52. Toccarsi Di Nuovo

Sebastiano ricordava perfettamente quali erano stati i rumori che lo avevano accompagnato nella sua vita.
Era sempre stato uno estremamente attento ai suoni che lo circondavano e che, inevitabilmente, coinvolgevano le persone attorno a sé.

Quando si concentrava, gli sembrava di poter ancora sentire il caos di sottofondo che c'era al parchetto vicino al suo asilo, quello in cui lui e sua mamma si fermavano quando lei lo andava a prendere nel pomeriggio; schiamazzi e urletti dei più piccoli, e la voce già più matura dei bimbi più grandi.

Aveva bene in mente il suono dello sbattitore elettrico ogni singola volta che andava a casa di sua nonna e quest'ultima era intenta a fare una torta per i suoi nipotini.

Ricordava il suono della carta che si strappava ad ogni compleanno o Natale, quando insieme a suo fratello e ai suoi genitori scartavano i regali, con quegli occhietti carichi di curiosità e le manine che lavoravano frenetiche per vedere il prima possibile cosa nascondessero quei pacchetti mascherati.

Poi c'erano stati i disastri, e quelli Sebastiano li ricordava ancora meglio!
Per esempio, vivo nella sua mente c'era il suono del vaso prezioso che sua mamma teneva in salotto e che lui aveva fatto accidentalmente cadere, urtando il tavolino su cui era appoggiato, nel tentativo di scappare dalla lotta fatta con Giorgio. Quel rumore di cocci infranti e il successivo urlo di sua madre sarebbero stati impossibile da dimenticare.

Ricordava benissimo anche il suono del motorino che strisciava sulla strada, la prima volta che fece un incidente. Le gomme che stridevano dopo la brusca frenata e la pedalina che grattava l'asfalto, mentre lui cercava di ripararsi come meglio poteva dall'impatto della caduta.

Gli bastava chiudere gli occhi e restare un attimo in silenzio per rievocare il suono delle risate dei suoi compagni di classe, quella volta che era stato male e aveva vomitato davanti a tutti.

E per ogni suono che aveva vissuto, c'era un'espressione da associare al ricordo.
Il volto sfigurato dalla rabbia di sua madre mentre gli ripeteva per l'ennesima volta che in casa non si corre.
L'espressione dolce di sua nonna che lo informava che quel pomeriggio avrebbe fatto merenda con la torta al cioccolato.
L'entusiasmo di suo fratello che gli diceva che lo avrebbe fatto giocare coi suoi giochi, se ne avesse avuto riguardo.
L'automobilista terrorizzato che gli aveva tagliato la strada facendolo rovinare a terra con lo scooter.
Fabio, quello stronzetto della prima elementare, che lo additava e si teneva la pancia dalle risate, perché secondo lui era divertente vedere qualcuno che vomitava e stava male.

Eppure, nonostante la compilation di suoni che lo avevano accompagnato per tutta la vita, ce n'era uno di cui nessuno si era ancora accorto.

Sebastiano girava così, col cuore rotto in mille pezzi ormai da giorni.
Era come avere un barattolo di latta con due bulloni di ferro dentro legato alla caviglia; lo sentiva sbattere a destra e sinistra nella sua gabbia toracica, e nessuno pareva notarlo.

Anche quella sera, mentre si erano ritrovati a casa di Léon, Seba sentiva il rimbombare di quei detriti dritto nelle orecchie, ma, forse, si disse, le finte risate che riusciva a tirare fuori riuscivano a coprire quel frastuono di infelicità.

Sarebbe bastato poco, lui lo sapeva, perché qualcuno si accorgesse di quanto stesse male in quegli ultimi giorni.
Sarebbe bastato qualcuno che lo guardasse un secondo in più negli occhi, ed ecco che la verità sarebbe venuta a galla.

Ma questo non era ciò che voleva.
I suoi sbagli, i suoi dolori, le sue colpe, Sebastiano voleva custodirle dentro di sé, senza farle pesare anche sui suoi amici.

Era passato dal desiderare che tutti vedessero il male che aveva addosso, al tentare di nasconderlo a tutti i costi per proteggere chi gli stava attorno.
I ragazzi erano persone speciali, lui lo sapeva bene, e si sarebbero sicuramente preoccupati se avessero intuito qualcosa.
E questo, Sebastiano, voleva assolutamente evitarlo.

