È tutto nella tua mente

Oggidì

17

La mattina seguente, Dankar stava camminando in compagnia di Tommy lungo Via Grascia, ricettacolo di botteghe alimentari e mercati cittadini. La strada, ricolma di affamati diefbourghiani in cerca di provviste per i cicli freddi a venire, era un concerto di risate e baruffe riguardanti i prezzi in costante crescita e la qualità del cibo in costante declino.

Non era più il mercato di un tempo: profumi e colori si erano gradualmente spenti con il passare delle orbite e la gente iniziava a sospettare che i frutti più maturi e il pesce più fresco finissero dritti a Corte o nelle mani della nobiltà, senza passare dal via.

Mezzo miglio separava i due soci della Banda dalla Macelleria di Kruler, la cui entrata era seminascosta dalla lunga coda di gente affamata alla ricerca di carne fresca per il pranzo del giubidì. Visti gli abiti eleganti che inondavano quelle bancarelle, Dankar era sicuro che molti di loro avessero appena partecipato alla funzione in cattedrale, riempiendosi la testa di false credenze e ipocrite speranze, per poi svuotare i preziosi porta aurei nelle casse di Morlion.

«Un'altra lucrosa mattina, per il vescovo», sussurrò Tommy all'amico, sincerandosi che nessuno fosse tanto vicino da sentirlo.

Dankar annuì, pensieroso. «Abbiamo sbagliato tutto nella vita, Tom. Dovevamo diventare uomini di Chiesa.»

«E rinunciare al piacere del sesso? Nah.»

«Pensi davvero che loro rinuncino al sesso? Ti sapevo idiota, non ingenuo.»

Tommy soffocò una risata. «Non penso che intendiamo lo stesso tipo di sesso.»

«Oh, fanno di peggio, credimi. Sono retti uomini devoti agli Dèi, insospettabili, tu non hai tutta questa copertura. Sei solo un po'... Vizioso.»

Tommy sorrise. Un uomo sulla quarantina gli passò di fianco, mentre si immettevano nel marasma di gente in prossimità della Macelleria. Portava una redingote nera con inserti argentei e due appetitose tasche laterali, una più paffuta dell'altra. L'attimo in cui lui e Tommy si sfiorarono durò una frazione di lancetta, ma al giovane uomo in compagnia del Capitano sembrò rallentare. I passi successivi furono uguali a tutti gli altri: claudicanti per Dankar e silenziosi per lui. Nessuno si allarmò e nessuno denunciò un furto. Un porta aurei in pelle nera, tuttavia, venne lanciato in aria e ripreso al volo dalla mano lesta di Tommy, che accennò una risata.

«Hai ragione, sono proprio un birbante.»

A poca distanza, due figure incappucciate seguivano i loro passi da sopra i tetti delle botteghe. Si fermarono sulla linea di colmo della Macelleria, in attesa del loro ingresso, pronti a scendere nel retrobottega per liberare le ragazze.

La coda stava lentamente diminuendo. Tommy aveva sgraffignato un sacchetto di monete dallo stesso uomo che in quel momento, di fronte alla bancarella dello Speziale assiano, si stava tastando la redingote agitato, in cerca del denaro con cui pagare.

Dahna si voltò verso Grimm, silenzioso come sempre dietro alla sua ferrea maschera di apatia e indifferenza. Sotto il cappuccio portava un fazzoletto nero da collo alzato fin sopra il naso a lasciargli scoperti solo due pozzi neri impassibili che non la degnarono di uno sguardo.

«Io e te dovremmo parlare», gli sussurrò lei.

Grimm si voltò a guardarla, ma non disse nulla. Rimase soltanto a fissarla per qualche istante di troppo, poi spostò l'attenzione nuovamente sulla strada sotto ai loro piedi.

«La tua voce ti ha tradito. Il trucco può camuffare egregiamente un volto, ma la voce rimane la stessa, soprattutto se la si usa poco.»

Quei due pozzi neri furono attraversati da una fiamma rossastra. Dahna non la vide, ma percepì un'emozione. Un'anomalia in quell'indifferenza. Era rabbia.

Sono dentro.

