22 - il mangiamorte

Tremava, senza riuscire a fermasi, con i pugni serrati su un velluto polveroso che le solleticava i palmi doloranti, mentre sentiva gli incantesimi abbattersi uno dopo l'altro, senza pietà.
Un rumore all'ingresso la fece trasalire, amplificando un terrore che già contorceva ogni millimetro dei suoi nervi tesi.
Si voltò di scatto, Hermione.
Le mani legate, il volto dolorante e la paura insinuata nel respiro.
Si voltò e la vide.
Era ferma sulla porta, con gli occhi attenti, padroni di un coraggio che nemmeno gli anni erano riusciti a cancellare.
La osservò accennare un sorriso, prima di avventurarsi con il peso del suo corpo fragile sulle assi di un pavimento che nel silenzio si resero complici del suo segreto.
Fece un passo verso la battaglia, Minerva McGranitt.
La bacchetta tesa davanti agli occhi.
Quella bacchetta che aveva lottato da sola contro schiere di mangiamorte.
Quella bacchetta che aveva difeso un castello quasi distrutto fino allo stremo delle forze.
Quella bacchetta che aveva già vinto il male una volta, ed era pronta a farlo di nuovo.

Una battaglia fulminea si stava consumando al di là dei loro sguardi, nascosta da un muro pieno di ragnatele vecchie di anni e di crepe apparse prima del tempo.
Minerva si avvicinò ancora, con il passo veloce e sicuro di qualcuno a cui la morte aveva smesso di fare paura.
E fu in quel momento che Hermione vide le luci colorate degli incantesimi scemare nel primo raggio di sole.
Per un attimo gettò uno sguardo terrorizzato negli occhi della vecchia preside, nel quale scorse il dolore e la rabbia per non essere arrivata in tempo.
Pregò, Hermione.
Pregò un dio in cui non aveva mai creduto con tutta la forza della sua fede sfilacciata, perché le concedesse la grazia di veder riemergere dalla cenere l'uomo che amava sopra ogni ragione.
Pregò per poter sentire ancora la sua voce.
Per poter combattere ancora una volta contro i suoi demoni, provando a sconfiggerli.
Trattenne il fiato, Hermione.
Lo trattenne in silenzio, accanto ad una donna che aveva rispolverato senza esitazione gli ultimi barlumi dello splendore di un tempo.
Lo trattenne fino a vedere il suo mantello sbucare dalla porta accanto alla finestra e i suoi capelli neri riprendere il loro aspetto impeccabile con un rapido gesto della mano lasciato scappare con noncuranza.
Ricominciò a respirare quando lo vide, immobile, avvolto dalla sua tenebra eterna che non le era mai sembrata tanto luminosa.
E sorrise, a lui che non rispose.
E alla vita che aveva esaudito le sue preghiere sussurrate in mezzo al terrore.
Lo vide intercettare la presenza di Minerva, ancora ferma con la bacchetta sguainata.
Uno sguardo indecifrabile gli passò sul volto.
Una guerra tra stupore e rabbia gli importunò gli occhi neri per un secondo.
Forse non era abituato a sentirsi protetto, forse non era pronto a vedere qualcuno schierarsi dalla sua parte, a lottare per difenderlo.
O forse, semplicemente, si stava rendendo conto di quanto avventata fosse stata la sua voglia di vendetta.
Per un attimo rimase a fissarla, poi si voltò di scatto.
Le sue pupille nere le mozzarono il respiro, già dolorante per la maledizione che le aveva contorto le viscere.
Lo vide avvicinarsi al letto.
Con un gesto rapido e un incantesimo ancora più fulmineo le liberò i polsi dalla corda malconcia che li teneva prigionieri.
Con un dito le sfiorò il mento, girandole delicatamente il volto per poter osservare i segni lasciati dalla furia del suo rapitore.
Poi la guardò negli occhi.

- "Riesci a camminare?"

Lo disse freddo.
Come sempre.
Lei gli sorrise, rivolgendogli un cenno veloce del capo.
Riusciva a camminare.
Anche se avrebbe solo voluto gettarsi tra le sue braccia e farsi stringere fino a sentire venire meno la capacità di respirare.

