Il nastro
Ciao. Questo qui diventa un libro di oneshots perché sì. Mi piace scriverle.
Anyway.
Questo racconto è stato scritto per il mio professore di arte che ci aveva chiesto durante l'anno di portargli un progetto di qualsiasi tipo, bastava che fosse su qualcosa che ci appassionasse. Ne sono uscite fuori queste 4000 parole, ma dal momento che l'ha letto solo lui e due mie amiche mi sembrava bruttino lasciarla a marcire tra le bozze di Google doc. Quindi eccoci qui. Se mi sta leggendo prof, salve.
Ho preso ispirazione da una leggenda del paese di mia madre, non vi dico quale. Scopritevelo da soli.
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Il villaggio più vicino al cielo del mondo è su una montagna sulla quale nessuno interessa salire, perché è troppo alta e sulla quale ormai non c’è niente che valga la pena vedere, solo rocce, alberi nodosi e un gruppo di case che sembrano essere fatte della stessa materia di cui è fatta la montagna stessa: piccole e buie, sembrano grotte. Qui la notte si rifugiano gli abitanti del villaggio. Su di loro non c’è molto da dire. Non parlano molto, e non ridono spesso. Sono seri, posati, vestono sempre di nero o di colori scuri, gli uomini con giubbe pesanti, le donne con lunghe gonne e fazzoletti attorno alla testa. Vivono semplicemente, lavorano, portano a pascolare il bestiame, si occupano dei loro figli e pregano insieme nella loro piccola chiesa. Una vita sempre uguale. Ma a loro va bene così. Non conoscono il mondo esterno, perché è difficile scendere dalla montagna. Tutti conoscono tutti. Sono come piccole formiche operaie, e il villaggio è come un unico, grande organismo composto da tante parti, in cui nessuno ha importanza da solo, ma solo in compagnia degli altri.
Gli abitanti ora sono pochi, ma un tempo il villaggio era più grande e prosperoso, più pieno di vita. Ora se ne sono andati in molti. Per via delle frane, che hanno ucciso molte persone, per via della povertà, o semplicemente perché il mondo è grande, e c’erano posti migliori di quel villaggio. Quelli che erano rimasti erano più cupi ora, e preferivano stare vicini al villaggio piuttosto che esplorare la foresta come avevano fatto i loro antenati. Anche perché non era un mistero che la montagna, per quanto non più come un tempo, fosse ben strana.
C’era una regola ferrea tra le persone del villaggio: mai raccogliere qualcosa che era caduto dalle cime più alte. Poteva essere sconosciuto, quindi pericoloso. Questa regola era stata scritta prima che il nonno dell’abitante più anziano nascesse, e ormai veniva seguita senza farsi domande. Probabilmente doveva essere successo qualcosa, in passato. Qualche incidente che aveva fatto paura agli abitanti del luogo, ormai dimenticato. Meglio essere prudenti. Meglio non fidarsi troppo della montagna, perché è grande, sconosciuta e piena di pericoli. Meglio restare al sicuro.
Un giorno, successe un fatto strano. Un gruppo di bambine, mentre giocavano nello spazio dietro le ultime case del villaggio, ai margini della foresta, videro qualcosa che non avevano mai visto da quelle parti. Da sotto un cespuglio spuntava una striscia azzurra, di un colore carico e vivo che nessuna di loro aveva mai visto. Incuriosite, strapparono un po’ di foglie e rami, e scoprirono che si trattava di un nastro. Era una striscia di tessuto lunghissima, che terminava con l’estremità che avevano trovato, ma di cui non si poteva vedere l’inizio, dal momento che il nastro proseguiva fino a sparire nel folto degli alberi. Era fatto di un materiale morbido e liscio, molto diverso dalla lana ruvida alla quale erano abituate, e le pieghe lucide del tessuto creavano riflessi chiari. Osservandolo controluce, quel nastro sembrava un ritaglio di cielo azzurro coperto da nuvole evanescenti simili a fumo.
Le bambine seguirono il nastro per un po’, ma per quanto si addentrassero nel folto del bosco, non riuscivano a trovarne l’altra estremità. Infine, scoraggiate, tornarono indietro a mostrare a tutti cosa avevano trovato.
