64. Ciò Che Non Può Essere Messo Da Parte
Sebastiano e Léon avevano concordato che avrebbero pranzato a casa del francese.
Erano passati pochi giorni da quando avevano deciso di "ufficializzare" la loro storia e il più grande non aveva ancora avuto modo di dirlo a sua zia.
Certo, aveva confidato a Seba che sicuramente Lisa aveva capito qualcosa, dato che ultimamente lo guardava con gli occhietti luccicanti e maliziosi, ma voleva essere comunque lui a darle la notizia, e voleva farlo insieme al suo ragazzo.
Per quanto riguardava i suoi genitori, invece, ancora nulla di nuovo all'orizzonte: in quel periodo erano estremamente impegnati con la preparazione delle escursioni da organizzare per Pasqua, che sarebbe arrivata a distanza di un mesetto, e quindi non erano mai in casa.
In compenso aveva parlato con Giorgio, suo fratello, che si era dimostrato ben sollevato nello scoprire che non sarebbe diventato zio a breve.
Entrarono a casa di Léon che era da poco passata l'una, e mentre Sebastiano si spogliava del giaccone e della sciarpa, il più grande si stava già sfregando le mani, guardandolo con una certa luce negli occhi.
Seba alzò i suoi al cielo, capendo subito a cosa fosse dovuto quello sguardo.
«Di' la verità, l'unica cosa che ti mancava erano le mie doti ai fornelli!»
Léon scoppiò in una fragorosa risata, una di quelle che sembravano aprire lo stomaco di Sebastiano per farci entrare dentro tutta la luce del mondo.
«Mia zia sta facendo turni assurdi in questo periodo, sto andando avanti di cibi precotti e bruciati da giorni. Quindi sì, sei caruccio e tutto il resto, ma ora sfamami!»
Seba rise con lui, mentre entrambi si dirigevano in cucina.
«Mi fai da sub chef?»
«Ovvio» e gli strizzò un occhio, mentre tirava fuori una pentola dove poter cuocere la pasta.
Sebastiano era decisamente colpito: fino a qualche mese prima, il francese non avrebbe nemmeno saputo dire in quale pensile si trovasse una pentola.
Aprì il frigo per controllare quali ingredienti avesse a disposizione e una strana morsa gli strinse lo stomaco.
Gli era mancato tutto quello; cucinare insieme, ridere insieme, stare insieme...
Tirò fuori il guanciale e prese le uova, pronto a preparare il pranzo.
«Tieni, taglia questo a striscioline» disse, mentre iniziava a separare i tuorli dagli albumi.
«Cosa prepariamo?»
«Carbonara.»
«Ma non abbiamo i wurstel in casa.»
Sebastiano si voltò verso di lui, lo sguardo omicida e il respiro accelerato.
«Non si fa con i wurstel, la carbonara! Dio, a Roma rischieresti di essere preso a bastonate. E anche in molte altre parti d'Italia.»
Léon arcuò un sopracciglio, mentre scartava il guanciale e lo appoggiava su un piccolo tagliere.
«Scusa tanto» borbottò sarcastico.
Seba lo vide impegnarsi per tagliare le fettine più o meno dello stesso spessore, con una calma che avrebbe fatto impallidire anche un bradipo.
Mentre lui sbatteva i tuorli e ci aggiungeva il pecorino romano, rendendo il composto cremoso con un po' di acqua di cottura, vide Léon andare al frigo e porgergli una scatolina bianca.
Seba portò pollice e indice al ponte del naso, strizzando gli occhi e sospirando pesantemente nel tentativo di non picchiarlo col mestolo.
«Cosa ci dovrei fare con quella?» domandò sull'orlo di una crisi di nervi.
Il francese gongolò appena, probabilmente pensando di aver svelato al più piccolo un segreto culinario di cui era ancora all'oscuro.
«Va aggiunta alle uova, così viene più cremosa! Anche se noi le uova le utilizziamo tutte, a dire il vero, non solo gli albumi.»