Dahna seguì il suo sguardo. Dankar e Tommy non erano più in strada. Dovevano muoversi. Grimm l'aveva già oltrepassata per calarsi dalla gronda sul retro della bottega. Uno dopo l'altro, saltarono sulla roccia antistante il muro e poi di nuovo sul balcone del primo piano.

Non avevano idea di dove potessero essere le ragazze, perciò Grimm le fece cenno di entrare, mentre lui proseguiva la discesa verso il piano terra. Lì, trovò una porta di legno appena più bassa di lui, con una serratura a doppia mappa, sicuramente realizzata da un fabbro verkheidiano. Un po' complessa da forzare, ma non impossibile. Tirò fuori dalle tasche gli arnesi e li incastrò nel foro, ruotandoli prima da una parte e poi dall'altra. Dopo due giri rapidi d'orobussola, la serratura ancora non ne voleva sapere di scattare e dei passi silenziosi scesero dalla roccia, avvicinandosi a lui.

«Posso?», gli sussurrò Dahna, allungando le mani per prendere i due sottili fili di ferro.

Grimm le lanciò uno sguardo d'odio, ma non rifiutò. Quando le loro mani si toccarono, Dahna si rese conto che la rabbia non viveva solo nei suoi occhi, ma anche nelle dita. Sentì una leggera scossa risalire lungo il suo indice e provocarle degli impalpabili brividi dietro al collo.

«I ferri hanno bisogno di estrema calma e precisione su una serratura del genere», gli sussurrò piano. «Se percepiscono impazienza, non collaborano.»

Ancora una volta, non ricevette risposta, ma era pronta a giurare che se una parte del viso di lui non fosse stata coperta dal tessuto nero avrebbe visto le sue labbra scoprire i denti in un ringhio.

Un silenzioso scatto diede loro il via libera e pose fine a quella conversazione, che era stata più un monologo esasperato. Entrarono in una stanza semibuia, illuminata solo da una lampada ad olio collocata a lato del tendaggio che dava sulla parte anteriore della locanda, dove Kruler stava servendo i propri clienti. Sentirono la voce di Dankar.

«Quindi voi mi state dicendo che qualcuno si è intrufolato a casa vostra e ha rubato un atto di proprietà? Chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere?»

«Bella domanda, ragazzo. Chiunque sia, non ha lasciato alcuna traccia.»

«Beh, immagino che dovrà rivendicare la proprietà dell'abitacolo, prima o dopo. Quando avverrà, avrete finalmente un nome.»

«È proprio ciò che conto di fare, mio giovane collega. Non vedo l'ora di beccarlo, quel ladruncolo», disse Kruler con fare malizioso, calando con forza la mannaia sull'arto reciso di un vitello ormai passato a miglior vita. O a vita peggiore, in quel caso.

Dahna non trasalì né si lascio scalfire dalla sottesa minaccia del Macellaio, mentre guardava Grimm dirigersi verso l'angolo sud della stanza, in direzione delle celle.

Si trattava di grosse casse in ferro verkheidiano disposte in riga contro il muro portante che confinava con la serra del Fiorista. Ognuna di esse portava, inchiodate sulla lastra di chiusura, le effigie degli organi o il nome dei vari tagli anatomici che all'interno trovavano conservazione su letti di ghiaccio tritato.

Grimm le aprì tutte, una dopo l'altra, nascondendo ad ogni cassa una smorfia di disgusto dietro il fazzoletto scuro. L'ultima non aveva alcun simbolo, era più grossa delle altre e la cosa non prometteva nulla di buono. Fece cenno a Dahna di raggiungerlo per dargli una mano.

Mantenendo comunque un orecchio allungato sulla conversazione tra Kruler i loro soci, per evitare risvolti inaspettati, lei si allontanò furtivamente dalle tende e si avvicinò a lui. Agguantarono il bordo della cassa a quattro mani e tirarono con tutta la forza che avevano, finché il piccolo spiraglio divenne un'apertura sufficiente per controllare l'interno. Ciò che videro non era neanche lontanamente ciò che si aspettavano.

La cassa era vuota.

Fatta eccezione per alcuni utensili del mestiere e due sacchetti di iuta provenienti dal Droghiere di fronte, dentro a quell'angusto spazio non c'era nulla.

