L'odio ti sta dannatamente bene addosso

Oggidì

(Parte seconda)

21

Nel cuore della notte, Grimm trovò Dahna seduta a prua, davanti al timone. Aveva il viso a pochi pollici dalla vetrata, appoggiato sugli avambracci. Ammirava il cielo stellato e la linea di confine dei Pari e Dispari. Era così che gli antichi Cartografi avevano suddiviso i mari di Galthorn: quelli sulla sinistra, che si susseguivano da Diefbourg al confine tra il Verkheid e il deserto, erano i Dispari, mentre sulla destra si mescolavano una dopo l'altra le acque dei Pari, dal Placido a Keltam fino al confine occidentale delle Foreste. 

L'aeronave volava sulla linea mezzana, nella quale convergevano tutte le sfumature e le densità diverse degli Otto Mari. Il viola del Secondo si mescolava all'aranciato del Quarto, il Blu del porto di Diefbourg al nero del Vaticinio. La mezzana, nelle notti limpide, era lo specchio del cielo. Alcuni tipi di organismi acquatici, come le Cnidarie luminescenti, risplendevano nel nero liquido come le costellazioni sopra le loro teste. Era come viaggiare allo stesso tempo sopra e sotto la tavolozza di Aengel, uno dei famosi Pictor che avevano affrescato la Cattedrale di Diefbourg.

Un sogno ad occhi aperti.

Grimm le si avvicinò e appoggiò la schiena alla vetrata vicino a lei, guardandola. «Non riesci a dormire?»

Lei non si voltò. «Un altro inganno.»

«È a fin di bene.» Non era chiaro se lo pensasse davvero o se stesse cercando di convincere entrambi.

Dahna sbuffò una mezza risata. «Certo. Immagino che ce lo dobbiamo ripetere ogni volta, per alleggerirci la coscienza.»

«Non siamo dei mostri, Briniel.»

Lei si voltò finalmente a guardarlo. I suoi occhi erano lucidi, ma le sue guance erano asciutte. Conosceva fin troppo bene quella sensazione. Quel tenersi tutto dentro. Quelle lacrime che non ne volevano sapere di scendere.

«Parla per te. Prova a dirlo a Nath che sua sorella non è un mostro. Non è quello che pensi anche tu, in fondo? Mi guardi come se fossi un problema dalla notte in cui sono entrata nella Banda.»

«Tu sei un problema, Briniel. Non dovresti essere qui.»

«Io non l'ho cercata, questa vita. Non ho cercato voi.»

«Ma non hai esitato a dire sì, quando Dankar te l'ha proposta.»

Lo fulminò con gli occhi. «Avevo bisogno di quei soldi, Grimm. Avevo bisogno di informazioni e conoscenze per trovare mio fratello, perché dentro di me sapevo che mi avevano mentito, che era ancora vivo. Avevo bisogno di agganci per vendicarmi di Bernabé e di tutti coloro che mi hanno trasformata in quella che sono.»

«E cosa sei?» Era curioso.

Cosa sei, Briniel?

Quale maschera mi mostrerai adesso?

Lei stette in silenzio per un attimo, respirando profondamente. Ci mise un attimo a rispondere. Cercò la parola migliore per descrivere ciò che era rimasto alla fine del baratro.
«Un fantasma.» Lo disse con la desolazione negli occhi e la tristezza sulla lingua. Non sapeva nemmeno lei chi fosse. Non più, ormai.

Grimm annuì e prese un profondo respiro. «Quante volte ti ho incontrata nella mia vita?» Voleva porle questa domanda dalla notte del Ballo al Circolo. Da quando aveva saputo tutta la verità. Gli sembrava di conoscerla da sempre, ancora prima di parlarle dentro al suo camerino, ancora prima di averla vista ballare su quel palco. Ancora prima di averla vista correre fuori da casa sua, quando era ancora una ragazzina.

«Abbiamo solo incontrato maschere di noi stessi, Grimm. Questa l'hai incontrata una volta sola. Le altre? Probabilmente, mille.»

«E questa è la vera Dahna?»

Strisciò con la schiena contro il vetro finché non fu seduto di fianco a lei.

«Non so più dov'è la vera Dahna. Probabilmente, è sepolta vicino alla lapide di sua madre o carbonizzata nelle ceneri trasformate in sabbia ad Assia, dopo l'incendio.»

