53. Canzoni Sbagliate
«Giovedì abbiamo la prima ecografia... Dio, non vedo l'ora.»
Chiara aveva preso l'abitudine di andare da lui ogni mattina, per poi passeggiare insieme fino alla scuola.
La prima ecografia...
Sebastiano si sentiva estremamente in colpa: nonostante tutto quello che stava passando per la situazione con Léon, nonostante sapesse quanto lo aveva fatto soffrire, una piccola parte di lui era comunque emozionata.
Insomma, ormai che le cose fossero andate completamente al contrario di come voleva lui, era un fatto più che assodato; eppure c'era quella piccola particella del suo cuore che si sentiva quasi felice.
La notizia dell'arrivo di un bambino gli aveva stravolto la vita, questo era certo, ma era pur sempre un avvenimento degno di nota.
«A che ora?» domandò curioso.
«Alle nove.»
«Ma il giorno prima ci sarà la festa dei cento giorni, saremo degli zombie...»
Chiara sorrise e gli prese la mano, continuando a camminare al suo fianco con gli occhi traboccanti di gioia.
«Lo so, ma per il nostro bambino possiamo fare questo ed altro.»
Certo.
Come sacrificare la propria felicità.
Sebastiano annuì appena e insieme attraversarono la strada per arrivare al marciapiede su cui affacciava il cancello d'entrata della scuola.
Alex, Andrea e Giada erano fermi a parlare vicino ad un albero, e gli occhi di Seba iniziarono a setacciare il cortile interno per vedere dove fosse Léon.
Lo vide insieme ad un gruppetto di ragazzi che riconobbe come i suoi compagni di classe.
Non aveva mai passato tanto tempo con loro, Léon, eppure nell'ultimo periodo sembrava preferire la loro compagnia a quella del solito gruppo.
«Ecco i futuri sposini» li annunciò allegro Andre, mentre metteva su una delle sue espressioni giocose.
Chiara allargò il suo sorriso, poi prese a braccetto la sua migliore amica e si appartarono per confabulare di chissà cosa.
Di sicuro le stava raccontando dell'ecografia che avrebbe fatto la settimana successiva.
Seba era contento che lei avesse Giada come amica; almeno aveva qualcuno di entusiasta vicino.
«Tutto bene?» si sentì domandare da Alex.
La sera precedente erano stati parecchio sotto il porticato di Léon, e il castano aveva avuto modo di sfogarsi un po'.
«Sì, certo» rispose con un mezzo sorriso sulle labbra. Dopo la crisi che aveva avuto, l'ultima cosa che voleva era far preoccupare il rosso ancora di più.
«Perché non dovrebbe stare bene?» domandò Andre con l'espressione confusa.
«Non lo so... Forse perché ha diciotto anni e sta per diventare padre?» fu la risposta piccata di Alex.
«Oh! Ma perché te la prendi con me? Mica l'ho messa incinta io a Chiara!»
«Con tutti i buchi in cui ti sei infilato, non ci sarebbe da sorprendersi se qualche goccia del tuo spermino fosse andata a finire anche da altre parti.»
Seba scoppiò a ridere alla presa in giro del rosso, mentre Andre metteva su un'aria compiaciuta e iniziava ad accarezzargli i capelli di fuoco.
«Oh, tesorino... Cosa c'è? Sei geloso perché il tuo di buco l'ho saltato?» chiese facendo labbruccio.
Alex scansò via il suo braccio subito prima di rifilargli un calcio sul culo, poi sistemò i capelli che lui aveva spettinato con quelle manacce.
«Senti, non l'ho mai voluto puntualizzare perché fondamentalmente non sono affaracci tuoi, e perché non vado in giro a parlare dei miei rapporti sessuali come fai tu, brutto maniaco. Ma sono già diverse volte che fai battutine allusive, quindi oggi ti illuminerò con una grandissima verità: Alex Cabelli non l'ha mai preso da nessuno. Alex Cabelli, l'ha sempre e solo dato. Quindi stai attento a quel tuo bel sederino, ciccio.»
La campanella mise fine a quel battibecco tra Alex, che si avviò a testa alta verso l'ingresso, e Andrea, rimasto impalato e sotto shock.
«Tu lo sapevi?» chiese a Seba.
«No.»
«Neanche io... E comunque ha detto che ho un bel culetto» concluse con l'aria soddisfatta, prima di seguire la scia di ragazzi che stavano iniziando ad entrare.
Quella stessa sera i ragazzi avevano appuntamento in centro.
Era ormai fine febbraio, ma le temperature quell'anno erano decisamente gentili; c'era stato il sole tutto il giorno e, nonostante l'ora, fuori si stava bene.
«Léon?»
La voce di Giada arrivò alle orecchie di Sebastiano come un fischio fastidioso; evidentemente aveva ancora una cotta per lui, ma il problema non era certo quello.
Il problema era che quella sera il francese non si era presentato all'appuntamento con loro, e lui sapeva benissimo il perché.
Aveva capito bene cosa stava cercando di fare: la prima volta aveva tentato di farsi odiare -e, decisamente, non era riuscito nell'intento- ora invece stava sparendo piano piano.