Le ha già portate di sotto?, chiese Dahna in Simbolium, dopo aver aiutato il compagno a richiudere silenziosamente il coperchio.

Il solo pensiero di essere arrivati troppo tardi le dava i brividi.

Non lo so, rispose lui, rassegnato.

«Bene, ragazzo. Gradite altro?» La voce di Kruler arrivò alle loro orecchie forte e con un accenno di impazienza.

Dahna saettò a passi muti fino al tendaggio e scostò di poco il tessuto alle spalle di Kruler per attirare l'attenzione di Dankar. Quando lui la vide, lei scosse lentamente la testa, facendogli intendere che non avevano ancora finito e che avrebbe dovuto continuare a prendere tempo.

«Sì, Signoria. Vi chiedo ancora un'oncia di Meleagris arrostito», disse, indicando la carne di tacchino in mostra nella vetrina davanti a sé.

«Quella è di ieri, ragazzo. Lasciate che vada a prenderne della fresca nel retro, torno subito da voi.»

«No. Non vi scomodate, va benissimo questa. Non c'è bisogno che sia fresca, devo solo nutrire il mio Eostrix. Non sembra, ma mangiano come dei vitelli quegli uccellacci!», gli rispose Dankar, celando la preoccupazione dietro un ironico diversivo.

Dahna accennò un sospiro di sollievo e si voltò verso Grimm, seminascosto dietro a un'intercapedine del muro, dalla parte opposta di dove l'aveva lasciato.

Quando si avvicinò, ciò che vide la lasciò turbata e fece rimontare una rabbia cieca, da tempo assopita. Le due ragazze del Circolo giacevano sedute a terra, prive di sensi e incatenate ai due muri che sembravano schiacciarle come una pressa industriale. Avevano la testa rivolta verso il basso, i capelli unti e aggrovigliati che nascondevano i loro spenti occhi, ed erano completamente narcotizzate.

In quelle dieci lunghe orbite, Dahna aveva visto di tutto e di tutto si aspettava dalla vita, ma la vista di quelle due ragazze, ballerine come lo era stata lei in passato, ridotte all'osso e vicine alla morte, le fece tornare in mente suo fratello Nath e le condizioni nelle quali l'aveva trovato. Nel petto le piombò un macigno, i polmoni divennero aridi e affamati di un ossigeno che non riusciva più a inspirare. Il panico partì come una locomotiva aerea senza vagoni, come un colibrì senza cuore, leggero ma incredibilmente veloce, e si diramò in ogni singola particella del suo essere.

Smise di respirare per un attimo.

Grimm la vide diventare del colore pallido delle pareti e quando scandagliò ogni parte di lei alla ricerca di risposte, i suoi occhi si soffermarono sul petto. Era immobile e un attimo dopo incamerava aria come fosse appena uscito da un'apnea infinita. Poi si immobilizzava di nuovo.

"Ti prego, non adesso", pensò.

Guardò i suoi occhi e si voltò verso le ragazze, ricordando del racconto di suo fratello e delle condizioni in cui era stata costretta a trovarlo, quasi come se da un semplice sguardo fosse riuscito a leggerle la mente.

Le si avvicinò di un passo, poi di un altro finché non le fu a un palmo dal viso. Sapeva di non avere tempo, ma allo stesso tempo sapeva di non poter agire d'impulso, altrimenti il suo panico sarebbe esploso e tutta la missione sarebbe andata in fumo.
Una parte di lui voleva lasciarla lì, sola e terrorizzata, ma le gambe erano partite da sole verso quell'odioso enigma e non riuscì a trattenerle.

Allungò con esitante fermezza le mani per farle scivolare il cappuccio della tunica all'indietro e mosse le dita tra i suoi capelli, sciogliendo il nodo della maschera rossa che le lasciava scoperti solo gli occhi. Il rosso era il colore che usavano per le missioni di salvataggio. A lui non era mai importato molto di quelle maschere, le indossava per farsi riconoscere dagli altri quando era necessario, altrimenti preferiva essere un'ombra scura. Ma il rosso... Il rosso era il colore del sangue, il colore del fuoco. Per lui significava solo dolore e rabbia, un costante promemoria delle persone che non era riuscito a salvare. Non l'avrebbe mai indossato e Dankar lo sapeva.