Le labbra di lui si piegarono in un'impercettibile smorfia. «Perché faccio fatica a crederti?»

«Perché non ti fidi e fai bene. Perché dovresti? Sono un mostro, no?»

«I mostri sono costruzioni sociali per spaventare i bambini. Tu non spaventi nessuno.»

A parte me.

Lei restò in silenzio, fissando fuori dal vetro. Suo fratello era spaventato da lei. Probabilmente, tutti i giocolieri del Léon erano ancora spaventati da lei. Molte persone provavano un brivido di paura a sentire il suo nome. Uno dei tanti, almeno. Ma lui no. Lui la odiava e basta.

«Perché mi odi così tanto? Perché la mia fuga dal Circolo ti ha devastato?»

Le sue iridi vuote si tinteggiarono di rosso. Solo Tommy sapeva la verità, solo Tommy aveva collegato i pezzi, la notte del racconto. In un istante, i loro occhi si erano incrociati e il suo amico lo aveva letto come un libro aperto. Perché era stato Tommy ad aver trovato i suoi genitori. Era stato Tommy a portarli fuori e a parlare con il medico mentre lui era privo di sensi. Tommy sapeva ed era anche l'unica persona che Grimm avrebbe voluto con sé, su quella maledetta aeronave, in quel momento.

«È stata una delle tue maschere a devastarmi. Una di quelle che probabilmente neanche ricordi. È ironico, se ci pensi. Tu non ricordi cos'hai fatto e io neanche ero cosciente quando la tua maschera è caduta, eppure sono qui e non riesco a fare altro che odiarti e darti la colpa di tutto.»

Allungò una mano a sfiorarle la cicatrice. Gli occhi blu che diventavano via via più neri. Dahna sentì il calore delle sue dita e un brivido sotto l'orecchio.
«Dimmi cosa ti ho fatto, Grimm.»

Lui ritrasse la mano come se il corpo di lei fosse diventato all'improvviso ustionante. La sua voce divenne più bassa e i suoi occhi più scuri. «Io non voglio dirtelo, Briniel. Io voglio che tu ricordi. Voglio vedere il rimpianto in quei maledetti occhi verdi.»

Lei sospirò, espirando tutta l'aria che aveva trattenuto per quel contatto. Più gli stava vicina e più era confusa. Su tutto. Non lo capiva. Un attimo prima era una statua di indifferenza, quella dopo un falò di rabbia. «Ti odio quando fai così.»

Grimm le si avvicinò fino a sfiorarle le labbra e la sua voce si abbassò, di volume e di tono, giocando minacciosa con le corde più volubili della sua pelle.

«Sento il tuo battito da qui, Briniel. E te lo vedo negli occhi. L'odio ti sta dannatamente bene addosso, ma ti vedo sotto questa maschera. Sei confusa e sei spaventata. Non da me, ma da ciò che hai fatto, da ciò che stai provando, dai segnali che il tuo corpo ti sta mandando. Ti manca l'ossigeno.» Si avvicinò di qualche altro micron alle sue labbra. Ne riusciva a sentire il sapore, senza toccarle. «Ti manca l'ossigeno come a loro. Come a lei. E nemmeno ricordi. Non puoi ricordare, perché sei una vittima anche tu, eppure io continuo a vederti come il carnefice. E non riesco a vederti che in quel modo.»

A Dahna iniziava a girare la testa. Stava soffocando. Avrebbe voluto gettarsi da quell'altezza e andare incontro alla morte, piuttosto che sopportare quel tormento. Ma lui continuò. Sembrava non volersi fermare. Sembrava che volesse far uscire tutte le parole che erano rimaste intrappolate nella sua gola da quando si era risvegliato, dopo l'incidente.

«Guardami. Pensi di essere l'unica? Pensi di essere la sola a sentirsi così? A pregare per un po' di ossigeno, ad avere il respiro corto e il fuoco sottopelle?»

Dahna gemette. Odiava sentirsi in trappola. Odiava sentirsi una preda. Odiava sentire qualsiasi cosa, provocata da Grimm.

«No. Ma se non sono l'unica, cosa vuoi da me?»

