La risposta sta nel rum

Interludio
(Parte seconda)


- Poco meno di cinque orbite prima -

XIV


Sulla strada di ritorno al laboratorio, dopo essere passato in Drogheria ad acquistare alcuni ingredienti utili per il composto su cui stava lavorando, Grimm si guardò intorno, pensieroso.
Era ormai passato un lustro da quando Dankar era entrato nelle loro vite, capovolgendole. In quelle cinque lunghe orbite non aveva mai, ma proprio mai, manifestato anche solo la minima volontà di volersene andare o di aver quantomeno ripensato con lucidità a tutta quella follia.

Diefbourg, a quell'ora, era piuttosto silenziosa: varie coppie passeggiavano mano nella mano nei parchi pubblici, un paio di anziani leggevano tomi inchiostrati seduti scomodamente sulle panchine bianche, mentre un giovane con un berretto color della nebbia distribuiva ai passanti una copia della Gazzetta ciclica, sotto il sole pungente di un normale semidì.
Si trattava, per forza di cose, del numero del ciclo precedente, poiché mancavano ancora cinque dì alla nuova uscita, ma molti avevano comunque fatto segno al ragazzo di fermarsi.
Strano, pensò Grimm.

Curioso, gli si avvicinò e gliene prese una, poi, dopo avergli lasciato dieci ramonete nella piccola mano, riprese il suo cammino aprendo il giornale sulla prima pagina. Un'immagine rubava quasi tutto lo spazio presente e illustrava la struttura ossea e i resti ormai carbonizzati di un enorme tendone circense. Al di sotto di essa, si leggeva:

Il Léon brucia nel bel mezzo del deserto assiano

Poco dopo la seminotte di ieri, un grande incendio ha invaso il deserto assiano, bruciando il tendone principale dello spettacolo itinerante Léon e provocando ottantadue feriti, tra cui il Direttore del circo.
Le autorità spiegano che è stata rinvenuta una torcia nel retroscena, accanto ai camerini, e sospettano un'azione colposa, ma la dinamica è ancora da ricostruire. Non escludono una perdita d'olio dalle lanterne.
Gli acrobati erano tutti fuori al momento dell'innesco, alcuni di loro sono ancora latitanti, mentre i feriti sono stati immediatamente trasportati alla casa di cura di Assia, in attesa di controlli specifici.
Gli indagatori si esentano dal riferire ulteriori informazioni, ma un testimone oculare avrebbe visto una figura femminile immobile vicino alle fiamme.

Grimm sorrise. 'Chiunque tu sia', pensò, 'ottimo lavoro'.
E continuando a ripensare a quella che poteva essere la fine di quel circo maledetto, e quindi anche di molte delle problematiche riguardanti l'eredità dei Dagger, piegò il giornale e se lo mise sottobraccio. A pochi passi da lui, un gruppo di bambini giocava a Rubalacoda, animando i piedi del Colle Esanime.

Imboccando la strada in salita, fatta di ciottoli di pietra e spruzzi d'erba selvatica nati chissà come sotto il loro peso, Grimm si fermò a metà strada per guardarsi indietro, restando ad osservare quei piccoli furfanti che si rincorrevano per cercare di acchiappare un pezzo di stoffa ficcato nelle brache degli amici. I loro genitori, seduti a pochi passi da loro, li guardavano e sorridevano, non senza lasciarsi scappare, di tanto in tanto, un 'Milko, stai attento!' o un 'Non correre, Falya, o ti farai male!'.
Qualcosa, dentro di lui, forse l'ultimo frammento rimasto, si spezzò di nuovo. Le due metà rimaste erano ormai così minuscole da non essere più visibili ad occhio nudo.

Erano passati quarantotto cicli dall'incidente. Millequattrocentoquaranta tramonti, e altrettante albe, senza di loro. Senza il profumo di caffè in cucina al mattino presto, senza i sorrisi di sua madre quando lui provava a imitare la voce dell'Imperatore, senza la soddisfazione negli occhi di suo padre quando arrivava a casa dall'Institutum, ogni volta, con il massimo dei voti. Senza le loro voci, senza i loro abbracci.
Quarantotto cicli di rimorsi e sensi di colpa, di lacrime che non riuscivano a trapelare e di un dolore marchiato letteralmente a fuoco sulla sua pelle.

