La Roulette è mia
Interludio
XXIV
Dankar e Soffie stavano solcando i cieli di ritorno dalla Corte, lasciandosi alle spalle i giubili e gli applausi che non avevano smesso nemmeno per un istante di riempire le lucide e lussuose mura del Palazzo Imperiale. Fuori spirava una brezza leggera, segno che la stagione Decadente stava lasciando il posto ai cicli più freddi. Soffie sentiva il profumo della neve nell'aria. Era il suo odore preferito, secondo solo a quello dei tomi della Libroteca.
Le parole di Dankar le erano risuonate nella mente da quando avevano lasciato il Salone. Morlion si era appena preso le lodi e l'ammirazione dell'intera città per una cosa che non aveva fatto. Era riuscito a convincere migliaia di persone della sua sacra crociata e nessuno aveva dubitato nemmeno per un istante che potesse essere una stronzata colossale.
Nelle ultime orbite, la piccola aveva letto le Sacre Scritture con attenzione, sottolineando alcuni paragrafi per chiedere delucidazioni a Dankar o per recitare al meglio la parte della devota, nel caso fosse stato necessario, ma ancora non era riuscita a capire come facesse la gente a essere così cieca. Avere fede negli Dèi era un'utopica consolazione, ma poteva ancora capirlo. La fede in Morlion? Avevano tutti bisogno di occhiali nuovi.
«Hai intenzione di ucciderlo?»
Dankar, seduto di fronte al parapetto, fece un sorriso che somigliava più a una smorfia. «No, piccola. Morlion cadrà da solo, io ho solo intenzione di godermi lo spettacolo.»
Lei lo guardò confusa.
«Non è tutto bianco o nero, Soffie. Ogni cosa, ogni persona, è composta da mille sfumature di bianco, che lasciano il posto a mille sfumature di avorio, che si trasformano in antracite, il quale a sua volta diventa nero. Non puoi rinchiudere una persona in una singola sfumatura, così come non puoi giudicare una cosa semplicemente per quello che sembra. Morlion ha un lato buono, Calidius ha un lato furbo, Zendon ha un lato compassionevole, sebbene tu non riesca a vederli. Ora, ti direi che guardare il mondo da questa prospettiva te lo fa sembrare migliore, ma non è così. La lezione più importante che potrai mai imparare è una sola: niente è come sembra.»
Lo disse allo stesso tempo lentamente e tutto d'un fiato. Era stanco. Sentiva dolore in ogni osso, in ogni muscolo che si era irrigidito durante l'impresa contro il Leviatano. Aveva il respiro corto e le gambe che non ne volevano sapere di rispondere ai suoi comandi, ma nonostante questo non voleva riposare. Vivete costantemente a un soffio dalla Dama Nera significava vivere ogni momento come fosse l'ultimo. Avrebbe insegnato a quella bambina ormai cresciuta tutto ciò che sapeva, tutto ciò che le avrebbe permesso di non soccombere a quella città, alle persone che la comandavano, al male che la avvolgeva come una cortina di nebbia.
Soffie lo guardò in cagnesco. «Come fai a dire che quelle persone hanno un lato buono? Commerciano donne e bambini, Dan. Hanno venduto me!» La sua voce suonò disperata e triste. Non riusciva a vedere il mondo con gli occhi di Dankar. Non voleva vederlo così. Le persone erano orrende e facevano cose inquietanti.
«So che è difficile pensarlo. Tu sei dovuta crescere in fretta, perché i traumi che hai subito ti hanno obbligata a farlo, ma sei ancora giovane. Alla tua età, additare qualcuno o qualcosa come buono o cattivo è la strada più facile e meno dolorosa. Vorrei dirti che, quando capirai la complessità del mondo e delle persone, vedrai le cose in modo migliore, ma sarebbe una bugia. È quando capisci che gli uomini come Zendon o Morlion hanno un cuore che capisci fin dove si può spingere il male. Le cose sono molto più complesse di così.»
«Io l'ho visto il male, Dankar. Era in ogni carezza, in ogni schiaffo, negli occhi di quegli uomini viscidi e depravati che prenotavano le stanze al Lupanare per restare soli con me. Con una bambina, cazzo! Non dirmi che persone del genere hanno un cuore, perché non ci credo.»