«Togliti tutte queste maschere, Briniel. Spogliati di ogni bugia, di ogni finzione, di ogni scusa a cui ti sei aggrappata, di ogni giustificazione. E cerca di ricordare. Cerca di ricordare una donna bionda, con gli occhi cerulei e il sorriso di un angelo. Cerca di ricordare cos'è successo otto orbite e mezzo fa. E quando l'avrai capito, vieni da me, ancora nuda e senza maschere, e spiegami cosa dovrei fare con te. Spiegami cosa dovrei farmene delle fiamme nei tuoi occhi, del tuo respiro corto, dei gemiti che fai ogni volta che ti sfioro.»

Glielo disse passando il pollice sul suo labbro inferiore, sentendone la morbidezza, aggrappandosi a tutto l'autocontrollo di cui era capace quando dalle sue labbra uscì un mugolio appena accennato.

La gente pensava che l'Alchimia fosse il progresso della scienza, ma era racchiusa in quel momento. Era l'incontro tra staticità e dinamica, onde di qualcosa che non aveva un nome, ma che nessuno dei due era pronto a lasciare andare. Qualsiasi cosa fosse, era una cosa troppo grande da evitare, una tempesta troppo forte da contrastare.

Grimm mollò la presa e si allontanò da lei, guardandola recuperare il fiato e il battito, prima di voltarsi. Lei si sentì svuotata da tutto. Dalle sue convinzioni e dalle sue emozioni. Si sentì nuda, per la prima volta dopo tanto tempo. Si sentì fragile e smarrita, come la prima notte su quei carri del Léon destinati a mete sconosciute e a un destino oscuro.

E finalmente capì che non era Grimm a farle paura, ma il modo in cui riusciva a leggerla. Non era lui a spaventarla, ma il suo passato, ogni maschera che aveva indossato, ogni ricordo perso e ogni oscenità eseguita a regola d'arte secondo le indicazioni di un uomo folle e disturbato. Cosa era arrivata a fare per Bernabé? Quante persone aveva ferito? Cosa aveva fatto a quell'uomo distrutto e pieno di cicatrici per spingerlo a odiarla tanto?

Più si sforzava di ricordare i momenti vissuti sotto l'Oblivera, più questi si facevano effimeri. Sembravano sfuggirle dalle mani.

Si alzò, spossata, e si incamminò verso la sua camera, controllando che il velo le coprisse gran parte del viso, nel caso Nath fosse stato sveglio. Si aggrappò alle coperte e ripensò alle sue parole finché la testa non cominciò a farle male, finché non sentì Grimm dire a Nath: «Vai a svegliarla. Siamo arrivati.»

Quando una manina bussò alla sua porta, si mise l'ennesima maschera e gli disse di entrare.

«Ciao, Jamila. Ash mi ha detto di dirti che siamo arrivati a Diefbourg.»

Modificò leggermente la voce per rispondergli. Non era certa che lui ricordasse il suono della voce di sua sorella, ma non poteva rischiare. Vederlo così cresciuto, davanti a lei, dopo così tanto tempo era una pugnalata al cuore. Avrebbe voluto corrergli incontro e abbracciarlo. Non lasciarlo mai più.

«Ti ringrazio. Lo sai che Ash, in realtà, si chiama Grimm?»

Sul volto del ragazzino fece capolino un'espressione stupita e delusa allo stesso tempo. «Non è possibile.»

«Si chiama Grimm Ashell. Non ho mai sentito nessuno chiamarlo Ash. Devi essere importante per lui, se ti ha permesso di usare quel soprannome.»

Un piccolo sorriso illuminò il suo viso confuso. «Oh. Beh, immagino che anche lui sia importante per me. Adesso vado di là e lo chiamo Grimm, voglio vedere che faccia fa. Vuoi venire con me?»

«Non me lo perderei mai.»

Lui rise e le porse la mano. Dahna sentì la pressione sul cuore farsi sempre più pesante. L'ultima volta che gli aveva dato la mano, le sue piccole dita si erano chiuse intorno al suo pollice. Sembrava passata una vita. Una vita che lei aveva perso.

«C'è qualcosa che non va?»

«No. Va tutto bene, Nath. Andiamo.»

