Il ratto e il principe [preview]
Ciao. È sorprendente rivedermi dopo così poco tempo, lo so.
Vi basti sapere che i personaggi di questo raccontino vivono nel loro silly little world d'invenzione mia e di -svnflower-, intrappolati in un teatro sotterraneo e costretti a intrattenere ricconi. È tutto estremamente straziante ed artistico quindi se vi sentirete tentati da quest' esca succulenta considerate di andare a dare un'occhiata alla storia quando uscirà. Have fun at the horrors!!!
Narciso non è un mio personaggio e appartiene alla mia collega -svnflower-, per quanto io invidi il suo talento nello scrivere stronzi.
Buona lettura.
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Ksenia non si considerava una persona violenta. Era capace di difendersi. Ma normalmente non veniva alle mani quando non era necessario. Tuttavia, il Pozzo esercitava su di lei un fascino considerabile malato.
Scendendo i gradini, si accese una sigaretta, godendosi il suo sapore alla ciliegia. Poteva permettersene solo una al giorno e aspettare fino alla fine del suo turno di lavoro era una tortura. Il corpo di ratto di Nina, infastidita dal fumo, sgusciò fuori dallo scialle e si sistemò sulla sommità della sua testa.
"Guarda che così te ne prendi anche di più, stupida." Sospirò. Fevre, Delia, Henner e Yorn preferivano starsene dentro lo scialle. Saggi ratti.
Un gruppo le passò accanto, superandola. A prima vista erano i tipici frequentatori del Pozzo, in camicia, gilet e stivali dalla suola dura, le sopracciglia aggrottate e la voce grossa. Ma lo sguardo interdetto che rivolsero a quella giovane donna smunta, al ratto appollaiato sopra la sua testa e ai suoi piedi nudi e lerci li tradì. Teatranti venuti lì a fare una gita tra i poveracci come lei. Probabilmente consideravano il Pozzo eccitante. Avrebbe potuto dire lo stesso, ma lei di solito stava sul ring, non in mezzo alla folla che lo circondava e faceva scommesse. Rivolse uno sguardo truce all'ultimo del gruppo, che fissava ancora Nina con gli occhi sbarrati. Chissà se lo aveva mai visto, un ratto.
Il Pozzo era poco distante. Se ne accorgeva dal lezzo di sudore, fumo e sangue: odore di adrenalina e di soldi. Le uniche due cose che voleva da quella sera. Fece gli ultimi cinque scalini praticamente saltellando, superò i teatranti travestiti e si infilò veloce come una biscia in mezzo alla folla. Con piacere, notò che si spostavano per farla passare. Qualcuno le rivolgeva piccoli segni di saluto. Il rispetto non era così scontato, al Pozzo.
La sedia di Iskandar, che Milo scherzando chiamava trono (il regno di Iskandar doveva essere ben misero, se di questo si trattava), era nella parte sopraelevata del seminterrato, dove si aveva una visione perfetta sulla Buca. La posizione dell'arbitro, e del capo. Quando la gente si spostava dalla sua visuale riusciva a vederlo, le gambe divaricate e il mento poggiato alla mano in una posizione di rilassamento controllato. I lunghi capelli neri spettinati e la camicia sbottonata suggerivano trascuratezza, ma Ksenia lo conosceva abbastanza da sapere che per quanto sembrasse vulnerabile in quel momento aveva un coltello nello stivale e uno legato alla gamba, e i suoi occhi allungati scansionavano la stanza per controllare ogni minimo segno di rissa o di pericolo. Quando si sedette vicino a lui, non la guardò neanche.
"Sei in ritardo." Disse con voce atona.
"Non mi sembra di combattere con i principianti." Ribatté aspramente.
"Pensavamo volessi fare una scommessa sul tuo pupillo." Cinguettò Solange. "Sarà il primo a rotolare nella Buca. Non che sia mai stato qualcosa di diverso da primo, eh." Rise, incantevole e spettrale come una bambola di porcellana rotta, con la cicatrice sull'occhio a deturpare il suo viso perfetto.
"Sono i suoi soldi, Solange." Le ricordò Iskandar, senza staccare gli occhi dalla folla.
"Non ho mai scommesso su Mykhail." Protestò Ksenia. Né aveva mai scommesso su nessuno. Non le piaceva giocare con la fortuna.
"Non scommettere neanche stasera, allora." Commentò Milo, mischiando le sue carte. "Non resisterà neanche cinque minuti, visto il suo avversario."
