ZEBRE E STOCCAFISSI
Non riuscivo a credere che dopo quasi due mesi, ora potevo rivederti. Eri lì, nella mia camera, di fronte a me. Mi guardavi con un misto di compassione, pietà e ilarità. Io ero rimasta fissa ad osservarti, non sapevo che fare, e mi tirai un pizzicotto sul braccio, giusto per vedere se stessi sognando. Ma no, non sognavo. Eri veramente nella mia camera. Tu ti mettesti a ridere di gusto, probabilmente per lo stupore sul mio volto, o per il fatto che indossavo il pigiama rosa e nero di pile con una zebra pelosa in pieno petto che mettevo quando andavo in campeggio per ripararmi meglio dal vento gelido dell'alta montagna. Non facesti nulla di speciale, nemmeno questa volta. Ti avvicinasti a me, pericolosamente, al punto che riuscivo a sentire il tuo respiro, alzasti il braccio e ti sporgesti in avanti per afferrare il cellulare che ancora stringevo tra le mani. Lo allontanasti da me, e lo stesso facesti tu. Posasti quell'oggetto metallico sulla scrivania, e lanciandomi un'ultima occhiata mentre raggiungevi la porta della camera, mi urlasti: "Inizia a vivere per te stessa, non per uno stupido telefono".
E sparisti di nuovo. Probabilmente raggiungesti gli altri che si divertivano, e io ancora una volta, rimasi in camera, a fissare a intermittenza sia la porta che la scrivania, come uno stoccafisso. Ancora una volta ero rimasta interdetta, colpita dall'intensità dei nostri due incontri. Un'intensità che non riuscivo a spiegarmi, visto che a malapena ci eravamo parlati, e non riuscivamo mai nemmeno a beccarci per caso.
Quella notte non riuscii a prendere sonno, per nulla. Un misto di pensieri mi frullavano per la testa. E in cima a quelli di sicuro ci stavano i tuoi occhi blu che mi scrutavano, la tua risata che mi faceva venire la pelle d'oca, i tuoi capelli neri che incorniciavano perfettamente il tuo volto e la tua voce che mi incantava.
Il giorno dopo non avevo la forza di abbandonare le coperte che mi tenevano al riparo da qualsiasi cosa avrei mai potuto trovare al di fuori. Il telefono squillava incessantemente, e io non rispondevo. Non volevo dover dare spiegazioni persino per il fatto di voler restare una mattina a casa, invece che andare in Università. Non riuscivo più a spiegarmi perché improvvisamente tutto stava cambiando sotto i miei occhi. E non sapevo nemmeno se volessi accettare in pieno tutti questi cambiamenti. Avevo paura. Paura di ricominciare, paura di affrontare Ferdinando, paura di amare te.
Avevo sempre letto di amori che nascevano all'improvviso, senza nessun filo logico, ma mai ne avevo provato la sensazione sulla mia pelle. Sapevo che mi stavo prendendo una bella cotta per te, anche se non sapevo nulla, né il nome, né che studiavi, né altro. Eppure sentivo che tu avresti cambiato la mia vita, che l'avresti sconvolta, che mi avresti sconvolta, portandomi oltre i confini di ciò che avevo conosciuto. Sentivo che mi avresti fatto vivere di forti emozioni, me, che avevo cercato di evitarle per tutta la vita, nascondendomi dietro una corazza di ragazza forte e determinata che non ero. Avevo paura di innamorarmi di te, perché sentivo che mi avresti spogliata di tutto ciò che indossavo per tenere il mio cuore al sicuro, ma ero anche certa che non essendo io la protagonista di un film d'amore, non sarebbe finita bene per me. Di sicuro sarebbe successo qualcosa e ti avrei perso.
Avevo paura di perderti ancor prima di averti avuto.
E per fortuna quella mattina non uscii dalla mia camera, altrimenti non avremmo vissuto nulla di quello che invece, fortunatamente, io e te abbiamo avuto.
Ciao a tutti, cosa ne pensate della nostra Rebecca? Si sta agitando, e non poco per il ragazzo della Nutella, come amabilmente qualcuno di voi lo ha soprannominato. :) A giovedì prossimo con un nuovo aggiornamento, e domenica vi presenterò il cast completo di DIARIO DI UN AMORE. Buon post ferragosto. :) Baci, F.
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