Al calare del sole, il consiglio del villaggio era raggruppato al limite della foresta, osservando con sospetto quella striscia azzurra comparsa dal nulla.
“Siete sicuri che non sia di nessun abitante del villaggio?” Chiese un vecchio, sospettoso.
“Ovviamente, chi vuoi che possieda una cosa del genere, qui? Come avrebbe potuto confezionare un tessuto così bello?” Brontolò sua moglie.
“Ma allora, chi lo ha tessuto?” Chiese un uomo.
“E da dove parte?” Chiese un altro.
“E perché è così lungo?” Chiese una ragazza.
“Pensate che ci porterà da qualche parte, se lo seguiamo?” Bisbigliò un giovane.
“Cosa vuoi che ci sia, in quella direzione? Solo alberi, altri alberi e dopo rocce su cui non possiamo arrampicarci.” Ribatté una donna avanti con gli anni.
“Ma allora, cosa c’è dall’altro capo?”
Sugli abitanti del villaggio calò il silenzio, interrotto solo dallo scoppiettare delle loro torce. Anche se alla sola luce delle fiamme, il nastro appariva di un colore così lucente da far male agli occhi, quasi a volergli fare un dispetto.
E all’improvviso, si mosse. Come se qualcosa lo avesse spinto dall’interno, un capo del nastro si sollevò in aria simile alla testa di un serpente, si piegò all'indietro, arricciandosi, arrotolandosi su sè stesso sotto lo sguardo stupefatto degli abitanti del villaggio. Poi, di colpo, ricadde di botto sul terreno, come se non fosse mai successo nulla.
Uomini, donne e vecchi si guardarono, come se avessero appena visto un fantasma.
Nei giorni successivi, il nastro sparì da sotto il cespuglio. Inizialmente gli abitanti pensarono che chiunque lo avesse fatto rotolare giù dalla montagna se lo fosse ripreso, e ne furono sollevati. Ma qualche giorno dopo, l'estremità del nastro era arrotolata attorno al cancello dell’ovile, e proseguiva fino a scomparire nel bosco vicino. L’indomani, una famiglia lo ritrovò a penzolare dall’architrave del portone della loro casa. Il giorno dopo ancora, svettava dalla cima della chiesa, legato al crocifisso, come una banderuola. Nei giorni successivi, le cose presero a peggiorare ulteriormente. Gli abitanti lo ritrovavano negli angoli più impensati del villaggio: sotto le stuoie, tra i rami degli alberi, accanto agli attrezzi, in mezzo alle braci del focolare, persino nelle culle dei bambini. In più il nastro, oltre a spostarsi misteriosamente nel corso della notte, cominciò a muoversi davanti agli occhi di tutti, avvolgendosi scherzosamente attorno ai loro polsi e caviglie, per attirare la loro attenzione, oppure svolazzando davanti ai loro occhi, come un serpentello dispettoso.
Se all’inizio gli abitanti del villaggio avevano reagito con sconcerto e preoccupazione, ora erano chiaramente infastiditi da quel pezzo di stoffa troppo vivace. Iniziavano ad abituarsi alla sua presenza. Lo strappavano via a forza quando cercava di aggrapparsi a loro, lo prendevano a calci se lo vedevano, qualcuno cercò perfino di dargli fuoco.
Ma quello restava lì, sempre più fastidioso. Provarono di tutto, a tagliarlo, a metterci sopra dei pesi per non farlo muovere, a incenerirlo, ma niente sembrava danneggiarlo a lungo, né fargli venire voglia di lasciare il villaggio. Anzi, più il tempo passava e poi diventava audace. A due settimane dalla sua prima apparizione, cominciò a cercare di trascinare uomini, donne e bambini in direzione della foresta. Fortunatamente tutte le prede riuscirono a liberarsi in tempo. Il consiglio del villaggio era preoccupato: prima o poi avrebbero potuto perdere qualcuno. Guardavano impotenti il loro villaggio, ricordandosi delle storie dei loro anziani, dei tempi in cui era grande, felice, ricco e pieno di uomini, i tempi in cui c’erano ancora viaggiatori che si arrampicavano sulla loro montagna per vedere com’era fatto il mondo da là sopra, i tempi in cui c’erano alberi da frutto e non solo terra arida e sassi, i tempi in cui i bambini giocavano ancora in piazza e si preparavano dolci per le feste. Ma questo, il villaggio spoglio e vuoto, era tutto quello che conoscevano. E in un posto del genere non c’era spazio per nastri magici che portavano verso l’ignoto. Nessuno li avrebbe seguiti.