Doveva ringraziare Tommy se le bruciature erano diventate presto cicatrici: l'innesco partì in piena notte, la casa era isolata e nessuno si accorse del fuoco, o del fumo, se non all'alba, quando ormai era troppo tardi. Tommy stava passando davanti alla sua abitazione per puro caso, diretto al Gingillo su ordine di Dankar, quando l'incendio stava ormai scemando. Si era sistemato la maschera sul viso ed era entrato, trovando i due corpi senza vita nei piani alti e quello di Grimm, privo di sensi, nel seminterrato. Con non poca difficoltà, lo adagiò sul pianale che utilizzavano per trasportare gli attrezzi pesanti e lo tirò fuori, rimuovendo con delicatezza la maschera antigas e ringraziando ogni singola entità ultragalthorniana che l'amico l'avesse indossata.

Gli aveva controllato i battiti ed era corso a chiedere aiuto a Dankar e a Kalos, l'ex medico di Iwan, con i quali riuscì a trasportarlo al laboratorio. Una volta dentro, Kalos coprì la sua pelle di una particolare poltiglia verdastra che solo a vederla faceva risalire la bile in gola.

«Funzionerà?», chiese Tommy al medico, con una lampante preoccupazione negli occhi.

«Sì, ma la guarigione non sarà piacevole e sarà cosparso di cicatrici, dalla base del collo alla punta dei piedi.»

«Dèi. E i suoi?»

«Hanno respirato troppo fumo, non c'è nulla che io possa fare, mi dispiace.»

Dankar lo fissò per un istante. «Nulla, a parte muovere qualche pedina e riscattare qualche favore affinché venga loro riservato un posto al Colle Esanime.»

Era grato a quell'uomo per essere stato al fianco di suo padre fino alla sua dipartita, ma Grimm non meritava di finire come un bozzolo gigante di lepidottero insieme agli altri cadaveri, sul tetto dell'Obitorio. E lui era pur sempre un Dagger, era ora di sfruttare il suo cognome e il potere che ne derivava. Frugò nel taschino interno della sua redingote e ne estrasse una busta, porgendogliela.

«Sì, Capitano. Farò del mio meglio.»

E così dicendo, il medico si congedò, lasciando una lista di medicinali dai nomi improponibili e le istruzioni dettagliate per la cura del compagno ferito.

Grimm aveva ripreso conoscenza ed era riuscito ad assistere alla scena, ma era come se la vedesse da una bolla di fumo, ovattata e confusa. Gli occhi erano semiaperti, ma non funzionavano a dovere.
Aveva ripensato a quelle parole ogni singolo dì e ogni singola notte da quel momento. Hanno respirato troppo fumo, non c'è nulla che io possa fare. Quella frase, ciclica, si ripeteva e si ripeteva ancora, anche adesso, nella sua mente, nonostante il tempo passato.
Quando si era risvegliato, abbastanza lucido da poter mettere insieme una frase di senso compiuto, aveva scoperto che le parole non ne volevano sapere di uscire dalla sua gola. Erano rimaste lì, bloccate, immobili, come se qualsiasi cosa avesse detto non avrebbe fatto alcuna differenza, come se parlare fosse diventato superfluo.

Ora era lì, a pensare a quei bambini che non sapevano quanto erano fortunati a sentirsi richiamare e sgridare dai loro genitori. A sentirsi dire no, a sentirsi minacciare con una ciabatta in mano.
A sentirsi abbracciare.
Augurò a tutti loro di non provare mai il suo dolore e augurò a sé stesso di accettarlo e superarlo, il prima possibile.

Cercò tra le lapidi quelle dei suoi, vicine e unite, nella terra dei morti come in quella dei vivi.
Si schiarì la voce e trasse un profondo respiro.

