla pelle e un peso sul petto. Inspirò profondamente attraverso la maschera e sentì l'alcol nelle vene iniziare a fare effetto. Le diede la leggerezza necessaria per fare un cenno del capo alla ragazza gentile che tirò una leva, aprendo il sipario.
Nessuno tra le poltroncine della platea aveva mai visto i tessuti aerei. Non in quel posto, almeno. Un mugolio di sorpresa si diffuse nella sala, insieme alle note di una melodia avvolgente e voluttuosa, ma ritmata al punto giusto da toccare corde sensibili in ognuno di loro.
Dahna arrotolò uno dei tessuti intorno alla sua gamba e poi iniziò a salire. Lo sentiva accarezzarle la pelle nuda, il corpo coperto solo da un intimo nero sgambato a vita alta e una brassière che fasciavano ogni sua leggera curva. Sentiva l'attrito delle gambe contro la tela, la vertigine, ma soprattutto il desiderio della folla. Non riusciva a vederla, ma se la sentì addosso fino alla fine dell'esibizione.
Quando si lasciò cadere, srotolando il tessuto annodato in vita, la musica terminò e sulla sala piombò il silenzio. Non si sentiva nulla, se non il respiro accelerato e scoordinato racchiuso in quelle maschere. Poi, uno per volta, lentamente, si alzarono tutti in piedi e iniziarono ad applaudire sempre più forte, finché il loro entusiasmo non riempì ogni particella di quella stanza, nuovamente illuminata dalle tenue luci soffuse.
Dahna assaporò quell'ovazione come fosse il suo ossigeno e fece un profondo inchino. Quando rialzò il viso, cercò gli occhi di Grimm e lo trovò in piedi, appoggiato al bancone, che la fissava con il sorriso sulle labbra. Le sue mani battevano a un ritmo più lento rispetto a tutte le altre, ma facevano più rumore. Non si era mai sentita così potente in vita sua. Non era come bruciare un intero circo, non era come rubare sotto gli occhi degli aristocratici. Era un potere diverso. Il mondo si era ridotto a quella platea e lei era riuscita a sottometterlo.
Doveva andare da lui.
Quando il sipario si richiuse, le ragazze che si erano esibite prima di lei le corsero incontro e la abbracciarono.
«Dove accidenti ti sei nascosta, finora?»
Lei rise e cercò tra di loro un viso familiare, ma non lo trovò. Chiunque fossero quelle ragazze, non avevano idea di quanto fossero state fortunate.
«Sei stata meravigliosa, come ti chiami?»
Poteva essere chi voleva, poteva inventare un altro nome, fingersi qualcun'altra, ma quella era una parte di lei. E non voleva nasconderla. Non voleva mentire. Voleva solo essere sé stessa.
«Bri.»
La ragazza che le aveva preparato i tessuti la attirò a sé in un abbraccio. «È un piacere, Bri. Io sono Kara. Questo palco sarà tuo ogni volta che vorrai.»
«Ti ringrazio.»
Quando uscì dal retroscena, il percorso verso Grimm fu più lungo del previsto. La gente la fermava per farle i complimenti, per chiederle il suo nome, per ammirarla. Si fermò a parlare con alcuni di loro, contando i passi che gli restavano per raggiungere quella maschera bianca seduta sul suo trono personale.
Quando gli arrivò davanti, si sentiva leggera, alticcia e potente come non mai. Gli parlò lentamente, come se ogni parola fosse densa di un significato nascosto.
«Ciao.»
«Ciao», rispose lui, la voce bassa che seguiva il ritmo della sua. «Non penso di averti mai vista, come ti chiami?»
«Bri, e tu?»
Grimm inspirò a pieni polmoni per calmare il calore che gli stava salendo fino alla testa. Quello era il soprannome con cui la chiamava la sua famiglia, quello usato da Nath, tanto tempo prima. Si stava schiudendo, permettendo agli altri di vederla davvero. Se era così che voleva metterla... «Ash», rispose.
«È un piacere conoscerti, sei stata magnifica su quel palco.»
La sentì sorridere sotto la maschera.
«Mmh, bel nome. Ti ringrazio. Le ragazze dietro alle quinte mi hanno praticamente fatto un'offerta di lavoro. Sai per caso dove posso trovare il capo di questa baracca? Vorrei discutere della proposta.»
Grimm si morse l'interno di una guancia per non ridere. «Oh, sono sicuro che approva.»
«Bene, è un sollievo. Posso smettere di lavorare per quella Banda di delinquenti da cui dipendo ora.»
«Non possono essere così male.»
«No, infatti. C'è solo questo tipo, Grimm, che mi odia e vorrebbe farmi a pezzi ogni volta che mi guarda.»
Dahna vide i muscoli della mascella di Grimm irrigidirsi e i suoi occhi farsi sottili.
«Magari ha le sue ragioni.»
Bum.
«O magari le sue ragioni sono sbagliate.»
Bum bum.
«Magari prova qualcosa e non sa come dirtelo.»
Fu come ricevere uno schiaffo sul viso, solo che era una carezza. Sul cuore.
