1. - La casa "infestata".
L'aurora boreale si estendeva per tutta la vallata norvegese, dipinta completamente di bianco dalla neve invernale, che aveva reso quel posto unico e magico allo stesso tempo; sembrava di essere in un paradiso di luci e giochi di colore, tra le città in fermento e l'arrivo del Natale e dell'anno nuovo.
« Dimmi, come posso continuare a vivere la mia vita e essere felice se tu non sei con me?! »
Le chiese quasi urlando il ragazzo, mentre i suoi occhi dorati tentavano di competere contro quelle iridi azzurro cielo.
« Dovresti essere felice per me!! Dovresti ... Essere dalla mia parte e sostenermi, e invece no! Continui a opporti, opporti a tutto ciò che ho scelto nella mia vita che non metta dentro anche te! Perché?! Perché non la smetti e non mi lasci andare?! »
Lui ci pensò un secondo, mentre la donna lo guardava con una forte determinazione, mentre calde lacrime cariche di quel che sembrava disperazione rigavano il suo viso.
« La risposta è semplice. »
Iniziò a dire quello, che nel frattempo, si avvicinò lentamente e pericolosamente a lei.
« Perché tu DEVI essere MIA e solamente MIA. »
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« Quindi, se ho capito bene » disse sospirando irritata « Sono stata venduta senza il mio consenso come serva a sei fratelli, figli di un politico famoso, di cui nemmeno sapevo l'esistenza fino a qualche minuto fa? »
La suora, che nel frattempo si massaggiava le mani nervosamente, annuì di scatto.
La ragazza che stava di fronte a lei sembrava fosse sul punto di strappare la lettera nel quale le era stata comunicata quell'orribile notizia, ma si trattenne e prese un profondo respiro.
« Sophia, ascolta, noi non – »
« Non avete nulla di cui giustificarvi. »
Scostò leggermente indietro la sua lunga treccia color rosso veneziano, che sfumava in una tonalità più chiara sul ciuffo che copriva un po' il suo occhio destro e alla fine della capigliatura; ciò creava un perfetto contrasto con la sua pelle candida, su cui sembrava fossero state spruzzate tante piccole lentiggini. Ma di certo, il miglior contrasto era con i suoi occhi azzurri, un misto tra il color cielo e quello ghiaccio, che permetteva a qualsiasi persona di incentrarsi su quelle iridi incantate grazie alla grande diversità di colori che il suo viso aveva: da colori caldi estremamente forti, a colori freddi della stessa forza.
Sophia Helga Hågen, quello era il nome della ragazza.
« La colpa non è certamente vostra, ma dei vostri superiori. Nonostante ciò la cosa mi fa comunque imbestialire. »
Lanciò uno sguardo raggelante alla povera donna, la quale deglutì rumorosamente e posò la sua attenzione su di lei.
« È semplicemente inammissibile. Se sono venuta qua, quand'ero ancora praticamente una bambina, fu perché potessi essere protetta e non essere affidata ai soliti orfanotrofi. Non per essere allevata e poi venduta come le bestie. No, non mi sembra affatto che sulla mia fronte ci sia scritto "in vendita". »
La prima volta che venne in quel convento fu quand'era solo una quattordicenne, quasi quindicenne, accompagnata da un assistente sociale. Spiegò che le motivazioni per cui la piccola Sophia non fu affidata a un orfanotrofio fossero particolari e diverse dalle altre: purtroppo aveva perso entrambi i genitori e non le era rimasto nulla, se non quello che aveva potuto portarsi da casa, ciò che indossava e lei stessa; inoltre, qualcuno era alla sua ricerca ed era in pericolo di morte.
Nel tempo in cui stette lì non imparò ad amare Dio, ma l'esatto contrario. Iniziò ad odiare quel credo, non si sentiva a suo agio a stare lì dentro, come una prigione. Le uniche cose positive furono che imparò il latino e qualche cosa di greco.
Per lei fu abbastanza difficile imparare una lingua come quella, poiché le sue basi erano puramente di origine germanica: infatti, lei era nativa norvegese da parte di madre, mentre giapponese da parte di padre. Era una trilingue, sapeva parlare perfettamente norvegese, giapponese e inglese nonostante la sua tenera età, e nel suo periodo di crescita ciò non fece altro che migliorare.
