50. Rivedersi

Erano salite a quota tre le notti passate in bianco.
Sebastiano se ne andava in giro con l'aria da zombie e faticava a connettere sia a casa che a scuola.

Nonostante tutto, si stava preparando per uscire.
Era mercoledì, e il mercoledì c'era la serata film a casa di Alex.
Casa di Alex voleva dire che ci sarebbero stati tutti, e tutti comprendeva anche Léon.

Lo stava ignorando in un modo che a Seba sembrava sanguinare il cuore ogni volta che lo guardava e lo vedeva intento a guardare altrove.

Diede un'ultima occhiata allo specchio prima di uscire dalla camera: le guance gli si erano scavate, gli occhi si erano spenti e i capelli erano un disastro.
Non gliene fregava un cazzo, sinceramente.
Anzi, quasi pregava che il mondo si accorgesse che stava di merda; che si rendessero conto tutti quanti che era infelice da morire, così magari qualcuno avrebbe avuto pietà di lui e gli avrebbe concesso una via di fuga da tutto quello che gli era caduto addosso negli ultimi giorni.

Prese la giacca e si avviò, fermandosi quando sentì la voce di suo fratello richiamarlo.

«Ma che cos'hai in questi giorni? Sembri un cadavere.»

Seba sospirò, poi lo guardò negli occhi e decise che aveva bisogno di parlare con qualcuno. Certo, come se non avesse già asfissiato Alex in quei due giorni, con tutti i suoi dubbi e le sue paranoie.
«Chiara ha fatto il test. È positivo» confessò guardando a terra.

«Merda.»

«Già.»

«Ha intenzione di tenerlo?»

Seba arcuò un sopracciglio e mise su un'espressione sarcastica.
Davvero c'era bisogno di chiederlo?
Sarebbe stato in quelle condizioni, altrimenti?

«E figuriamoci, quella va in chiesa tutti i giorni» sbuffò suo fratello.

«Non c'entra la chiesa, lei voleva dei bambini in generale, e questo è solo capitato prima del previsto. Almeno secondo la sua opinione.»

«Sì, beh, si diventa genitori in due, c'è anche la tua di opinione.»

Divertente, sul serio!
Davvero c'era anche la sua opinione?
No, perché, quando aveva fatto presenti i suoi dubbi a Chiara, lei aveva detto che non c'erano problemi e che sarebbe andato tutto bene, ignorandolo.

E quando aveva detto a Léon che avrebbe voluto lasciare la sua ragazza per stare con lui, lui aveva risposto che si sarebbe comunque fatto da parte, ignorandolo.

Quando poi aveva cercato di parlargli, aspettandolo nei bagni della scuola o telefonandogli quelle cinquanta volte, Léon non gli aveva mai riposto, facendo cosa? Ignorandolo!

«Non è poi così importante, a quanto pare» fece spallucce Seba, buttandosi sul divano a peso morto.

«E l'altra tipa?» sentì chiedere da suo fratello.

«Eh?»

«L'altra, la tipa con cui ti stai frequentando...»

Ah, già, Giorgio sapeva che stava vedendo qualcun altro e aveva dato per scontato fosse una ragazza.
«Noi non... Beh, aveva già detto che sarebbe sparita se Chiara fosse stata incinta, e così ha fatto.»

«Cazzo, ma tu ti circondi proprio di stronze allora.»

Era incredibile la capacità che aveva suo fratello di migliorargli l'umore.
Anche da piccoli era così, Seba lo ricordava bene.
Poteva essere nelle situazioni più disperate possibili, e Giorgio trovava un qualcosa da dire che puntualmente lo faceva scoppiare a ridere.
E in quel momento doveva ammettere di averne davvero un grandissimo bisogno.

«A mamma e papà quando hai intenzione di dirlo?»

«Quando compie diciott'anni?» chiese Seba speranzoso, e quella volta fu Giorgio a ridere.

«Dimmelo quando vuoi fare il grande annuncio, così mi faccio trovare a casa e li faccio ragionare anch'io, okay?»

«Okay. Grazie, Giorgio.»

Il maggiore gli fece un sorriso, uno di quelli che faceva anche quando erano bambini e Seba aveva combinato un pasticcio, e lui era lì come a dirgli: tranquillo, insieme lo risolviamo questo guaio.
Già, peccato che quella volta nessuno avrebbe potuto davvero aiutarlo.

Arrivò a casa di Alex a tempo di record. Aveva guidato come un pazzo, spinto dal desiderio di vedere Léon, di poter finalmente posare gli occhi su di lui.

Erano già due giorni che il francese entrava a scuola prima degli altri e usciva per ultimo, e lui non aveva potuto vederlo, se non di sfuggita nei corridoi, durante la ricreazione.