- "Allora alzati, velocemente.
Dobbiamo andarcene via di qui!"

Non un'espressione del viso, non un'incrinatura nella voce.
Solo le sue frasi taglienti e gelide che le erano mancate tanto da sentire quasi dolore.
Si alzò dal letto, Hermione.
Le gambe le dolevano, così come la testa e i polsi, costretti per un tempo che le era sembrato troppo lungo.
Minerva le corse incontro.
Con una mano leggera sostenne il suo corpo che sembrava invaso da piccole lame taglienti, penetrate nella carne senza alcuna pietà.
Ci mise un attimo a tenersi in piedi senza aiuto, l'avvocato tutto d'un pezzo.
Ci mise un attimo a cercare il coraggio per muovere un passo, per trovarlo e per seguirlo giù dalle scale che aveva inforcato senza attardarsi.
Lui davanti.
Loro dietro, così come Hermione era sempre stata.
Come tante volte avevano fatto.
Come si erano abituati a fare.
Non una parola.
Non un gesto di comprensione o di conforto.
Quando arrivarono nell'angolo più buio del vicolo che l'aveva vista prigioniera, Severus le prese la mano.
Il contatto con la sua pelle le fece sgorgare dagli occhi tutte le lacrime che aveva trattenuto tra i sibili della paura.
Lacrime che l'oscurità le diede una mano a nascondere.
Il solito strattone all'ombelico, la solita nausea che prese possesso dello stomaco fino a lambirle la gola, e quando riaprì gli occhi si ritrovò sul limitate della foresta proibita, con gli archi rampanti di Hogwarts a fare da quinta ai primi raggi di un sole che provava con tutte le sue forze a far nascere una mattina d'inverno.
Minerva apparve al loro fianco un secondo più tardi.

- "Severus... cosa succede?"

- "Andiamo!"

La vecchia preside fece per parlare, poi trangugiò la saliva, guardandolo negli occhi.
Severus Piton non era mai stato un uomo di grandi parole, ma qualcosa nella sua fretta fece tremare Hermione di paura, ancora una volta.
Si incamminarono sul prato, in silenzio, come sempre.
La rugiada le bagnava le caviglie protette solamente da due tacchi insopportabili e da un paio di calze troppo leggere.
Raggiunsero il castello senza scambiarsi una sola parola, senza lasciarsi scivolare addosso un solo sguardo.
Quando arrivarono nei sotterranei l'odore di casa riuscì ad infonderle quel briciolo di calore che sembrava le fosse stato strappato via nelle ultime terrificanti otto ore.
Severus spalancò la porta del suo studio.
Si tolse il mantello, lanciandolo con un gesto elegante sullo schienale di una sedia abbandonata in mezzo alla stanza.
Poi ne afferrò un'altra, la girò nella sua direzione.
Le fece segno di sedersi.
Con un incantesimo fatto di fretta accese il fuoco nel camino.
Un fuoco tanto forte da illuminare a giorno quasi ogni cosa.
Minerva si avvicinò piano, le prese la mano, mentre lui si dirigeva verso la libreria e afferrava una boccetta verde tra le mille boccette verdi che invadevano i suoi scaffali stracolmi di formule che solo lui era in grado di padroneggiare e di piegare ai suoi desideri.
Le si avvicinò guardandola negli occhi.
Liberò il piccolo contenitore dal tappo di sughero che preservava chissà quale magico intruglio sconosciuto ai maghi ed agli uomini.
Si abbassò piegando le ginocchia, fino a raggiungere il suo viso.
E lei se ne stava lì, immobile, con la mano intrappolata in quella di Minerva, che sembrava aggrapparsi alla sua pelle nel tentativo di assimilare una vittoria alla quale, per un attimo troppo lungo, non si era concessa il lusso di credere.
Stava ferma, Hermione, in balia di quegli occhi neri che custodivano mille meravigliosi segreti.
E non riusciva a parlare.
Le bastava averlo davanti.
Guardarlo mentre la guardava.
Sentire l'odore del suo respiro.
Sentì una sua mano scivolarle sotto al mento, ancora.