« Sophia, se i nostri superiori hanno fatto una cosa del genere avranno i loro motivi ... »
« Motivi? Mi sembra di buona educazione però parlarne con l'interessato prima di prendere una decisione. Mi avete tolto la libertà. E questo, secondo i regolamenti del vostro carissimo credo, è definito peccato. Non è forse la parabola del buon samaritano a insegnare di aiutare il prossimo?»
Sciolse le gambe accavallate e si alzò con la lettera fra le mani, la piegò in quattro e la mise dentro una borsa.
« Ma di una cosa, devo ammettere che sono felice ... »
Abbozzò un sorriso sulle sue labbra e si voltò verso la suora, la quale inizialmente non colse il motivo della sua felicità.
« ... Almeno me ne andrò finalmente da questo posto. »
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« Dovrebbe essere qui. »
Seguì con lo sguardo una scalinata che portava a una villa, all'apparenza di discrete dimensioni. Le fu difficile averne una chiara visione, poiché l'unica illuminazione che le permetteva di vedere al meglio quell'abitazione era quella di un lampione.
Il tassista l'aveva lasciata molto più indietro, non si era neanche avvicinato alla casa. Sophia fu costretta ad andare a piedi, portandosi dietro il trolley e tenendo in mano l'indirizzo della casa. Chiese a qualcuno che passava di lì se la strada fosse giusta, ma non ottenne risposte soddisfacenti: tutti la guardarono come una pazza, altri le dissero che quella casa fosse infestata da mostri o robe simili. Non volle credere a certe cose e continuò ad andare avanti.
Il buio e il mistero che circondavano la villa però la turbavano un poco: per suo dispiacere era aclufobica e quel posto non l'avrebbe certo aiutata a uscire dalla sua fobia.
Prese un grosso respirò e iniziò a salire la scalinata che portava all'abitazione. Appena arrivò al portone, bussò; aspettò qualche minuto, ma non ci fu nessuna risposta.
Alzò un sopracciglio, poi bussò nuovamente.
Attese ancora, ma ottenne solamente lo stesso risultato.
Nello stesso momento in cui stava per bussare la terza volta, il suono di un tuono la fece sussultare. Si girò per vedere nuvole nere come corvi illuminarsi a causa dei fulmini. Non aveva paura delle tempeste, ma stava per arrivare un acquazzone e se la pioggia fosse caduta nella sua direzione si sarebbe bagnata; inoltre, in quel momento era quasi notte: oltre a bagnarsi si sarebbe congelata.
« Unnskyld (scusate)! Per favore, aprite!»
Sophia allora decise di testare se la porta fosse aperta e, con sua grande sorpresa, lo era. Si affrettò all'interno con la valigia, giusto in tempo: il temporale era appena iniziato.
Si trovò in una sala d'ingresso estremamente buia e tetra, se non fosse stato per due luminari appesi al muro fiocamente accessi e per due candele poste all'inizio dei corrimano di legno, che seguivano la scalinata, che andava poi a dividersi in due diverse direzioni.
Un tappeto rosso partiva dalla porta d'ingresso e seguiva anch'esso la medesima direzione.
Confusa, la ragazza si guardò intorno. La casa avrebbe dovuto essere abitata dato che le illuminazioni, ma era presente un silenzio tale da perforare le orecchie.
« Con permesso ... » disse « ... Ehm. C'è qualcuno? Ehi? »
Le sembrò una cosa sciocca da fare, ma in quel momento fu l'unica soluzione che riuscì a trovare. Non alzò troppo la voce, non voleva disturbare più di quanto non stesse già facendo.
« Ah?! E tu chi dovresti essere?! Che ci fai qui?! »
Una voce di fianco a sé attirò la sua attenzione.
Un ragazzo dai capelli bianchi come la neve con un ciuffo che copriva il suo occhio destro, dalle leggere sfumature rosee verso le punte, osservava corrucciato Sophia, vicino alle scale. La sua pelle era cadaverica e l'unico occhio visibile era rosso rubino, che esaminava in tutto e per tutto l'intrusa, come un detective in cerca di prove.
I due si fissarono, senza che quest'ultima desse una risposta all'altro: era sorpresa per quanto felice.
Felice poiché finalmente aveva l'occasione di vedere anima viva in quella casa quasi spettrale e sorpresa, poiché la sua presenza ai suoi occhi non sembrava essere per niente gradita.
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