Sebastiano serrò le labbra tra loro, conscio del fatto che prenderlo a parolacce non avrebbe di certo risolto la situazione.
Cristo, quel ragazzo era un vero pozzo di ignoranza in fatto di cucina.
«I rossi sono i tuorli, non gli albumi. E la cremosità della carbonara non si ottiene CON LA FOTTUTA PANNA!»
Léon indietreggiò, probabilmente spaventato dalle urla emesse da un Sebastiano spazientito.
Beh, almeno non lo aveva insultato.
«Non mi sgridare!»
«Oh, credimi, se avessi iniziato a sgridarti te ne saresti accorto! Rimetti via quell'obbrobrio.»
Il francese, occhi bassi e spalle ricurve, ripose la confezione di panna fresca nel frigo, poi si avvicinò a Sebastiano con un sorrisetto colpevole in volto che fece intenerire il più piccolo.
«Cosa posso fare per aiutarti?»
«Apparecchia, le ragazze dovrebbero rientrare a minuti.»
Léon annuì e si mise all'opera, mentre in cucina si espandeva un delizioso profumino dato dal guanciale che stava cuocendo in padella.
Il castano sentì la porta di casa aprirsi, e le voci di Lisa e Isabelle che arrivavano fino a loro.
«Zia, lo senti anche tu?»
Un attimo di silenzio, in cui Seba immaginò Lisa annusare l'aria.
«Oh mio Dio, è tornato Sebastiano!»
«Sebaaaa!»
I passi delle due ragazze che avevano iniziato a correre risuonarono probabilmente per tutta casa, tanta era la foga che ci stavano mettendo.
Si palesarono sulla porta nello stesso momento, una accanto all'altra, mentre con gli occhi sgranati guardavano ora Sebastiano, ora Léon.
Il francese roteò i suoi al cielo scuotendo la testa, mentre continuava ad apparecchiare il tavolo.
«Potete entrare, mica morde!»
Zia e nipote si misero a fissare Sebastiano, che ora aveva un gran sorriso sulle labbra e aveva iniziato a far saltare gli spaghetti nella padella in cui aveva cotto il guanciale.
«Sei tornato?» chiese Lisa.
«Ufficialmente?» continuò Isabelle.
Il castano le guardò al volo, per poi tornare a finire la preparazione del piatto.
«Un secondo, altrimenti non viene bene» si scusò, per poi voltarsi di nuovo e mantecare la pasta con quella splendida cremina di tuorli, pecorino e acqua di cottura.
Quando gli spaghetti raggiunsero un aspetto che lui considerò soddisfacente, si girò di nuovo verso le ragazze, riservando loro un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
«Sono tornato. Ufficialmente!» confermò, per poi vedere le ragazze corrergli incontro e avvolgerlo in un abbraccio che gli riscaldò il cuore.
«Oh, cielo, ti ringrazio. In questa casa non si mangiava in modo decente da un po'.»
«Già, e mio fratello era intrattabile» sussurrò la piccola, a voce evidentemente non abbastanza bassa.
«Ehi! Io non ero intrattabile» protestò Léon, che nel frattempo aveva finito di apparecchiare.
Sua zia si voltò verso di lui con un sopracciglio sollevato, e un'espressione che era tutta un programma.
«Ma davvero? "Lasciatemi in pace, non ho voglia di cibo"» lo scimmiottò, rendendo la voce cupa.
«Già! "Non puoi cucinare davanti a me, quello lo faceva Sébastien!"» le diede man forte la nipote.
Léon incrociò le braccia al petto e mise su un'aria offesa, mentre loro tre se la ridevano di gusto.
«Beh, se può consolarvi ero intrattabile anch'io» andò in suo soccorso Seba, vedendolo fare un piccolo sorriso nella sua direzione.
Isabelle fece una faccia sognante, mettendo addirittura i due pugnetti sotto al mento e sbattendo le ciglia.
«Aveva ragione la zia, allora... Siete proprio innamorati» esalò in un sospiro, come se avesse appena assistito alla scena più romantica del mondo.