Fino a che, un giorno, una bambina si incamminò su per il sentiero che portava alla montagna. Non aveva intenzione di allontanarsi troppo dal villaggio: voleva solo raccogliere dei frutti, o dei funghi, o qualsiasi cosa le avesse riempito la pancia. Ma ovunque cercasse, trovava sempre gli stessi alberi grigi e scheletrici, simili a bambini che non avevano mai preso abbastanza sole, terra polverosa e sassi. Era molto difficile immaginare che ci fosse una singola cosa viva in quella foresta. Delusa, mentre si accingeva a tornare verso casa, la bambina sentì un suono. Era un piagnucolio lieve ma insistente, sembrava il pianto di un bambino. Immediatamente, pensò che un bimbo del villaggio si fosse perso, e corse verso il suono, rischiando di inciampare in quelle radici simili a pietra. Ma, con sua grande sorpresa, trovò solo il nastro azzurro, steso per terra come al solito. Nessun bambino, né nessun altro oggetto che potesse emettere quel pianto. Eppure veniva chiaramente da quel punto. Osservò la striscia color del cielo, riflettendo. Il nastro… piangeva? Era bizzarro, certo, ma non era la cosa più strana che il nastro avesse fatto in quelle settimane. Sì, il nastro piangeva, come se fosse stato una persona, e per quanto probabilmente sarebbe stato saggio fuggire via, la bambina non provò paura. Solo, sentì una grande pena per quel guaito così patetico, e la consapevolezza che, qualsiasi cosa fosse, non le avrebbe fatto del male. Così, senza pensarci su troppo, si incamminò nella direzione opposta del villaggio, e seguì il nastro. Nessuno, prima di lei, aveva osato farlo.
La strada era ripida e stretta, e rischiò di cadere molte volte. Camminò a lungo. Più andava avanti, più gli alberi si facevano allungati, lisci e grigi, e i loro rami sottili, appuntiti e tesi verso l’alto. E più proseguiva, più il piagnucolio si faceva intenso. Iniziava a diventare fastidioso. Con una smorfia, la bambina si tappò le orecchie, e proseguì per la sua strada. Non sapeva da quanto tempo stesse camminando, ma il pianto era un rumore insopportabile ormai, una cacofonia senza senso che le straziava le orecchie, e l’unico pensiero che riusciva a formulare era che doveva far cessare quel frastuono. Anche se ogni tanto pensava che le sarebbe piaciuto tornare indietro, continuò a camminare. Sentiva di avere un compito da svolgere.
Continuò a camminare per minuti, forse ore, fino a quando non giunse a una radura. Il sole stava tramontando, il cielo era dorato e violetto, e per quanto fosse acceso il colore del nastro, distinguerlo diventava sempre più difficile. Per questo quando il nastro, all’ingresso dalla radura, iniziò a inclinarsi verso l’alto al di sopra del terreno, la bambina quasi lo scambiò per la fronda di un albero. Poi si accorse che era il suo nastro, che immaginò si fosse incastrato tra i rami di un albero, dal quale poi ricadeva dall’altra parte e spariva nel folto del bosco. Avrebbe proseguito dritta per la sua strada, ma ascoltando con più attenzione, notò che il piagnisteo che sentiva da ore proveniva con più insistenza da sopra di lei. Sembrava che qualunque fosse la cosa che stesse piangendo, si trovasse proprio sopra la sua testa. Con la coda dell’occhio, notò il movimento del nastro che pendeva dall’albero: sembrava che qualcuno lo stesse tirando.