"Perché, chi è il suo avversario?"
"Un principiante." Rispose Iskandar seccamente.
"Se lui è solo un principiante, io gestisco il Giardino delle Delizie." Borbottò Milo.
Solange sbadigliò. "Ho sempre saputo che eri un maiale, Milo." Il ragazzo lasciò cadere le carte, il rossore sulle sue guance nascosto appena dalla carnagione scura.
"Cosa dovevo fare, metterlo con chi ha vinto trenta combattimenti?" Sospirò Iskandar, massaggiandosi la base del naso.
"Mettere chi?" Esclamò Ksenia, spazientita.
"Guarda davanti a te e lo scoprirai, dolcezza." Disse Solange. "Il combattimento sta iniziando."
La folla rumoreggiava. Mykhail era sul lato sinistro. Lo guardò togliersi la camicia e gettarla per terra tra le risate generali, il respiro talmente veloce che le sue costole sembravano sul punto di esplodere fuori dal petto gracile e fremente. Era un pulcino appena uscito dall'uovo, ma aveva le sopracciglia aggrottate di un adulto arrabbiato e nei suoi occhi lampeggiava un odio che le piaceva. Era lo sguardo dei bambini del retroscena costretti a crescere troppo in fretta. Lo stesso sguardo che aveva lei quando Iskandar l'aveva trascinata fuori dalle macerie.
Il suo sguardo slittò sul lato destro, e finalmente lo vide. Non cercava neanche di mescolarsi alla folla, le mani infilate con calcolata nonchalance nelle tasche, un sorriso canzonatorio dipinto in faccia. Sano, alto, allenato, oscenamente bello, come volevano che fossero su quel palco schifoso. La camicia candida che indossava, appena uscita dalla lavanderia, contribuiva a farlo sembrare innocente, un bravo ragazzo dai capelli dorati in mezzo alla plebaglia sporca e violenta. Il principe del palcoscenico venuto a salvarli. Peccato che fosse lui quello che era lì apposta per sporcarsi le mani di sangue.
"Perché Narciso è qui?" Chiese ad Iskandar. Sputò il nome del pattinatore come se fosse un insetto mangiato per sbaglio. Quasi l'avesse sentita, quel damerino si voltò nella sua direzione e aprì il viso in un disgustoso sorriso seducente. Le si accapponò la pelle. Sorrideva così anche alle donne con il doppio dei suoi anni che volevano andare a letto con lui?
"Vuole combattere. Chi sono io per impedirglielo?"
"Non ha bisogno di combattere. Ha già tutto quello che potrebbe volere. O gli serve che anche ratti e pulci come noi inizino a osannare il suo nome e innalzare il suo ego?"
"Forse. Intanto ha pagato la sua quota, ed è ciò che mi interessa. Quello, e il fatto che almeno venti persone hanno puntato su di lui." Ribatté l'uomo, annoiato. "Milo, il gong."
Il suono metallico del gong risuonò nella sala, e la folla batté le mani, eccitata. Vide altri macchinisti, i piedi nudi sulla terra battuta, sarti avvolti nei loro stracci variopinti, tuttofare con il naso sporco di terra. Potevano aver perso il diritto, gioia e croce, di salire sul palcoscenico, ma qui avevano qualcosa di meglio. Al Pozzo potevano essere il pubblico.
Mykhail fu il primo a rotolare nella Buca, goffo e impaziente, sollevando un polverone. Narciso lo seguì subito dopo. Era elegante e misurato anche mentre scendeva nella terra grigia e appiccicosa del Pozzo.
I due avversari si studiarono a vicenda per qualche minuto. Se non altro, Narciso non aveva l'indecenza di attaccare per primo un ragazzino. Fu Mykhail a caricare a testa bassa contro di lui, i capelli opachi già sporchi di sudore e di polvere. Era l'unico vantaggio che aveva, scagliare il primo colpo. Cercò di afferrare il pattinatore per i fianchi e gettarlo a terra, ma Narciso si spostò a destra con un movimento fluido ed elegante, come un torero che gioca con il toro. Gli bloccò facilmente un braccio e gli tirò un pugno sulla guancia. Era goffo come chi non ha mai tirato un pugno in vita sua, ma riusciva a vedere i muscoli guizzanti sulle sue spalle. Poteva mancargli la tecnica, ma Narciso era un atleta. Rideva, il ragazzo di ghiaccio con l'aureola d'oro, lo stesso sorriso che gli aveva visto in pista mentre eseguiva i suoi volteggi innaturali. Aveva voglia di fargli cadere tutti i denti.