- "Posso?"

Le chiese piano.

- "Sì..."

Era appena un sussurro quello che sfuggì dalle labbra di Hermione.
Perché avrebbe solo voluto chiudere gli occhi, e bearsi del calore sublime che le sue dita sulla pelle del viso riuscivano a donarle.
Sentì un liquido freddo colarle sullo zigomo, poi un pizzicore leggero.
Quando lui le passò piano il palmo della mano sulla guancia a lei sembrò quasi che tutti i dolori del mondo fossero andati in pausa per un attimo, così da concederle il tempo di provare ad imprimere la sensazione dei suoi polpastrelli sulla faccia.

- "Passerà in qualche ora."

Le parlò a pochi centimetri dalle labbra.
E lei sorrise, ancora, guardandolo negli occhi.
Lui la trafisse con le sue iridi scure.
Erano immobili, come immobili erano sempre state.
Eppure ad Hermione sembrò di vederci dentro qualcosa di diverso.
Qualcosa di meraviglioso e terrificante allo stesso tempo.

- "Ti ha fatto qualcos'altro?"

Glielo chiese con le dita ancora sulla sua pelle.
Lei scosse la testa mentre, improvvisamente tutto il pericolo, la paura e l'angoscia rimaste sepolte fino a quel momento cominciavano a farlesi strada tra i pensieri che da sconnessi si stavano facendo via via più lucidi.

- "No... lui... mi ha colpita in faccia, ma..."

Fece una pausa, Severus le restava immobile davanti, come se sentisse la necessità di dissetarsi delle sue parole.

- "Mi è sembrato che si stesse imponendo a forza di darmi quello schiaffo, di infliggermi quella cruciatus... io... non lo so..."

In quel momento un brivido la fece vibrare.
Severus si alzò di scatto.
E lei fece altrettanto, liberandosi dalla presa muta di Minerva.
Non sapeva il perché.
Forse non sopportava più quell'immobilità irreale o forse semplicemente non riusciva più a tollerare di averlo lontano.
Lo vide prendere il mantello dalla sedia accanto al camino, voltarsi, affondare gli occhi nei suoi.
E poi lo fece, l'uomo di ghiaccio.
Con un gesto incapace di mantenere il segreto che gli infuriava tra l'anima e la gola, lasciando scorgere un fremito nelle mani che non avrebbe voluto abbandonare in balia del suo sguardo.
La stoffa nera le cinse le spalle, satura di profumo di muschio ed incenso, avvolgendola per un attimo tra quelle braccia che avrebbero saputo riscaldarla più di qualsiasi fuoco.
Minerva la raggiunse alle spalle.
Hermione avvertiva la sua inquietudine nel sentirsi di troppo.
Non era mai stata una stupida, la preside di Hogwarts.
Non era mai stata poco attenta.
Ma in quel momento qualcosa di più forte delle sue riserve le premeva nel petto, impedendole di allontanarsi da quel sotterraneo buio e di concedere ad un amore nato tra le ceneri di una vita sbagliata, il tempo di ritrovarsi.
Hermione avvertì la sua voce spezzare il silenzio, superandole la spalla ed andandosi ad infrangere negli occhi di Severus Piton che cercavano invano una scusa per staccarsi dai suoi.

- "Perché un mangiamorte avrebbe dovuto farsi qualche remora a colpirla, Severus?"

Il mago senza sogni rimase in silenzio per un istante.
Le palpebre gonfie di tutto quello che tentava invano di uscirgli dalle labbra, trovando una strada inconsapevole nelle sue iridi nere piene di fiamme.
E poi parlò.
Di colpo, senza un preavviso, come solo lui era in grado di fare.
E per un attimo sembrò che anche il vento dell'inverno trattenesse il respiro, smettendo di importunare le pietre di un castello sopravvissuto all'orrore.

- "Perché quello non era un mangiamorte..."

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