E così quella sera aveva accettato la proposta di Alex, che aveva autoinvitato sé stesso e tutto il gruppo a casa del francese, e ora stava giocando ad uno di quegli stupidi giochi che ogni tanto tirava fuori Andrea.

Si erano divisi in due squadre, maschi contro femmine, e per poter essere in parità anche Lisa e Isabelle si erano unite alla gara.

Sebastiano le guardava mentre mimavano la scena famosa di un film, e cercava di mantenere sul viso un sorriso di circostanza, una smorfia che non facesse capire a nessuno tutto quello che si stava abbattendo dentro di lui.

Era stata Giada a decidere quale scena cult dovessero rappresentare e far indovinare alla squadra avversaria, e ora le stava osservando mentre una teneva le braccia a cerchio e l'altra cercava di passarci in mezzo.

Il rosso si stava scervellando per arrivare a una soluzione, col suo solito spirito competitivo e la voglia di primeggiare che lo contraddistingueva; Chiara e Giada, invece, stavano sghignazzando nel vedere in difficoltà la squadra dei maschietti.

«Ci sta passando dentro» contemplò Alex tra sé, e gli occhi si ridussero in due piccole fessure mentre spremeva le meningi in cerca della risposta esatta.

Lisa annuì con vigore, poi portò una mano davanti al viso e iniziò a fare qualche smorfia, come se si stesse guardando allo specchio.

«Si specchia. Si specchia e prima cercava di attraversarlo» sussurrò mentre con una mano si sfregava una tempia. Poi i suoi occhi si aprirono di scatto: «ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO!» urlò, e le due ragazze iniziarono ad esultare felici per la risposta corretta.

«Okay, tocca a noi! Schieriamo Léon e Seba. Pronti?» chiese Andre guardando i due ragazzi.
Sebastiano sentì le guance andare a fuoco, mentre era certo che il suo cuore avesse perso più di un battito.

Da quant'era che non toccava Léon? Sembrava passato così tanto tempo... E ora si ritrovava a doverlo fare davanti ai loro amici, gli stessi che non sapevano nulla di tutto quello che loro due avevano passato insieme.

I ragazzi si riunirono e si misero in cerchio, abbracciandosi l'un l'altro per creare una specie di barriera che doveva servire a non far trapelare nessun suggerimento alle ragazze.

«Léon, lo conosci "Ghost"?»

Il francese annuì, le sopracciglia aggrottate in una palese espressione confusa.

«Bene, farete la scena del vaso» decretò Andre.

«Ma... Quello è un film d'amore. Figurati se non l'hanno visto» tentò Sebastiano.
La sola idea di dover stare "abbracciato" a Léon lo metteva in uno stato d'agitazione difficile da spiegare.

Andrea mise su lo sguardo di chi la sa lunga e ghignò appena.
«Ed è qui che ti sbagli, amico mio! So per certo che né Giada né Chiara l'hanno mai guardato. Siamo in una botte di ferro e ci aggiudichiamo l'ultimo punto!»

Effettivamente erano in parità, un punto in più avrebbe decretato la loro vittoria, visto che avevano deciso che quella sarebbe stata l'ultima manche.

«E tua zia?» chiese speranzoso rivolto a Léon.

Per tutta risposta il biondo fece spallucce.
«Non ne ho idea, sinceramente.»

Stupido, stupido Léon! Ma non si rendeva conto di cosa significava fare quella scena, per lui?

«Okay, andata! Guarda, questa è la scena che dovrete fare» Alex tirò fuori il cellulare, mettendo su il video, e Sebastiano vide Léon impallidire di fronte a quelle immagini.

Possibile che non conoscesse quel film? Insomma, la scena del vaso era un cult anche per chi non se ne intendeva tanto di film d'amore.
E perché cazzo aveva annuito quando Andrea gli aveva chiesto se lo conosceva? A dir bene, quello scemo aveva scambiato "Ghost" con "Ghostbusters".
Di nuovo: stupido, stupido Léon.

«Dai, muovetevi» disse Andre, mentre preparava una sedia e un tavolino nel centro del salotto.

Léon si mise a sedere, allargò le gambe e lasciò lo spazio per fare accomodare anche Sebastiano, che titubante avanzò verso di lui.
Mentre eseguiva dei semplici movimenti, come piegare le gambe per poter stare sulla sedia, sentiva il respiro iniziare a farsi affannoso.