"Non è corretto." Sibilò rivolta a Iskandar. "Non è corretto e tu lo sai."
Mykhail si era già rialzato, tenendosi una mano sulla guancia, gli occhi lucidi di rabbia.
"È un bambino, Iskandar." Disse cautamente Milo. "Non puoi semplicemente-"
"Nessuno lo ha costretto." Rispose Iskandar senza scomporsi. "Sono qui per dargli un'opportunità, non per rendergli le cose più facili. Alla sua età Ksenia sapeva già-"
La sua voce fu tagliata dalle risate del pubblico. Narciso aveva bloccato Mykhail, che si dimenava e si contorceva come un'anguilla. Il ragazzino alzò la testa, inferocito, e lo morse sulla spalla.
Solange si sganasciava dal ridere. "È un topo di fogna. Dovremmo chiedergli di lavorare con noi."
Ksenia si morse il labbro. Sapeva che quel breve trionfo non sarebbe durato. E infatti, con gli occhi dilatati per l'umiliazione, Narciso gettò Mykhail a terra e lo colpì con un manrovescio che lo stordì per qualche secondo. Per un attimo, così rapidamente che pensò di averlo sognato, la rabbia sparì dal suo sguardo, sostituita da un'aria di smarrimento infantile che le accartocciò il cuore.
"Iskandar."
"Non ti facevo così tenera, davvero."
Gli stava sbattendo la testa contro il pavimento ora, un movimento secco, ripetitivo, meccanico, crudele. Riusciva a vedere il sangue che si spargeva sulla terra battuta. Narciso voleva farla finita in fretta. E anche il pubblico, che dopo le risate di prima iniziava ad essere infastidito. A nessuno intrattiene guardare un bambino picchiato da qualcuno più forte di loro, a nessuno interessava ricordare che quelli di sopra erano più nutriti, più allenati, più belli.
Già, a nessuno interessa, considerò spalancando gli occhi, stupita che quell'idea non le fosse venuta prima.
"Fammi combattere al posto di Mykhail." Disse con voce ferma.
Finalmente, Iskandar la guardò. "Spiegami perché mai dovrei lasciarti fare una cosa del genere."
"Sono annoiati. E non gli piace veder vincere il cavaliere dalla bianca armatura quando loro sono i contadini del villaggio."
"Non ne vedo il motivo. Il combattimento è già finito."
La testa di Mykhail si schiantò un ultima volta contro la terra e lì rimase, mentre Narciso si rialzava ansante, leccandosi le labbra.
"Sono stati nella Buca per meno di cinque minuti. Non lo si può neanche chiamare un combattimento."
Dalla folla arrivò qualche applauso incerto, subito soffocato. Il pattinatore si guardava attorno, forse confuso dal fatto di non ricevere la solita accoglienza.
Ksenia si piegò verso Iskandar. "Non fingere che ti piace pensare che dopo aver picchiato un bambino quello stronzo tornerà alla sua vita perfetta da cocco del pubblico." Gli sibilò all' orecchio. "Perchè con me puoi anche risparmiarti la sceneggiata. Lui è tutto ciò che eri. Non dirmi che ti piace."
Iskandar sbatté le palpebre, infastidito da tanta brutale franchezza. "Fai come vuoi." Disse. "Ma lui dev'essere d'accordo."
"Ehi, Regina delle Nevi!" Urlò Solange indicando Ksenia. "Ti va di combattere ancora?"
Narciso la guardò, appena affannato e senza un graffio. Per un momento, Ksenia si vide come la vedeva lui, una giovane pelle e ossa, sporca, arruffata, poco attraente e con cinque ratti sulle spalle. Una macchinista come cento altre.
Il giovane fece spallucce. "Perché no?"
Le labbra di Ksenia si aprirono in un sorriso maligno.
Nina, Yorn, Delia, Henner e Fevre le scivolarono fuori dallo scialle mentre la folla si apriva per lasciarla passare sul lato sinistro. Vide con una certa apprensione Milo trascinare Mykhail nel loro angolo di platea facendole il pollice in alto. Narciso era già risalito in cima. La guardò con il solito sorriso arrogante. Forse si aspettava che lei lo guardasse ammirata, o spaventata. Non gli diede nessuna delle due cose, lo fissò senza nessuna emozione che non fosse il più puro disprezzo.