Prese la maschera e gliela fece scivolare via dalle labbra socchiuse. L'aria faticava a entrare e lei era sempre più pallida.

Si mise la maschera in una delle tante tasche a sua disposizione e le prese il viso tra le mani. Era freddo.

"Perché sei sempre così dannatamente fredda?", si chiese, ripensando al breve contatto che avevano avuto orbite prima, nel suo camerino al Circolo.

Con i palmi sulle sue guance e le dita intrecciate tra i capelli che le coprivano le tempie, Grimm alzò il suo viso affinché potesse guardarlo negli occhi. Non disse nulla, la fece semplicemente perdere in quei due pozzi neri e nei tizzoni ardenti che bruciavano, costanti, nelle loro profondità. Cercò di trasmetterle tutta la calma che non possedeva e tutto l'autocontrollo che stava inesorabilmente perdendo.

Dopo qualche istante, quando il respiro di lei tornò quasi regolare, fece scendere il pollice destro oltre il suo mento, stando ben attento a non sfiorarle le labbra, e lo adagiò sul suo collo, sopra la carotide, per sentire il battito. Il terrore nei suoi occhi si trasformò lentamente in confusione mentre tornava alla realtà, facendosi sfuggire un sospiro che alle orecchie di Grimm giunse più come un gemito sommesso. Dahna gli squadrò il braccio, sentendo la pressione del suo dito sul collo, conscia della paura che lui aveva messo temporaneamente a tacere e della sensazione che quel contatto le provocava. Quando tornò a guardarlo negli occhi, lui staccò entrambe le mani dal suo viso e ne avvicinò una alla propria tempia.

È tutto nella tua mente, gli disse senza aprire bocca. Sei al sicuro, ma dobbiamo muoverci. Aiutami con le catene.

Un giro rapido più tardi, mentre lei ancora tentava di fuoriuscire dalla nebbia confusa del terrore e delle sensazioni sconosciute provocate da quell'uomo, le due ragazze erano libere dalle manette. Un fazzoletto pieno di Aloformio sintetizzato da Grimm e posto da lui stesso sotto le loro narici le aveva fatte rinvenire, ma non aveva dato loro coscienza di dove si trovassero né del perché. Probabilmente, la quantità di narcotico utilizzata da Kruler era stata tale da recidere ogni loro contatto con il presente, ma Dahna non aveva tempo di spiegare. Fu semplicemente grata che le ragazze riuscissero almeno a reggersi in piedi per uscire da quel retrobottega insalubre.

Mentre il Macellaio congedava i due soci dalla bottega, un po' spazientito e probabilmente sospettoso dell'enorme quantità di carne acquistata dal Capitano, Dahna e Grimm uscirono dalla porta sul retro e richiusero la serratura a doppia mappa.

Trasportare di peso le ragazze era impossibile, così come era escluso spingerle ad arrampicarsi fino al tetto e da lì procedere verso la Dovizia inosservati, ma Dankar aveva previsto anche questo.

Grimm sorresse una delle due ragazze facendosi strada in quel cunicolo stretto tra i muri delle botteghe e la roccia, finché non riuscirono svoltare in una stradina secondaria a fianco della Pinacoteca in via Artefizio. Dankar e Tommy li stavano già aspettando sulla macchina a vapore per portarli a casa.

«Perché ci avete messo tanto?», chiese Tommy, aprendo lo sportello e aiutando Grimm a far salire le ragazze.

Dahna stava per rispondere, prendendosi la responsabilità del ritardo, ma Grimm la precedette.

Le aveva nascoste in un'intercapedine. Erano svenute.

«Per gli Dèi! Forza, salite.»

Lasciale sdraiate, sono sotto Aloformio e chissà quale altro schifo di sostanza. Noi torniamo a piedi.

Dahna non disse nulla. Una parte di lei era rimasta in quel retrobottega, ancora sconvolta, ferma immobile di fronte alla visione delle ragazze, con il panico ancora sottopelle. Si sentiva scombussolata e, sebbene non fosse pronta alla sua compagnia, Grimm aveva ragione: aveva bisogno di fare due passi per rimettere insieme i pezzi.