I due ragazzi scoppiarono a ridere di fronte a tanta teatralità, poi si sistemarono al tavolo per iniziare a pranzare.
Sì, decisamente gli era mancato tutto quello.
Rincasò nel tardo pomeriggio, il cuore leggero e gli occhi che brillavano.
Si era guardato nello specchietto retrovisore più volte, durante il tragitto verso casa, e quasi aveva stentato a riconoscersi.
Non aveva più quelle occhiaie che gli contornavano gli occhi, e i capelli erano tornati ad essere ordinati come piacevano a lui.
E le iridi... In quei giorni parevano brillare di luce propria, tanta era la felicità che emettevano.
Era proprio vero che niente rende più belli dell'amore; e Sebastiano era così che si sentiva: bello e innamorato.
Varcò l'uscio e si sorprese di sentire le voci dei suoi genitori; erano almeno tre giorni che li incrociava per poco meno di cinque minuti, e quella sera invece si sentiva addirittura il profumo della cena nell'aria, segno che sua madre dovesse essersi messa ai fornelli.
«Ciao» salutò allegro, pensando che finalmente fosse arrivato il momento propizio per poter parlare della sua storia con Léon.
Onestamente non aveva idea di come l'avrebbero presa; nei giorni precedenti aveva cercato di ricordare se in famiglia fosse mai venuto fuori l'argomento, ma non gli era venuto in mente nessun episodio con cui potersi confrontare.
Sentì le voci dei suoi genitori ricambiare il saluto e si avviò in cucina, trovando anche suo fratello a bere del succo.
Quello stupido di Giorgio, a giudicare da come lo guardava, doveva aver già capito le sue intenzioni. Da che era in piedi, infatti, prese posto al tavolo e si mise a battere con la mano sulla sedia accanto alla sua, facendogli segno di andare ad accomodarsi lì vicino a lui.
Seba strinse gli occhi in uno sguardo che prometteva che avrebbero fatto i conti più tardi, ma andò comunque a prendere posto al suo fianco.
Sua madre era intenta a saltare qualche verdura in padella, mentre suo padre, di fronte a lui, digitava chissà cosa al pc, l'aria concentrata e la solita rughetta in mezzo alla fronte.
«Mamma, ti manca molto?» domandò Sebastiano, sapendo che finché avrebbe continuato a cucinare non lo avrebbe degnato della giusta attenzione.
«No, ho finito» rispose lei, spegnendo il gas e voltandosi verso di lui, «Perché?» domandò sospettosa.
«Perché vi devo dire una cosa...»
Il padre bloccò il lavoro al computer, togliendosi gli occhiali e poggiandoli sul tavolo, mentre con una mano si strofinava gli occhi.
«Cos'hai combinato?»
Seba sgranò gli occhi e guardò sua madre, che nel frattempo si era accomodata tra Giorgio e il marito.
«Niente, mamma! Volevo solo dirvi che io e Chiara ci siamo lasciati.»
Serena e Maurizio si guardarono, poi guardarono lui.
«Sebastiano, è l'ultimo anno di scuola, questo. Cerca di accettare la cosa e non usarla come scusa per non studiare niente! Hai gli esami a breve.»
Suo padre aveva parlato col tono stanco, come se Seba non avesse fatto altro che prendere scuse per non adempiere ai suoi doveri di studente. E certo! D'altronde non andavano ad un consiglio con gli insegnanti da almeno due anni, cosa ne potevano sapere del fatto che fosse migliorato parecchio rispetto agli inizi delle superiori?
«Guarda che me la cavo bene» rispose offeso.
«E allora perché ci hai voluto dare la notizia?»
Giorgio li guardò a bocca spalancata, prendendo le difese del fratello.
«Forse perché è vostro figlio, ed è bello rendere la famiglia partecipe della propria vita?» chiese in modo sarcastico.
Sua madre mise su una faccia perplessa, poi fece spallucce.
«D'accordo. Mi dispiace se è un brutto periodo...»