"Ratto, dove sono le tue scarpe?" La schernì.
"Le stai indossando." Disse, senza cambiare espressione. Narciso la fissò, perplesso. "Quando avremo finito sarai così senza soldi che dovrai vendermele."
Narciso rise e osò persino farle un odioso occhiolino, ma notò un guizzo nervoso accanto alla sua bocca che la fece sorridere.
Il gong risuonò ancora una volta. Prese un lungo, liberatorio tiro alla sigaretta prima di rotolare giù nella Buca. Non le lasciò neanche un attimo, il bastardo, si slanciò subito verso di lei con i pugni chiusi e gli occhi bui, ansioso di dimostrarsi che poteva battere quel ratto. Lei non aveva intenzione di aiutarlo.
Tentò un fendente con il destro, poi con il sinistro, sbilanciato e scoperto come il principiante che era. Era abbastanza lento da permetterle di abbassarsi, veloce come una mangusta, e di tirargli la gomitata più forte che potè in mezzo allo sterno. Il gomito era la parte più forte del corpo, diceva sempre Solange. Aveva ragione.
Narciso boccheggiò, cercando di mantenere la posizione eretta. La folla esultava davvero, stavolta, esultava per quella ragazza smunta che era come loro, per Davide che batte Golia.
"Dimmi, Narciso è veramente il tuo nome?" Gli chiese, prendendo un tiro di sigaretta, senza aver bisogno di fingere la sua calma.
"Vero quanto basta." Ringhiò lui, e si gettò nuovamente all'attacco.
Stavolta si limitò a spostarsi a destra con un'abile giravolta, talmente in fretta che lui neanche la vide sparire e riapparire al suo fianco, troppo tardi per sfuggire al pugno che si abbatté sulla sua mascella, il primo che prendeva quella sera.
"Tu invece sei veramente un ratto." Esclamò, sconcertato.
Ksenia sorrise. Era veloce, lei, la più veloce di tutti, un ratto abile e svelto e intelligente che si infilava nei passaggi segreti del retroscena e si adattava a qualsiasi spazio angusto. Un ratto che non potevi prendere.
Narciso ci provò. A quel punto stava solo giocando con lui e, doveva ammetterlo, si stava divertendo molto.
"Come mai non sei al circo, o nella squadra di ballo, o a pattinare insieme a me?" Le chiese ansante, dopo essere rimasto ancora una volta con le mani piene d'aria. "Con dei riflessi come i tuoi..."
"Che cosa ti fa pensare che mi piacerebbe stare sul tuo palcoscenico di merda?" Ribatté lei. Il solo pensiero le rivoltava lo stomaco. Ballare tra atroci dolori come una marionetta avvolta da fili che aveva legato lei stessa, costretta a sbattere le ciglia per tutti i suoi burattinai, che l'avrebbero deificata un attimo e gettata nella spazzatura quello successivo. Proprio come lui.
"Non lo so, immagino che morire di fame e lavorare come uno schiavo tutto il giorno e la notte sia divertente, allora." Riuscì quasi ad afferrare il bordo del suo scialle, ma lei fu più veloce e approfittò del fatto che aveva abbassato la guardia per tirargli un calcio sul ginocchio. Il ragazzo cadde bocconi a terra.
"Come se tu non fossi uno schiavo." Disse lei, indifferente.
Lui la guardò, bello come un principe disarcionato. Si rimise in piedi a fatica.
"Sei solo gelosa." Sputò. Quale emozione stava cercando di annegare dentro i suoi occhi? Ira, paura, o, le sembrò per un battito di ciglia, un malsano desiderio di continuare ad ascoltarla? Che idea folle ed ingenua le aveva appena attraversato la mente, pensare che lui la considerasse un essere umano e non un oggetto da fare a pezzi.
Scattò di nuovo nella sua direzione, ma Ksenia non aveva più voglia di giocare, era lei quella che voleva farla finita in fretta, ora. Aspettò che si avvicinasse abbastanza e scivolò in mezzo alle sue gambe divaricate tra i ruggiti della folla. Lui si voltò di scatto, convinto che lo avrebbe attaccato da dietro, ma lei stava correndo verso la parete sud della Buca.
"Che fai, ratto, scappi?" La schernì Narciso, e le venne dietro.