Con tutta la forza che gli rimaneva in corpo, Dankar si alzò e si avvicinò a lei. La fece ruotare e la attirò a sé, stringendola in un abbraccio. Le disse che gli dispiaceva, che ciò che le avevano fatto era agghiacciante e che aveva ragione. Le disse tutto questo senza neanche aprire bocca, solo stringendola forte.
«Ognuno di quegli uomini ha un cuore, Soffie. Non l'hanno più trovato, non l'hanno più seguito, ma c'è. So che fa male sentirlo, ma sai perché ti dico queste cose?»
«Per farmi incazzare?» La sua voce sembrò un ringhio.
«Per farti riflettere. Per farti ragionare come me. Se Zendon non avesse un cuore, sarebbe incorruttibile. Invece ce l'ha, per le cose che gli interessano. Lui gestisce i traffici della Celata, quello è il suo lavoro e per farlo indossa una maschera. Sai cos'altro ha? Un figlio.»
«Dev'essere felice di avere un padre così.»
«Probabilmente sì. È ancora un ragazzino, ama suo padre come nessun altro e gli basta, ma non è questo il punto. Il punto è che anche Zendon lo ama più di ogni altra cosa. Capisci dove voglio arrivare?»
«Suo figlio è il suo punto debole?»
Dankar annuì, sorridendo. Si sentì fiero di lei, fiero della sua mente. Forse non era il modo migliore di far funzionare il cervello di una ragazzina, ma era il modo migliore per farla sopravvivere nel mondo là fuori.
«Esatto. Ognuno di quei bastardi ha qualcosa o qualcuno a cui tiene e che lo rende debole. Essere sempre un passo avanti agli altri significa scoprire quali sono i punti deboli dei tuoi nemici e usarli contro di loro. È crudele? Sì. Ti piacerà farlo? No, ti farà sentire una merda. Ma l'unico modo per combattere un mostro è mostrargli la verità su sé stesso. Capisci perché è importante sapere che tutti i mostri hanno un cuore?»
Soffie lo guardò in attesa della risposta, cercando di mettere insieme i pezzi.
«Perché il loro cuore è l'arma più potente con la quale puoi distruggerli.»
«E Morlion cos'ha a cuore?»
«Il potere. Soprattutto, il potere che ha su Calidius. Circolano voci sull'Imperatore. Da tempo. Dicono che Morlion sfrutti la sua tossicodipendenza per tenerlo in pugno. Calidius dimentica spesso ciò che dice, gli ordini che impartisce. Dicono che sia sotto Oblivera e sono sicuro che Morlion potrebbe avere facilmente accesso alla droga. Dicono che sia lui a muovere i fili dell'Imperatore, come fosse un burattino.»
«E tu ci credi?»
«Io non credo alle voci.»
«Perché?»
«Perché di solito sono io a farle circolare e al novantanove per cento sono false.» Le fece l'occhiolino e le diede un buffetto sulla guancia, facendola sorridere.
Soffie rifletté su quelle parole mentre osservava il capannone avvicinarsi e si preparava a ormeggiare l'aeronave. Dankar glielo aveva insegnato qualche orbita prima. Lei era solo una bambina, ma adorava imparare e lui aveva questo strano modo di insegnare le cose, come se fossero divertenti, come se tutto fosse un gioco. Le diceva: "Pensa alle funi come Crotali a sonagli nei cicli freddi. Per scaldarsi hanno bisogno di avvilupparsi su sé stessi, così come le corde hanno bisogno di stringersi intorno alle bitte sui moli. Prendi la coda a sonagli, fai uno zero, poi fai un otto e poi concludi con un mezzocollo rovesciato, lasciando i sonagli liberi di suonare."
All'inizio lei lo aveva guardato come se fosse del tutto impazzito, poi con il tempo aveva imparato a fare i nodi di galloccia, sia sui galeoni sia sulle aeronavi. Aveva imparato come azionare le camere di propulsione e come mantenere stabile il timone quando il mare, o il vento, era agitato. Certo, in quel caso la sua forza non era abbastanza e di solito due braccia più grandi le sfilavano vicino al collo per aiutarla, ma Dankar l'aveva cresciuta incoraggiandola e dicendole che stava facendo un ottimo lavoro.
