59. I Cento Giorni Di Sebastiano

Il famoso mercoledì dei cento giorni era arrivato.
Sebastiano uscì di casa con l'umore sotto i piedi, quel giorno.
Solo la sera prima era riuscito a confessare a suo fratello della relazione tra lui e Léon, e l'aveva fatto anche con Chiara, sentendosi incredibilmente leggero, e ora era tornato nuovamente in quel turbinio di apprensione che lo aveva accompagnato nei due giorni precedenti. 

Non era ancora riuscito a rintracciare il francese, e pensare che aveva chiesto informazioni a chiunque.
Aveva telefonato ai suoi amici, di nuovo a sua zia e si era pure fatto passare al cellulare Isabelle per capire se lei ne sapesse qualcosa.
Nulla da fare, nessuno aveva notizie di lui.

Lisa gli aveva detto di stare tranquillo, lo aveva informato che ogni tanto capitava che avesse bisogno di evadere e andasse chissà dove, ma solitamente tornava nel giro di poco.

Poco...
Quant'era poco?
Per Sebastiano, che aveva bisogno di parlargli, di vederlo, di guardarlo negli occhi, quelle quarantotto ore erano già sembrate interminabili.

Arrivò a scuola e osservò tutti i ragazzi delle varie quinte vestiti come lui, in pigiama.
Almeno quella visuale gli fece scappare un mezzo sorriso.

Vide da lontano la chioma rossa di Alex e puntò in quella direzione, facendosi largo tra gruppi di vari studenti.
Il suo migliore amico era di spalle e stava scuotendo la testa, visibilmente in disaccordo con chissà chi.
Non gli ci volle molto per capire il motivo di tanto fervore.

«Andre, non ci posso credere che davvero tu sia così imbecille!» Giada era decisamente alterata, il ché era tutto un dire considerando la sua indole tranquilla.

«Ma cosa vuoi? Io dormo così!» Andrea, in soli boxer e ciabattine da camera, stava difendendo il suo diritto di andare a scuola conciato in quella maniera, con tanto di mani alzate al cielo e sguardo convinto.

«Il punto non era venire a scuola nello stesso modo in cui si dorme, ma venirci in pigiama!»

«IO NON CE L'HO UN CAZZO DI PIGIAMA!» urlò quello, probabilmente per la ventesima volta.

«Cristo santo» sospirò Alex, buttandosi una mano in fronte.

Da lontano vide arrivare Chiara, il solito sorriso cheto sul viso e gli occhioni blu un po' più truccati, quel giorno.
Sebastiano attese con impazienza che si avvicinasse abbastanza al gruppo da poter vedere Andrea, gustandosi già la scena.

Come previsto, avanzò tranquilla verso di loro, salutò tutti con la sua solita gentilezza e poi... Il resto fu un vero e proprio spettacolo: prima sgranò gli occhi, vedendo il suo amico praticamente mezzo nudo, poi iniziò ad arrossire così tanto che un pomodoro maturo sarebbe sembrato pallido in suo confronto.

Sebastiano non ce la fece più, la linea retta della bocca di Chiara e le mani strette a pugno furono troppo per lui, che scoppiò in una fragorosa risata.
Incassò il pugno che ricevette senza fiatare -ma continuando a ridere- e si preparò per ascoltare i soliti insulti velati rivolti al ragazzo in mutande che l'aveva sconvolta in quella maniera.

«Sei veramente indescrivibile, Andrea!»

Lui ammiccò nella sua direzione e mise su il suo solito sorrisetto da playboy navigato.
«Lo so, dolcezza» disse con voce profonda, facendola arrossire ancora di più. Poi si rivolse ai suoi amici: «Avete visto? Finalmente qualcuna che apprezza!» e indicò la propria figura per intero.

Sebastiano continuava a ridere a crepapelle, mentre Chiara scuoteva la testa con l'espressione indignata in viso e prendeva a braccetto Giada, portandosela dietro nel cortile della scuola.
Le risate di Seba finalmente si quietarono e riuscì a prendere a respirare in maniera regolare.

«Ma non hai freddo conciato così?» Alex stava fissando Andrea ancora con un sopracciglio inarcato.

«Sto congelando, cazzo» confessò lui, abbracciandosi come meglio poteva e facendo di nuovo scuotere la testa al rosso.

«Avremmo dovuto metterci d'accordo e presentarci tutti in mutande» rise Seba, mentre guardava le labbra del suo amico virare leggermente al violaceo.

Vide Andrea prendere un pigiama dallo zaino e infilarlo e scoppiò di nuovo a ridere, capendo che tutta la scenetta era stata fatta al puro scopo di mettere in imbarazzo le ragazze.

«Qualcuno sa che fine ha fatto Léon?»