Dahna sussultò, ma cerco di non darlo a vedere. Stava iniziando a fare pericolosamente caldo lì dentro.
«O magari è una trappola e collezionerò cicatrici, standogli vicina.»
Posò entrambe le mani sui braccioli della poltrona, avvicinandosi al suo viso.
Grimm inspirò profondamente il suo profumo. Poteva sentire il suo autocontrollo sgretolarsi in mille pezzi.
«Stai giocando con il fuoco, Dahna.»
«Ma io non sono Dahna e, anche se lo fossi, io e il fuoco siamo amici di vecchia data. Facciamo un gioco vero.»
Lui si staccò dallo schienale e si avvicinò al suo viso, sfiorandole la punta del naso e facendola retrocedere. «Quale?»
«Nascondino.»
Soffocò una risata. «Dentro al mio locale? Sei sicura di volermi lasciare vincere così?»
«E chi ha detto che vincerai tu?»
Grimm sorrise. «D'accordo, cosa c'è in palio?»
«Se vinco io farai tutto ciò che ti dico fino all'alba.»
Lo farei comunque.
«E se vinco io?»
«Beh, immagino che sarò io a fare ciò che vorrai tu, ma non farti venire in mente strane idee.»
«Troppo tardi. Ti dò quindici lancette di vantaggio. Corri.»
Non se lo fece ripetere due volte. Iniziò a correre verso il palco e poi dietro le quinte, passò per i camerini mentre lui si alzava e la seguiva. Quando lui fu nascosto dietro al palco, tornò verso il bancone, sedendosi sulla sua poltrona. Stava ridendo e nemmeno se n'era accorta. Dopo pochi istanti, un bicchiere di Jerry si materializzò sulla mano di Grimm a pochi pollici dal suo viso. Glielo porse e lei accettò.
«Sei pessima a nascondino.»
«Ma ti ho rubato il posto. Sai che posto è questo?»
«Illuminami», rispose lui, mordendosi un labbro per non ridere.
«È il posto del potere. E io sono potere stasera, perciò ho vinto.»
Era ubriaca, ma cercava di restare seria. Mostrava una parte di lei che non aveva mai visto nessuno. Grimm rise e per un momento si dimenticò di tutto. «Sarò onesto. Bri inizia a piacermi, ma non era questo, l'accordo.»
Le si mise di fronte, ma lei non gli diede il tempo di avvicinarsi.
«Fermo.»
Alzò una gamba e puntò il tacco di uno stiletto contro gli addominali di Grimm, prima di vedersi rivendicare la poltrona. Lo fissò da sotto le sopracciglia, tentando di restare seria, con le guance rosate e la pelle accaldata.
«Se solo Syldra Nemis ti vedesse ora...», sussurrò Grimm, sovrappensiero. Avrebbe ammirato una statua di lei in quella posizione fino alla fine dei suoi giorni.
«Trovati un altro trono.»
Lui le prese la caviglia, il tacco ancora piantato nel suo addome, e la abbassò lentamente, facendole incrociare le gambe e poggiando entrambe le mani sui braccioli, come aveva fatto lei poco prima. Quando fu a pochi micron dalle sue labbra, le sue parole furono sussurri quasi impercettibili.
«Hai perso, Bri. Fattene una ragione, ora devi mantenere la tua parte dell'accordo.»
Lei fece una smorfia.
«Seguimi», gli disse Grimm, porgendole una mano.
La portò in un piccolo studio al primo piano interrato, sotto il quale stavano le camere delle ragazze. Era pacifico, laggiù. Non si sentivano urla o gemiti di dolore. Le camere erano solo camere e le ballerine solo ballerine. C'era qualcosa di rassicurante nel sentire quel silenzio. Sapeva di libertà. Di umanità.
Lo studio era quasi spoglio, fatta eccezione per una poltrona, un semplice divano e un mucchio di libri e scartoffie sparsi tra gli scaffali e la scrivania.
Grimm si sedette al centro del divanetto, lasciandosi scivolare leggermente in avanti.
«Ora, ricapitoliamo.»
Lei rise, soprattutto per l'alcol che aveva in corpo, ma anche per la situazione. Era davvero riuscito a non farle pensare a nulla quella notte e, per quanto l'indomani potesse ricominciare a odiarlo, in quel momento gli era solo grata.
«Il tuo nome è Bri, sei una ballerina eccezionale e ti piace il Jerry.»
Lei cominciò ad avvicinarsi pericolosamente. Ad ogni sua parola un passo in avanti, finché non si trovò tra le sue ginocchia.
«Mmmh», mugugnò lei, annuendo.
«Cos'altro dovrei sapere di te?»
«Niente.»
Gli si sedette in grembo, stringendolo tra le cosce nude e tracciando le linee del suo viso con un dito.
«Ricapitoliamo. Il tuo nome è Ash, hai un locale che riporta in vita l'Ottava centuria e ami il Jerry quanto me.»
Lui sorrise, posandogli i palmi delle mani calde sulle cosce. «No, io lo amo un po' di più, credimi.»
Rimasero in silenzio, guardandosi attraverso le maschere. Un silenzio carico di aspettative, di voglia di essere diversi, per una notte. Ma lei non riusciva a non vedere lui, sotto quel pezzo di metallo bianco. Parlò senza pensare.