La sera prima, se non fosse stato per Alex che non aveva casa libera e aveva proposto di andare da Léon, avrebbe di sicuro dato buca di nuovo.
E di certo lui non poteva fargliene una colpa.
Aveva provato a mettersi nei suoi panni, capiva benissimo quanto a disagio si dovesse sentire a stare insieme a lui nella stessa compagnia di amici, ma gli mancava, e tanto.
Ormai la mattina non si fermava più con loro a parlare, e all'uscita non si incrociavano nemmeno; durante le serate organizzate insieme trovava sempre una scusa dell'ultimo minuto per non unirsi agli altri, e nella chat di gruppo era sempre più raro vedere un suo messaggio. E Seba sapeva che avrebbe dovuto farci l'abitudine.
«Ha detto che non aveva voglia di andare per locali» fece spallucce Andre.
«Ma se era quello il problema, potevamo stare a casa mia sul terrazzo!»
«Ma infatti! Andiamo a prenderlo e ci mettiamo da te?» Giada concordava col rosso, e ora addirittura stava proponendo di tendergli una sorta di trappola.
«Forse non aveva voglia di uscire con noi e basta. Ultimamente sta spesso con i ragazzi della sua classe ed è normale... Insomma, è qui da quasi un anno ed è uscito sempre e solo con noi» tentò di difenderlo Seba.
Aveva bisogno che anche gli altri lo lasciassero andare, perché sapeva bene quanto stesse costando a Léon mettersi da parte.
«Ma figurati! Léon ci adora! Dai, andiamo» Chiara lo afferrò per la mano e si incamminò verso il parcheggio in cui avevano lasciato le macchine.
Sebastiano provò a ribattere un paio di volte, ma quando vide che tutti erano d'accordo sul piombare a casa del francese per trascinarlo fuori, si arrese e seguì il gruppo
«Sapete se sua zia è in casa?» domandò Andre prima di suonare il campanello.
«No, il sabato di solito fa la notte e sua sorella rimane dalla nonna.»
Sebastiano vide quattro teste girarsi di scatto verso di lui, che aveva appena parlato.
«Mi sembra di ricordare così, ecco...» tentò di rimediare, balbettando appena.
«Oh, beh, se non c'è nessun'altro in casa...» e Andre si attaccò al campanello.
Léon odiava quando le persone suonavano in modo insistente, lui lo sapeva bene, e gli sembrava di vederlo mentre si alzava con quel suo sguardo incazzato per vedere chi fosse il maleducato di turno.
Il suono della cornetta del citofono che veniva sollevata fece scattare tutti sull'attenti.
«Qui est ce connard qui sonne comme ça?»
Sebastiano scoppiò a ridere, mentre gli altri lo guardavano aspettando la traduzione.
«Sébastien, sei tu?»
Ed ecco che le risate svanirono.
Lo aveva riconosciuto solo sentendolo ridere.
Si poteva essere più stronzi di Sebastiano, che stava ingoiando a vuoto pur di non piangere lì davanti a tutti?
Guardò Alex in una muta richiesta di parlare al posto suo, e il rosso si affrettò a farlo.
«Siamo noi. Stiamo andando in terrazzo da me, vieni o mettiamo un pezzo di scotch sul campanello» e si avviò verso casa sua.
«Ma cos'ha detto quando ha risposto?» gli domandò Andre.
«Ha chiesto chi era quello stronzo che suonava così.»
Dopo dieci minuti si erano già sistemati tutti sul terrazzo di Alex: Giada e Chiara condividevano un materassino da mare sul quale si erano appollaiate; Alex e Andre avevano occupato il divanetto e ci si erano stravaccati sopra, mentre Seba aveva riunito un po' di cuscini e si era creato una specie di puff di fortuna, stando tutto raggomitolato in una coperta.
In effetti le temperature erano state clementi quella sera, ma lui odiava il freddo, e sotto i venti gradi era decisamente considerabile freddo.
La porta si spalancò mostrando la figura di Léon proprio mentre Alex collegava la sua cassa Bluetooth e faceva partire una delle sue playlist.
Non ci voleva stare lì, il francese, Sebastiano poteva vederlo benissimo.
Aveva gli occhi più in tempesta del solito e l'espressione era parecchio scocciata.
«Ma benvenuto, principino. Ci stavi snobbando, per caso?» chiese Andre con un mezzo ghigno in volto.
«Sì, ma voi venite comunque a rompere le palle.»
I ragazzi risero, mentre in sottofondo Gazzelle iniziava a disperdere le sue perle.
Il biondo andò a sedersi accanto a Sebastiano, che anziché esserne felice sentì un vago moto di tristezza nel petto.
Si era seduto lì solo perché non c'erano altri posti liberi, ma stava bene attento a non sfiorarlo neanche di un centimetro.
«Quindi mercoledì tutti in pigiama?» buttò lì Giada.
«Dove?» domandò Léon confuso.
«Ci sarà la festa dei cento giorni. Tutte le quinte dell'istituto si presenteranno a scuola in pigiama» gli spiegò Alex.