Il suo silenzio fu interpretato da Tommy come assenso. «D'accordo. Vi aspettiamo al Quinto, usiamo il montacarichi per loro. Passate dai tetti e fate attenzione.»

Grimm annuì per entrambi e li guardò andarsene, poi si voltò verso Dahna.

Stai bene?

Lei annuì, ma le spalle e le labbra erano ricurve verso il basso. I suoi occhi lo guardavano, ma non lo vedevano. «Mi dispiace», disse, sfiancata.

Non devi. Ci siamo passati tutti.

Per la prima volta da quando si erano conosciuti, Dahna vide un'emozione nuova passare nelle finte iridi del socio: l'empatia. Non aveva preso il posto della freddezza né della rabbia, ma per un attimo era comparsa, come una lucciola blu in quel mare di nera apatia.

«Poteva beccarci.»

Ma non l'ha fatto.

Dahna annuì, con scarsa sicurezza. Il quel 'mi dispiace', in realtà, c'erano orbite di scuse. Non era solo per il terrore che l'aveva immobilizzata prima, era la richiesta di perdono per la fuga, per le ragazze, per la sua scomparsa improvvisa. All'epoca, lui era solo un gentiluomo che portava con sé, chiusi in una busta, un avvertimento e duecento aurei. Lei era solo una ballerina che fuggiva dalla morte e da una vita di soprusi, in cerca di libertà.

Gli si avvicinò con calma, allungando le mani verso il suo braccio destro e chiedendo, in silenzio, il permesso. Grimm rimase un attimo interdetto, ma la lasciò fare. Sapeva cosa stava cercando e voleva che la vedesse, voleva rinfacciargli ogni cosa.

Quando gli alzò di poco la manica e gli girò delicatamente il polso verso l'alto, la cicatrice era lì e riluceva argentea sotto uno dei tanti tatuaggi che adornavano il suo avambraccio.

Il segno che era anche la risposta a ogni suo dubbio.

La ferita che era stata la fine di una vita e l'inizio di un'altra.

Quando spostò nuovamente lo sguardo negli occhi di Grimm, alla ricerca di una mano tesa, di una tregua momentanea, di una conversazione da troppo tempo rimandata, nei suoi non vi era più traccia di empatia. I tizzoni ardenti di rabbia erano tornati a illuminare quella notte senza stelle, ingurgitando tutte le lucciole blu.

«Mi dispiace», ripeté, cercando questa volta di infondere in quelle scuse tutta la sincerità di cui era capace. «Non volevo farti del male.»

Ma io sì, rispose lui, usando le stesse parole che lei gli aveva rivolto quasi cinque orbite prima. Doveva pagare per quello che aveva fatto, doveva provare quello che avevano provato loro.

L'abbandono.

E allora perché l'aveva salvata da sé stessa in quel fottuto retrobottega? Perché non riusciva a smettere di guardarla come la guardava un tempo, su quel palco di immoralità e depravazione?

Non seguirmi.

E così dicendo si allontanò verso il suo laboratorio, lasciandola sola e attingendo alla fiaschetta che portava nella giubba nera.

Le ragazze erano al sicuro adesso, Dankar avrebbe dovuto recarsi presto da Calidius per riprendersi Soffie e lui doveva pensare a salvare le altre del Lupanare. Ci aveva provato per orbite, ma senza qualcuno all'interno era un'impresa impossibile. Lamnia era l'unica alleata che avesse, ma era impotente. I suoi occhi erano sempre più annebbiati e non era più sicuro che Emeralda la usasse solo per intrattenere gli ospiti nella sala comune. Gli altri non lo sapevano ed erano convinti che continuasse a scendere a Onderbourg per bere fino all'oblio e farsi coccolare dalle ragazze, ma lui scendeva ogni fottutissima volta solo per assicurarsi che Lamnia non venisse portata nelle camere al piano inferiore. La prendeva con sé e non la lasciava andare per nessun motivo al mondo, fino al giro di chiusura. Per salvare le altre aveva bisogno di qualcuno che non assumesse papaveri e non sottostesse agli ordini di Emeralda.