Dovette soffocare una risata. Era veramente troppo facile gareggiare contro qualcuno che non l'aveva mai vista combattere, specie con un idiota arrogante come lui. Lui ci cascò in pieno, certo di averla messa all'angolo. Narciso non aveva notato un particolare fondamentale della Buca, che aveva penzolato silenziosamente sopra le loro teste per tutto il tempo.
Ksenia non si fermò. Perché Ksenia non stava scappando. Ksenia stava prendendo la rincorsa. Corse, anzi volò, su per la parete quasi verticale della buca (quante volte lo aveva fatto, per afferrare una fune che avrebbe tirato su il sipario che lui amava tanto!) e poi si diede tutta la spinta che poté e si capovolse a mezz'aria. Per un attimo vide il suo avversario, la bocca spalancata, gli occhi increduli, e rise di lui con labbra ancora strette attorno alla sigaretta bruciante.
Per quanto lui l'avesse allenata, non sarebbe mai diventata brava come Iskandar, non le sarebbe mai riuscito quel volteggio perfetto ed elegante proprio degli acrobati del circo, e non sarebbe atterrata senza un graffio come loro. A lei serviva un appiglio. E la Corda del Pozzo (perché ogni pozzo, per quanto la sua acqua sia imbevibile e stagnante, ha una sua corda) glielo diede, graffiandole le mani con le sue fibre ruvide. Ma a lei non importava. Si lasciò cadere su Narciso, il corpo irrigidito e rannicchiato e le ginocchia spinte in avanti come un ariete.
Gli cadde addosso e finirono a terra insieme, avvinghiati, mentre lui gridava di dolore e lei sentiva le sue ossa spezzarsi con un rumore raccapricciante. Bene. Le piaceva quel suono.
Fu in piedi in un attimo e gli tirò un calcio al costato, e poi un altro, e un altro ancora. Voleva fargli male. Voleva che gli restassero i segni per settimane, voleva che ogni volta che avrebbe fatto una di quelle sue piroette ributtanti facesse una smorfia di dolore, voleva farlo scivolare sul ghiaccio e farlo deridere dalla platea, voleva che ogni volta che qualcuno lo avrebbe schiacciato tra le lenzuola di qualche letto lui si ricordasse di lei. Voleva prenderlo per la collottola e trascinarlo al livello di loro comuni mortali, voleva sibilargli all'orecchio che non era diverso, che era fatto anche lui di carne e sangue e non d'oro e avorio come un'icona votiva, che anche lui sarebbe cresciuto e si sarebbe rovinato e appassito e a quel punto nessuna illusione e nessuna preghiera avrebbe funzionato, l'avrebbero gettato all'Inferno insieme a tutti loro. Voleva dirgli che li conosceva, quelli come lui, che un tempo avevano fatto battere cuori in pista e ora si consumavano le mani e l'anima in una sartoria o dietro le quinte, che ne aveva visti a decine. Voleva distruggerlo. Voleva salvarlo. Forse urlò tutte quelle cose in quel momento, e anche di più, solo più rabbiose, più disordinate, più vere.
Quando finì, fu stupita dal fatto che si muovesse ancora. Strisciò come il verme che era, cercando di girarsi sulla pancia.
"Ti sembro gelosa di te, ora?"
"Tu non sei niente."
Dalle sue labbra, quelle labbra perfette e cesellate che tutti avrebbero pagato milioni per baciare, scendeva un rivolo di sangue. Cadde a pancia in giù e soffocò un gemito.
"Sei solo una povera incapace che ha sempre fallito tutto quello che poteva fallire, che ha sputato in faccia ad ogni opportunità che questo posto le ha messo davanti, che non ha neanche provato a impegnarsi per salire sul palco. Perché è questo che devi essere, se da tutta la vita regoli luci e tiri su scenografie e ti spacchi la schiena in uno spazio stretto come un armadio, una donna pigra, stupida e mediocre. Ti meriti esattamente tutto quello che hai, come io mi merito tutto quello che ho."
La guardò, soddisfatto di aver recitato la sua lezione come il primo della classe, ma incontrò solo il suo sguardo, giallo e gelido come quello di un gatto che sta per sgozzare un uccellino.
"Tu non sai niente di me."
Narciso le sorrise amabilmente, i denti rossi di sangue.
"E tu, tu sai qualcosa di me, ratto?"