Gli mancava.
Gli mancava da morire, ma capiva anche quello che stava facendo: lontano dagli occhi, lontano dal cuore, no? Sicuramente la sua strategia era la migliore da adottare, dato che avevano deciso di non vedersi più, ma erano passati solo due giorni e lui già sentiva la necessità viscerale di incastrare gli occhi nei suoi; come cazzo avrebbe potuto resistere in futuro?

Suonò al campanello e salì i gradini a tre a tre, spalancando il portone d'ingresso dell'appartamento di Alex e cercando subito la figura di Léon.

Eccoli, quegli occhi che ora non riuscivano a staccarsi dai suoi, e Seba tornò a respirare in modo regolare.
Era come il primo tiro di sigaretta dopo il caffè, tossico e rigenerante allo stesso tempo.

Alex gli piazzò in mano qualche coperta e gli disse di non perdere tempo a spogliarsi.
«C'è la nebulosa di Orione stasera, niente film, andiamo in terrazzo» annunciò.

Ecco perché avevano tutti quanti il cappotto, pensò Seba.
Salirono insieme sul tetto e sistemarono coperte e cuscini, poi si stesero a terra col naso all'insù.
Cazzo, era uno spettacolo davvero meraviglioso.
Quella sera non c'era nemmeno la luna a contrastare la luce delle stelle, che brillavano nel cielo grosse come sassi.

«Okay, adesso mi dite quale cazzo è Orione» berciò Andre, che era diventato un tutt'uno con la coperta.

I ragazzi scoppiarono a ridere. In realtà, nessuno si intendeva di astronomia in quel gruppo, ma di tanto in tanto si ritrovavano su quel terrazzo per ammirare la bellezza del cielo di notte, ché per quello non c'era bisogno di essere degli esperti.

«Ragazzi, fra poco c'è la festa dei cento giorni, ci pensate?»

«Cos'è?» domandò Léon, e tutti si voltarono a guardarlo.

«Si festeggiano i cento giorni che mancano all'esame finale, quello della maturità. Quest'anno i rappresentanti d'istituto hanno affittato una discoteca intera, sarà una figata» rispose Andre.

«Non festeggiate, in Francia?» chiese Giada, e Léon fece spallucce.

«Festeggiamo alla fine. Che senso ha farlo prima? Magari uno neanche viene ammesso agli esami, oppure fa uno schifo e lo rimandano.»

Beh, vista da quella prospettiva non aveva tutti i torti, ma i ragazzi per sicurezza si toccarono le palle, e le ragazze iniziarono a cercare qualcosa di ferro da stringere.

Quella scenetta fece ridere il biondo, e Seba si ritrovò una morsa a stringergli lo stomaco nell'udire quel suono che tanto amava.
Rimasero sul terrazzo per tutta la sera, avvolti nelle coperte, a parlare di tutto e di niente, fino a che non si fece ora di tornare a casa.

Sebastiano non aveva una gran fretta, tanto sapeva che non avrebbe dormito neppure quella notte, ma quando vide Léon salutare tutti si affrettò a fare altrettanto.

Aveva bisogno di dirgli una cosa, l'ultima e poi avrebbe cercato di rendergli la vita più facile, lasciandolo semplicemente in pace.

Lo seguì in fretta giù per le scale e, nonostante avesse notato che il francese aveva accelerato il passo, riuscì a raggiungerlo e a fermarlo.

Quando si trovò con gli occhi nei suoi, sentì la solita fitta di dolore all'altezza del petto, ma decise di ignorarla e di rendere quel fugace incontro il meno doloroso possibile.

«Volevo solo dirti che ti ho lasciato un foglio nel primo cassetto del comodino di camera tua. Non è niente di smielato e non c'entra niente con noi due, davvero... Però leggilo entro domani, okay?» aveva parlato tutto d'un fiato per la paura che Léon lo interrompesse e non ascoltasse quello che aveva da dirgli.

«Okay» sentì rispondere.

Quello che doveva dirgli glielo aveva detto, poteva bastare così. Anzi, doveva!
Ma il biondo era davanti a lui, bello come sempre e con gli occhi vuoti per colpa sua, e Sebastiano non riuscì a trattenersi.

«Come stai?» gli chiese, per poi pentirsene subito quando si accorse che l'altro aveva messo su un'espressione ancora più triste.

«Normale. Tu?»

«Uno schifo» rispose sincero.

Era la verità, e il suo aspetto ne era la prova. Non avrebbe avuto senso mentire proprio a Léon.
Il più grande annuì, poi distolse lo sguardo dal suo per puntarlo a terra.

«Adesso vado. Ciao, Seba.»

Seba.
Lo aveva chiamato come lo chiamavano tutti gli altri.
Nell'unico modo in cui non avrebbe mai voluto essere chiamato da lui.
Sebastiano lo guardò uscire e rimase come pietrificato nell'androne del palazzo; poi raccolse il suo dolore e si trascinò fuori da lì.

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