55. Mi Manchi
Léon stava ballando in salotto, gli occhi chiusi e una bottiglia di vino in mano.
Sebastiano accompagnò Isabelle nella sua stanza senza che il fratello nemmeno se ne accorgesse, tanto era alto il volume della musica.
«Okay, ora tu stai un pochino qui in camera e inventi una delle tue bellissime storie con le Barbie, d'accordo? Io vado un attimo di sotto e faccio una chiacchierata con Léon.»
La piccola annuì, poi prese una bambola dalla casetta che le custodiva e iniziò a pettinarle i capelli.
«Potrei fare che lei è arrabbiatissima col suo stupido fratello perché lui non vuole giocarci insieme. E anche con l'amico, perché è stupido proprio come suo fratello.»
Seba si grattò la testa in modo imbarazzato, poi si inginocchiò sul tappeto sul quale Isabelle si era appena seduta.
«Sì, mi sembra una bella storia... Però facciamo che, alla fine, questa bellissima e simpaticissima bambola decide di perdonarli a tutti e due?»
Isabelle portò un indice a lato della bocca iniziando a picchiettarlo mentre guardava in alto, il faccino furbo e gli occhietti birichini.
«Adesso vediamo... Magari l'amico del fratello della mia bambola deciderà di fare i biscotti, e allora lei potrebbe anche perdonarlo.»
Fu inevitabile per lui scoppiare in una risata, accarezzò i lunghi capelli della bambina e decise di scendere al piano inferiore per vedere com'era la situazione con quel cretino di Léon.
Come ci si poteva ubriacare quando si aveva una bambina a cui badare?
Il moto di rabbia che aveva invaso il petto di Seba sfumò immediatamente quando realizzò la portata di quel gesto: Léon non lo avrebbe mai fatto in condizioni "normali"; non avrebbe mai corso il rischio di non essere lucido al cento per cento in presenza di sua sorella.
Questo voleva dire solo una cosa: a dispetto di come si presentava fuori, lui dentro stava davvero male.
Se possibile, Seba si sentì ancora più in colpa per il sentimento che arrivò poco dopo: il sollievo.
In quei giorni era stato così male, che vedere Léon stare in compagnia dei ragazzi della sua classe come se niente fosse lo aveva portato in uno stato di dolore ancora più acuto.
Lo faceva terribilmente soffrire l'idea che tutto quello che lui aveva provato per Léon fosse qualcosa a senso unico; che avesse travisato i suoi comportamenti; che in realtà non fosse tanto importante per lui, quanto Léon lo era per Seba.
E ora, seppur si vergognasse per averlo anche solo pensato, si sentiva comunque sollevato dal pensiero che non fosse l'unico a essere ridotto una schifezza.
Quanto ci fa diventare egoisti, l'amore? si chiese Sebastiano, mentre guardava Léon continuare a ballare una danza fatta di passi strascicati per il salotto, senza nessuna grazia e nessun ritmo.
Stava in piedi e ondeggiava, trascinava i piedi a destra e a sinistra di tanto in tanto, con la schiena inarcata all'indietro e il volto rivolto al soffitto.
Stringeva quella bottiglia di vino come fosse la sua àncora di salvezza e continuava a tenere gli occhi chiusi, come se non volesse più vedere il mondo che stava fuori.
Sebastiano avanzò piano verso di lui, subito dopo essersi preso un minuto per guardare quei lineamenti che gli erano mancati così tanto.
Appoggiò delicatamente una mano sul suo volto, che si abbassò di scatto.
Gli occhi di tempesta di Léon si aprirono all'improvviso e, dopo un secondo di sorpresa, il suo volto fu invaso da un'allegria artificiale.
Rideva in un modo strano, il francese, mentre Sebastiano si domandava quale fosse il metodo migliore per farlo ragionare e per fargli mollare quella maledetta bottiglia.
«Guarda chi c'è! C'è Sébastien! Ciaaaao, Sébastien, cosa ci fai qui a...» si guardò intorno per un secondo con l'aria confusa, poi riportò gli occhi lucidi su di lui, «...casa mia?»
Seba scosse la testa e andò vicino allo stereo per poter abbassare il volume.
«No, no! Lasciala questa! Senti che bel testo che ha, te la dedico» e dopo qualche secondo iniziò a cantare a squarciagola sulle note di un cantante che lui non conosceva.
«Okay, sei pronto? Guarda che è bella questa canzone eh! Senti, senti qua che bella:
Mi è bastato soltanto un minuto per incontrarti per caso
Un'ora per rendermi conto che tu eri diverso dagli altri
Dopo un giorno era come se ti conoscessi da anni
Ma non mi basterà una vita per dimenticarti
Sarà il mio silenzio a spiegarti le cose che provo
Io che per te avrei attraversato l'Atlantico a nuoto
In mezzo alle onde di un maremoto
Nuotando per giorni solo per vederti di nuovo
Troverò qualcuno diverso da te
Ma che mi guardi nello stesso modo
Come una scossa 9.3
Sei l'epicentro del mio terremoto
E andremo in ogni luogo dove siamo stati noi
Ma il mondo non è più lo stesso ora che
Mi sono perso e non so più dove mi trovo
Adesso le città sembrano piccole
Perché prima avevo te
Prima avevo te.»
