61. I Cento Giorni Di Léon

«Ti avevo detto che non c'era bisogno» protestò contro sua zia.

«E io ti avevo detto che non ti avrei lasciato andare in giro vestito come un barbone!» ribatté lei.

Isabelle, seduta in un angolino del divano, se la rideva sotto i baffi, mentre spostava lo sguardo ora su Lisa, ora su Léon.

«Tu non ridere» l'ammonì proprio quest'ultimo.

«Io non ho riso. E comunque le mie Barbie si vestono molto più meglio di te. Hanno stile.»

«Non si dice più meglio

«Se è vero si può dire. La zia dice sempre che la verità va sempre detta.»

Léon roteò gli occhi al soffitto e scosse la testa; quando sua sorella e sua zia si mettevano in testa una cosa, era davvero impossibile riuscire a dissuaderle.

Lisa sventolò di nuovo la borsa di chissà quale negozio, gli occhi allegri e un sorrisetto furbo sul viso.
«Andiamo, Léon! È solo un completo, mica ti ho comprato una macchina nuova!»

Per la settima volta, Léon sbuffò; poi decise di accontentare sua zia e si avvicinò per vedere che genere di abito gli avesse acquistato.

Tirò fuori dalla busta una giacca nera e un pantalone del medesimo colore. Fortunatamente non erano i classici pantaloni da abito elegante, questi sembravano più stilosi di quelle cose da manichino che solitamente piacevano a Lisa.

Il sorrisetto che fece capolino sul suo volto quando si rese conto che per assecondarla non avrebbe dovuto vestirsi come un principino, fece iniziare a saltellare la donna, che ora stringeva i pugni vicino alla bocca per evitare di strillare, probabilmente.

«Appena l'ho visto ho pensato che fosse proprio il tuo genere! E, bada bene, non ho comprato neanche una camicia! Sto migliorando, no?»

Léon, completo in mano e aria compiaciuta in viso, annuì.

«Dai, valli a provare!»

Ed ecco l'ottavo sbuffo.
Salì in camera sua e cercò una maglietta qualsiasi dall'armadio; una bianca e semplice sarebbe andata più che bene, tanto l'abito era già abbastanza elegante.
Infilò giacca e pantaloni e si diede un'occhiata allo specchio: doveva ammettere che non si vedeva affatto male.

Scese di nuovo in salotto per farsi ammirare dalle sue donne, che nel frattempo avevano preso a confabulare su quanto sarebbe stata bene una camicia alla coreana con quell'outfit.
«Questa maglietta andrà benissimo» disse con un tono che non ammetteva repliche.

«Ma infatti! Io e Isabelle lo stavamo proprio dicendo...Fatti vedere» e gli fece fare un giro su sé stesso, prima di tirare fuori un sorrisetto soddisfatto, «Ho proprio buon gusto, devo ammetterlo!»

Léon sorrise appena, poi fece per salire di nuovo in camera sua.

«Dove vai? Non lo tieni?»

«Zia, sono appena le sei, devo uscire tra almeno tre ore» ribadì per l'ennesima volta.

Una volta in camera tolse i vestiti e li appese alle grucce; non aveva di certo intenzione di sentire una ramanzina da parte di Lisa nel caso qualcosa si fosse sgualcito.

Appena indossò di nuovo la sua tuta si buttò sul letto.
Perché diavolo aveva promesso ad Alex che sarebbe andato a quella festa?
Perché quello stronzo sapeva sempre come prenderlo, ecco perché!

Qualche giorno prima gli aveva fatto tutto un discorso su quanto fosse importante vivere tutte le tappe di quell'ultimo anno scolastico; di quanto gli avrebbe fatto bene uscire un po' e svagarsi, e tante altre belle paroline che lì per lì l'avevano convinto a promettere che sarebbe andato anche lui in discoteca con tutte le altre quinte.

Ora, invece, gli sembrava di aver fatto una grandissima stronzata.
Sebastiano lo cercava ininterrottamente da almeno tre giorni e lui non sapeva più cosa inventare per non doverlo incrociare neanche per sbaglio.

Non aveva risposto alle sue chiamate, non aveva letto i suoi messaggi, né le e-mail.
Ma perché non capiva quanto fosse stato difficile, per lui, farsi da parte? Perché continuava a torturarlo così?
Per Léon era già estenuante sapere di vivere nella sua stessa città, figuriamoci doverci parlare!