Non esitò neanche un attimo: si rimboccò la gonna e si arrampicò su per l’albero. Il pianto ormai era disperato e assordante, e per un attimo pensò davvero che tra i rami avrebbe trovato un bambino in lacrime. Ma quando arrivò nel punto in cui pensava si fosse impigliato il ramo, sobbalzò dalla sorpresa, e quasi cadde dall’albero. Sopra un ramo simile a pietra, si riusciva a distinguere un piccolo oggetto simile a una sfera, ma coperto di strani bozzi. Si dibatteva con veemenza, e produceva lo stesso pianto insopportabile che conosceva bene. Ma la bambina aveva capito subito di cosa si trattava. Quando tirò il filo, l’oggetto si mosse verso di lei, come se fosse legato ad esso. Il nastro doveva essersi annodato, più volte, così tante che il nodo prodotto era talmente grande da essere grande come il suo pugno. Se lo rigirò tra le mani più volte, cercando di trovare un indizio dell’inizio e della fine del nodo, non riuscendoci. Per tutta risposta, il nastro emise dei singhiozzi ancora più acuti. Voleva essere sciolto.
La bambina provò a tirare, a stringere, a incastrare le dita in mezzo alla stoffa soffice, ma tutto fu inutile: quel nodo era impossibile da sciogliere. Quando se lo lasciò cadere in grembo, impotente, il nastro cominciò a strillare, quasi avesse capito che non sarebbe stato sciolto. La bambina si tappò di nuovo le orecchie.
“Stai zitto, per favore, stai zitto!” Gridò. Ma il pianto non cessava.
Stava per lanciarlo via e mettersi a correre verso casa, quando l’occhio le cadde sui ramoscelli spezzati dell’albero, caduti su un incrocio dei rami. Quegli alberi così strani e secchi, che sembravano fatti di roccia, avevano rami sottili, duri … e quando li prese in mano si accorse che erano taglienti al punto giusto. Senza pensarci due volte, afferrò quello che le sembrava più adatto e iniziò a tagliare la stoffa azzurra, tranciando di netto nei punti in cui incontrava resistenza. Più tagliava, e più il pianto diminuiva, finché non si ritrovò con un nastro tagliuzzato in ogni mano. Era la prima che era riuscita a spezzarlo in due.
Il nastro a destra, la direzione che avrebbe dovuto prendere per tornare al villaggio, restò fermo. Invece quello a sinistra, verso il sentiero che la avrebbe portata su per la montagna, si divincolò improvvisamente nel suo pugno. Colta alla sprovvista, la bambina non riuscì a fermarlo. Il nastro si liberò dalla sua presa e, come se una mano invisibile lo avesse improvvisamente riavvolto, sfrecciò via e sparì in mezzo agli alberi.
“Aspetta!” Gridò la bambina, anche se il nastro non poteva sentirla. Scese dall’albero e cominciò a correre nella direzione in cui era scappato, dimenticandosi dell’altro nastro. Si inoltrò presto nella foresta, ma ormai il sole era tramontato e il cielo stava passando da dorato a blu scuro. Non c’era traccia del nastro, e ogni angolo del bosco le sembrava uguale, con alberi sempre più allungati e spettrali.
“Torna qui!” Urlava, ma le rispose solo il silenzio. Non sentiva un suono, neanche di quelli normali, che ci sarebbe potuti aspettare da una foresta normale, come il rumore degli insetti, i versi degli animali o il frusciare delle foglie al vento.
No, solo il silenzio.
Non era un silenzio minaccioso, sembrava solo vuoto.
Camminò molto.
Camminò per ore.
E non ci mise molto a capire di essersi persa. Quando fu stanca, si sedette sotto un albero e appoggiò il mento alle ginocchia. Non aveva paura, perché lì non c’era niente di cui aver paura, ma era delusa per non essere riuscita ad andare avanti. Si guardò intorno, anche se ormai riusciva a malapena a distinguere i contorni delle cose. La foresta era sempre stata così?, si chiedeva, c’era mai stata un’epoca in cui era come la raccontavano gli adulti? La sua testa ormai penzolava, e stava per addormentarsi, esausta com’era.
Ma poi, vide una luce a poca distanza da lei, e si alzò stropicciandosi gli occhi. Era azzurrina e vivida, e sembrava fluttuare a mezz’aria. Presto arrivò vicina a lei, e capì di cosa si trattava. Come se fosse un serpente lungo e flessuoso, la metà del nastro che si era lasciata alle spalle era tornata da lei, sospesa per aria e brillando di luce propria. Si avvicinò a lei, sfiorandola e attorcigliandosi per qualche secondo attorno al suo polso, come a farle capire che doveva seguirlo, e poi proseguì per la sua strada. La bambina, stropicciandosi gli occhi dal sonno, si affrettò dietro di lui.