«Ciao, mamma», disse. «Ciao, papà.»

La sua voce gli sembrò estranea, era roca e bassa, quasi un sussurro. Disse quelle parole e se le sentì strane sulla lingua, come se si fosse dimenticato com'era chiamare qualcuno mamma o papà.

«Mi sento un po' un idiota, a dirla tutta. Voi siete otto piedi sotto di me e io parlo con due pietre da quasi quattro orbite. Siete gli unici a sentire la mia voce, non la sento quasi più nemmeno io. Mi mancate come l'ossigeno nei miei incubi, come l'acqua nel deserto, ma non posso più farlo. Sto cercando una soluzione, procedendo a tentativi e fallimenti, ma non posso continuare così. Penso di dover andare oltre e non credo di farcela camminando su questi dannati ciottoli e inginocchiandomi davanti a queste fottute lastre di pietra. Ovunque siate, spero che stiate bene e che, prima o dopo, riusciate a perdonarmi. Ci rivedremo, ve lo prometto, solo non presto.»

Vi voglio bene, pensò.

Un'ombra si allungò vicino a lui e gli mise una mano sulla spalla.

«In passato ricordo di aver pregato di non sentire più la tua voce arrogante e polemica, solo ora mi rendo conto di quanto mi sia mancata», gli disse Tommy, aspettando una risposta che non arrivò. Grimm si era nuovamente chiuso in sé stesso e, per quanto si sforzasse, le sue corde vocali non volevano vibrare.

«Vieni, ti porto a bere qualcosa. Direi che ne hai bisogno», e così dicendo gli diede una mano a rialzarsi e camminò con lui verso il porto.

Dopo trenta buoni giri d'orobussola e una fermata obbligatoria alla Dovizia per mascherarsi e tingersi i capelli, i due si fermarono davanti alle taverne affacciate sui moli. Era il quarto di ciclo orbitale di Carnavalia, per le strade, nelle osterie e a Corte, si organizzavano balli mascherati e attività ludiche per evadere dalla realtà. Il locale era colmo di gente che aveva ormai perso ogni sobrietà e speranza di tornare a casa in posizione eretta. Alcuni accompagnavano il bardo, cantando come se ne fossero capaci, altri si limitavano ad ascoltare o a chiacchierare con l'oste. Molti avevano la maschera già mezza storta adagiata sulla nuca.

Tommy e Grimm si sedettero in un tavolo abbastanza appartato alla destra del bancone e attesero la comparsa di un inserviente.
Si palesò una ragazza, con un grosso cappello colorato a due punte, terminanti con campanellini a dir poco fastidiosi, e capelli neri come il galthorn di una lucida Flentlock, acconciati in due lunghissime trecce. Portava una maschera che le copriva la metà superiore del viso, lasciando scoperte solo due carnose labbra rosso sangue, e mezzo calzone a palloncino con strisce rosse e bianche, che copriva solo la gamba destra. Aveva un blocchetto per le note in mano e praticamente non li degnò di uno sguardo.

«Cosa prendete?», chiese loro, tenendo d'occhio il piccolo coro che stava ululando sotto il palchetto improvvisato, composto da due tavoli attaccati.

«Due Hurricane, per favore», disse Tommy.

La cameriera si voltò di scatto, a quelle parole.

«Qui nessuno dice per favore. Vi conviene ricordarlo, se non volete essere pestati a sangue», suggerì loro.

«Buono a sapersi. Allora, due Hurricane, e di corsa, pure», disse Tommy, con un sorriso sghembo. Poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò: «Per favore.»

La ragazza gli lanciò uno sguardo di sbieco, che celava tuttavia un sorriso divertito.

«Arrivano», e così dicendo si diresse verso il bancone e iniziò a preparare le due miscele.