Sebastiano cercò di mandare giù il nodo che gli si era formato in gola, poi si girò di nuovo verso lo stereo per abbassare quella cazzo di canzone che sembrava avergli lacerato ogni brandello di cuore rimasto.
«Ti ho detto di lasciarla, cazzo! Non puoi venire in casa mia e fare quello che ti pare! Vaffanculo, allora!» urlò il francese dopo essere stato ignorato da Seba.
«Cosa sei venuto a fare, eh? Volevi vedere se stavo una merda per te? Tieni, eccoti accontentato» sbiascicò, gli occhi pieni di disprezzo e le mani a indicare sé stesso.
Guardami, stava dicendo, guarda che schifo che faccio adesso che non ci sei più.
«Allora?» continuò a infierire, nonostante Sebastiano si stesse trattenendo con tutto l'impegno del mondo per non scoppiare a urlargli in faccia, o non baciarlo con tutte le forze che aveva, «Adesso che hai visto che sto male sei contento? Dai, dillo, tanto ti conosco. DILLO CHE SEI CONTENTO!»
«Sì, sono contento, va bene? Sono sollevato, porca puttana. Stavi in giro con quelli della tua classe come se niente fosse, come se io e te non avessimo mai condiviso niente, mentre io morivo ogni giorno. Quindi sì, cazzo, sono contento! Vaffanculo, Léon!» urlò di rimando, mentre si perdeva negli occhi grigi del più grande, traboccanti di rabbia e dolore, proprio come i suoi.
Cercò di regolarizzare il respiro e si diresse verso la cucina, per poi sentire dietro di sé i passi incerti del francese che lo stava seguendo.
«Cosa stai facendo?»
«I biscotti.»
«Chi te l'ha chiesto?»
«Tua sorella.»
«E perché?»
Sebastiano fece un respiro profondo nel tentativo di ritrovare la calma, poi si girò verso di lui.
«Perché è incazzata nera con tutti e due. Con te perché sei ubriaco marcio e non volevi giocare con lei, e pure con me.»
«E perché pure con te?»
Sebastiano iniziò a pesare la farina, poi aprì il frigo e prese un pezzo di burro.
Dov'erano le uova? Ah, già, nel secondo stipite a destra.
«Perché anche con te?» chiese di nuovo Léon, e lui non poté fare a meno di fermarsi e guardarlo.
Era bellissimo, come sempre.
Come ogni volta che lo pensava.
Come ogni notte in cui lo sognava.
Come ogni mattina in cui lo spiava di nascosto, nei corridoi della scuola.
Se fossero esistite le olimpiadi di "ingoiatori di nodi", lui le avrebbe sicuramente vinte, quell'anno.
Mandò giù l'ennesimo e si inumidì le labbra, diventate secche all'improvviso.
«Perché le avevo promesso che non ti avrei mai fatto del male, e invece tu ti ubriachi prima di cena e non vuoi stare con lei. Ed è anche colpa mia» ammise con difficoltà.
Ricordava bene la sera in cui Isabelle gli aveva fatto fare quella promessa. Era il periodo in cui lui era ancora convinto di essere felice così com'era, di essere innamorato di Chiara e di non provare assolutamente nulla per quello stupido francese; lo stesso che ora occupava tutti i suoi pensieri e rallentava i battiti del suo cuore.
«Io non sono ubriaco» ribatté con aria offesa.
Seba mise su un sorrisetto amaro, poi continuò a pesare gli ingredienti per i biscotti.
«Certo, e io sono Cannavacciuolo.»
Léon scoppiò a ridere; una risata che sembrò risanare in parte uno dei tanti sfregi che aveva accumulato Sebastiano nell'ultimo periodo.
Era un toccasana vederlo così, mentre buttava la testa all'indietro e mostrava i denti bianchi, perfetti.
Glielo avrebbe baciato per ore, lui, quel sorriso bello che aveva.
«Vatti a fare una doccia e poi vai a parlare con Isabelle, tanto qui ne avrò per un po'. Tua zia torna per cena?»
«No, è andata via prima perché doveva fare delle commissioni e poi va in ospedale. Deve coprire il turno di una sua collega.»
«Okay, allora vi preparo la cena al volo mentre si cuociono i biscotti.»
Léon sorrise, un sorriso dolce, questa volta, e si avviò per eseguire gli ordini che gli aveva dato il castano.
«Sébastien?»
«Mh?»
«Grazie.»
Lui sorrise, poi continuò a impastare la frolla.
«Sébastien?»
«Mh?»
«Mi manchi.»
Seba affondò le dita nell'impasto, stringendolo con tutta la forza che aveva nel tentativo di trattenersi dal saltargli addosso lì, nella cucina di casa sua.
Annuì e gli regalò un altro pezzetto di quel cuore che ormai gli apparteneva del tutto.
Spazio S.
Buongiorno cuoricini, oggi mi sento buona e vi lascio un piccolo spoiler: il capitolo di domani si intitolerà "Coraggio"
Chissà se il protagonista, però, sarà Sebastiano 🤭
Buona giornata a voi,
Un bacio, S.
❣️🏳️🌈
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top