Coming out: si o no?
Coming out: abbreviazione dell'espressione "Coming out of the closet" letteralmente: "Uscire dall'armadio". In pratica, quando una persona lgbtq+ dichiara il suo orientamento/identità di genere apertamente e di sua spontanea volontà, diversamente dall'"Outing", ovvero quando qualcuno dichiara al tuo posto senza il tuo permesso il tuo orientamento/la tua identità di genere. Fare outing è una cosa immensamente scorretta, ognuno deve poter uscire dal suo armadio quando, come e con chi vuole e alle sue condizioni.
Detto questo, io sono out (Cioè ho fatto coming out) ?
Sì, sui social, a casa e con i miei amici (per pochi che siano). Non l'ho detto subito, all'inizio a qualche amica, poi ci ho preso la mano. Ai miei genitori l'ho detto quasi due anni dopo averlo capito, ma è andata abbastanza bene, di lusso anzi, considerando come mi aspettavo che andassero le cose e come vanno per molti altri.
Adesso, se sto con qualcuno che non mi conosce, lo dico con naturalezza e solo se capita nel discorso. Infondo non è necessario che tutto il mondo lo sappia, sono pur sempre affari miei con chi voglio stare, no?
Molte persone credono che il coming out non sia politicamente corretto; perché solo chi non è etero né cis deve farlo? Perché non siamo considerati socialmente normali? Perché gli etero e i cis non devono farlo e noialtri si?
Inoltre, si può pensare che infondo fanculo, è la mia vita, perché gli altri dovrebbero sapere chi mi piace scoparmi? A meno che non mi innamoro o non vengo al letto con te non vedo perché dovresti saperlo. Non mi serve l'approvazione di nessuno per essere me stesso. (Naturalmente la cosa è diversa per le persone transgender, dato che in loro il cambiamento è evidente; ma volendo se si è già in transizione e si ha già il corpo che si vuole con le persone che non ti conoscevano prima della transizione si può anche non fare coming out. Se non ci si va al letto e non ci se ne innamora, chiaro).
Di contro, invece, c'è chi considera il coming out un obbligo. Perché significa che non ti vergogni di chi sei, che anzi, ne vai fiero. Se non fai coming out è come se ti nascondessi, se non ti accettassi, come a dire che c'è qualcosa che non va in te. Per non parlare del fingere costantemente di essere qualcun'altro, qualcosa che non sei davvero.
Ogni volta che qualcuno fa coming out con la famiglia, con gli amici, a scuola o al lavoro, è come se dicesse: " Visto? Esisto anche io, e tanti come me. Non siamo mostri, non siamo leggende, siamo solo persone come tante altre". E ogni volta che qualcuno si diachiara, idealmente dà la possibilità a chi gli sta intorno e alla società per estensione di migliorare, di accettare, di capire e di fare un passo avanti, per non parlare dell'esempio e del messaggio che si manda a tutti gli altri ancora nell'armadio: significa non sei solo, io sono come te, e va bene così, sono fiero di chi sono e anche tu dovresti essere te stesso/a/* senza vergognarti. Ovviamente, questa parte è più forte se a fare coming out sono persone famose o visibili.
Vorrei che non ci fosse bisogno del coming out, vorrei che ognuno potesse essere chi è senza problemi. In linea teorica ha ragione chi dice che il coming out è politicamente scorretto, che se siamo tutte persone perché certe devono farlo e altre no?
Ma d'altra parte, ce ne manca per arrivare a questo punto e per arrivarci abbiamo bisogno di uscire tutti da quell'armadio del cazzo. In un mondo ideale nessuno dovrebbe farlo, ma nel mondo in cui siamo c'è bisogno di coraggio.
Una volta ho letto una cosa qui su wattpad, anche se non ricordo chi l'avesse scritta né come si chiami la storia. In sostanza diceva che il protagonista non si sentiva "fiero" di essere com'era, perché non ha senso. Si è fieri per qualcosa che si è faticato ad ottenere, ma lui così ci era nato, era come dire sono fiero di avere gli occhi blu. Non ha senso.