«Avete un minuto di tempo a partire da... ora!» e il cronometro di Alex iniziò il suo conto alla rovescia.

Quanto era lungo un minuto?
Troppo.
Per Sebastiano decisamente troppo.

Mentre Léon intrecciava le dita alle sue, mettendo in atto la famosa scena del film, lui non faceva altro che pensare a quanto gli fosse mancato il suo tocco.

La schiena appoggiata al suo petto, le braccia a sfiorargli i fianchi e il respiro caldo del francese a precipitargli sul collo.
Tutto, in quel minuscolo lasso di tempo, stava servendo a rievocare attimi che Sebastiano riviveva già quotidianamente nei suoi pensieri.
E tutto gli mancava tremendamente.

Strinse le dita attorno a quelle di Léon, pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo, e lo sentì irrigidirsi alle sue spalle.

Tieni, prendi un altro pezzo di me, come hai fatto a Parigi, quando sapevamo che sarebbe stata l'ultima notte che avremmo passato insieme e ti ho donato tutto quello che potevo.
Prendilo e custodiscilo tu, questo sentimento, ché a me fanno male il cuore, l'anima, le ossa.

Le ragazze si stavano consultando tra loro, mentre lui e il francese continuavano a modellare un vaso immaginario su quel tavolino in legno.

«Aspettate, vi diamo un aiutino mettendo la colonna sonora.»
Andrea tirò fuori il telefono e lo attaccò alla cassa Bluetooth, dalla quale vennero fuori le prime note di una canzone.

Now I've had the time of my life
No I never felt like this before
Yes I swear it's the true
And I owe it all to you...

Alex afferrò una lattina ormai vuota di Coca Cola e la lanciò contro il suo amico, che si riparò giusto all'ultimo momento, prima di essere beccato in pieno viso.
«È "Dirty Dancing" quello, imbecille!»

Le ragazze scoppiarono a ridere davanti a quella scenetta esilarante. Sebastiano, invece, l'aveva intravista a malapena.
Lui era concentrato sul profumo di Léon, quello di vaniglia e liquerizia; il solito che avrebbe riconosciuto tra mille.

Anzi, lascialo a me.
Lascialo qui. Oggi mi fa male tutto, ma soffrire mi permette di ricordare tutto quello che è stato.
Lascialo qui, ché forse un giorno smetterà di pulsarmi nel sangue e riuscirò a sorriderne.

Il timer decretò la fine della manche e Sebastiano sentì le dita di Léon stringersi attorno alle sue ancora più forte.

Ma durò un secondo, giusto il tempo di rendersene conto ed ecco che il più grande si era già alzato per andare a festeggiare con i suoi compagni di squadra.

Il rosso si voltò verso di lui, che aveva gli occhi appannati di lacrime e le labbra serrate nel tentativo di non far vedere il tremore che le stava pervadendo.
«Io e Seba andiamo a fumarci una sigaretta» affermò prima di prenderlo per un braccio e trascinarlo con sé fuori da quella casa.
«Ehi...» gli disse una volta fuori.

Ma Sebastiano non era già più lì. Era tornato indietro di qualche giorno, a quando ancora era convinto di potersi prendere la sua fetta di felicità insieme a Léon.
Era a Parigi, in una stanza d'albergo con il letto sfatto dopo che avevano fatto l'amore.
Era in mezzo al bosco, mentre regalava il suo posto speciale a Léon.
Era in cucina, mentre gli insegnava una nuova ricetta.

Il respiro si fece affannato e con la mano andò a coprirsi gli occhi, imbarazzato dalla reazione che non stava riuscendo a controllare.
Sentì il rosso avvolgerlo in un abbraccio di conforto e si lasciò andare a quel pianto che aveva trattenuto troppo a lungo.

«Sono nella merda, Alex. Sono nella merda» riuscì a dire tra i singhiozzi, e il suo amico lo strinse più forte.

Che stupido.
Solo poche ore prima si era detto di non voler fare preoccupare nessuno del gruppo, e ora eccolo là a frignare tra le braccia del suo migliore amico.

Ma forse, per una sera soltanto, poteva anche permettersi di dare libero sfogo a tutto il caos che gli albergava dentro.

Solo una sera, pensò, e da domani tornerò alla mia solita maschera.

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