Sebastiano sentì il nodo che gli si era formato in gola sciogliersi un po'; insomma, in fondo doveva pur essere normale per una madre essere preoccupata per i propri figli! Certo, la sua non era sicuramente una di quelle che potevano definirsi affettuose, o protettive, ma era pur sempre la sua mamma, che diamine!
Maurizio annuì, riprendendo in mano gli occhiali con l'intento di rimettersi a lavorare, ma Seba lo fermò.
«In realtà ci sarebbe un'altra cosa» disse a bassa voce, gli occhi puntati sul tavolo e le mani che si torturavano tra loro.
Non aveva pensato che sarebbe stato così difficile, a dire il vero.
Alex era il suo migliore amico dalle elementari, e per lui essere gay non era nulla di ché. Lo vedeva come una cosa normalissima, che può succedere oppure no.
Eppure, in quel momento, il pensiero che i suoi genitori non la pensassero alla stessa maniera gli stava gravando sulle spalle come se stesse sostenendo una montagna intera.
«Ed ecco che arriva il bello» canticchiò suo fratello, a cui lui rifilò un pugno da sotto il tavolo.
Sua madre e suo padre lo stavano fissando, in attesa che sganciasse la bomba.
Sebastiano prese un profondo respiro, poi si decise a parlare.
O la va o la spacca, pensò.
«Ecco... Ci... Sì, insomma... Ci siamo lasciati perché sto con un'altra persona» mormorò, senza ancora trovare il coraggio di guardarli negli occhi.
«Beh, sei giovane, può succedere. D'accordo, quando sarai pronto ce la farai conoscere» sentenziò sua madre mentre Maurizio, di nuovo, annuiva.
«Lo» sghignazzò suo fratello, guadagnandosi il secondo pugno della serata.
«Come?»
Sebastiano respirò di nuovo a fondo, poi, trovando il coraggio chissà dove, alzò gli occhi e li puntò su quelli ambrati della madre, tanto simili ai suoi.
«Ve lo farò conoscere. È... Un ragazzo.»
Il silenzio che seguì quell'affermazione faceva quasi male alle orecchie. In quel momento Sebastiano capì l'ossimoro della frase "silenzio assordante", perché era proprio quello che stava sentendo lui.
«Non si può fare» decretò suo padre.
Seba si ritrovò a sbattere le palpebre più volte. Non c'era stata nessuna emozione sul viso di suo padre, mentre decretava l'impossibilità della faccenda. Non si era preoccupato di come lui potesse aver vissuto o preso la cosa. Non si era preoccupato nemmeno di chi fosse quest'altro ragazzo. Non aveva chiesto nulla di nulla, aveva solo detto che non si poteva fare.
«Beh, è già stato fatto» ribatté lui, mentre una nuova rabbia gli invadeva il petto.
«Sebastiano, io e tua madre abbiamo lavorato una vita per creare un'attività che ci permettesse di vivere dignitosamente. Frequenta chi ti pare, ma fallo di nascosto, per cortesia. Non possiamo permetterci una perdita di clienti solo perché nostro figlio ha dei gusti... Particolari.»
Quell'aggettivo, particolari, gli fece accapponare la pelle.
Come si poteva considerare l'amore un qualcosa di particolare? Detto con quel tono, poi! Come se fosse il capriccio di un momento.
Come se gli avesse detto: "Ehi, papà, domani voglio tingermi i capelli di azzurro".
Si ritrovò a scuotere la testa, Sebastiano, mentre suo fratello era sempre più sorpreso, a giudicare dalla sua faccia.
«Quindi, papà, facciamo un riassunto breve, d'accordo? Tu e la mamma avete deciso di prendere in gestione un albergo, e per la vostra decisione io non ho potuto seguire la passione della cucina e studiare all'alberghiero» Seba aveva alzato il pollice, pronto a contare tutte le cose a cui aveva dovuto rinunciare per seguire la strada che loro avevano scelto, «Non abbiamo mai passato un Natale o una Pasqua a casa, perché prima veniva l'albergo» ed ora era su anche l'indice.