«E la sera festa grossa in discoteca» aggiunse Andre.
«Noi non so se verremo.»
Sebastiano guardò Chiara non capendo di cosa stesse parlando.
«Perché non dovremmo andare?»
«Perché il giorno dopo c'è...» e si indicò la pancia, mettendo su una smorfia imbarazzata ma contenta allo stesso tempo.
«Cosa c'è il giorno dopo?» Léon non stava guardando lei, guardava Sebastiano dritto negli occhi, e aveva nei propri una luce quasi cattiva, come se non vedesse l'ora di metterlo in difficoltà facendolo rispondere a quella domanda.
Seba abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con un lembo della coperta che lo avvolgeva, e non trovò il coraggio di rialzarlo.
«C'è... La prima ecografia di Chiara» confessò a fatica.
«La nostra, non la mia, amore» puntualizzò lei.
«Sì, beh, è a te che cospargeranno la pancia di gel, non a me» rispose piccato, per poi scusarsi immediatamente non appena vide la sua espressione mortificata.
Tutta quella situazione non era sostenibile per lui: quando c'era Léon era nervoso e gli veniva voglia di rispondere male a Chiara, e questo non andava assolutamente bene, perché lei non lo meritava.
In più ci si metteva anche Alex con quella stupida playlist di merda a fargli venire i nervi a fior di pelle.
«Va beh, a parte Sandra e Raimondo che non si sa se verranno, noi andremo a fare bordello lì» ghignò Andre dando una gomitata giocosa ad Alex.
«Ovvio» rispose quello facendo tintinnare le due bottiglie di birra che avevano appena aperto.
«Ma dai, è un'ecografia, mica devi andare a correre una maratona! Avevamo detto che la festa dei cento giorni l'avremmo passata insieme» piagnucolò Giada, spalancando gli occhioni e sbattendo le ciglia.
Chiara alzò gli occhi al cielo e le sorrise.
«Va bene, va bene! Non iniziare a frignare.»
«Grazie, grazie, grazie» e la stritolò in un abbraccio che lei ricambiò.
«Certo che tu sei strana» osservò Alex ridendo.
«Perché?»
«Sei più affettuosa con Giada che con Sebastiano! È stramba questa cosa.»
Andre scosse la testa, pronto ad intervenire.
«È lui che non è caloroso!»
Léon ghignò appena e si rivolse proprio a lui.
«Ma che ne sai, scusa?»
Sebastiano sentì lo stomaco stringersi all'improvviso; era consapevole che se c'era qualcuno che poteva saperne qualcosa, quello era solo Léon, perché era l'unico con il quale era stato davvero sé stesso.
Andrea fece spallucce e roteò la mano in aria come a minimizzare.
«Lo conosco da una vita!»
I giorni passano, passano, passano
E tu non torni qui
E ho visto un sacco di, un sacco di lunedì
Venirmi sotto, le mani addosso, il naso rotto
E la voglia di, voglia di, voglia di
Voglia di drink e di venerdì
Per non vederti più dentro gli occhi blu
Di una sconosciuta dentro al letto mio che non sei tu
Che non sei tu
Sebastiano sentì quel nodo ormai familiare formarsi nella gola, mentre guardava Chiara coi suoi occhioni blu e pensava che le coincidenze a volte sono proprio delle puttane: si mettono sulla tua strada giusto per rigirare il dito nella piaga e farti stare ancora più male.
E che ne sanno gli altri
Di quando tornavamo tardi, pieni di graffi
Che ne sanno gli altri
Di quando ridevamo come matti
E che ne sanno gli altri
Degli occhi nostri mescolarsi e diventare gialli, gialli.
Percepì chiaramente il braccio di Léon appoggiarsi al suo.
Era come se gli stesse dicendo di non ascoltare quelle parole, ché le canzoni sanno essere bastarde e ti si infilano sotto la pelle anche quando non vuoi.
E i giorni restano, restano, restano
E tu non torni più
E ho preso un sacco di stupidi lividi
Sopra la pelle, sotto la pelle, sotto alle stelle
E la voglia di, voglia di, voglia di
Voglia di andarmene via da qui
Per non vederti più dentro agli occhi blu
Di una sconosciuta che sta al posto tuo e che non sei tu
Che non sei tu
Sebastiano si spinse più forte verso Léon, come se con quel piccolo gesto potesse fargli sapere che aveva capito quello che voleva dirgli.
Era bello averlo lì. Era bello anche se sapeva che faceva male a entrambi.
E che ne sanno gli altri
Di quando ridevamo come matti
E che ne sanno gli altri
Di quando correvamo come pazzi
E che ne sanno gli altri
Degli occhi nostri mescolarsi e diventare tanti, tanti
Niente.
La verità è che gli altri non avrebbero mai potuto saperne niente.
Sebastiano guardava i ragazzi parlare tra loro, mentre Léon si era alzato per tornare qualche secondo più tardi con una seconda coperta che gli appoggiò delicatamente sulle spalle.
«Perché?» gli chiese, nonostante fosse grato di quel gesto premuroso.
«Perché tu odi avere freddo.»
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