«Potevi lasciarmi su quel balcone, ma mi hai riportata a casa. Hai controllato che stessi meglio.» La sua voce era solo un sussurro. «Sei rimasto.»
«Non so di cosa tu stia parlando, Bri. Ti ho appena conosciuta.»
Dahna sorrise e lo ringraziò con gli occhi. Aveva ragione. Quello non era il Grimm che lei conosceva. Le parole che le rivolse dopo la fecero sciogliere come cera bollente. L'alcol non era mai stata una soluzione, ma in alcuni casi aiutava a tirare fuori la verità. Come una maschera.
«Sto cercando di farmi perdonare.»
Lei gli sfiorò la mandibola, il respiro bloccato a metà tra i polmoni e la gola. «Per la cicatrice?»
«Per tutto.»
Sfiorò quel cerchio bianco e sentì il bruciore che aveva sentito lei. Sentì un peso sul petto, qualcosa che non si sarebbe mai più aggiustato, che non l'avrebbe più abbandonato. Il rimpianto.
Lei gli sorrise da sotto la maschera. «Sei sbronzo.»
«Anche tu.»
«Domani tornerai a odiarmi.»
«Mmh, probabile.»
Dahna si lasciò sfuggire un sospiro. «Qual è la mia punizione?»
Glielo disse tracciando il contorno di ogni bottone sulla sua camicia e poi di ogni tatuaggio sui suoi avambracci.
«Quella che vuoi. Avresti vinto tu in ogni caso.»
Non avrebbe più visto quella versione di lui. Non voleva illudersi, ma era stanca di provare tutto e di rinchiuderlo in una gabbia dentro al suo petto. Era stanca di sentirsi in colpa per sua madre, per la madre di Grimm, per lo schifo che era stata obbligata a fare. Era stanca delle bugie, di mentire a sé stessa. Era stanca di sentirsi attratta da lui e ritrovare l'odio nei suoi occhi.
Non c'era Dahna sotto quella maschera, ma c'era una parte di lei che aveva paura di mostrare a viso aperto. Quella più vera. Quella che aveva paura degli uomini, del contatto fisico, lo stesso che in quel momento stava creando un fuoco tra di loro.
E lei si stava abituando ai fuochi, alcuni li rimpiangeva, altri cercava di spegnerli in continuazione, ma questo... questo aveva bisogno che deflagrasse.
Spostò l'indice sulle labbra di Grimm, tracciandone i contorni. Bevve il gemito che uscì dalle sue labbra come la migliore annata di rum.
«Mi stai ammazzando, Bri.»
«Lo sento.»
Lui avrebbe voluto immortalare quel momento e tenerlo con sé come via di fuga dai momenti più bui. La guardò a lungo, in silenzio, e quando finalmente parlò, la sua voce suonò roca e toccò corde ancora inviolate.
«Chiudi gli occhi.»
Lei obbedì e sentì le mani di Grimm scivolarle sulla pelle. Partirono dalle caviglie e risalirono lungo le gambe fino a ritrovarsi sui suoi fianchi, fasciati dalla lingerie nera. Li strinse, senza farle male.
«Dimmi di fermarmi.»
Le mancò l'aria. Sentì mille brividi tracciare scie indelebili sulla pelle. Boccheggiò in cerca di ossigeno, ma scoprì di non averne bisogno.
«Continua.»
Aveva le mani grandi e calde quanto il suo sangue. Si arrampicarono lungo la sua schiena, le dita che contavano ogni vertebra fino all'ultima, come se volesse ricordare la posizione di ognuna. Tracciò la linea delle sue clavicole e poi scese lungo le sue braccia fino ai polsi. Ogni singola cellula del suo corpo si risvegliò a quel passaggio e iniziò a bruciare. Non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Era un biglietto di sola andata.
Non ci sarebbe stato ritorno da quel momento.
Non ci sarebbe stato ritorno da lui.
«Ti fidi di me?»
«Sì.»
Non seppe se fu la disperazione, il rum o il desiderio a parlare al posto suo, ma sentì il nodo dietro alla nuca slegarsi e la maschera che le veniva tolta dal viso.
«Tieni gli occhi chiusi. Tu sei ancora Bri e io sono ancora Ash. Domani potrai picchiarmi, ma adesso, ti prego, lasciati andare.»
E si avventò sulle sue labbra.
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Spazio autrice:
Perché sì, perché ve lo meritate.
Vi avevo detto che ne sarebbe valsa la pena, ora non vedo l'ora di vedervi qui.
Grazie per avermi aspettata ❤️
Piccola chicca: la statua in realtà non è una statua, ma una fotografia di Martine Franck, moglie di Henri Cartier Bresson. Esiste realmente, solo è introvabile. Io l'ho vista a una mostra dove lavoro e me ne sono innamorata. Rappresenta esattamente ciò che io ho descritto, solo che il soggetto ha delle piume in mano e un teschio in faccia, mentre un uomo le bacia una coscia. Il resto è il mio cervello che è partito per la tangente 😂
Vi voglio bene❤️
S.
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