Non credeva che gli restassero ancora delle forze, ma si slanciò in avanti con una velocità che non sarebbe dovuta essere possibile per qualcuno nel suo stato. Riuscì ad afferrarle le caviglie e lei, impreparata, cadde a terra. Le fu subito sopra, con un pugno sollevato e il viso contratto per lo sforzo immane che stava facendo. Ma quella scintilla di fierezza e trionfo che brillava nel suo sguardo si spense subito quando si accorse che Ksenia, già ripresasi, stava sogghignando.
Che stupido. Aveva lasciato gli ultimi due bottoni della camicia aperti.
Le sue mani scattarono verso l'altro e afferrarono quei due lembi di stoffa, tirando in due direzioni opposte in modo da soffocarlo. Quando aveva quindici anni, aveva detto a Solange che un sarto di mezza età aspettava sempre davanti all'uscita del lavoro, e la guardava con gli occhi sgranati. Solange si era rabbuiata e le aveva spiegato un paio di trucchi. Quando l'uomo le si era avvicinato, aveva avuto una pessima sorpresa, proprio come Narciso la stava avendo ora. Il giovane sobbalzò e cercò di spingerla via, ma lei era più forte e le bastò una mossa dell'anca per ribaltare la situazione e ritrovarsi sopra di lui, un ginocchio saldamente piantato sul suo petto.
Avrebbe potuto soffocarlo fino a farlo svenire, ma voleva finire la lotta con il suo sangue sulle mani. Lo mollò, e lasciò alla sua faccia violacea il tempo di prendere una disperata boccata d'aria prima di iniziare a tempestarla di pugni. Oh, ma non era uno spettacolo perfetto quello che stavano mettendo in scena, non era un controsenso delizioso, la ragazza che il palco non aveva voluto che distrugge la faccia dell'uomo che il palco adora, acclamata da un pubblico composto dai peggiori scarti? Si chiese se la bambina stupida e inetta che era stata, una persona non molto diversa da quella che Narciso poco prima aveva immaginato, l'avrebbe guardata con gli occhi sgranati di meraviglia oppure di orrore.
A volte, la notte, sognava che il teatro dov'era nata fosse in fiamme. Sognava che ogni copione composto dagli scrittori e dalle loro mani morbide marcisse e diventasse illeggibile, che ogni strumento iniziasse a emettere urla e gemiti, che ogni acrobata cadesse dal suo trapezio e si schiantasse al suolo, che ogni trave cedesse e il palco crollasse com'era già crollato, ma stavolta dalla parte giusta. Sognava che ogni luce esplodesse e il sipario prendesse fuoco, un fuoco talmente forte e cattivo che nessuno avrebbe saputo estinguerlo. E per un attimo, mentre colpiva e colpiva il viso da statua di Narciso, sentì il boato della folla entrarle nelle arterie e nelle vene, e pensò che forse, forse, se lei fosse stata quel fuoco, la sua gente l'avrebbe seguita mentre radeva al suolo il loro inferno. Allora rise, con sangue sulle nocche e cenere bollente sulle labbra, rise perché lei era un ratto dei ponteggi a cui piaceva mordere e strappare via la carne, e perché in quel momento era pazza e marcia fino al midollo e nessuno poteva fermarla.
Continuò a colpirlo fino a quando il gong non suonò. Solo a quel punto lasciò che la sua testa colpisse il suolo con un tonfo sordo. Non sorrideva più, con le palpebre gonfie e il sangue che gli ruscellava giù dalla fronte e dalle narici, ma il suo sguardo, sotto i capelli fradici di sudore, manteneva ancora intatto tutto il disprezzo. Ma in quel momento, non le importava che lui la considerasse una dea o uno scarafaggio. Gli afferrò il mento in modo che la vedesse per bene.
"Non penso che prenderò le tue scarpe, alla fine." Disse. "Puzzano di ipocrita."
Lui le sputò in faccia un grumo di saliva sanguinolenta, troppo esausto per parlare.
Si alzò senza guardare nè lui nè la giuria e si avviò verso l'uscita. Non aveva bisogno di vederli per sapere che Milo era senza parole dall'orrore e che Iskandar non diceva niente, ma che gli angoli della sua bocca si erano impercettibilmente alzati. Il mozzicone di sigaretta cadde a terra, ma non ne aveva più bisogno.
Emerse dalla Buca aiutata dal pubblico, come un'eroina, una celebrità. Tremava, perché c'era un'idea che le scorreva nelle vene come fuoco.
Forse, in fondo, essere violenta le piaceva davvero.
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