Infilò le cuffie e, con la playlist nelle orecchie, si addormentò.
Si svegliò quasi tre ore più tardi, quando ormai era giunto il momento di iniziare a prepararsi.

Coi ragazzi della sua classe era rimasto d'accordo che sarebbero andati a mangiare una pizza prima di entrare in discoteca; non erano malaccio, doveva ammetterlo, ma non si era certo creata la complicità che aveva instaurato con Alex e gli altri.

Si sarebbe accontentato. D'altronde, sintonia o meno, non aveva molte alternative se voleva ritrovare un minimo di tranquillità.

Quando arrivò, dopo la cena, il locale era già bello pieno. Ragazzi che ballavano in ogni angolo, musica ad un volume assordante e luci stroboscopiche che lo facevano sentire sotto effetto di un allucinogeno.

Per lo meno il dj riusciva ad alternare un po' il genere musicale: non avrebbe retto tutta la sera con la musica house.

Si guardò intorno e riconobbe subito la chioma rossa di Alex, che gli andò incontro sorridendo.
«Gli altri ti hanno cercato per tutta la sera, erano convinti che non saresti venuto» disse dopo avergli lasciato una pacca amichevole sulla spalla.

Léon si irrigidì nell'udire quelle parole.
«Gli altri?»

«Sì... Tutti» specificò, calcando volutamente su quel "tutti" che lo fece iniziare a sudare.

Là dentro era un caldo micidiale e l'idea che Sebastiano fosse lì da qualche parte di certo non aiutava.
Sorrise in direzione di Andrea, che ci stava sicuramente provando con una ragazza mora tutte curve, e iniziò a guardarsi attorno.

«Tanto prima o poi dovrai affrontarlo» si sentì dire da Alex.

«Ancora non l'ho capito perché nessuno ti chiama "Grillo Parlante"! Sarebbe proprio adatto.»

Il rosso scoppiò a ridere poi fece spallucce.
«Perché nessuno ha ancora capito che ho sempre ragione» gli strizzò un occhio e tornò a chiacchierare col gruppo dei suoi compagni di classe.

Léon iniziò a farsi largo tra la calca di studenti, con l'intento di prendere un drink che lo aiutasse a distendere un po' i nervi, e davanti a sé trovò Giada, che probabilmente aveva avuto la sua stessa idea.

Dopo averla salutata, per la gioia del francese, partì un pezzo decisamente ballabile.
Guardò la sua amica e le porse la mano, trascinandola poi in mezzo alla pista non appena lei l'afferrò.
Fanculo Sebastiano, quella sera anche lui aveva il diritto di staccare la spina per un paio d'ore e divertirsi.

Si sapeva muovere bene, Giada, che lo seguiva senza difficoltà in ogni piroetta che le faceva fare.
Addirittura qualche ragazzo si era fermato a guardarli, e qualcuno fece partire un applauso quando le fece fare il casquè.

La riportò a sé e iniziarono a dondolare sulle note lente di un cantante italiano che ogni tanto nominava Sebastiano.
Com'è che si chiamava? Léon non lo ricordava.

Cercò di concentrarsi sui passi che doveva fare, sulla sua amica, sulla musica. Cercò di guardarsi attorno il meno possibile, ma non fu abbastanza.

I suoi occhi si infransero contro la sua figura nel momento peggiore che potesse esserci, proprio quando quella canzone iniziò a lanciare le prime coltellate.

E supereremo le notti a forza di sciroppi
E contro la nostalgia mangeremo una torta di mele
E ci arriveremo tardi a tutti i nostri sbatti
E ci arriveremo stanchi ai nostri primi trent'anni

Come si vedevano a trent'anni? Giada lo aveva chiesto in Germania, e aveva detto che vedeva Seba e Chiara con dei figli, sposati, felici.
A giudicare da come stavano ballando abbracciati e da come ridevano di chissà cosa, ci aveva sicuramente azzeccato. Eppure, quella volta, Sebastiano gli aveva detto che per loro due più due avrebbe fatto sempre cinque.
Non era vero.
Era un bugiardo, lui.

E faremo sogni grandi ma senza realizzarli
E faremo grandi pranzi con gli amici di tutta una vita
E forse faremo un figlio all'isola del Giglio
Sopra una barca a vela fatta coi nostri vestiti tolti

Com'era? Sarebbero partiti, magari per la Spagna, e avrebbero aperto un ristorantino, invitando i loro amici. Una casetta in riva al mare, così avrebbero potuto cucinare il pesce. No! Sebastiano avrebbe cucinato e lui avrebbe apparecchiato.
Tutte cazzate.