Ricominciò a camminare, stavolta accompagnata dalla luce. Si stupì di quanto poco la foresta ormai assomigliasse a una foresta. Gli alberi non sembravano più neanche alberi, parevano quasi disegni fatti da un bambino, alti ma sottili e dall’aria fragile, con rami molto più grandi del tronco, come se fossero braccia rivolte in preghiera verso quella cima verso la quale si stava dirigendo, che appariva di minuto in minuto più vicina.
A un certo punto, il nastro si fermò davanti a una parete rocciosa, e la bambina capì che era arrivato il momento di arrampicarsi. Il nastro le mostrava i punti migliori in cui poggiare le mani e i piedi. Ormai la bambina aveva capito che la loro destinazione era la cima della montagna. Non poteva che essere curiosa: era un posto che nessuno al villaggio aveva mai visto. A un certo punto, si accorse che vedere i suoi appigli diventava a mano a mano più semplice, perché tutto si stava illuminando. Si voltò, solo per vedere il sole spuntare da sopra la vetta delle montagne. Era l’alba. Aveva trascorso sulla montagna l’intera notte, anche se non le sembrava che fosse trascorso così tanto tempo. Per la prima volta, ripensò al villaggio, alle persone che aveva lasciato, e le sembrò come un’altra vita. Ignorò il pensiero e continuò a salire, per quanto le facessero male le gambe e le braccia.
Alla fine, quando ormai il sole illuminava tutta la parete e il cielo sopra di lei era diventato di un celeste leggero, la bambina arrivò alla fine della sua scalata. Aveva finalmente raggiunto la cima. Quando si issò sulla superficie rocciosa sopra di lei, il nastro fece una capriola per aria, e la bambina gli rivolse un sorriso esausto. Aveva l’impressione che tra poco i suoi arti si sarebbero staccati dal suo corpo.
Si guardò intorno. La cima della montagna era pianeggiante, con l’eccezione di qualche cumulo di rocce sui bordi. Le pietre erano tutte dello stesso colore grigio scuro, tutte uguali. Era solo una distesa rocciosa e desolata.
La bambina sospirò, un po’ delusa. Si era aspettata qualcosa di più. Il nastro continuava a galleggiare nell’aria, sempre dello stesso colore vivace. Non sembrava avere nient’altro da mostrarle. Perché aveva voluto portarla lì? Non sapendo cos’altro fare, si avvicinò al bordo, aspettandosi di vedere solo un’ altra parete rocciosa e una foresta pietrificata, quello che era abituata a vedere da tutta la vita.
Invece, quasi cadde dal precipizio dalla sorpresa. Non aveva mai visto il mondo fuori dal suo villaggio. Non aveva mai visto il colore verde acceso degli alberi, quelli veri, non aveva mai visto un fiume, non aveva mai visto l’immensa distesa che ora le si apriva davanti agli occhi. Non aveva mai pensato che il mondo potesse essere così grande. Restò lì in piedi per qualche secondo, guardando il paesaggio.
“Mi hai riportato il mio nastro, vedo.” Disse una voce gracchiante.
La bambina si voltò di scatto. Non aveva visto nessuno quando prima era arrivata sulla montagna. Infatti, non vide nessuno.
“Sono qui, sciocca.” Disse la voce.
Uno dei cumuli di pietre si mosse. Poi, la roccia si divise in due, e una delle due metà sembrò curvarsi, piegarsi e poi allungarsi, come se si stesse stiracchiando. A dire la verità, era una roccia molto particolare. Avvicinandosi, la bambina riuscì a distinguere delle braccia, delle gambe dei lunghissimi capelli e un viso straordinariamente rugoso. Era una vecchia fatta di pietra, accovacciata per terra.
“Che cos’hai da guardare?” Chiese digrignando i suoi denti di pietra.
La bambina abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, intimorita.
“Chi sei?” Chiese.
La donna rise, un suono basso e aspro.