Rya era stata la sua occasione mancata, la donna a cui aveva messo in mano il destino delle altre, conscio del fatto che avrebbe avuto il potere di salvarle, la possibilità di cambiare la loro vita. Ma non l'aveva fatto.

In quel momento, mentre malediceva quella donna e tutte le decisioni che aveva preso da quando l'aveva vista, Grimm capì che poteva fidarsi solo della sua Banda. Della teatralità di Tommy come diversivo, delle navi di Dankar per portarle il più lontano possibile e di Soffie, per avvertirle ed evitare la catastrofe. L'ultima volta che ci avevano provato, la piccola si era fatta prendere dal panico. Quelle stanze tormentavano i suoi incubi e quelle ragazze vivevano l'inferno da cui lei era scappata con estrema difficoltà. Ma da allora era cresciuta, Dankar le aveva costruito addosso una corazza di invisibile galthorn e tutti loro credevano in lei. Potevano farcela, stavolta. Nessun infiltrato dall'interno, solo un colpo grosso come quello alla Casa da Gioco.

In quella dettagliata bozza di piano, la Banda di cui aveva bisogno Grimm era la stessa che era cresciuta sotto il suo tetto nelle ultime cinque orbite. Nessun'altro.

Dahna non era prevista.

Rya non era prevista.

Niente di ciò che era accaduto era previsto. Lei era scappata e lui avrebbe voluto ammazzarla con le sue stesse mani. Con il passare delle orbite non l'aveva perdonata, ma aveva accettato la sua scomparsa, aveva quasi ringraziato che quella donna non fosse più costantemente nella sua testa.

Ora era tornata, con delle scuse che lui aveva immagazzinato come un morto di fame.

Ma non sapeva cosa farsene, delle scuse.

Non sapeva cosa fare di quel fuoco che gli stava incendiando il petto.

Così, dopo essersi seduto sul suo sgabello in mezzo ad ampolle e pezzi di metallo arrugginiti, aprì il primo cassetto della scrivania e tirò fuori un cigarillo giallo. Dankar gliene aveva regalati dieci come dono per i Natali di quattro orbite prima, dopo il suo ritorno da Keltam e soprattutto dopo che Larry gli aveva spifferato del pandemonio scoppiato alla Dovizia a seguito del mancato colpo al Lupanare.

Gli aveva fatto promettere di non fumarli se non nel momento del bisogno, quando sentiva così tanta rabbia da poter spaccare il mondo. Grimm non sapeva cosa ci fosse dentro, ma bastò uno sguardo allo specchio sulla parete vicino a sé per capire che, di qualsiasi cosa si trattasse, quello era il momento giusto.

E mentre spire di fumo giallastro fuoriuscivano dalle sue labbra, annebiandogli la mente, mentre pensava che non sarebbe mai stato in grado di gestire quell'incendio che sentiva dentro, mentre cercava di capire cos'era successo nel suo petto quando aveva accarezzato quella pelle pallida e fredda, la porta si aprì e si richiuse dietro al suo più grande incubo.

La guardò per qualche istante.

Aveva la calma fredda del mare d'inverno e gli occhi imploranti di un condannato a morte.

«Odiami. Urlami addosso. Puntami una pistola alla tempia, se ti fa stare meglio. Ma, ti prego, parlami.»

Bastò quello a far deflagrare l'incendio.


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Spazio autrice:

Eeeeee ciao di nuovo, ciurma 🥹
Ci siamo, CI SIAMO.
Stiamo per scoprire un paio di cose interessanti su Grimm, che saranno fondamentali da qui in avanti.
Ora non ci resta che ascoltare Calidius, liberare Soffie e partire per mare🛞🧭
Ma prima, torneremo indietro come sempre, alla ricerca di una soluzione per il Leviatano 🦑
User, mio caro quartiermastro, giuro che saliamo presto sulla Murena. Giuro. Giuro, porta solo un po' di pazienza che questi due qua non hanno ancora capito cosa fare con loro stessi 🤣

Vento a favore, pirati.
Vi voglio bene,
S.
❤️

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