13 - le segrete
Camminava piano.
La bacchetta puntata sulla schiena dell'ennesimo mostro finalmente in catene, mentre risaliva il pendio coperto di brina che anticipava il castello accarezzato dalla nebbia.
L'alba era ormai lontana, così come lo erano la scogliera, il vento, la sabbia... e le labbra di lei.
Così solerti nel rivelargli che non lo avrebbe lasciato morire.
Così mute mentre si aprivano in un sorriso concesso con una facilità che, per la prima volta in vita sua, gli sarebbe piaciuto riuscire a trovare.
Crabble si muoveva con scatti scoordinati, mentre le manette che gli aveva chiuso magicamente intorno ai polsi tintinnavano al suono delle sua rabbia.
Le vecchie prigioni di Hogwarts avrebbero accolto la sua follia per le prossime ore, prima di vederla trasferita in una delle celle dalle quali era riuscito a scappare per tutta la vita.
Vide Hermione tremare impercettibilmente al suo ennesimo scossone furibondo.
- "Non si libera, Granger. Puoi smetterla di sobbalzare ad ogni suo movimento..."
Glielo disse con stizza e con un disprezzo che si costrinse a trovare da qualche parte, nelle pieghe logore di un personaggio che era stufo di interpretare.
Senza essere capace di non farlo.
Perché era furioso, Severus Piton.
Era incazzato con se stesso, fino a sentire l'impulso di prendersi a sberle nel bel mezzo di quel prato gelato.
Ed era imbestialito perché, nonostante ogni suo sforzo, continuava a pregare che lei gli prendesse la mano, che la stringesse, che trovasse conforto dalla paura proprio nella sua pelle diafana ed estranea a qualsiasi calore.
Aveva pensato per tutta la vita che interpretare il cattivo fosse difficile.
Non aveva calcolato quanto potesse essere impossibile interpretarlo, quando per qualcuno si rappresentava un rifugio dalla paura.
Quando ci si doveva travestire da mostro davanti a chi, in lui, aveva visto qualcuno in cui credere.
Ed era la prima volta.
Oh, in molti si erano fidati di lui, ma in modo diverso.
A nessuno di loro aveva letto negli occhi il terrore della perdita.
A nessuno aveva visto sulle labbra il desiderio represso a fatica di impedirgli di andare.
In nessuno aveva sbirciato la voglia di restargli accanto.
E quell'avvocato strizzato in un paio malconcio di jeans da ragazzina, ce lo aveva invece tatuato nello sguardo.
E impresso sulle labbra.
Quando varcarono la porta del castello si rese conto di aver smesso di respirare.
L'aria che sapeva di cenere gli entrò nei polmoni, facendogli quasi male.
- "Vado ad avvertire Minerva. Lei lo porti di sotto. Chiameremo il Ministero non appena lo avremo messo in sicurezza nelle segrete!"
Glielo disse di fretta, Hermione.
Era determinata.
E aveva quella fottuta luce negli occhi.
La vide sparire su dalle scale correndo, con i ricci che le prendevano a schiaffi le spalle, per poi confondersi con la luce delle fiaccole del grande corridoio.
Pensava che si sarebbe sentito libero, senza lei accanto a mettergli in discussione anni di autoconvincimento e di disciplina.
Pensava che avrebbe potuto tornare ad affogarsi nell'infelicità che ormai lo faceva sentire sicuro.
E invece, improvvisamente si sentì di nuovo solo.
Senza una donna travestita da ragazzina a ricordargli che, sotto la casacca nera, c'era ancora un uomo capace di lasciar battere un cuore, e di far vibrare la pelle.
Quando raggiunse lo studio di Minerva in cima alla torre la trovò seduta ad attenderlo, incastrata in una poltroncina dai braccioli di velluto consunto, mentre stringeva al petto una busta di carta spiegazzata.
- "Oh eccoti, Severus!
Ci sono novità..."
La voce di Minerva vibrò per un attimo tra i raggi di un sole ancora timido.
Era un uomo che odiava le novità, e non era mai riuscito a capire come facessero a generare tanto entusiasmo nella gente.
Forse perché a lui, le novità, avevano sempre riservato sorprese scomode o ricordi che non avrebbe mai potuto dimenticare.
E quella lettera che Hermione stringeva tra le mani rappresentava una nuova incognita da dover affrontare.
- "Crabbe è nelle segrete, al sicuro. Se la scuola esplodesse lui rimarrebbe ancorato a quella grata di ferro...quindi direi che possiamo chiamare il Ministero e farci mandare qualche brillante auror che lo scorti fino alla sua cella di Azkaban...
Magari potresti sentire il tuo amichetto con gli occhiali, Granger!"
Lo disse con il suo tono gelido, quello di sempre, quello capace di tenere il mondo a distanza, di creare un diversivo in grado di nasconderlo.
E fu in quel momento che la vide voltarsi.
Aveva gli occhi rossi, tesi nello sforzo di non concedersi la debolezza di piangere.
Se li sentì addosso come le tracce di uno zucchero filato che ti si appiccica sulla pelle, senza possibilità alcuna di difendersi dal suo invincibile potere collante e dolciastro.
Stringeva quel pezzo di carta come se avesse voluto distruggerlo sotto la pressione delle dita.
- "Il tribunale le manderà un altro vigilante..."
Fece una pausa.
Lui sentì le saliva bruciargli la gola.
Deglutì a fatica.
Vide una risata amara disegnarsi sulle labbra di quella fastidiosa ragazzina che aveva cominciato a considerare indispensabile.