Ci ho pensato a lungo, mi sono detta che aveva ragione e che tutta questa cosa dell'orgoglio lgbgq+ in realtà fosse una cavolata. Poi però ho capito che è vero, in un mondo ideale nessuno dovrebbe essere orgoglioso di qualcosa solo perché è così, qualcosa per cui non ha faticato. Ma nel mondo reale, per poter dire di essere lgbtq+ devi faticare, nella maggior parte dei casi. Devi lottare contro chiunque ti dica che sei sbagliato, malato, un mostro, un abominio, una schifezza, un peccatore che merita solo di morire e bruciare all'inferno. Il senso dell'orgoglio lgbtq+ non è dato dall'essere così, ma dal fatto di non vergognarsi, di non cedere, di andare avanti e essere sé stessi anche se ti gridano che è sbagliato. È dato dal fatto di resistere e sopravvivere. Non significa "Sono orgoglioso/a/* di essere lgbtq+", significa; "Sono orgoglioso/a/* di essere ancora me stesso/a/* nonostante i vostri sforzi per abbattermi".
Io credo che fare coming out sia importante, ma anche che in realtà a molti non frega un accidente di chi sei, quindi mettere cartelloni pubblicitari o manifesti con scritto " Sono gay/lesbica/bi/pan/ftm/mtf/nonbinary/qualsiasialtracosa" non serva granché. Infondo, è pur sempre la vostra vita. Ma con chi vi è vicino, alle persone a cui tenete o anche solo che mettono in tavola discorsi che possono riguardarvi in quanto lgbtq+, io dico che vale la pena. Senza boria, senza arroganza, con naturalezza. Perché è naturale essere chi siete.
Mi ricordo che all'inizio, e ancor di più dopo il coming out con i miei, avevo una voglia matta di dirlo a tutti. Se avessi potuto credo che avrei davvero messo i manifesti. Perché ero felice di aver capito chi sono e tutti dovevano saperlo. Poi la smania è passata e ho capito che non sono solo lesbica: sono una lettrice, una studentessa, una fangirl, un'imbrattacarte, una persona sensibile, music addicted, e anche lesbica. E molte altre cose. Cosi adesso quella è diventata una parte di me come altre, si è "normalizzata", non e più una novità per me e di conseguenza ne parlo tranquillamente se serve, senza fare striscioni da stadio.
Ricordo di aver fatto coming out con i miei genitori... in realtà non per tutto quello scritto prima. Era ancora troppo presto per formulare pensieri del genere. L'ho fatto perché quell'armadio me lo sentivo addosso, perché a volte mi sembrava davvero di soffocare, ogni volta che i miei parlavano o pensavano cose riguardanti ragazzi, fidanzarmi con un bel tipo, quando ti sposerai ecc. Ai tempi non c'era ancora la legge sulle unioni civili, quindi sposarmi mi sembrava un'idea vaghissima e lontana a cui non pensavo proprio, men che meno fare figli. Tutte le volte che si accennava a queste cose mi si annodava lo stomaco e prendevo a guardare qualsiasi cosa non fosse mia madre o mio padre e cercavo di ingoiare la sensazione di panico, panico che scoprissero la verità. Alla fine gliel'ho detto ed è stata una liberazione enorme, potevo ignorare il modello di intimissimi in tv senza che mia madre commentasse il mio disinteresse e potevo guardare una bella ragazza per strada senza paura che i miei pensassero male... anche se poi quello che pensavano era esatto.
Giusto o no, decidere se fare coming out è una scelta molto personale che non va forzata né criticata. Io stessa, anche se mi duole ammetterlo, molto spesso ho ancora paura di ciò che la gente potrebbe pensare o fare sapendo che sono omosessuale. Ho paura degli sguardi, dei commenti, di essere scansata. Poi ci penso e mi rendo conto che probabilmente non succederà, e che se succederà fanculo, nel mondo ci sarà sempre qualcuno che mi sputerà addosso e non solo perché sono lesbica. Meglio abituarsi.