Era servito a qualcosa, dopotutto.
Tutte le nottate passate sveglia a girare una cordicella intorno alla gamba di una sedia, tutti i momenti passati con Grimm a imparare come avvitare un bullone, come aggiustare le crepe su un tubo di metallo. Forse non era ancora pronta a essere un capitano, sicuramente non sarebbe mai stata all'altezza di Dankar, ma in quel momento lo stava riportando da sola alla Dovizia, sano e salvo, lasciandolo riposare il più possibile, senza preoccuparsi di dove mettere le mani. Era una vittoria e lei era semplicemente grata di poter ricambiare in qualche modo il favore che le aveva fatto quando l'aveva presa con sé, sottraendola dalle grinfie di Emeralda.
Le aveva salvato la vita e a ogni alba, a ogni tramonto, in ogni momento, lei cercava di semplificare la sua. Non poteva salvarlo, ma poteva aiutarlo. Fino al suo ultimo respiro.
Quando scesero di quota dal tetto del capannone, urla di giubilo e applausi arrivarono alle loro orecchie, in parte ovattate dal cambio di pressione.
Erano tutti lì, ad aspettare il vero eroe di quell'impresa.
Soffie scese dal ponte e andò incontro a Tommy che la strinse forte. «Tutto bene?»
«Io sì, Dankar un po' meno. Per lui è stata più tosta che per chiunque altro. Ha bisogno di Grimm.»
Tommy annuì e si guardò intorno in cerca dell'amico. Lo aveva trascinato fuori dall'aeronave quando Dankar e la piccola erano entrati a Corte e l'aveva caricato sulla macchina a vapore per riportarlo alla Dovizia, in parte per farlo riprendere, in parte perché aveva bisogno che controllasse Larry. Era un po' troppo euforico per la vittoria e stava iniziando a surriscaldarsi.
Vide il robottino che gli faceva segno con la mano, indicando la cabina del dirigibile e immaginò che Grimm avesse già capito tutto. D'altronde, nessuno meglio di lui conosceva le condizioni del loro Capo.
Mezzo giro più tardi, Dankar attraversò la passerella sostenuto dal braccio destro dell'amico e da Larry, che, nonostante la buona volontà, gli arrivava sì e no al bacino e altro non faceva se non toccargli una gamba. Gli aveva ripetuto spesso che l'importante era il pensiero. Doveva averlo preso un po' troppo alla lettera.
Dankar prese un profondo respiro e alzò le mani per mettere a tacere le grida entusiaste e gli applausi. Tommy era sicuro che odiasse quella situazione, ma era pur sempre un capitano e ai capitani spettavano anche i momenti di pura oratoria.
«Sono grato a tutti voi per questa incredibile vittoria. Il Leviatano è stato sconfitto e le tratte commerciali verranno riaperte presto. Fino a quel momento, siete liberi di tornare a casa dalle vostre famiglie o di rintanarvi in qualche locanda e dimenticare l'orrore che avete visto pochi giri fa.»
Smorfie e cenni di assenso serpeggiarono tra la piccola folla davanti all'aeronave. Dankar continuò, alzando la voce per essere certo che tutti lo sentissero. «Nove membri della Ciurma sono caduti combattendo e a loro vanno le nostre preghiere. Onorate il Codice e gettate in mare nove bottiglie di rum non appena rimettete piede sui vascelli. Se, nei prossimi dì, sentiste storie circolare riguardo a Morlion, non date loro peso. La gente è convinta che sia stato Okean a uccidere la bestia, intercedendo attraverso il vescovo.»
I membri della Banda e della Ciurma si guardarono negli occhi con un'espressione allibita e confusa. Mormorii di dissenso si trasformarono presto in grida di rabbia. Erano stati loro a ucciderlo, nove persone avevano perso la vita per ammazzare quel mostro, non avrebbero lasciato che qualcun altro si prendesse quel merito.
Dankar incrociò lo sguardo di Baltizar e capì che il suo quartiermastro non era sorpreso.