«Allora, io sarò anche ignorante», cominciò Tommy, rivolgendosi all'amico. «Ma sono dell'idea che tutto ciò che ti servirebbe per parlare sia una buona dose di rum. Non è un limite fisico il tuo, ma mentale. Ti si sono bloccati i freni inibitori. Il che va bene, eh. Ripeto, prima eri uno spaccatesticoli incredibile, però adesso sei all'estremità opposta, amico. Ci vuole una via di mezzo. Dunque, la soluzione al tuo problema è qualsiasi cosa che sblocchi questi freni. Se ascolti me, la risposta sta nel rum.»

'Quindi, secondo la tua acuta teoria, dovrei vivere costantemente mezzo sbronzo', mimò Grimm.

Tommy aveva imparato il Simbolium da lui, che a sua volta era stato obbligato a utilizzarlo all'Institutum con un collega di studi sordo come una campana. Il suo nome era Ferrel, ed era un genio inascoltato. Nel senso letterale del termine.

«No, secondo la mia teoria dovresti stare costantemente tutto sbronzo, non solo a metà. Solo a metà vorrebbe dire che una metà del tuo cervello funziona, e una metà del tuo cervello è come due cervelli miei; non insultiamo le tue cellule grigie. Devi essere proprio andato. Secondo i miei calcoli, le tue facoltà mentali devono essere ridotte del novantanove virgola nove per cento. La restante parte ti serve giusto per non finire al Colle Esanime.»

'Wow. Il fatto che tu abbia fatto dei calcoli è già stupefacente di suo. È questo che succede quando Thomas Kartier usa il cento per cento del suo cervello?', lo prese in giro Grimm.

«No. Quando colui che non si può nominare in una taverna squallida a pochi passi dal porto usa tutto il suo cervello, succede questo», e così dicendo, aspettò che la cameriera avesse poggiato i bicchieri sul tavolo, si alzò dalla panca e la tirò per la mano, scortandola al centro del locale.

La fece roteare e volteggiare a ritmo di quella musica inaudibile, davanti a un pubblico in visibilio che probabilmente vedeva quelle due figure come fasci di nebbia danzanti.
Lei rise e cercò di non darlo a vedere, ma l'oste sapeva che talvolta, mentre preparava le miscele per i clienti, un paio di bicchieri le riuscivano sempre sbagliati di proposito e si poteva dire tutto su quella baracca dimenticata da Gaelos tranne che i liquori venissero sprecati. Così, mezza ubriaca e spensierata, si lasciò trasportare da quello strano individuo dagli occhi castani e i capelli rossicci che, per la prima volta da quando aveva messo piede in quella topaia, aveva chiesto per favore.

Quando la musica terminò e il coro, intonato quanto l'equipaggio della Murena, esordì in un potente applauso, Tommy baciò quella bellissima, ubriaca ragazza. Non fu un bacio casto. La strinse a sé aggrappandosi alla sua schiena e stringendole la stoffa con una mano, mentre con l'altra le tirò con forza controllata le trecce. La ragazza ricambiò morsicandogli il labbro inferiore, poi rise e fece una riverenza di fronte al loro pubblico.
Tommy le rivolse un occhiolino e, tornando, dal suo compagno di bevute, vide che Grimm se la stava ridendo di gusto.

'Questo posto è una fogna e quella ragazza è ubriaca', lo prese in giro Grimm.

«Questo posto è una figata e quella ragazza è bellissima.», gli rispose Tommy.

Quel posto era il Pozzo.
E quella ragazza, beh... Quella ragazza era Dahna Briniel.

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Spazio autrice:
Se i pezzi del puzzle invece di incastrarsi vi sembrano più disordinati di prima, è normale.
Ogni capitolo contiene dei piccoli indizi, collegati sottilmente con il passato dei nostri amici criminali, in un continuo filo rosso che non penso (e non voglio) abbia fine.
Fatemi sapere cosa ne pensate e soprattutto immaginatevi Dahna esattamente così, ma con le labbra scoperte pronte per essere mangiate da Tommy.
Ve l'aspettavate? Io no ahahahah 😂
Vi voglio bene, buona lettura, aspetto i vostri commenti che sono sempre fenomenali! ❤️

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