Per quanto riguarda la scuola, non ho mai fatto coming out ufficialmente. In primo superiore perché ancora non me la sentivo e nemmeno i miei lo sapevano, in seconda superiore in classe ci sono stata pochi mesi e ho avuto tante di quelle grane con i compagni che fare coning out era l'ultimo dei miei problemi, e il terzo anno non ho frequentato. A settembre tornerò a scuola in una nuova classe e con i vari strizzacervelli che mi seguono si è parlato dell'approccio che potrei avere, del fatto di rimparare a socializzare in contesti normali per la mia età (non un reparto di psichiatria per intenderci) e io ho detto: " Speriamo solo che non siano un branco di omofobi decerebrati"; questo ha portato tutti a ragionare se dovrei essere out in classe sin da subito, aspettare o evitare proprio. Ero spaventata, nella vecchia classe anche se non ero out qualcuno aveva capito (cioè ammettiamolo, si vede a chilometri che non sono etero) e ho sentito che giravano delle voci, tipo "eww qll è lsbc!11! Ke skifo ewwe" e simili. Mi preoccupavo di come mi sarei dovuta comportare e mentre alcuni dicevano che non dovevo complicarmi la vita, di lasciar stare "la storia della lesbica" e in sostanza di fingermi una etero con la cotta per Draco Malfoy o Harry Styles per essere accettata da tutti ed entrare nel gruppo molto easly, altri dicevano che dovevo decidere io (molto d'aiuto).
Alla fine una persona mi ha detto di mandarli a fanculo, che se stavo bene con me stessa in quel momento che ero out con tutti (cioè, tutti quelli di cui mi importava) e sorridevo e vomitavo arcobaleni 24h su 24 allora apposto così, sarei stata me stessa anche nella nuova classe con la gayaggine che sprizza da tutti i pori e le metafore anali in ogni conversazione. Pace.
Le ho dato ascolto. Mi sono detta fanculo, fingere sarebbe una merda e porterebbe un sacco di casini. Fanculo. Sono un unicorno e sono fiera di esserlo. Sono pronta per settembre e non vedo l'ora, e non intendo essere niente di diverso da quello che sono.
Ancora una cosa: per molti sarò esagerata, tutta questa storia che non essere etero e cis è difficile, che ci vuole coraggio e bisogna essere orgogliosi ecc ecc è una cosa superata. Voglio dire, siamo nel 2018 in Italia, abbiamo fatto passi avanti dalle drag queen di Stonewall, non serve tutta 'sta manfrina e 'sto teatro. È esagerato.
È vero, per fortuna in molti casi tutta 'sta manfrina e 'sto teatro sono esagerati, ma ci sono altrettanti casi di persone picchiate, insultate, cacciate di casa dai loro stessi genitori, licenziate, ripudiate, solo perché considerate socialmente diverse.
L'omofobia è ovunque, l'odio è ovunque, spesso in modi tanto sottili che le persone verso cui quell'odio non è rivolto non se ne accorgono nemmeno. Chiamatemi esagerata e paranoica, non m'importa. Per molti ormai quelle parole e azioni sottili non vengono nemmeno considerate, perché ci hanno fatto il callo, ma ad altri possono fare male. Molto.
Quindi se qualcuno si sente umiliato, insultato, ferito perché appartenente alla lgbtq+ e voi invece non ne fate parte, non sminuite e non sdrammatizzate come se niente fosse, perché è evidente che non capite. Meglio, lasciate perdere, o farete ancora più male.
Dopo questo però, devo ricordare le parole di Isak, quando parla del razzismo con Sana. Lei dice che si sente discriminata in quanto musulmana e dice che i norvegesi sono razzisti. Isak le dice che non e vero, lei dice che ne sai, tu non sei musulmano. È vero, dice lui, ma sono gay.
Dice che spesso la gente ti ferisce, ma solo perché non ti conosce. Non ti fa male intenzionalmente, è solo che non sa cosa dire o fare o magari è spaventata perché ti vede diverso/a/*. Dice che se vuoi cercare odio, lo troverai senza problemi, ma se provi a pensarci tutto quell'odio è risolvibile con poco perché non è odio ma ignoranza. In sintesi, giudicare una persona solo da un commento xenofobo non vale, nemmeno se ti ha offeso.
Quindi dico si, potenzialmente, si può sentire odio su di sé da tutte le parti e bisogna saper reagire e resistire, non dargliela vinta, ma se siete abbastanza forti da farlo, entrate nel "campo nemico" e cercate di capire, spiegare, magari adirittura di cambiare il pensiero sbagliato dell'altro. Spesso basta poco.
Natalinna
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