«So a cosa state pensando, e avete ragione, ma ci sarà tempo per la vendetta. Per adesso, vi chiedo soltanto di rimanere anonimi e non mettervi in mostra. Restate nell'ombra e riposatevi. Tra un quarto, riprendiamo la rotta dei Pari. A Keltam e ad Assia sono già stati informati della minaccia marina e della sospensione dei commerci, mentre per quanto riguarda il Verkheid parlerò con Thorn e vi darò disposizioni il prima possibile.»
Grimm estrasse dalla giubba una fiaschetta e gliela porse. Dankar la alzò verso il cielo. «Agli amici caduti. Che Okean vegli su di loro e riservi loro pace eterna. Mare calmo e vento a favore.»
«Mare calmo e vento a favore!» La folla urlò, tenendo alte le bottiglie di rum e scolandosele fino all'ultimo goccio in onore dei compagni passati a miglior vita.
Pochi istanti più tardi, si dileguarono tutti, lasciando la Banda sola e alquanto confusa dalle parole di Dankar.
Grimm lo aiutò a sedersi in macchina e, prima che chiunque potesse anche solo aprire bocca, si mise al posto di guida e mimò agli altri di raggiungerli alla Tana. Ci sarebbe stato modo di parlare di tutto, ma prima avevano bisogno di un bagno, di una cena e di un paio di fiaschette di antidolorifico per il loro Capo.
Lo aiutò a fare ogni cosa. Lo sorresse e gli diede una mano a entrare e uscire dalla vasca, a vestirsi e a prendere l'intruglio. Avrebbe dovuto riposare, ma non voleva. Aveva bisogno di parlare con Baltizar e con gli altri di cos'era successo. Quando sentirono bussare alla porta, diciotto piedi sottoterra, erano entrambi lavati e pronti a mettere qualcosa sotto i denti.
Tommy entrò per primo con cinque cartoni e un sacchetto di birre impilati in braccio che gli nascondevano la visuale ed emanavano un profumo irresistibile. «Non vedo un cazzo. Grimm, potresti darmi una mano?»
L'amico gli si avvicinò e lo alleggerì delle bevande e di due cartoni che posò prontamente sulla scrivania di Dankar, ricevendo uno sguardo minaccioso in cambio. Baltizar, Soffie e Larry entrarono subito dopo, portando rispettivamente tra le mani documenti, bottiglie di tè freddo e una sfera argentata.
Tommy distribuì a tutti la cena, un fagottino di pasta fatta di farina e legumi farcito con qualsivoglia ingrediente, dal formaggio spalmabile con salsicce e pere di Soffie alle verdure piccanti di Baltizar. Lui si tenne per sé quella con crema di cioccolato e frutta secca.
Ti si chiuderanno le arterie, se continui così, mimò Grimm all'amico.
«Le mie arterie sono felicissime, pensa agli affari tuoi.» Tommy era peggio dei bambini. Mettergli davanti un dolce, di qualsiasi tipo, significava vederlo sparire nel giro di qualche frazione di lancetta. Una torta? Se la mangiava a colazione. Biscotti nel latte d'avena a pranzo, porridge con frutta a cena. Grimm non aveva mai analizzato il suo sangue, ma era sicuro che era composto al novanta per cento da zucchero e il restante dieci percento da tè freddo e rum. A volte ci metteva pure il miele, nel tè. Era sostanzialmente una zolletta umana.
La cena fu ingurgitata alla velocità della luce e in silenzio. Nessuno aveva sentito la fame, finché quel profumino non era arrivato alle loro narici. Per mezzo giro, il cibo fu la loro unica preoccupazione.
«Siete sicuri che ci stia tutta quella roba nel vostro stomaco?», chiese Larry, mentre li guardava masticare quella strana pasta colorata.
Tommy alzò un sopracciglio e lo guardò sorridendo. «Mi mangerei anche te, in questo momento, Larry.»
Larry guardò in basso e aprì lo sportellino che aveva nella pancia. Dentro c'erano solo fili, tubi e molle che si muovevano senza sosta grazie a degli ingranaggi dentati rotanti. «Perché io non posso mangiare?»
Perché incepperesti tutto. E perché non ne hai bisogno.
«Uffa, però! Quella roba strana ha un buon profumo!»