“Non insegnano più neanche ai bambini chi sono, vero?” Disse amaramente tra sè e sè. “Sono tua madre, bambina.” Le rispose poi.
“Mia madre?! Ma mia madre abita giù al villaggio!” Esclamò la bambina.
“Tua madre, la madre di tua madre, e di tuo padre, e dei tuoi fratelli, e di ogni persona che abita nel villaggio, la madre degli alberi, delle rocce e di tutta la montagna. Ma voi non vi ricordate neanche il mio nome, ormai.” La vecchia sospirò, e le rivolse uno sguardo torvo. “E come se non bastasse, ci avete messo fin troppo tempo a riportarmi il mio povero nastro.”
Il nastro, che le si era avvicinato, si avvolse attorno alle sue spalle e rimase lì, docile. La donna osservò la sua estremità sfilacciata. “Ma tu dimmi che bisogno c’era di tagliarlo. Anche se è vero che ha fatto davvero una pessima cosa ad arrotolarsi così su sé stesso. “ Si alzò in piedi, con uno scricchiolio pauroso. “Ora devo ripararlo.”
“Ma tu quindi chi sei?” Chiese di nuovo la bambina.
“Ma quante domande! Non ho un nome, se è questo che ti interessa. Sono la montagna, e basta. Il suo spirito, se vuoi chiamarlo così.” Disse la vecchia, senza degnarla di uno sguardo, continuando ad esaminare il nastro spezzato.
“E a cosa ti serve quello?” Chiese la bambina, indicando il nastro attorno alle spalle della donna.
Questa non rispose. Ora guardava il cielo. Seguendo il suo sguardo, la bambina vide un punto, nel cielo, che sembrava … agitarsi. Non nel senso che c’erano delle nuvole. Era come se il cielo fosse una coperta, e sotto la coperta ci fosse qualcosa che si muovesse. E poi, iniziò a vedere la luce. Nel cielo si aprì uno spiraglio di luce bianca, così forte che dovette coprirsi gli occhi. E poi, accadde qualcosa di straordinario. Attorno alla luce, il cielo si aprì, dividendosi in decine di striscioline azzurre, che a loro volta si aprirono in strisce più piccole, come se i vincoli che le tenevano insieme si stessero sciogliendo. Fino a quando furono a centinaia, circondate da quella luce accecante, a fluttuare appese nell’aria. E tutte, tutte, erano identiche in aspetto al nastro che l’aveva portata fin lì.
Era come se qualcuno avesse tessuto il cielo, e ora i fili che lo componevano fossero stati slegati tra di loro.
“Hanno ragione quando dicono che questo è il posto più vicino al cielo del mondo.” Commentò la vecchia di pietra.
La bambina era senza parole.
La donna alzò un braccio, e uno dei nastri azzurri si staccò dal gruppo e fluttuò dolcemente verso di lei. La bambina lo riconobbe immediatamente, per via della sua estremità rovinata: era lo stesso che aveva inseguito nel bosco dopo aver sciolto il nodo, e che aveva perso. La donna di pietra lo prese in mano con delicatezza, e lo sovrappose con la metà che aveva in mano. Per un attimo, il nastro brillò di luce propria, poi restò immobile nella mano della donna, di nuovo intero.
Poi, tutti gli altri nastri si mossero dolcemente, come se avesse soffiato una brezza leggera, in direzione della donna. Facevano un suono morbido e leggero. La donna ne afferrò alcuni, e con agilità iniziò a intrecciarli gli uni con gli altri, a una velocità che la bambina non aveva mai visto da parte di nessun essere umano.
“Quindi il nastro … era il cielo.” Disse la bambina, guardando la donna lavorare.
“Solo un pezzetto di cielo.” La corresse la donna. “è molto raro che scendano sulla terra, ma a volte succede. Solitamente, quando c’è bisogno che qualcosa cambi. E questa montagna è un posto speciale.” Nuovi nastri continuavano ad aggiungersi all’intreccio, sempre più velocemente, ma la donna di pietra non sembrava avere difficoltà.
“Tu … fai tutto questo?” Mormorò la bambina.
“Io? Non solo io. Tutte quelle come me. Che cosa sono le montagne, se non un modo per la terra di restare più vicina al cielo?”