Ed ecco che l'ilarità volo via in un attimo; la domanda di Alex l'aveva fatto tornare coi piedi per terra, ma era comunque grato ai suoi amici per averlo fatto distrarre un minimo, pur senza esserne consapevoli.

Andre portò una mano sotto al mento e se lo massaggiò appena.
«No, in effetti. È il terzo giorno che non si vede a scuola, e non risponde neanche ai messaggi.»

Seba puntò lo sguardo verso il basso, prendendo a giocare con un sassolino che aveva proprio vicino alla scarpa.

«Non l'hai sentito nemmeno tu?» ora Alex era con lui che parlava e non poteva più fare finta di niente.

«No» rispose soltanto, e per fortuna la campanella suonò, mettendo fine alle domande.
«Andiamo?» chiese ai suoi amici, che si avviarono con lui verso il cortile interno.

C'era qualcosa di surreale in tutto quello che Sebastiano aveva vissuto fino a quel momento, e più ci pensava, più gli sembrava di essere lo spettatore di un film assurdo, piuttosto che il protagonista della sua stessa vita.

Era partito come al solito per la Francia a giugno, era stato tre mesi dai suoi nonni con suo fratello, poi era tornato a casa.

Aveva ritrovato finalmente i suoi amici e la sua ragazza, che gli era mancata tanto, e uno nuovo che non gli andava a genio proprio per nulla.
Lo stupido Léon si era fatto conoscere forse nel peggiore dei modi, stando sempre sulle sue e facendo qualche battutina acida di tanto in tanto.

Poi si erano inspiegabilmente avvicinati, aveva trovato in lui un amico e si era lasciato travolgere da quegli occhi di tempesta che si portava sempre appresso, da quell'aria sempre così malinconica che gli si cuciva perfettamente addosso come una seconda pelle.

Si era trovato incastrato in sensazioni che aveva faticato anche a riconoscere, tanto erano nuove, e aveva lasciato che l'istinto guidasse ogni sua azione.
Erano stati amanti, quei due, e col passare del tempo aveva capito quanto grande fosse ciò che lo legava a lui.

Voleva lasciare la sua ragazza per poter vivere la loro storia alla luce del sole e, quando aveva trovato il coraggio per farlo, lei aveva scoperto di essere incinta.
Aveva lottato per mantenere il suo rapporto con Léon, aveva mollato quando aveva capito che lui non lo avrebbe mai permesso.

Si era ritrovato a combattere contro i sensi di colpa per giorni, contro la mancanza del francese che si faceva sentire fin sotto la pelle, e alla fine aveva ceduto: aveva lasciato Chiara, promettendole che le sarebbe rimasto accanto e sarebbe stato presente nella vita del loro bambino.
E sorprendentemente, lei l'aveva presa bene.

Tutto quello che le aveva detto, tutti i discorsi che le aveva fatto, probabilmente erano serviti ad aiutarla ad aprire gli occhi su una situazione che lei già conosceva, ma che non voleva vedere.
Straordinariamente erano riusciti ad uscire da quell'uragano che li aveva stravolti, ancora più uniti di quanto non fossero quando erano "solo" una coppia.

E ora, lui si stava preparando per andare alla festa in discoteca che i rappresentanti di tutte le quinte avevano organizzato per festeggiare i cento giorni, e sarebbe dovuto passare a prendere proprio la sua migliore amica.
Assurdo. Davvero, davvero assurdo.

Come suo solito, aveva passato il pomeriggio ad arrovellarsi su come poter risolvere la questione di Léon; ovviamente di lui non c'era ancora nessuna traccia, ma Seba era abbastanza sicuro che quella sera sarebbe andato alla festa, quindi si era imposto di uscire di buonumore.

Insomma, in fondo aveva finalmente trovato il coraggio di prendere in mano la sua vita, che senso avrebbe avuto starsene col broncio fino a quando non avesse rintracciato quello stupido francese? Nessuno, ecco!

E quindi, davanti allo specchio mentre controllava che i capelli fossero sistemati al meglio e che il suo look fosse adatto alla serata, continuava a ripetersi che sarebbe andato tutto bene; che Léon aveva tutto il diritto di prendersi qualche giorno per staccarsi da quella realtà pesante in cui lui stesso lo aveva trascinato, e che avrebbe sicuramente trovato il modo per parlargli, prima o poi, fosse anche dovuto andare in capo al mondo per spiegargli che non lo avrebbe lasciato perdere così, come se non fosse una persona importante.

Con una nuova luce negli occhi carichi di emozioni, prese la giacca e la infilò sulla camicia che aveva indossato, afferrò le chiavi dell'auto e si diresse in garage, pronto per la serata in cui si sarebbe finalmente ripreso Léon.

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