Grimm tirò fuori da una tasca dei pantaloni una piccola fiaschetta in metallo nero, diversa da quelle in cui teneva il rum. Gliela porse. Tieni, bevi un po' di questo.
«Uuuuh! Cos'è? È buono?», chiese Larry, aprendola e ingurgitando il contenuto. I suoi occhi rotearono un paio di volte e Tommy vide l'olio scendere sugli ingranaggi dentro il suo stomaco. Sorrise, mentre sul viso del robottino si faceva strada un'espressione a dir poco disgustata. «Ma che schifo! Ma che è? Sa di ruggine e di... piedi. Bleah!»
La Banda scoppiò a ridere, mentre lui tornò a guardare dentro il suo sportellino l'olio che gocciolava. Grimm li osservò tutti, uno a uno, sorridendo. Di solito lo oliava quando era spento, ma in quel momento fu felice di avergli fatto bere l'additivo. Larry era un casinista apatico, sempre pronto a sbagliare senza nemmeno esserne consapevole, ma era fondamentale per tutti loro. Li faceva ridere e solo gli Dèi sapevano quanto avessero bisogno di momenti così. Leggeri. Liberatori. Felici.
Quando furono tutti sazi, la realtà bussò inevitabilmente alla loro porta e Baltizar chiese a Dankar cosa fosse successo a Corte.
«Morlion ha organizzato un'adunata di fedeli in presenza di Calidius per annunciare che il Leviatano era stato ucciso. A quanto pare, Okean ha ascoltato le sue preghiere e ha fatto un grosso favore a tutti.»
«Bastardo. In presenza di Calidius? Della Corte?» Baltizar non riusciva a credere che Calidius avesse approvato. Aveva dato lui l'ordine a Dankar di ammazzare la bestia, com'era possibile? «Quindi le voci sono vere.»
«Quali voci?», si intromise Tommy, confuso.
Dankar guardò Baltizar e gli fece cenno di continuare. Lui sapeva una parte della storia, ma se c'era qualcuno in grado di raccontare cosa stesse accadendo realmente ai vertici di quell'Impero, quello era Balt.
«Calidius non è in sé da tempo. Molti, anche all'interno della stessa Corte, sostengono che Morlion utilizzi la dipendenza da papavero dell'Imperatore per drogarlo e manipolarlo a suo piacimento. Per questo motivo, nelle ultime dieci orbite, Morlion è riuscito a prendere quasi tutte le decisioni in campo politico ed economico. Lo muove come se fosse la sua marionetta. Quando Iwan lo conobbe, Calidius non era così. Aveva un cervello fin troppo funzionante e diventare corsaro imperiale per lui fu un'impresa molto più grande di quella che abbiamo appena concluso noi. Calidius diffidava di tutti, ma governava un'Impero basato sulla fede verso gli Pseudologi. A Diefbourg, come in ogni altro angolo di Gathorn, la figura del vescovo è sacra, intoccabile. Nessuno penserebbe mai che sia in grado di fare una cosa del genere.»
Dankar ascoltò le parole del suo quartiermastro cercando una falla, ma non la trovò. Ripensò all'Imperatore, seduto alle spalle di Morlion, fiero e orgoglioso, che applaudiva al suo vescovo come al salvatore dell'intero continente. Le voci dovevano essere vere. «Cos'altro sai su Morlion?»
«Poco. So che cercava di mettere costantemente i bastoni tra le ruote a tuo padre. Una notte venne a fargli visita sulla Murena. Non sentii molto di quello che si dissero, la maggior parte del discorso verteva sulle tratte commerciali e sui controlli che la Corte avrebbe fatto di lì a poco sui suoi spostamenti. Quando se ne andò, Iwan era di pessimo umore. Provai a chiedergli cosa fosse successo, ma non ne volle parlare. Penso che Morlion l'avesse minacciato di qualcosa, ma non so nulla a riguardo. Finché tuo padre è stato in mare, i controlli delle giubbe verdi erano ciclici, puntuali come delle orobussole. Il primo giunedì di ogni ciclo, arrivavano alla Murena e alla Dovizia e spulciavano tra i documenti alla ricerca di prove che svelassero la vera identità di Iwan.»