Restarono per qualche secondo in silenzio, poi la donna sollevò lo sguardo dal suo lavoro. I suoi occhi erano dello stesso azzurro intenso del nastro.
“Guarda giù dal precipizio, dalla parte da cui sei arrivata.” Disse. La bambina fece come le aveva detto.
“Ma è … il villaggio! si vede il villaggio!” Esclamò la bambina. “Perché sono tutti così agitati?” chiese poi, corrugando le sopracciglia, vedendo gli abitanti andare su e giù per la piazza nei loro abiti neri, come piccole formiche impazzite.
“Non vedono quello che sto facendo, non preoccuparti. Sono preoccupati per colpa tua.” Disse la donna. “Non so se ti ricordi, ma sei sparita dal pomeriggio di ieri. Hanno passato tutta la notte a cercarti. Pensano che tu sia morta. “
“Mi dispiace.” Disse la bambina, sommersa dal rimorso. “Non volevo che si spaventassero.”
“Ormai il danno è fatto.” Sentenziò la donna di pietra, continuando a intrecciare i nastri. “Perché hai seguito il nastro?”
La bambina esitò. “Penso… perché mi annoiavo. Al villaggio non succede mai nulla, ma il nastro … sembrava importante.”
La vecchia sospirò. “Vedi, hai una qualità che a molti degli abitanti del villaggio manca. Non hai paura dell’ignoto. Gli altri, da quando è successo quell’incidente, anni fa … sembrano così terrorizzati da me.”
“Da una delle frane, vuoi dire?”
“Dalle frane, ma anche dagli animali feroci, da quando hanno paura di perdersi nel bosco … i miei figli non vogliono più avere a che fare con me. Molti se ne sono andati, e quelli che sono rimasti non si muovono più dal loro gruppo di case. Non entrano neanche più nel bosco. Sono diventata più debole, e la terra, le piante e gli animali ne hanno sofferto.”
La donna guardò verso il basso, intristita.
“Penso che questo, prima o poi, diventerà un posto di cui nessuno ha memoria.”
La bambina guardò nella sua stessa direzione, pensosa. “Penso solo che abbiano dimenticato, e che abbiano bisogno di qualcuno che glielo ricordi. Penso che … sono nella foresta proprio in questo momento per cercarmi, vero? Quasi nessuno di loro si è inoltrato nella foresta, prima d’ora. Se ci resteranno per un po’ di tempo, sono sicura che si renderanno conto che tu non sei terribile come pensano.” Disse con voce sottile.
“Forse hai ragione.” Disse la donna di pietra. “Anche se non ho grandi speranze. Forse … il fatto che tu abbia seguito il nastro non è stata una brutta cosa.”
Ora che ascoltava con più attenzione, la bambina sentiva le grida degli uomini che la cercavano, urlando il suo nome.
“è meglio che vada, ora.” Disse.
La vecchia di pietra la guardò, con un’espressione quasi tenera. “Vai, allora.” Disse. “Ma posso darti un modo per arrivare più in fretta.”
I nastri erano stati tutti intrecciati, e il mosaico del cielo era quasi completo. Mancava solo un singolo nastro, che la donna le porse.
“Salta, e tienilo stretto.” Si raccomandò. Rise, vedendo l’espressione sconcertata della bambina. “Tienilo stretto, ti dico, e non succederà nulla di male.”
La bambina prese il nastro tra le mani, e guardò il vuoto sotto di lei. Poi, prima che potesse pentirsene, decise.
“Addio.” Disse alla vecchia di pietra, e saltò.
Saltò, e il vento le schiaffeggiò il viso e le tirò i capelli, mentre scivolava sempre di più giù per il nastro e verso la terra, ridendo e gridando.
Saltò, e mentre cadeva, per un secondo, vide la montagna com’era un tempo, con i suoi alberi grandi, frondosi e vivi, gli animali che correvano tra i cespugli e i ruscelli e gli uccelli che facevano i nidi, e gli uomini che costruivano case, e sorridevano, e ballavano.
Saltò, e atterrò senza farsi neanche un graffio, e giacque a lungo nella terra, supina, guardando il cielo, mentre aspettava che gli uomini la trovassero.
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