Attacchi prima tu o attacco prima io?
Che poi alla fine mi ci attacco solo io
Mentre tu ancora voli forte come le foglie morte
Sopra i vetri delle macchine
E io sto ancora collaudando un piano per non starti accanto
Mentre la vita mi scombussola ogni punto fermo ogni punto saldo
Ogni punto fermo ogni punto saldo
Ogni punto fermo ogni punto saldo

Non ce l'aveva, Léon, un piano per non stargli accanto.
Ne aveva pensati parecchi, in quei giorni, e avrebbero anche funzionato se avesse deciso di metterli in pratica.
Ma col cuore, come si fa?
Insomma, Léon aveva ben chiaro come stargli lontano fisicamente, ma il cuore? La testa?
I pensieri, quelli che erano sempre da lui, come avrebbe fatto a tenerli sotto controllo?
E i sogni? Ogni maledetta notte, oltre ai suoi soliti incubi, lui vedeva le mani di Sebastiano accarezzarlo, le sue labbra baciarlo.
Tutto quello come si sarebbe potuto combattere?

E ci arriveremo tardi a tutti i nostri sbatti
E ci arriveremo stanchi ai nostri primi trent'anni
E faremo sogni grandi ma senza realizzarli
E faremo grandi pranzi con gli amici di tutta una vita
E forse faremo un figlio all'isola del Giglio
Sopra una barca a vela fatta coi nostri vestiti tolti
Ogni punto fermo ogni punto saldo
Ogni punto fermo ogni punto saldo

I suoi occhi collisero con quelli d'ambra del castano, che ora aveva improvvisamente smesso di ridere.

Ogni muscolo del suo corpo si irrigidì e lui sentì il bisogno impellente di allontanarsi da tutto quel caos che ora sembrava lacerargli il petto.

«Tutto bene?» si sentì chiedere da Giada.

«Sì... Scusami, devo andare un attimo in bagno» e la lasciò lì, in mezzo alla pista, facendo dietro front e camminando a passo spedito verso la toilette.

Non era molto lontana, ricordava di esserci passato davanti quando era appena arrivato.
Aprì la porta e tirò un sospiro di sollievo nel constatare che non ci fosse nessuno.
Si appoggiò al lavello e guardò la sua immagine riflessa allo specchio: era pallido, e i capelli sparati in ogni direzione quella sera gli donavano un'aria da pazzoide.

Si sciacquò il volto con l'acqua fredda con l'intento di riprendere un po' di colore e, quando si sollevò per asciugarsi, non si stupì di trovare Sebastiano dietro di sé.

Non lo vedeva da soli tre giorni, eppure gli sembrava essere passata un'eternità.
Come aveva fatto ad implorarlo di restare a dormire da lui, quella notte?
Era ubriaco e non aveva il pieno controllo di sé, ecco come.
Aveva lasciato che la parte più grande di lui, quella innamorata, prendesse il controllo.

Lo aveva sentito vegliare su di sé per tutte le ore che era rimasto al suo fianco, in quel letto che li aveva visti amarsi troppe poche volte, e poi alzarsi la mattina all'alba e scappare, lasciandogli un misero biglietto.

«Sono tre giorni che ti cerco. Dove cazzo eri?» si sentì domandare dal castano, la voce dura e la mascella contratta.

Léon fece spallucce prima di asciugarsi le mani, poi mise su uno di quei ghigni che sapeva lo facevano incazzare.

«In giro» rispose soltanto.

Lo sentì sbuffare e lo vide fare un respiro, probabilmente per ritrovare la calma.
«Io e Chiara ci siamo lasciati.»

BOM.
Una bomba esplosa così, nello squallido bagno di una discoteca, dopo tre giorni che si rifiutava di vederlo e di sentirlo.

Si voltò di scatto verso di lui, gli occhi sgranati e il cuore come impazzito nel petto.
No.
Non poteva permettere che cambiasse qualcosa. Lui stava per diventare padre e loro due non avrebbero avuto un futuro insieme.

«Mi dispiace per voi. Sono sicuro che riuscirete a rimanere in buoni rapporti» disse, mentre con la carta strofinava le mani con una forza che rischiava di scorticare la pelle.