«Sono venuti anche da me, tempo fa. Cercavano prove di pirateria?»
Baltizar annuì. «Forse anche di qualcos'altro. Dalla sera dell'incontro con Morlion, Iwan non fu più lo stesso. Ho paura che ci fosse qualcosa di personale tra quei due, ma tuo padre non ha mai voluto dirmi cosa.»
«Quindi il bersaglio è Morlion?», chiese Tommy al suo Capo. Da quando avevano messo in piedi la Banda, l'unico obiettivo di Dankar era stato quello di scardinare l'intero sistema della Celata e di porre fine ai traffici umani. Se Morlion era così furbo, non poteva esserne all'oscuro.
«I bersagli sono cinque: Emeralda, Kruler, Geerd, Zendon e Bernabé. Non siamo certi che abbiano un legame con Morlion, ma se mettiamo fine alle loro attività, sicuramente Morlion resterà solo e diventerà un obiettivo più facile.»
«D'accordo. Da chi partiamo?», chiese Soffie, che aveva seguito tutto il discorso senza fiatare, capendo più di quello che una ragazzina di una dozzina di orbite avrebbe dovuto capire.
«Beh, amici.» Larry si alzò e si mise in mezzo alla stanza con teatralità, ruotando su sé stesso per guardare ognuno di loro negli occhi. «Io direi...»
«Tu non farai parte della squadra, lo sai, vero?», gli chiese Tommy, con dolcezza.
«Sacri bulloni, sei veramente antipatico. Perché non dovrei fare parte della squadra? Sono intelligente, non mi faccio corrompere e non ho bisogno di perdere tempo a mangiare. Cosa volete di più?»
«Qualcuno che non faccia casini.»
Larry guardò Tommy e fece una smorfia. «Va bene, hai vinto. Ad ogni modo, volevo solo dire che si può cominciare da questa», e così dicendo tirò fuori la sfera metallica che aveva portato con sé.
L'aracnide? Come hai fatto a riprenderlo?
Soffie si intromise, con il sorriso sulle labbra. «Sono stata io, in realtà. Mentre erano tutti impegnati a godersi lo spettacolo di Morlion, sono sgusciata via per qualche istante e sono andata a riprenderla nel suo studio. Larry non ha tutti i torti. Sarà anche un piantagrane, ma Tara potrebbe dirci qualcosa in più di quello che è successo a Corte nell'ultimo ciclo e mezzo.»
Grimm annuì e porse la mano a Larry per farsi dare l'aracnide meccanico.
«Ehi, la rivoglio indietro dopo, però! Le ho insegnato a riportare indietro le biglie quando gliele lancio. Non te la tenere tutta per te, ci voglio giocare io!» Larry gliela porse con reticenza, lanciandogli uno sguardo che voleva essere minaccioso, ma che in realtà fu solo molto divertente.
Rilassati. La faccio parlare, poi è tutta tua.
Larry sorrise e tirò entrambe le braccia bronzee verso di sé, esultando. «Evvai!»
L'aracnide venne poggiato per terra da Grimm, che spinse un bottone e tirò una cordicella, facendo segno agli altri di stare in silenzio. Dopo qualche istante, Tara iniziò a trasmettere suoni e voci.
"Entra pure"
"Mi avete fatto chiamare, Eccellenza?"
"Sì, Lazlo. In quanto Capo delle giubbe verdi di sua Imperiosità, ho bisogno di chiederti un favore che solo tu puoi portare a termine."
"Certo, Signoria. Ditemi."
"Il Capitano Dagger costruirà un'aeronave per andare a combattere contro il Leviatano, nel Vaticinio. Ho bisogno che sorvegli il quartiere delle Dovizie. Scopri cos'ha in mente e, quando lo vedi partire, dì ai tuoi uomini di appostarsi alle vedette per tenere d'occhio l'impresa. Non appena il Leviatano viene ucciso, riferitemelo. Devo essere il primo a saperlo, d'accordo?"
"Come fate a essere certo che riuscirà a ucciderlo?"
"Se è davvero figlio di suo padre, ce la farà. È tutto chiaro?"
"Certo, Eccellenza. Come desiderate."