- "Dicono che è troppo pericoloso. Che io sono un avvocato e il mio compito sarà quello di difenderla in tribunale, professore.
Fino ad allora avrà qualcun altro a prendersi la responsabilità dei suoi spostamenti..."
Un'altra pausa.
I suoi occhi marroni un po' troppo grandi lo trafissero senza pietà.
- "In questa lettera chiedono se lei è disponibile a fare un cambio..."
La vide serrare le labbra, poi riaprirle cercando di parlare.
E infine la osservò mentre ingoiava una frase che non avrebbe lasciato uscire.
Gli occhi sempre puntati nei suoi, alla spasmodica ricerca della forza di chiederglielo.
Perché lui leggeva quella richiesta nel suo silenzio.
La leggeva meglio di come avrebbe fatto se se la fosse trovata scritta davanti.
Eppure rimase in silenzio.
- "Le manderanno McLannet...un ragazzino del mio ufficio che ha appena finito la pratica e sta aspettando l'esito del risultato per l'ammissione all'ordine.
È abbastanza sveglio e sicuramente meno petulante di me...forse un po' caotico ma..."
Non la ascoltava, Severus Piton.
O forse non voleva ascoltarla.
Mentre lei si rifugiava, come un tempo, in una parlantina senza freni che avrebbe dovuto difenderla, e che probabilmente non ne era più capace.
Minerva restava in silenzio, con scolpita nelle iridi grigie una consapevolezza che gli diede fastidio.
Maledetta vecchia strega!
Lei, il suo sguardo indagatore e la sua capacità ereditata da Albus di leggergli i pensieri più di quanto lui avrebbe voluto concederle.
Ma Severus Piton sapeva fare bene una cosa, una soltanto.
Fingere.
E allora finse.
Perché era un rifugio da qualcosa che lo spaventava più di un passato ormai relegato nelle pieghe del tempo.
Era il futuro, era lei, ed era lui al suo fianco.
Ed aveva paura.
- "Fammi mandare chi vuoi, Granger... ritengo difficile che possa essere peggiore di te!"
Ecco, lo aveva detto.
Il mangiamorte aveva abortito l'uomo, ancora una volta.
Vide gli occhi di Hermione riempirsi di lacrime.
E vide la sua rabbia per non essere stata in grado di fermarle.
Poi la sentì alzarsi dalla sedia, concedendo alle vecchie gambe tarlate un cigolio sinistro sul pavimento di legno.
- "Molto bene professore, ecco le sue carte. Arrivederci!"
Aveva la voce che tramava appena, mentre con le dita si ostinava a sistemare i capelli dietro ad un orecchio a cui non volevano in nessun modo stare aggrappati.
Le sfilò la busta dalle mani senza più guardarla negli occhi.
Perché era un uomo forte, lo era sempre stato.
Ma forse affrontare il male era più facile che affrontare lei, che di male non aveva proprio niente.
Per un attimo le sfiorò la pelle dei polpastrelli.
Lei restò immobile.
In attesa di un qualsiasi gesto che legittimasse quel desiderio di restare nel castello, al suo fianco, senza la maschera da avvocato e da donna perfetta, ma solo con tutti i difetti di una Hermione che aveva dovuto abbandonare sul ciglio della strada tanti anni prima.
- "Arrivederci...avvocato!"
Fu tutto quello che gli uscì dalle labbra.
La vide allontanarsi, impotente, prigioniero della sua stessa debolezza.
La osservò fare un cenno del capo a Minerva, in un saluto lasciato scappare di fretta.
E Severus Piton avvertì per la prima volta, dopo molti anni, la voglia di piangere, senza più essere capace di farlo.
La vide prendere il suo giaccone verde scuro dalla sedia, buttarselo addosso con una foga dettata dalla voglia di scappare.
E poi la vide sparire al di là della porta, senza più dire una sola parola.
Strinse le mani per un attimo, conficcandosi le unghie nella carne dei palmi.
Tutto quello che il suo travestimento da uomo senz'anima sapeva concedergli.
- "Potevi dirle di restare, Severus..."
La voce di Minerva frustò il silenzio.
E frustò anche il suo respiro.
Ripescò in fondo all'arsenale che da anni si portava dietro l'espressione più sorpresa che riuscì a trovare.
- "Non vedo perché avrei dovuto far..."
- "Oh andiamo, Severus! Sono troppo vecchia per farmi fregare dalla tua maschera di cera...
Ti bastava chiederglielo!
Lei sarebbe rimasta..."
Deglutì ancora una volta, sentendo la gola coperta di sabbia.
- "Non so di cosa tu stia parlando, Minerva..."
- "Lo sai benissimo, Severus!
E forse è ora che tu la smetta di..."
- "Vai a farti fottere, Minerva!
Tu, le tue illazioni assurde, la tua mania malata di salvare tutti...di salvare me.
E vada a farsi fottere anche lei, con quella sua parlantina inarrestabile, con tutte le sue regole del cazzo...e con quei maledetti occhi troppo grandi che..."
Fece un respiro profondo.
Stoppando le parole prima che diventassero più forti della ragione, più forti di lui.
Chiuse le palpebre, cercando una via di fuga dallo sguardo di una donna che lo aveva visto crescere, e alla quale non era più così abile a nascondere i segreti.
E si maledisse per questo.
Maledisse Minerva.
E infine maledisse anche Hermione, per avergli fatto vedere per un attimo che la sua vita avrebbe potuto essere diversa.
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