«Non avevate idea di come andassi a scuola, perché ovviamente il tempo per andare alle riunioni non c'è mai» ed ecco anche il medio.
«Ho dovuto passare tutte le estati con Giorgio in Francia, perché voi d'estate siete troppo impegnati con i clienti, nonostante tu, dai tuoi genitori, non ci vada da non so più quanti anni» e l'anulare fece compagnia alle altre dita alzate, seguito subito dopo dal mignolo.
«E ora dovrei anche vivere nell'ombra, perché altrimenti i tuoi affari potrebbero essere messi a rischio. Sul serio? Non volete nient'altro da noi?» Sebastiano aveva il fiatone, tanta era la rabbia che stava cercando di trattenere con tutte le forze.
Vide suo padre scuotere la testa, come se avesse a che fare col figlio peggiore del mondo.
«Sebastiano, ma quando ti deciderai a crescere? Perché non puoi fare come tuo fratello?»
«Perché io non sono Giorgio, sono Seba! Mi fa piacere che abbia accettato di seguire la strada che avevate scelto per lui, e l'ho fatto anch'io fino ad oggi, mi sembra, ma non è normale chiedere ad un figlio di vivere all'oscuro, come un ladro, solo perché sta con un ragazzo!»
«Ma tesoro,» intervenne sua madre, che gli aveva addirittura appoggiato una mano sul braccio nel tentativo di calmarlo, «Avete diciotto anni, probabilmente tra un paio di mesi vi lascerete. Ha senso mettere a rischio tutto per una storiella che non ha futuro?»
Sebastiano si ritrovò incapace di rispondere. Aveva gli occhi spalancati e la salivazione azzerata.
Ma quale razza di genitore fa un discorso del genere?
E poi, se anche le cose fossero andate come aveva detto lei, poteva essere un buon motivo per chiedere al proprio figlio di vivere un amore in gran segreto?
Con la coda dell'occhio vide suo fratello scuotere la testa, probabilmente basito quanto lui per la piega assurda che aveva preso quel discorso.
Poi, finalmente, sentì di nuovo la sua voce.
«La verità, mamma, è che non si dovrebbero fare figli se non si è disposti ad accettare che crescano con le proprie idee, il proprio carattere e le proprie passioni. Per seguirvi come cagnolini avete già i vostri dipendenti, io e Seba dovremmo essere su un altro piano.»
Si alzò dalla sedia facendola stridere contro il pavimento, producendo un suono che fece rabbrividire Sebastiano.
«Ah, e comunque ho intenzione di mollare l'università. La facoltà che avete scelto per me fa veramente cagare» e, detto questo, lasciò la cucina sotto le urla del padre, che gli ricordava a gran voce che sapeva benissimo dove trovare la porta per lasciare definitivamente quella casa, se voleva fare di testa sua.
Sebastiano guardò Giorgio proprio come quando erano bambini: con gli occhi pieni di ammirazione e di gratitudine per quel fratello che era quasi più un supereroe, per lui.
Seguì le sue movenze, alzandosi a sua volta e guardando prima sua madre, poi suo padre.
«Mi dispiace molto, ma non sono disposto a nascondere quello che sono e quello che provo solo perché per voi l'albergo è più importante di me.»
Nonostante quel famoso peso di una montagna gravasse ancora sulle sue spalle, Sebastiano lasciò la cucina a testa alta e fiero di sé stesso.
Aveva passato tutta una vita a mettere da parte ciò che voleva per accontentare i suoi.
Ma ciò che voleva, fino ad allora, non era mai stato Léon.
E Léon, non era decisamente disposto a metterlo da parte.
Spazio S.
Se verrà indetto un contest nel quale vincerà la storia che ha suo interno la parola "decisamente" più volte, state certi che il primo premio sarà mio!!!
Coooomunque, a me questo Seba innamorato che tira fuori le unghie per difendere ciò che ama, mette una gioia incredibile 💕
A domani,
Un bacio, S.
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