"E, un'altra cosa. Vai a chiamare Hector, dovrebbe essere nelle sue stanze, nell'ala nord. Digli che lo cerco urgentemente."
"Subito, Vossignoria."
Silenzio.
Silenzio.
Rumore di carte spostate.
Silenzio.
Qualche colpo alla porta.
"Avanti!"
"Mi cercavi?"
"Hector! Prego, accomodati. Come ti senti? Come va la guarigione?"
"Molto meglio, ti ringrazio. Qualche bruciatura, qua e là, ma niente di grave. Ci vuole molto più di un incendio improvvisato per distruggermi."
"Era proprio ciò che volevo sentire. A tal proposito, penso di avere trovato ciò che fa al caso tuo."
"L'hai trovata?"
Baltizar e Dankar si guardarono per un istante, gli occhi leggermente sgranati.
"No, ma cosa ti dico sempre? Se non puoi andare dal tuo nemico, lascia che sia lui a venire da te. C'è qualcuno a cui lei tiene molto. Ho saputo che..."
Un suono metallico pose fine alla registrazione nel momento più sbagliato in assoluto. Solo Dankar e Baltizar erano a conoscenza dell'identità di Dahna, ma qualsiasi notizia avesse Morlion su di lei era fondamentale. In più, se il vescovo aveva chiesto aiuto a Bernabé significava che i due erano in combutta già da tempo e che quindi l'intuizione che la Banda aveva avuto non era del tutto illogica. Forse Morlion non era a capo di tutti e cinque i vertici del commercio illegale della città, ma se faceva affari con Bernabé sicuramente non era pulito come fingeva di essere.
«Cazzo!» Dankar imprecò, sospirando profondamente.
Tommy guardò prima lui e poi Baltizar. «C'è qualcosa che dovremmo sapere? Intendo, a parte che le giubbe verdi ci stanno con il fiato sul collo da un ciclo e mezzo e che probabilmente Morlion non solo è a conoscenza di Onderbourg, ma la dirige pure.»
Il loro Capo si voltò verso il suo quartiermastro e fece un lieve cenno di diniego con la testa. Non era pronto a condividere con loro di avere una sorella. Non era nemmeno pronto ad averla, una sorella. Loro non dovevano saperlo e non dovevano conoscere il suo nome, non ancora almeno. Era una cosa che spettava a lui.
Baltizar scosse la testa in segno di diniego. «Le giubbe verdi fuori dalla nostra porta sono l'ultimo dei nostri problemi.»
Tommy li guardò restio. Aveva intuito che gli stavano nascondendo qualcosa, ma decise di non calcare la mano.
«D'accordo. Quindi, non ci resta che smantellare la città di sotto un pezzo alla volta, come previsto. Da chi cominciamo?»
Dankar ringraziò Baltizar con gli occhi e si voltò verso il resto della sua famiglia. Li guardò uno a uno, grato che fossero ancora con lui, poi si soffermò su Tom e sorrise. Quell'uomo aspettava di rubare aurei a un mucchio di ricconi ludopatici da un paio di orbite ormai. Il colpo era stato rimandato fin troppo a lungo. Era giunto il momento.
«Da Geerd, alla Casa da gioco.»
Gli occhi di Tommy si illuminarono e lui si fregò le mani con un sorriso malizioso. «Finalmente. La Roulette è mia.»
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Spazio autrice:
Ciurma 🥹
Morlo non era mancato a nessuno, ma qualcuno di voi sentiva la mancanza di Dankar ed eccovi serviti😌
Purtroppo, come ormai sapete, a me non piacciono le cose semplici e questa storia è complessa sia dal punto di vista dei personaggi sia per i salti temporali. Per dare continuità ad alcune scene cardine, ci sono spesso più capitoli che si concentrano su determinati personaggi, ma questo non significa che mi dimentichi degli altri. Ognuno di loro avrà il suo momento. C'è ancora così tanto da scoprire in questo mondo di matti che non mi basterebbero un milione di pagine.
Cosa pensate che voglia fare Morlion per aiutare Bernabé?
Mare calmo e vento a favore, marinai🛞
Ci vediamo nei commenti e tra una settimanina con il nuovo capitolo❤️
S.
❤️
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