Gli strinse la mano e lo seguì fino alla camera di pilotaggio. Grimm stava tenendo il timone, metà delle leve erano state alzate e l'aeronave stava scendendo di quota. Alla vista della vetrata, sentì un brivido scenderle sulla schiena al ricordo della notte appena trascorsa. Lui la guardò per un attimo, senza mostrare alcuna emozione. Si fissarono, senza parlarsi, sentendo il respiro diventare più corto.

La voce di Nath interruppe quel contatto visivo come un'esplosione nel bel mezzo del nulla, facendola trasalire.

«Ho incontrato un Eritaco, nella strada verso la camera di Jamila. Sai cosa mi ha detto?»

Grimm spostò lo sguardo su di lui e un angolo delle sue labbra si alzò a quelle parole. «Sentiamo.»

«Che c'è un certo Grimm su quest'aeronave, ma io non lo vedo. Tu l'hai visto?»

Glielo chiese con fare accusatorio, ma in realtà nei suoi occhi c'era divertimento. Lo stava prendendo in giro. Grimm guardò Dahna e il ragazzino sorrise.

«Uno sconosciuto sulla mia aeronave? Deve essersi nascosto da qualche parte, vai a cercarlo e portamelo subito qui!»

Nath rise e gli si avvinghiò a una gamba. «Perché non mi hai mai detto che ti chiami Grimm?»

«Perché gli amici mi chiamano Ash.»

«E allora perché Jamila ti chiama Grimm?»

Perché i ragazzini se ne escono sempre con le domande più inopportune nei momenti più sbagliati?

«Perché Jamila è nuova.»

E non è un'amica.

Non potrebbe mai esserlo.

Per qualche istante ci fu solo il silenzio. Nath non capì. Percepiva una strana sensazione nell'aria. Forse era Jamila la persona di cui gli aveva parlato Ash? Quella che avrebbe potuto non piacergli? Lui la trovava normale. La conosceva da poco, ma non le sembrava un mostro.

«Beh, allora, Jamila ti dò ufficialmente il permesso di chiamarlo Ash. Se non fossi sua amica, non saresti qui con lui, giusto?»

Lei gli sorrise e gli arruffò i capelli. Se non gli avessi puntato un coltello alla gola, forse.

Si voltò verso Grimm che gli stava rivolgendo uno sguardo minaccioso. Da quando l'aveva conosciuto, aveva imparato a tradurre anche i suoi occhi oltre ai suoi gesti. In quel momento stavano urlando: "Non ti azzardare a chiamarmi così".

Se avesse potuto vederla sotto quel velo, avrebbe visto un sorriso malizioso. Lo faceva per Nath. Vederlo così sereno e felice era l'unica cosa che le importava. «Quanto manca all'ormeggio, Ash

Si girò a guardare suo fratello e gli fece l'occhiolino. Mentre Nath rideva, quegli occhi cerulei divennero due fessure. Questa me la paghi. «Poco. Datemi una mano.»

Mezzo giro più tardi passeggiavano in direzione della Dovizia. Grimm stava spiegando a Nath che Soffie era a Corte e che loro dovevano recarsi al più presto a prenderla, ma che lui sarebbe potuto restare nella sua camera, in compagnia di Larry per qualche giro.

«Chi è Larry?»

«Un ammasso di tubi apatico che dice sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato. Ti piacerà.»

Nath non capì, ma restò in silenzio. Erano giunti ai piedi della scalinata della Dovizia, la sua nuova casa. Grimm gli chiese se fosse pronto e lui annuì, poi si schiarì la gola e gli fece una domanda. Una domanda scomoda.

«Ash, dopo che siete andati a prendere Soffie, pensi di potermi portare al Colle Esanime? Vorrei salutare la mamma.»

Una pugnalata.

Uno schiaffo in pieno viso.

Dahna non sapeva chi fosse stato a dirglielo. Con tutta probabilità, era stato Bernabé, dopo l'ennesima notte in cui lo aveva sentito piangere e urlare il nome della madre. Odiava sentire i bambini frignare. Oppure erano state le guardie dell'Orfanotrofio. Dovevano aver dato per scontato che quel bambino non avesse più i genitori.

Quelle parole sulle sue labbra furono di una tranquillità disarmante. Il cuore che Dahna aveva tentato di ricostruire, notte dopo notte dall'incendio, si spezzò di nuovo. Sentì lo sguardo allarmato di Grimm addosso. Fu semplicemente troppo.