«Sei serio?» aveva chiesto Sebastiano, alterato, dopo aver sbuffato una mezza risata isterica.

«Sì, siete due brave persone, vedrai che troverete il vostro equilibrio.»

«Léon!»

Si era fatto vicino, decisamente troppo vicino, e aveva piantato quelle mani grandi sulle sue spalle, facendolo arretrare contro la parete.

Un flashback lo riportò indietro di qualche settimana, quando in un hotel in Germania si erano dati il loro primo bacio.

Qualche settimana...
Era passato così poco? A Léon sembrava una vita.
Ci aveva messo un attimo, Sebastiano, a infilarsi sotto la sua pelle, a occupare ogni suo pensiero.

«L'ho lasciata per te, perché ti-»

«NO!»
Con un movimento rapido si era scrollato le sue mani di dosso, e anche se respirava a fatica era riuscito a urlargli di nuovo che no, non doveva dirgliela quella cosa, perché altrimenti non sarebbe più stato capace di allontanarsi da lui.

Guardava in basso, cercando di riprendere fiato, mentre serrava i denti così forte da iniziare a sentire dolore, a un certo punto.

Sebastiano gli afferrò il viso con una mano, una stretta decisa che lo obbligò a guardarlo in quegli occhi d'ambra di cui si era innamorato.

C'era il mondo, là dentro, e Léon si ritrovò in un attimo con entrambe le mani di Sebastiano attorno al viso, la fronte appoggiata alla sua e i respiri che si mescolavano.

«Dimmi perché non posso dirlo.»

«Perché fa male.»

«Non tutti sono nati per abbandonarti, Léon. C'è anche chi vuole combattere pur di restarti accanto.»

Lui sgranò gli occhi, mentre una piccola luce sembrava sgomitare per farsi spazio in quel buio che ormai aveva dentro.
Era speranza, Léon la conosceva bene.

L'aveva avvertita tante volte nell'ultimo periodo, e ogni singola volta l'aveva scacciata a mani nude, come si farebbe con una mosca fastidiosa che non ti lascia dormire in pace.

Era quello, per lui, la speranza: un sentimento che lo infastidiva, ben consapevole dell'effetto devastante che poteva avere su di sé.

Ma Sebastiano ora lo guardava così, con quel sorriso appena accennato che sembrava volerlo rassicurare, e aveva iniziato a depositare piccoli baci su quelle lacrime che erano uscite incontrollate.

E mentre lui iniziava a tremare, l'altro scendeva con le mani sulle sue, facendogli allentare pian piano i pugni serrati.

«Scusa se mi sono innamorato di te» si sentì dire dal più piccolo, la voce tremante e rotta dal pianto.

Gli stava chiedendo scusa per davvero.
Sebastiano si stava scusando perché, sicuramente, nella sua testa era tutta colpa sua se Léon era finito in quello stato.

Non l'aveva ancora capito, lui, che Léon si era innamorato molto prima che tra loro ci fosse qualcosa.
Non l'aveva capito, Sebastiano, che era proprio Léon a doversi scusare per averlo trascinato in una storia più grande di loro.
Non l'avevano saputo gestire quell'amore giovane.
Era esploso come una bomba e aveva ferito entrambi, e ora sentiva le forze che aveva usato per combatterlo venire a meno pian piano.

Annuì appena, Léon, e intrecciò le mani alle sue così forte che ebbe timore di fargli addirittura del male.
Ma Sebastiano stava sorridendo, ricambiando quella stretta per fargli capire che c'era, che le ferite le avrebbero potute curare insieme, una alla volta, ché tanto non avevano fretta.

Si lasciò baciare dal castano così, contro la parete di uno squallido bagno in discoteca, mentre la musica arrivava ovattata al di là della porta e lui sembrava rinascere pian piano su quella bocca che gli era mancata così tanto da fare male.

Lo baciò così, nell'eco di un dolore che sarebbe diminuito a poco a poco fino a scomparire, per lasciare spazio a tutto quello che avevano da vivere.

Spazio S.

Insomma, è domenica, e io avevo il bisogno impellente di finire questa settimana pesante con una gioia grande quanto l'isola del Giglio 🤭
Sebastiano ha combattuto e Léon si è arreso. Il mondo è un posto bello, adesso 😍
Noi ci rileggiamo domani, buona domenica a tutti,
Un bacio, S. 💞

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