«Scusate, io... devo andare un attimo in camera.»

Si allontanò da loro quasi correndo verso la porta del Primo Piano e, una volta chiusa alle sue spalle, si strappò il velo dal viso e incamerò tutto l'ossigeno di cui aveva bisogno. Non era mai abbastanza. Corse verso la porta della sua stanza e nemmeno si rese conto di aver sbattuto contro una persona, lungo il corridoio.

Tommy la seguì all'interno. Vide il suo petto alzarsi e abbassarsi velocemente in singhiozzi sempre più veloci.

«Dahna. Che diamine è successo? Ti abbiamo cercata ovunque!»

Lei lo guardò distrutta e le lacrime finalmente scesero sulle sue guance. Fu liberatorio, ma non abbastanza da guarire il dolore che sentiva dentro. Gli corse incontro e lui la prese tra le sue braccia, senza chiedere niente. La avvolse in un abbraccio caldo, carezzandole i capelli, finché il suo respiro non tornò regolare.

«Perché hai i capelli neri e l'aria di una che alleva Camelidi? Cos'è successo?»

Lei avrebbe voluto spiegargli ogni cosa e aveva intenzione di farlo, ma tutto quel dolore, tutte quelle domande senza risposta, erano troppo. Nath era al sicuro. Era cresciuto senza di lei, aveva metabolizzato la morte di sua madre senza di lei, ma erano di nuovo insieme. Ci sarebbe voluto un po' di tempo per risolvere quella situazione, ma era finalmente con lei. La Banda era pronta a riprendersi Soffie ed erano di nuovo a casa.

C'era solo una questione rimasta irrisolta. Il tormento che la teneva in piedi la notte, l'odio che sentiva sulla schiena ogni volta che Grimm era alle sue spalle. Se c'era qualcuno che poteva sapere qualcosa era Tommy. E lei pretendeva delle risposte.

«Che cosa ho fatto, Tom?»

«Non lo so, Dahna. È quello che ti sto chiedendo. Cos'è successo?»

Lei scosse la testa, tenendosela tra le mani. Più ci pensava meno capiva. Una donna bionda con i suoi stessi occhi. Non era possibile. Sua madre era morta nell'incendio.

«Perché Grimm mi odia così tanto?»

«Non penso di essere la persona adatta a rispondere a questa domanda.»

«Io non ricordo, Tommy. Non riesco. Ti prego, dimmi perché. So che lo sai.»

«Io...» Tommy non aveva parole. Cosa cazzo era successo tra loro due negli ultimi settanta giri perché la situazione si capovolgesse tanto?

Gli occhi di lei divennero allo stesso tempo furiosi e imploranti. Non c'era via d'uscita.

«Non è stata colpa tua, Dahna. Ma questo Grimm ancora non l'ha capito. Due mattine dopo l'incidente a casa sua, il medico tornò a vedere come stava procedendo la sua guarigione. Lui dormiva costantemente, il suo corpo non sopportava le bruciature e in qualsiasi posizione si mettesse la pelle non riusciva a cicatrizzarsi.»

Dahna lo vide chiudersi in sé stesso. «Continua.»

«Non dovrei dirtelo...»

«Grimm aspetta che io ricordi, Tom. Sta aspettando con una calma estenuante che io ricordi cose che non potrò mai ricordare. Cose che la mia mente non ha mai memorizzato. Non ne usciremo, se non mi dici cosa ho fatto.»

Tommy sapeva di non avere il diritto di dirglielo, ma forse la verità sarebbe stata il primo passo verso la vera guarigione di Grimm. Se Dahna avesse saputo il perché di tutto quell'odio, probabilmente si sarebbe scatenata l'ira della morte, ma almeno sarebbe successo qualcosa. Sarebbe cambiato qualcosa. Ne avevano entrambi bisogno.

«Quella mattina il medico mi disse di aver analizzato anche i corpi dei suoi genitori. A un primo esame, sembravano morti entrambi per asfissia, ma il sangue di sua madre era nero.»

Dahna iniziò a mettere insieme i pezzi. Non poteva essere vero. «La Belladonna.»

Tommy annuì e si sedette sul bordo del letto, invitandola a fare lo stesso. Lei rifiutò e rimase in piedi di fronte a lui. Lo ascoltò attentamente, come se ogni parola fosse una boccata d'aria e lei stesse affogando.

«Sua madre era già morta quando le fiamme hanno lambito la casa.»

«E cosa c'entro io?»

«Dahna... Ravia acquistava la droga da Bernabé. Grimm ha sentito i suoi litigare poche notti prima dell'incidente perché suo padre l'aveva scoperta. Pensava che ne fosse uscita, che dopo aver lasciato il lavoro al Lupanare avesse smesso. E invece lei si faceva consegnare la Belladonna a casa quando lui dormiva o era a lavoro.»

«Aspetta... Sua madre lavorava al Lupanare?»

Tommy annuì. «Sua madre era la sorella di Emeralda, Dahna. Lavorò per lei finché il padre di Grimm non venne a salvarla, dandole una casa e una famiglia in cui sentirsi al sicuro. Facendola fuggire da quel posto di merda. Per questo Grimm lo odia così tanto. Ravia iniziò ad assumere droga per sopportare quel lavoro, per sopportare sua sorella. E lui ti ha sentita, quella notte. Era nel seminterrato quando sei arrivata a casa sua. Ti ha sentita bisbigliare a sua madre, dirle che ti mandava Bernabé. E ti ha vista. Ti ha vista mentre ti allontanavi.»

Lei lo guardò, sconvolta. Non poteva essere vero.

«Io non ricordo... »

«Non è stata colpa tua. Ti prego, non pensarlo nemmeno. Tu eri sotto Oblivera e, quando sei fuggita dal Circolo, hai scelto la strada migliore per te stessa. Cercavi solo di salvarti. E Grimm all'epoca non ti conosceva, non sapeva che fossi stata tu.»

Le sue ginocchia cedettero e lei cadde a terra, devastata. «Io... Quindi, io ho...»

Tommy sospirò, guardandola negli occhi. Cercò di trasmettergli tutta la comprensione di cui era capace. Le sue parole furono un sussurro, ma nella mente di lei rimbombarono come grida disperate. 

«Tu hai ucciso sua madre, Dahna. O almeno è ciò che pensa lui. Le hai dato l'ultima dose. Quella fatale. Se l'incidente non fosse accaduto, Grimm sarebbe comunque rimasto un orfano ed è ciò che non riesce a perdonarti. E quando ti ha dato l'occasione di salvare le altre ragazze dallo stesso destino di sua madre, e tu non l'hai fatto, lo hai devastato. Non potevi saperlo, ma la mente gioca brutti scherzi quando prova dolore. Lui ti odia, ma odia di più sé stesso. Una parte di lui sa che non hai colpe, ma non riesce a fidarsi perché non sa chi sei. Non sa se stai indossando un'altra delle tue maschere. Puoi davvero biasimarlo?»

No, non poteva. Sebbene non fosse stata colpa sua, in parte lo capiva. Il dolore che aveva provato, la rabbia. Lei era il suo peggiore incubo diventato realtà.

«Lui ti odia, ma ti guarda esattamente come ti guardava su quel palco orbite fa, senza sapere chi fossi. Sei sempre stata tu. Prova sempre la stessa, identica emozione, ma non lo vuole ammettere nemmeno a sé stesso.»

Dahna sapeva ciò che le stava per dire, ma non era pronta a sentirlo. Le parole di Grimm le risuonarono nella mente.

Guardami. Pensi di essere l'unica? Pensi di essere la sola a sentirsi così? A pregare per un po' di ossigeno, ad avere il respiro corto e il fuoco sottopelle?

 «Indifferenza con un goccio di rabbia?» 

Tommy scosse la testa, tentando di nascondere la compassione dietro a un sorriso accennato. «Desiderio.»

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Spazio autrice:

Eeeeeeh ciao 🥰
Finalmente qualche dubbio è stato risolto sull'odio incontenibile di Grimm. Ce lo aspettavamo? Io sì, perché mi frulla in testa dai primi capitoli di questa storia, ma spero vivamente di avervi chiarito un po' le idee🥹
Ora User spero tu abbia meno dubbi su un loro possibile rapporto ahahahah 😂
Phoenix, mia casa amica sottona di Grimm, non vedo l'ora di vederti su questa pagina 😂❤️
Vi voglio bene,
S.

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